venerdì 17 gennaio 2020

Olé

Pensioni: muleta e controfuoco

« Chi non lavora non mangia. Ecco qual è l'imperativo demagogico che pretende di risolvere la questione, limitandosi semplicemente a mettere in relazione il diritto di mangiare con l'obbligo di lavorare. Quella che dev'essere posta, invece, è la questione della relazione tra il diritto di mangiare e quello di non lavorare (ammesso e non concesso che sia lecito fare uso della vuota ed astratta concezione di «diritto»). Mentre la natura carnale dell'uomo esige che egli si nutra, la sua natura spirituale gli impone, forse in maniera ancora più imperiosa, di non lavorare in modo da potere così giocare e dedicarsi alla contemplazione. Bisognerebbe parlare di un diritto al non lavoro piuttosto che di un "diritto al lavoro" ». (Giuseppe Rensi, 1923).

Ovviamente, il senso dell'attuale progetto [di Macron, in Francia] relativo alle pensioni non è certo quello di porre in atto un «diritto al non lavoro», ma piuttosto quello di perfezionare la ricostruzione e l'adattamento del vincolo politico del lavoro finalizzandolo alle nuove condizioni economiche della crisi della globalità capitalistica. Nel corso della presentazione del contenuto di questo progetto di riforma, il mondo dei media, all'unanimità, ha sottolineato un presunto errore strategico commesso dal Primo Ministro, che, alzando di due anni l'età minima pensionabile, per poter andare in pensione senza decurtazioni, avrebbe accidentalmente contrariato il suo principale sostegno sindacale. Al contrario, però, si tratta di una strategia deliberata: la cosiddetta tecnica della "muleta", che consiste nel distogliere l'attenzione del toro della protesta sociale agitando un'enorme drappo rosso, in modo da focalizzare l'attenzione sull'età del pensionamento, e permettere così che possa passare quello che è il cuore della riforma, vale a dire la riduzione globale dell'erogazione dell'importo monetario delle pensioni per mezzo di un sistema per così dire a punti. Ben presto, il governo avrà buon gioco ad organizzare una sua falsa (provvisoria) capitolazione su questo preciso punto tecnico [quello dell'età "pivot" a 64 anni], dimostrando in tal modo di essere aperto alla negoziazione ed al dialogo. Simultaneamente, restituirà il loro bellissimo ruolo ai sindacati cosiddetti riformisti che potranno in tal modo fregiarsi della propria efficacia nel riuscire a "piegare" il governo, stigmatizzando tutti quegli altri... Si potrebbe anche dire che si tratta della tecnica del cosiddetto "controfuoco": il governo non poteva più ignorare che i sindacati riformisti si sarebbero trovati a disagio nel posizionarsi contro questa misura, cosa che è stata falsamente analizzata come se consistesse nel tentare una prova di forza. Si tratta, al contrario, di una strategia per spingere i sindacati selezionati per un negoziato che avvenga sul terreno scelto dal potere! Abbiamo a che fare con qualcosa di grosso quanto una nave portacontainer: accetteremo di negoziare sulla questione relativa all'età di pensionamento in cambio dell'accettazione di tutto il resto. Nel momento in cui tutto il mondo ha pienamente compreso che nel progetto che è stato presentato dal governo esistono due dimensioni separabili, e che il potere ha organizzato