mercoledì 13 maggio 2020

Dalla Necropolitica all'Immunocapitale!

In questo suo testo, pubblicato inizialmente su "Developing Economics", Alessandra Mezzadri illustra quella che ritiene sia la singolarità della crisi del coronavirus. In quanto crisi sanitaria, questa pandemia colpisce le modalità di svolgimento del lavoro riproduttivo. Più che in passato, in questi ultimi mesi, a farsi sentire è stata la necessità di un lavoro di  assistenza e di cura della riproduzione delle relazioni sociali capitaliste. Mezzadri affronta i vari aspetti di questa crisi della riproduzione che non ha precedenti: la confusione tra tempo tempo di lavoro salariato e tempo di lavoro riproduttivo per le classi medie che si trovano in situazioni di tele-lavoro, il ritorno alla campagna da parte delle popolazioni che erano venute in città in cerca di lavoro, senza trascurare le disuguaglianze di genere e di razza che sono state aggravate dalla pandemia. In sintesi, Mezzadri sostiene che l'impasse in cui si viene a trovare oggi l'economia si fonda in questa contraddizione tra la necessità di distanziamento sociale, per la sopravvivenza degli individui, la necessità di mantenere  le interazioni, per la sopravvivenza del capitale.

Al lavoro!
- di Alessandra Mezzadri -

Nella misura in cui la crisi sanitaria dovuta alla pandemia di Covid-19 si aggrava, appare sempre più chiaro che il collasso a breve termine della produzione globale  rischia di superare quello di qualsiasi altra recessione degli ultimi 150 anni; vale a dire, dell'intera storia del capitalismo. L' International Labour Organization (ILO) ha stimato che la crisi porterà alla distruzione di 195 milioni posti di lavoro. Pertanto, dopo aver discusso a fondo in merito all'epidemiologia del Covid-19, ora l'attenzione dei media si va sempre più focalizzando su come fare ripartire il motore economico globale. Per quanto si possa essere addolorati per i nostri morti, sembra che però sia giunto il momento di discutere su come garantire la sopravvivenza economica che, sotto il capitalismo, è basata sulla produzione e sul lavoro. Qui nel Regno Unito, dove sto scrivendo, «riportare la Gran Bretagna al lavoro», per il governo è diventato il nuovo mantra, anche se il suo stesso leader è ancora convalescente a causa del virus. Di simili preoccupazioni, si sta discutendo in tutto il mondo, dal momento che la pandemia si è ormai chiaramente trasformata, da minaccia per la salute a livello planetario, in una minaccia economica globale. Eppure, riportare «al lavoro» il mondo non è un'impresa facile, anche mantenendo il distanziamento sociale. Il capitalismo globale si basa sulle interazioni sociali. Infatti, quella che è la sua fase globale ha puntato a cancellare la distanza sociale, non solo tra i lavoratori, ma anche tra i paesi, tra i mercati, tra le merci ed i consumatori. Ma nel momento attuale, il modo in cui siamo soliti riprodurre la vita sotto il capitalismo ci potrebbe uccidere, letteralmente; e questo non è certo un piccolo dettaglio per spiegare l'impasse della crisi del Covid-19. Dovrebbe essere il punto di partenza per analizzarla. In sostanza, prima di diventare una crisi della produzione, l'attuale pandemia ha generato una crisi sistemica della riproduzione sociale. [*]. Come sostiene Tithi Bhattacharya, la pandemia ha rivelato la centralità delle attività riproduttive per il funzionamento del capitale. Inoltre, ha anche mostrato quale sia il valore dell'assistenza e delle cure sanitarie, nel momento in cui dalle diverse comunità e dai vari individui venivano esperite «disuguaglianze di assistenza sanitaria».

