domenica 5 gennaio 2020

L’Ultima Spiaggia

Il suicidio climatico dell'Australia
- di Richard Flanagan -

Bruny Island, Australia - Oggi, l'Australia è l'epicentro della catastrofe climatica. La sua magnifica Grande Barriera Corallina sta morendo, le sue foreste pluviali patrimonio dell'umanità bruciano, le sue foreste di alghe sono in gran parte svanite, molte della sue città sono rimaste senz'acqua, o si trovano sul punto di farlo, e tutto il vasto continente australiano sta bruciando, ad un livello che non si era mai visto prima.
Le immagini degli incendi appaiono come un incrocio tra «Mad Max» e «L'ultima spiaggia»: si vedono migliaia di persone spinte sulle spiagge in un'opaca foschia arancione, come in dei quadri affollati di persone ed animali, quasi medievali nel loro strano mutismo - metà Bruegel, metà Bosch, circondati dalle fiamme, i volti dei sopravvissuti nascosti dietro maschere e occhialini per nuotare. Il giorno si trasforma in notte, via via che il fumo spegne tutte le luci, in quegli orribili minuti che passano prima che il bagliore rosso arrivi per annunciare l'inferno imminente. Fiamme che si alzano in aria fino a 70 metri. Tornado di fuoco. Bambini terrorizzati alla guida di gommoni, cercando di sfuggire alle fiamme, profughi nel loro stesso paese.
Il fuoco ha già bruciato circa 14,5 milioni di acri - un'area grande quasi quanto tutto il West Virginia, e che equivale a più del triplo dell'area distrutta dagli incendi del 2018 in California, e sei volte quella che è stata l'area colpita dagli incendi in Amazzonia del 2019. Nel giorno di capodanno, a Camberra, l'aria è stata la più inquinata del mondo, e questo in parte a causa di una nuvola di fumo ampia quanto l'Europa.
Gli scienziati hanno stimato che sono rimasti uccisi circa mezzo miliardo di animali, e temono che alcune specie di animali e di piante possano essere state del tutto spazzate via. Gli animali sopravvissuti abbandonano i loro piccoli in quella che viene descritta come una «morte per fame» di massa. Sono morte almeno 18 persone, e si teme per molti altri. Tutto questo, così come la stagione dei picchi di incendi, è solo all'inizio. Mentre sto scrivendo, nel Nuovo Galles del Sud è stato dichiarato lo stato di emergenza, e lo stato di disastro in Victoria, mentre sono in atto vere e proprie evacuazioni di massa. Lungo tutta la costa orientale, dove tutte le città sono circondate dalle fiamme, si teme una catastrofe umanitaria; tutti i trasporti, così come la maggior parte delle comunicazioni, sono interrotti. Si ignora quale potrà essere il loro destino. In questo momento di catastrofe, un'email inviata agli amici nel giorno di capodanno da Ian Mitchell, ingegnere in pensione, dalla cittadina di Gipsy Point, nel nord della Victoria, sembra parlare per moltissimi australiani:

« A tutti.
Noi e la maggior parte delle case di Gipsy Point siamo ancora in piedi. A Gipsy Point vivono 16 persone.
Niente energia elettrica né telefono, né alcuna possibilità che entro 4 giorni possa arrivare qualcuno, dal momento che tutte le strade sono bloccate. Funziona solo l'email via satellite. Abbiamo due barche molto grandi e grazie ad esse potremmo essere in grado di rifornirci di carburante a Coota.
Abbiamo bisogno di più persone in grado di pensare alla città, dal momento che da venerdì abbiamo di nuovo grossi problemi per il caldo. Da oggi tutta la zona di Tucks sarà un problema, ci sono alberi caduti su tutte le strade, e non c'è nessuno per rimuoverli.
Siamo stanchi, ma stiamo bene.
Ma ora ci troviamo nel 2020!
Con amore
Noi
»

