Alcune epoche hanno mostrato di credere fortemente nel potere del pensiero critico. Al contrario, la nostra epoca ha ritenuto che i suoi pensatori, non senza ragione, fossero delle persone del tutto inoffensive. Tra le rare persone che devono essere considerate, troviamo sicuramente Guy Debord. La polizia si è interessata a lui per molto tempo, piuttosto che ai circoli intellettuali. Quando alla fine, malgrado tutti gli ostacoli, il suo pensiero si è imposto, abbiamo subito assistito ad un'altra forma di occultamento: la banalizzazione. Esistono ben pochi autori contemporanei le cui idee siano state utilizzate in maniera così distorta, e in genere senza nemmeno citare il suo nome. Questo libro riassume quella che è stata l'attività pubblica di Guy Debord, dal lettrismo alla fondazione dell'Internazionale Situazionista, dagli incontri con Henri Lefebvre e quelli con Socialismo o Barbarie al Maggio '68, da La Società dello Spettacolo ai suoi film. Soprattutto, cerca di chiarire quale sia stato il ruolo di Debord nel pensiero moderno: il suo riprendere i concetti marxiani più essenziali e più dimenticati, il suo utilizzo di Lukacs, la sua importanza in una teoria critica oggi. Questo libro prende sul serio Debord quando egli afferma di avere «scritto scientemente al fine di nuocere alla società spettacolare».
Prefazione alla nuova edizione
- di Anselm Jappe -
Nella sua prefazione alla quarta edizione italiana de La Società dello spettacolo, pubblicata nel 1979, Guy Debord affermava che oggi la maggior parte dei libri di teoria sociale sono destinati a cadere nel dimenticatoio dopo un breve passaggio alla Televisione, mentre egli prevedeva per il suo libro un futuro ben diverso. Il tempo gli ha dato ragione.
La Società dello spettacolo, pubblicato per la prima volta nel 1967, è diventato un classico insieme al fatto che esso rimane uno dei pochi libri degli anni '60 che continua ad essere letto da un'ampia platea.
Dopo la morte di Debord, avvenuta nel 1994, il suo status è passato velocemente da quello di eroe clandestino, conosciuto solamente da una piccola élite che spesso considerava sé stessa come una cerchia cospirativa, ad essere quello di una figura chiave della vita intellettuale. Pur mantenendo la sua impronta sovversiva, egli viene continuamente citato da degli artisti, da dei teorici e da degli attivisti radicali , ma anche da tutti quelli che si presentano come dei critici dei media. D'altra parte, i suoi archivi sono stati acquistati dalla Biblioteca Nazionale di Francia dopo che un decreto ministeriale li aveva dichiarati «tesoro nazionale». Una simile valorizzazione ufficiale, avvenuta così poco tempo dopo la morte di un autore, è piuttosto rara. Alcuni, naturalmente, hanno considerato questa incoronazione come un «tradimento», mentre altri ci hanno visto un giusto riconoscimento dell'importanza di Debord.
Questa gloria postuma, che ha avuto un'estensione a livello globale, ha innescato la produzione di un grande numero di testi e di libri disparati, su Debord in particolare, e sui situazionisti in generale. Il mio libro, pubblicato per la prima volta in italiano nel 1993, quando Debord era ancora vivo, e poi tradotto in sei lingue, è stata la prima monografia dedicata a Debord, piuttosto che ai situazionisti in quanto movimento. Il libro è nato dalla mia tesi di laurea all'Università di Roma, redatta sotto la direzione del mio relatore, il compianto Mario Perniola. Naturalmente, sono stato assai lieto di venire a sapere che lo stesso Debord aveva apprezzato il mio libro.
A far tempo da allora, si sono rese disponibili fonti sempre più numerose. Alcuni aspetti, assenti o poco presenti nel mio lavoro, hanno potuto perciò essere pienamente esplorati in decine di libri ed in centinaia di articoli pubblicati in seguito. Queste nuove fonti includono le sue Opere (pressoché) complete, pubblicate nel 2006, con degli inediti e delle annotazioni, otto volumi di lettere, pubblicati tra il 1999 ed il 2008, i DVD dei suoi film e alcune registrazioni audio, mentre ci sono migliaia di schede di lettura e di altri documenti che si trovano alla Biblioteca Nazionale, e sono in corso di pubblicazione per le edizioni L'Èchappée. Inoltre, molte persone che avevano conosciuto o frequentato Debord hanno pubblicato le loro testimonianze. Oggi, i ricercatori possono persino avere accesso ai dossier di polizia che lo riguardano. Secondo quelli che sono i parametri consueti, il mio libro andrebbe quindi considerato come un semplice «precursore», in gran parte superato. Se esso continua ad essere letto - e persino ripubblicato - ciò non si spiega a partire dalle informazioni fattuali che dà ma piuttosto per il suo sguardo su quei fatti.