La pandemia come crisi della riproduzione sociale
La teorica femminista Nancy Fraser ha constatato come il capitalismo, nelle sue diverse fasi, sia sempre stato sostenuto da distinti regimi di riproduzione sociale; vale a dire, da un insieme di relazioni sociali riproduttive e di istituzioni in grado di rigenerare la vita capitalista nei suoi diversificati momenti storici. Ad esempio, in gran parte del mondo occidentale, la fase globale neoliberista ha visto l'emergere di un regime di riproduzione sociale basato sul mercato, mercificato; sebbene - come lo sta dimostrando chiaramente la pandemia - la minaccia per la vita che esso rappresenta, varia in maniera significativa con il variare di quelli che sono gli attuali sistemi sanitari nazionali in vigore, con grandi differenze tra il sistema sanitario privatizzato degli Stati Uniti e i sistemi pubblici dei paesi europei, come l'Italia, la Germania e la Francia. L'emergere e l'affermarsi del regime riproduttivo neoliberista non ha solo contribuito allo sviluppo del modello di produzione neoliberista - con, ad esempio, l'ingresso massiccio delle donne nel mercato del lavoro - ma ne è stato altresì co-costitutivo. Ne consegue che l'attuale crisi non è "solamente" una crisi di produzione; ma, molto più profondamente una crisi della riproduzione sociale. Le crisi capitalistiche hanno sempre portato all'emergere di nuovi regimi di riproduzione sociale. Ma in questo caso si tratta di una crisi straordinaria, dal momento che per proteggere la vita ci troviamo a dover minare, fondamentalmente la sua stessa base economica, senza che ci sia ancora alcuna alternativa in vista. È per questo che gli inviti a tornare «al lavoro» non riescono a chiarire come questo possa accadere. Questa crisi è inedita, per almeno tre fattori: l'impossibilità di sfruttare la forza lavoro; la confusione tra tempo di lavoro remunerato e tempo di riproduzione; e la gestione politica della morte su larga scala.

Non sfruttabilità
In primo luogo, la crisi attuale preclude la possibilità di uno sfruttamento capitalistico su larga scala. Il famigerato motto per cui sotto il capitalismo «è meglio essere sfruttati che non esserlo» non ha mai avuto tanto senso quanto ne ha in questo momento. Quando la maggioranza delle persone sulla Terra si assicura il proprio sostentamento vendendo la propria forza lavoro, ecco che allora l'impossibilità di farlo minaccia la vita stessa, anche se minacciata dal Covid-19. Inoltre, nelle crisi passate, in maniera decisiva il capitale è riuscito a socializzare le perdite economiche scaricandole sui lavoratori, sullo Stato o su entrambi. È quanto è accaduto nella crisi del 2008, quando le banche occidentali sono state di fatto salvate dai governi nazionali, mentre i lavoratori - sia nel Nord che nel Sud del mondo - hanno dovuto sobbarcarsi tutto il fardello della crisi economica; i più fortunati, pagando tasse più altre a fronte di salari più bassi e subendo tagli profondi nei servizi pubblici, e i meno fortunati, perdendo completamente il lavoro e possibilmente le loro case (pagate coi mutui sub-prime).  Migliaia di fabbriche sono state interamente chiuse, e in molti paesi la produzione della maggior pare dei beni e dei servizi non essenziali è stata fermata. Sia i datori di lavori che i lavoratori dovrebbero ritirarsi simultaneamente dal mercato e andare a starsene letteralmente a casa. Mai prima d'ora nella storia del capitalismo abbiamo avuto una crisi nella quale all'origine non venisse distrutta nessuna risorsa. fisicamente o finanziariamente - per esempio, non c'è stata nessuna guerra, nessun collasso iniziale del mercato, anche se ovviamente ora i mercati stanno reagendo - eppure il collasso economico è sembrato essere così totalizzante. È questo ciò che si ottiene quando si elimina lo sfruttamento da un sistema globale che di tale sfruttamento si nutre per poter sopravvivere. La pandemia ha dimostrato in maniera inconfutabile la centralità del lavoro umano per la produzione di tutto il valore. Come sostiene Silvia Federici, il corpo umano e la forza lavoro che in è contenuto è la più grande macchina che sia mai stata «inventata» dal capitalismo. Ironia della sorte, nella sua incapacità di sfruttare e superare la sua attuale crisi di riproduzione, il capitale mercifica la riproduzione sociale stessa per trovare delle nuove fonti di profitto, e un nuovo fronte politico che gli possa garantire consenso elettorale. Così, nel Regno Unito, la produzione dei così tanto necessari ventilatori sembra sia stata ritardata dal momento che il governo non riusciva a decidere quale compagnia sarebbe stata responsabile del mercato pubblico. Negli Stati Uniti, la promozione della Idrossiclorochina, come cura del Covid-19, fatta da Trump - senza alcuna prova scientifica - mira anch'essa a placare l'opinione pubblica spingendo a riaprire di nuovo l'economia. Fondamentalmente, questo gioco economico e politico viene giocato contro gli sforzi fatti per salvare la vita dei lavoratori della riproduzione; in particolare, gli operatori sanitari che, in tutto il mondo, nel Regno Unito, negli Stati Uniti, in Italia, Iran, India, e dovunque, sono privi dei necessari dispositivi di protezione.

