Cos’è il capitalismo? È ancora possibile criticarlo? Nancy Fraser, tra le più importanti filosofe e teoriche femministe contemporanee, offre uno sguardo inedito sulle contraddizioni del capitalismo e sulle molteplici forme di conflitto a cui dà origine: una prospettiva ampia e insieme una diagnosi precisa della recente rinascita del populismo di destra e di ciò che sarebbe richiesto da una valida alternativa di sinistra. Questa coinvolgente conversazione con la filosofa Rahel Jaeggi è di grande interesse per ogni studioso di natura e futuro del capitalismo, nonché di questioni chiave della politica progressista di oggi.
(dal risvolto di copertina di: Nancy Fraser, "Capitalismo. Una conversazione con Rahel Jaeggi", Meltemi)
Capitalismo, anticorpi di sinistra
- Due filosofe criticano il neoliberalismo tra massimalismo e spunti riformisti -
di Massimiliano Panarari
Come diceva Joseph Schumpeter, il capitalismo è un processo in costante sviluppo. Di recente, il tema è ritornato al centro del dibattito della sinistra, specie negli Stati Uniti, dove un pezzo di opinione pubblica - tra Bernie Sanders, AOC (l'acronimo con cui è nota le gettonatissima parlamentare dem Alexandra Ocasio-Cortez), i millennial socialist e riviste di tendenza come Jacobin - ha rispolverato il marxismo. E, sempre più spesso, si proclama anticapitalista. In proposito, è uscito da poco in Italia un dialogo tra due filosofe, l'americana (famosa teorica femminista e socialista) Nancy Fraser e la tedesca Rael Jaeggi, che si propone come un aggiornamento della teoria critica nell'epoca della crisi finanziaria ed ecologica.
Il loro libro-conversazione Capitalismo (Meltemi, pp.326, €20) sviluppa una lunga sequenza di riflessioni intorno a quella che considerano la «crisi della società capitalista» da una prospettiva collocata, per l'appunto, dichiaratamente agli antipodi. E che, perciò, lamenta l'«alienazione» della stessa teoria critica rispetto a un pensiero preciso sui rapporti di produzione, e l'assenza di una teoria sociale di sinistra. C'è molto recupero di Marx, difatti, in questo testo, e un suo adeguamento all'età del neoliberismo, che riprende a tale scopo anche il «marxismo black» antirazzista e postcoloniale dagli anni Trenta a oggi. E il lascito marxiano si ritrova anche nel rifiuto del movimentismo decrescista e nell'opzione per una «società della post-crescita», ovvero per un sistema sociale che non deve tanto puntare sulla decrescita quanto sottrarsi all'imperativo assoluto della crescita.
Si tratta, insomma, di un sofisticato testo esplicitamente anticapitalista che dovrebbero leggersi tutti quelli che si dichiarano radical o antisistema da sinistra (dandosi, così, qualche strumento più approfondito di molti degli slogan che si sentono pigramente ripetere). E che, al contempo, potrebbe costituire anche una lettura interessante per chi considera l'economia di mercato irrinunciabile ma da «correggere» in certe tendenze recenti responsabili dell'esplosione delle disuguaglianze degli ultimi anni. Perché, pur nel loro radicalismo discutibile, le due filosofe fotografano con precisione le sfumature o i nuclei profondi di alcuni filoni culturali e descrivono in maniera chirurgica i contorni del «populismo reazionario».
Fraser e Jaeggi ripartono dal postulato marxiano per cui il capitalismo rappresenta «una complessa forma di vita, basata su un modo di produzione, con una serie molto specifica di presupposti, dinamiche, tendenze di crisi, contraddizioni e conflitti fondamentali». Quello di cui imputano, appunto, l'abbandono di una teoria critica che, dopo l'ultima pietra miliare costituita dalla Teoria dell'agire comunicativo di Jürgen Habermas, si sarebbe persa per strada. Arrivando a stringersi, a giudizio delle autrici, in una sorta di generica «critica culturale» con la quale gli esponenti della French Theory hanno scalato gli atenei anglosassoni e diffuso quel politicamente corretto che la destra populista Usa e il trumpismo sono riusciti a trasformare in un facile bersaglio. Per le due autrici, infatti, il normativismo liberal-kantiano (anche quello della sinistra rawlsiana attenta alla giustizia distributiva) e i suoi critici del filone post-strutturalista finiscono per convergere sulla rimozione della dimensione dell'economia politica; e, dunque, «cooperano» nell'eliminare, da opposti versanti, la questione sociale. Che questo volume vuole, invece, rimettere al centro della discussione mediante una riarticolazione della teoria critica imperniata sulla destrutturazione di quelle che reputano le contraddizioni (dalla razializzazione al sessismo, fino alla devastazione ambientale) del dominio sociale del paradigma capitalistico.
Naturalmente, uno dei bersagli preferiti dell'analisi è il «neoliberismo progressista» che ha trovato l'apice nella presidenza di Bill Clinton, un modello politico che, secondo Fraser, ha ammantato lo sgretolamento dei diritti del mondo del lavoro con la narrazione liberaldemocratica e quella della «diversità multiculturale», della promozione femminile e dell'universo Lgbtq. Alla fine del volume le filosofe insistono sulla maturazione della crisi del neoliberismo e illustrano, sulla scorta di una revisione delle due categorie di Karl Polanyi, una società globale attraversata da un «triplo movimento», la tensione tra le spinte contrapposte della mercatizzazione, della protezione sociale e dell'emancipazione. Un contesto che richiede, sostengono, un progetto di contro-egemonia fondato su una forma di «populismo progressista». Un vasto (e assai opinabile) programma.
- Massimiliano Panarari - Pubblicato sulla Stampa del 12/1/2020 -
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