scientemente, deliberatamente, spettacolarmente uno scontro su qualcosa che è solo un punto, un'appendice, un dettaglio tecnico, a questo punto è evidente che ci troviamo nel bel mezzo di un tentativo di mistificazione. (Tuttavia, il "Rasoio di Occam" ci impone di escludere che ci sia la possibilità che alla fine a determinare l'azione del potere non ci sia altro che stupidità e cecità...). Un altro lato positivo: facendo scendere temporaneamente in piazza i sindacati riformisti, si organizza in anticipo  quella che sarà la prossima cacofonia sindacale, confondendo così i diversi messaggi. Lo scontro non è più tra la strada ed il potere, ma si è spostato nel cuore stesso della protesta. Al potere non rimane altro da fare che presentarsi come se fosse il pacificatore... Così facendo, ad ogni modo, è stato omesso un dettaglio: indubbiamente, facendo uso degli apparati sindacali, questa bellissima impalcatura machiavellica potrebbe anche funzionare, però non c'è niente che d'altra parte possa garantire in anticipo che la dinanica della contestazione, che in parte sfugge sempre di mano agli apparati, non ponga in un altro modo quella che è la questione sociale.
L'altro stratagemma usato: la cortina fumogena. Per chiunque sia sano di mente, il calcolo di una pensione che viene fatta sull'intera carriera lavorativa comporta necessariamente una diminuzione del reddito. Dal momento che oggi il percorso professionale di chiunque è soggetto all'impossibilità di qualsiasi proiezione che sia basata sulla durata, con dei contratti che sono sempre più brevi e sempre più precari, non c'è nessuno che possa contare razionalmente sulla possibilità di una carriera completa. Sì, certo, ci sarebbe il governo che garantisce i famosi €1.000 al mese [al minimo contributivo, e ogni tanto questo viene sottolineato]: solo  che questo sarà solo per chi è stato in grado di acquistare senza interruzioni dei punti per arrivare ad un minimo, e che perciò si tratterà soprattutto di piccoli agricoltori, artigiani, commercianti che malgrado le loro ore non vengono pagati a salario minimo, mentre tutti gli altri piccoli contratti precari non saranno mai in grado di soddisfare le condizioni necessarie, come sta già avvenendo. Ovviamente, riceveranno solo una frazione di quei €1.000. Ancora una volta, si tratta dell'albero che nasconde la foresta: €1.000, perfino per chi ha avuto una carriera piena, o per meglio dire, nel progetto di riforma, anche se avrà lavorato per tutta la sua vita a salario minimo, non gli rimarrà altro che un'elemosina che costituisce un insulto vero e proprio. Questa storia, secondo cui ogni ora lavorata comporterebbe dei diritti, mentre secondo la logica del calcolo per trimestre non è assolutamente così qualora non si sia lavorato il minimo di ore richiesto, e serve solo a far prendere lucciole per lanterne: infatti tutto ciò implica l'accettazione dello sviluppo di ogni forma di precarietà, perché si ammette esplicitamente che degli esseri umani possano, e debbano vivere ogni giorno con dei salari che non sono nemmeno in grado di assicurare i minimi pensionistici (nel sistema attuale). In che modo, acquisire dei diritti basati su un salario, o, più in generale, su un reddito che oggi non consente di vivere potrebbe assicurare dei mezzi per vivere in futuro?