Confusione tra lavoro retribuito e tempo per la riproduzione
Il secondo fattore che rende unica questa crisi, è la confusione che ci viene imposta tra quello che il lavoro retribuito ed il tempo che serve per la riproduzione. In effetti, questa è già una caratteristica dell'occupazione informale in ampie fasce del Sud del mondo, dove le case delle persone ospitano spesso una grande varietà di attività economiche destinate ai mercati nazionali, e spesso anche a quelli internazionali. Tuttavia, il modo in cui questa situazione ha accelerato e si è intensificata, per una massiccia percentuale della popolazione mondiale,  nelle condizioni del lockdown, non ha precedenti. L'imposizione del confinamento, ha messo ulteriormente a nudo quelle che sono le crude disuguaglianze del mondo capitalista in cui viviamo. Infatti, nella misura in cui ci viene ripetuto di restare a casa, la prima più evidente disuguaglianza che emerge è quella riguarda coloro i quali non hanno affatto una casa o un mezzo di trasporto. Le drammatiche immagini dei senzatetto americani a Las Vegas, spazialmente separati nei parcheggi, o quelle dei milioni di lavoratori immigrati indiani che tornano a piedi ai loro villaggi a causa della cancellazione dei trasporti pubblici, in seguito allo sfratto dai villaggi industriali, mostra come il messaggio «restate a casa» difficilmente produce risultati universali. E anche a coloro che si suppone abbiano la fortuna di avere una casa in cui ritirarsi, può succedere di trovarsi di fronte delle sfide assai diverse. Mentre i media occidentali parlano in maniera esagerata della lotta intrapresa dalla classe media per destreggiarsi tra il lavoro retribuito e la scuola a domicilio dei loro figli, ci sono molti altri che hanno già perso il loro lavoro. Altri ancora possono essere bloccati in ambienti domestici pericolosi - in tutto il mondo, durante la pandemia, il tasso di violenza domestica è salito alle stelle - oppure trovarsi semplicemente in case che sono inospitali e/o troppo piccole, e dove la sopravvivenza, piuttosto che coniugare lavoro retribuito e lavori domestici, diventa una vera e propria sfida. Come si poteva immaginare, l'esperienza del lockdown è ampiamente determinata dalla classe, dal genere e dalla razza e testimonia il fatto che non ci troviamo affatto  immersi in essa tutti insieme. Non siamo mai stati tutti sulla stessa barca. Il confinamento stesso è possibile solo in quanto escludente, discriminante; confinati al chiuso, dentro le case, difficilmente riusciamo a coltivare il nostro cibo o a soddisfare le nostre necessità, e possiamo sopravvivere solo grazie ai lavoratori dei supermercati, dei trasporti, delle consegne a domicilio, ai contadini ed ai lavoratori della catena alimentare. Molti di questi lavoratori-chiave guadagnano a malapena il salario minimo, eppure sono loro che assicurano quella che è la nostra riproduzione durante il lockdown.