La libreria che si trova nel villaggio di Cobargo, New South Galles, devastato dal fuoco, oggi esibisce un nuovo cartello: «La narrativa post-apocalittica è stata spostata nel settore Attualità.»
Eppure, incredibilmente, la risposta data dai leader australiani a questa crisi nazionale senza precedenti non è stata quella di difendere il proprio paese, bensì difendere l'industria dei combustibili fossili, facendo un grosso regalo ad entrambe le imprese principali, quasi volessero che il paese fosse condannato al suo destino. Nello stesso momento in cui, a metà dicembre, stavano esplodendo gli incendi, il leader del partito laburista di opposizione ha fatto un tour nelle comunità del settore dell'industria carbonifera, esprimendo il suo inequivocabile sostegno finalizzato all'esportazione di carbone. Il primo ministro, il conservatore Scott Morrison, se n'era andato in vacanza alle Hawaii. A partire dal 1996, tutti i governi conservatori che si sono succeduti si sono battuti con successo, vanificando tutti gli accordi stipulati per frenare il cambiamento climatico, per cercare di difendere le industrie di combustibili fossili del paese. Oggi l'Australia è il maggior esportatore del mondo, sia per il carbone che per il gas. Di recente, l'Australia si è classificata al 57° posto, su 57 paesi, per quel che riguarda il suo impegno nel contrastare il cambiamento climatico.
Morrison deve in gran parte la sua vittoria su misura alle ultime elezioni, l'anno scorso, all'oligarca del carbone Clive Palmer, che ha costituito un partito fantoccio per riuscire a tenere fuori dal governo il partito laburista - che si era impegnato in azioni limitate, ma reali, per contrastare il cambiamento climatico. Il budget pubblicitario di Palmer, per la sua campagna elettorale, è stato superiore a quelli dei due partiti principali messi insieme. Successivamente, Palmer ha annunciato che verrà costruita la più grande miniera di carbone di tutta l'Australia. Da allora Morrison, un ex professionista del marketing, si è visto costretto a tornare dalle sue vacanze e a chiedere pubblicamente scusa e ha dovuto scegliere di trascorrere tutto il suo tempo a cercare di creare un'immagine di sé stesso in posa con i giocatori di cricket o con la propria famiglia. È stato visto assai meno sulla prima linea degli incendi, a visitare comunità devastate o insieme ai sopravvissuti. Morrison ha cercato di presentare gli incendi come si trattasse delle solite catastrofi, come se non ci fosse niente di straordinario. Questa posizione sembra basarsi su un agghiacciante calcolo politico: senza che vi sia alcuna effettiva opposizione da parte del partito laburista, ancoro sotto shock per la perdita delle elezioni, e con i media dominati da Rupert Murdoch - il 58% della stampa in circolazione - Morrison, saldamente abbarbicato al suo negazionismo climatico, sembra sperare che - finché insisterà a non riconoscere la portata del disastro che sta investendo l'Australia - egli potrà continuare a prevalere.
Morrison si è fatto un nome come ministro dell'immigrazione, perfezionando la crudeltà di una politica che imprigiona i rifugiati nell'inferno dei campi costruiti sulle isole del Pacifico, e sembra essere del tutto indifferente alla sofferenza umana. Ora, il suo governo ha compiuto una svolta autoritaria, attuando una stretta nei confronti dei sindacati, delle organizzazioni civili e dei giornalisti. Sulla base della legislazione in atto in Tasmania, che intende estendere a tutta l'Australia, chi partecipa alle proteste ambientali ora rischia fino a 21 anni di carcere per aver dimostrato.
«L'Australia è una nazione in fiamme guidata da dei codardi», così ha parlato, a nome di molti, Hugh Riminton, corrispondente straniero australiano, giornalista e presentatore di notizie televisive. Al proprio discorso, avrebbe potuto benissimo aggiungere «idioti», dopo che il vice primo ministro Michael McCormack ha dato la colpa degli incendi all'esplosione del letame di cavallo. È gente simile, quella che sta per aprire le porte dell'Inferno, portando una nazione al suicidio climatico. Si stima che oltre un terzo degli australiani siano colpiti dagli incendi. Una maggioranza significativa e crescente degli australiani vuole agire sul cambiamento climatico, e ora si stanno cominciando a porre sempre più delle domande su quello che appare come un divario crescente tra le fantasie ideologiche del governo Morrison e la realtà di un Australia prosciugata che si sta rapidamente riscaldando e bruciando.
La situazione ricorda curiosamente quella dell'Unione Sovietica negli anni '80, quando i burocrati al potere erano onnipotenti ma perdevano quella che era la fondamentale legitttimittà morale per poter governare. In Australia oggi, un'istituzione politica, diventata sclerotica e demente a partire dalle sue proprie fantasie, si trova a confrontarsi con una mostruosa realtà che non ha né la capacità né la volontà di affrontare. Morrison può anche avere dalla sua una massiccia macchina propagandistica grazie ala stampa di Murdoch, e nessuna opposizione, ma la sua autorità morale si sta dissanguando di ora in ora. Giovedì, dopo che aveva evitato una donna incinta che chiedeva aiuto, è dovuto scappare di fronte a dei residenti arrabbiati e ostili di una città bruciata. Un politico conservatore locale ha definito l'accoglienza riservata al suo leader come «il benvenuto che probabilmente meritava». Come ebbe ad osservare una volta Michail Gorbacëv, l'ultimo leader sovietico, il collasso dell'Unione Sovietica è cominciato con il disastro nucleare di Chernobyl nel 1986. Sulla scia di quella catastrofe, «il sistema, così come lo conoscevamo, era diventato insostenibile», ha scritto nel 2006. Forse l'immensa, attuale tragedia degli incendi australiani potrebbe rivelarsi come la Chernobyl della crisi climatica.

- Richard Flanagan - Pubblicato sul New York Times del 3/1/2020 -

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