mercoledì 29 gennaio 2020

Contraddizioni

Che tipo di democrazia è la democrazia populista? Da non confondersi con i regimi dittatoriali e autoritari, il populismo – nella prospettiva dell’autrice – va considerato una variante del governo rappresentativo, basata sul rapporto diretto tra un leader e il «suo popolo», rivendicato come «vero» contro l’establishment. Il rischio democratico non risiede allora nella domanda di espansione della democrazia, o nell’enfasi posta sul richiamo al popolo, ma nella selettività con cui il leader individua il suo popolo, facendone un’arma di parte da brandire contro l’altro. Il popolo dei populisti di fatto rifugge dall’inclusività e dalla generalità del popolo sovrano. Un contributo illuminante alla comprensione di un atteggiamento e di una prassi politica segnati da un crescente successo.

(dal risvolto di copertina di: Nadia Urbinati, "Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia", Il Mulino.)

Una democrazia fondata sul populismo
- di Roberto Esposito -

Quando, nel suo discorso di insediamento alla Casa Bianca, Trump affermava che non era lui a parlare, ma il popolo americano, esprimeva qualcosa che andava ben oltre una vittoria elettorale. Quello che nelle sue parole si compiva era il percorso aperto qualche decennio prima da Perón, allorché sosteneva di incarnare nella propria persona il popolo argentino. Non diversamente Chávez aveva dichiarato di non essere un individuo, ma l’intero popolo venezuelano. A unire tali dichiarazioni è più che un'aria di famiglia. È un cambio di paradigma riassunto efficacemente da Matteo Salvini all'indomani delle elezioni italiane: «Il punto non è più destra contro sinistra, ma popolo contro establishment». Confinato fino a poco fa nella periferia del mondo, il populismo si è progressivamente installato al cuore della democrazia occidentale. Ma cosa è davvero il populismo? Come si genera e soprattutto come cambia, una volta andato al governo? È solo un avversario politico del liberalismo o l'anticamera di un nuovo tipo di fascismo? Una risorsa o una minaccia per la democrazia?
Il nuovo libro di Nadia Urbinati, appena edito da il Mulino, "Io, il popolo. Come il populismo trasforma la democrazia", mette ordine nella disparità delle interpretazioni, fornendo una risposta equilibrata a tali domande. Il populismo non è un nemico venuto dall'esterno, ma un prodotto deformato della stessa democrazia, Non solo perché nasce dai suoi scompensi - l'allargarsi delle disuguaglianze sociali, il prevalere delle potenze finanziarie globali a scapito degli interessi nazionali -, ma perché resta formalmente dentro il perimetro democratico. Non intende rovesciare i suoi istituti, come fa il fascismo, ma li "stressa" al punto da minarne il funzionamento. Sostituendo al classico clivage destra/sinistra il discrimine popolo/casta, divarica i presupposti della democrazia rappresentativa. Da un lato assolutizza il principio maggioritario, attribuendo alla parte vincente il ruolo del tutto. Dall'altro declassa i principi liberali della separazione dei poteri e dei diritti costituzionali a ostacoli da superare.
Il presupposto dei suoi sostenitori - non solo di destra, ma anche raffinati intellettuali di sinistra come Ernesto Laclau, Chantal Mouffe e Nancy Fraser - è il contrasto di fondo tra democrazia e liberalismo, teorizzato a suo tempo da Carl Schmitt in funzione antiparlamentare. È proprio quanto Urbinati contesta, saldando liberalismo e democrazia fino a considerare l'espressione "democrazia illiberale" una contraddizione. Mentre una democrazia populista può esistere, almeno fin quando il populismo non entri in contrasto con i suoi stessi presupposti. Che sono da un lato il rapporto immediato tra popolo e movimento - attraverso l'uso ininterrotto del web - e dall'altro l'identificazione salvifica tra movimento e leader.
Ora, se entrambe le cose risultano realizzabili stando all'opposizione, diventano problematiche quando il movimento populista va al governo. Intanto perché deve, prima o poi, trasformarsi in partito. E poi perché viene meno la sua proclamata diversità dalle altre forze politiche. Entrambe queste difficoltà sono attualmente sperimentare dai 5stelle, cui Urbinati dedica un'analisi ravvicinata in confronto con Podemos.
a forza del suo libro sta nella capacità di cogliere analogie e differenze - non solo tra le diverse compagini populiste, ma anche tra esse e i movimenti di protesta, del tutto compatibili con le dinamiche democratiche. A dividerli è una diversa concezione del conflitto politico. Nel caso delle proteste di massa espressivo di partecipazione politica, nel caso del populismo tendente all'esclusione dell'avversario, bollato come nemico del popolo. Quest'analisi mi pare il larga misura condivisibile. Con due integrazioni. La prima, relativa al passato, è che molte delle contraddizioni espresse dal populismo risalgono, prima ancora che agli scompensi della democrazia, alla costituzione delle categorie politiche occidentali, fin dall'origine sdoppiate in due significati disomogenei. Per esempio, il termine "popolo" è stato inteso da sempre in due sensi diversi e contrastanti, riconducibili da un lato alla "parte popolare" e dall'altro all'intera cittadinanza, ora alla plebs ora al populus.
L'altra considerazione è che il modo più efficace per affrontare i populismo dilaganti sta nel ripensare radicalmente il rapporto tra movimenti e istituzione. Non solo istituzionalizzando i movimenti, ma anche "mobilitando le istituzioni".

 Roberto Esposito - Pubblicato su Repubblica del 23/1/2020 -

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