Questa storia della riforma delle pensioni rimane, in qualsiasi maniera si affronti il problema, una vera e propria riforma del lavoro. Si tratta di rompere l'arcaica logica degli statuti, che aveva aperto a quelli che erano diritti collettivi, a vantaggio invece dei diritti individuali e indipendenti da ogni statuto particolare, al di fuori di ogni arcaica concezione di ramo professionale. Ciò che dev'essere compreso, è che l'attuale concetto di carriera completa diviene del tutto obsoleto per il progetto in atto: si punta al fatto che il sistema possa funzionare a prescindere da quale che sia il tempo realmente lavorato dagli agenti economici. È  questo il motivo per cui, malgrado tutto, il governo insiste su questa faccenda dell'età di equilibrio (dei conti): questo concetto di equilibrio causare meccanicamente un processo di aggiustamento automatico, vale a dire depoliticizzato, sottratto sia alla possibilità che alla negoziazione. L'idea è quella di scaricare sulle parti sociali l'onere della correzione dei tre parametri finali: abbiamo uno stock di punti, un valore del punto, ed uno stock di beneficiari di punti; sta a voi farlo funzionare e gestire la cosa in maniera che duri. Ed è proprio per garantire l'eliminazione del fattore politico che il budget globale, in termini di quote del PIL, deve essere necessariamente difeso e garantito. Secondo il progetto di riforma, il principio di ripartizione sembra essere stato salvaguardato, ma solo apparentemente.
In quello che era lo spirito del 1945, fu l'insieme delle persone che lavoravano a pagare le pensioni di quelli che avevano smesso di farlo: fu il collettivo di lavoro a finanziare le pensioni di coloro che lasciavano. Al contrario, La logica della pensione a punti è  quella secondo cui, ciascuno, individualmente, si procura dei diritti futuri secondo dei percorsi economici casuali e non scelti: si tratta solamente di una finzione contabile che si impegna a stanziare per i pensionati, per coloro che escono dal mercato del lavoro, quell'insieme di somme che sono state raccolte a titolo, non più di contributi, bensì di acquisto di diritti esplicitamente concepiti come fluttuanti (conseguentemente alla preclusione di una parte del PIL).
La logica di questa pensione a punti, invece, è quella di attuare l'impossibilità di garantire a tutti una carriera professionale completa, e quindi quella di abbandonare questo concetto di «carriera». Si è sul punto di passare da una logica di diritto globale, da una logica di "diritto in sé" alla pensione, ad una logica di diritti frammentari accumulati, cosa che, in fin dei conti ci rimanda al principio della fine di un'età "normale" di pensionamento: in definitiva, a determinare l'età di pensionamento sarà l'accettazione di un compromesso, lasciato al giudizio di ciascuno, tra un numero insufficiente di punti ed il loro valore che è necessariamente dipendente dalla caduta del valore del lavoro, e dalla destrutturazione sempre più spinta del "mercato" del lavoro. Questa storia del pensionamento, nel momento in cui dobbiamo salvaguardare l'ideologia della solidarietà intergenerazionale, diventa così necessariamente una finzione contabile: il sistema va a sbattere contro un limite contabile, del quale in sostanza nessuno parla. Infatti, è ovvio che ci sia un limite finanziario al fatto che un numero sempre più limitato di "attivi" deve prendere in carico un numero sempre più grande di "inattivi". Il potere sottolinea questo punto, spesso severamente. Ma ciò che non viene mai messo in discussione, è il postulato secondo cui sarebbe il reddito da lavoro che finanzierebbe gli esclusi dal lavoro, il postulato secondo cui spetterebbe necessariamente al lavoro finanziare il non lavoro... A non essere mai messo in discussione, è il posto reale che il lavoro ha nella società, la sua finalità così come il suo contenuto.
Il pensionamento a punti, anche dal punto di vista del sistema, non è forse allora una pura finzione su quello che è il futuro del sistema stesso? Ciò che viene giocato sotto i nostri occhi, non è affatto un problema contabile, bensì l'ultimo tentativo a partire dal quale si cerca di formattare l'essere umano secondo una base strettamente individualistica: possiamo vedere chiaramente che la protesta che si sta organizzando ha anch'essa per motore (almeno in parte) il rifiuto di una tale individualizzazione, la rivendicazione, in gran parte informale, di una reinvenzione della convivenza... L'obiettivo di un tale progetto di riforma è quello di cercare di spingere ancora un po' più lontano il processo di depoliticizzazione del fatto sociale, per poter così mascherare la crisi globale, nonostante il fatto che il cuore palpitante che la irriga sia proprio questa depoliticizzazione. L'ideologia che ci viene venduta insieme a questa riforma, è che la causa del fallimento dello sviluppo economico sarebbe la vecchia coerenza politica derivante dalla guerra: quel che viene nascosto, è che, se c'è davvero un fallimento di questa vecchia coerenza politica, è perché esiste un fallimento concomitante, indissociabile dal suo risultato economico.
Ma l'ideologia economica che reclama il potere si basa sull'illusione che, in assenza del senso di convivenza,  il mondo grezzo dell'economia potrebbe continuare a funzionare a ruota libera...
Oppure, come un progetto di riforma realizzato in nome di principi strettamente economici, in nome di una negazione della politica, si trasforma in una manovra strettamente ideologica che reclama una risposta essenzialmente politica. E che questo movimento possa preservare la sua parte di ribellione, in modo da non smentire queste righe.

- Louis Colmar, le 16 décembre 2019 -

fonte: en finir avec ce monde

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