La risposta politica ad un tragico tasso di mortalità
Il terzo, ma forse il più importante e terribile indicatore di come questa crisi differisca da qualsiasi altra cosa abbiamo visto prima, è la morte, le sue cifre e la sua politica. Si tratta una crisi unica nel suo genere di quella che è la riproduzione sociale in sé, letteralmente da morire. È vero, il capitalismo globale ha sempre mostrato disprezzo per la vita della maggioranza lavoratrice. Gli schiavi neri  lavoravano costantemente, fino a morire, e i lavoratori industriali non vivevano a lungo, e sviluppavano molte malattie. Eppure, questa è la prima pandemia di cui facciamo esperienza nell'era del capitalismo globalizzato - e nonostante le tante somiglianze la ben più letale influenza spagnola del 1918 si suppone che si sia verificata in un mondo assai meno interconnesso e meno avanzato dal punto di vista medico - dove l'annientamento su larga scala sembra colpire tutte le classi sociali. Voglio dire, Boris Johnson l'ha presa, giusto? Ciò nonostante gli alti tassi di mortalità non hanno cancellato l'orrore della divisione di classe in quello che è l'accesso alla sanità. Ancor più di quanto avviene durante l'ordinaria amministrazione, durante questa pandemia la Necropolitica del capitalismo stabilisce chi è che vive e chi è che muore. Negli Stati Uniti, per esempio, i neri hanno molte più probabilità di morire di Covid-19. Sono più poveri e più malati di quanto lo sia il resto della popolazione statunitense, hanno più probabilità di avere diabete, ipertensione o malattie cardiache - tutte comorbilità pericolose - e di venire allontanati dagli ospedali in quanto privi di un'assicurazione sanitaria privata. Il dibattito sulle condizioni di salute preesistenti è stato di per sé emarginante e discriminante nei confronti degli invalidi e degli anziani. Del resto, l'assistenza neoliberista interpreta il diritto alla vita solo come la sopravvivenza del più adatto e del più «meritevole».  Gli alti tassi di mortalità tra gli anziani sono stati presentati come se fossero inevitabili e dovuti a condizioni di salute preesistenti, piuttosto che agli effetti del virus. Ma un anziano che viene investito da un auto mentre sta attraversando una strada non muore di vecchiaia, anche se cammina lentamente. Gli è che in molti paesi la mancanza di ventilatori salvavita e di letti d'ospedale ha prodotto tutta una serie di politiche hobbesiane. Nel Regno Unito, ci sono stati dei medici che sono arrivati a suggerire apertamente di «non rianimare» [DNR (do not resuscitate)] per delle persone autistiche adulte o per dei bambini malati. Nella catastrofe della corsa per la vita, homo homini lupus. In tutto quanto il mondo, questa disparità nell'accesso all'assistenza sanitaria corrisponde ad un'esacerbazione delle disuguaglianze esistenziali. In tutto il Sud del mondo, l'evidenza suggerisce che la fame e le avversità, piuttosto che la pandemia in sé, rischiano di uccidere migliaia di persone. Per milioni di lavoratori indiani dell'economia informale, guadagnarsi da vivere durante la pandemia sarà impossibile. La pandemia sta aggravando anche ulteriormente la discriminazione di casta, le famiglie Dalit [gli Intoccabili] sono state attaccate per non aver seguito quelli che erano i consigli del governo circa le regole del lockdown. In Kenya, la chiusura dei mercati informali può causare povertà su ampia scala, e portare allo spreco e alla perdita delle risorse alimentari. Preoccupazioni per quelli che sono i mezzi di sussistenza informali, sono emerse anche in America Latina dove, ironia della sorte, i servizi essenziali nelle baraccopoli vengono attualmente garantiti dai signori della droga e dalle bande criminali del posto, che impongono altresì anche dei lockdown locali, per ridurre il tasso di mortalità tra i «loro» poveri.

Un nuovo mondo, o un nuovo incubo?
Nel suo complesso, la non sfruttabilità, il collasso del tempo di lavoro remunerato visto come distinto dal tempo di riproduzione - insieme alla Necropolitica della risposta alle sue centinaia di migliaia di vittime - sono le caratteristiche di quella che è una crisi della riproduzione che non si era mai vista prima nella storia del capitalismo recente. Di tutto questo non si vede ancora un gran finale; difficilmente riusciamo ad immaginarne uno. Arundhati Roy ritiene che le pandemie ci costringono a guardare il mondo in maniera nuova: esse sono un portale tra il vecchio ed il nuovo mondo e verso una prossima nuova era. Impareremo? Cambieremo? Il prossimo regime di riproduzione sociale adottato dal capitalismo sarà più compatibile con il sostentamento della vita, anche durante le crisi? Si può sperare che sia così. Tuttavia, gli attuali dibattiti su quelle che sono le possibili vie d'uscita dal lockdown - basati sull'«immunità di gregge» e sul rilascio di passaporti di immunità - sembrano suggerire in maniera agghiacciante un futuro di nuovo e ancora basato su confini e barriere ancora e sempre più marcate di  quella che è la mercificazione dei tratti riproduttivi degli individui e delle società, che potrebbero a loro volta innescare nuove disuguaglianze socio-economiche basate sull'«Immuno-capitale».

- Alessandra Mezzadri - Pubblicato il 20/4/2020 su Developing Economics -

N.d.T.:

[*] - Dobbiamo nutrirci, prenderci cura della nostra salute, avere un riparo, occuparci dei lavori domestici e, per inciso, rilassarci da una lunga giornata di lavoro crollando davanti a Netflix. Questo accumulo di compiti si chiama riproduzione della forza lavoro,  cosa che assicura che si sia pronti a lavorare ogni mattina. Questi compiti necessari non rispondono solo a bisogni fisiologici naturali e immutabili: qualche decennio fa potevamo tranquillamente fare a meno di uno smartphone o di una connessione a Internet per vivere, mentre oggi queste tecnologie sono quasi indispensabili, sia per il lavoro, sia per l'intrattenimento, sia per la socializzazione. La nozione di riproduzione della forza lavoro si riferisce quindi a una variabile che dipende dal paniere di beni (Marx) necessari per rigenerare la forza lavoro del proletario in una data società. Non si limita alla sopravvivenza biologica, ma include una dimensione sociale relativa al morale del lavoratore. Alla riproduzione della forza lavoro si accompagna anche la riproduzione della «razza dei lavoratori»: fare figli, crescerli, educarli, educarli, insomma, produrre la prossima generazione di lavoratori.

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