Il mio libro si sofferma ben poco su quelli che sono i dettagli della storia dell'Internazionale Situazionista, e racconta ancora meno circa quelli che sono i dettagli sulla vita personale di Debord. Piuttosto, ciò che ho tentato di determinare è il posto da lui avuto nella storia del pensiero rivoluzionario e della prassi rivoluzionaria, facendo riferimento in particolare ai suoi legami con il passato, il presente ed il futuro delle idee di Marx, o delle idee ispirate da Marx. Non pretendo affatto di essere riuscito ad esaurire il soggetto. Ma è deprecabile che negli ultimi venticinque anni, non ci sia stato nessuno che abbia potuto o voluto riprendere e sviluppare l'interpretazione delle opere di Debord, da me abbozzata. Gli innumerevoli scritti a lui dedicati, si sono interessati soprattutto alla dimensione artistica della sua opera, in particolare la psico-geografia, la deriva ed il detournamento, così come si sono interessati alla sua critica dei media, assai spesso messa purtroppo al servizio dei cosiddetti presunti «media alternativi» e dell'esplosione del digitale. Oggi, sono assai rari gli «hackers» che non si richiamano ai situazionisti. In generale, ad interessare i nostri contemporanei sono le immagini mediatiche, piuttosto che la realtà che esse descrivono. Così, una parte degli studi sui film di Debord e l'interesse per i suoi archivi, per le sue fonti, per i metodi di lavoro, e soprattutto la vera e propria ossessione manifestata per la sua vita personale, insieme a quelli che sono stati assai spesso dei risultati deplorevoli, sono serviti a rafforzare letture del genere a detrimento di ricerche più profonde sulla sua importanza nella storia delle idee. È vero che Debord rifiutava di venire considerato un «teorico della rivoluzione» e preferiva essere riconosciuto come uno «stratega». Ma mentre il periodo storico in cui le sue strategie hanno potuto avere un impatto diretto sulla realtà si allontana rapidamente, ciò che resta profondamente attuale nel suo pensiero sono le sue analisi della società capitalista in quanto società dello spettacolo, le sue analisi della funzione dello spettacolo visto come tappa storica del feticismo delle merci, e del posto che ha lo spettacolo nel più vasto contesto storico delle relazioni tra la società gerarchizzata e l'uso che del tempo viene fatto.
Nel 1967, i situazionisti annunciavano forte e chiaro: «Noi vogliamo che le idee tornino a farsi pericolose. Non è possibile permettere di sopportarci, non possiamo accettarci nella codardia di falsi interessi eclettici, come se fossimo dei Sartre, Althusser, Aragon o Godard.» Di fatto, nessuna importante forma di cultura rivoluzionaria è riuscita alla lunga ad evitare di essere incorporata nel discorso dominante - ma era anche prevedibile che quest'eccezione non sarebbe durata in eterno. Per questo motivo, è stato fatto ben poco affinché le idee di Debord mantenessero il loro potenziale sovversivo e non cadessero nelle mani di chi ha rivenduto il concetto di deriva come app per lo smartphone.
La società dello spettacolo ha rispecchiato un'epoca specifica della società del dopoguerra facendone la critica che essa meritava. Ma, nonostante tutti i cambiamenti che ci sono stati dopo, le analisi di Debord hanno conservato una grande acutezza. Cosa che non mi ha impedito, nel mio libro, di sostenere che la rivitalizzazione dei concetti di Marx fatta da Debord soffrisse di una contraddizione interna, a partire dal fatto che faceva propri numerosi concetti del «marxismo tradizionale», in particolare quello che attribuisce centralità alla struttura di classe ed al ruolo rivoluzionario del proletariato industriale. Allo stesso modo, ho anche sottolineato l'assenza in Debord di una chiara distinzione fra «lavoro concreto» e «lavoro astratto». Assai lontano dall'intenzione «agiografica» che alcuni commentatori hanno voluto attribuirmi, spero di avere offerto una base di discussione per una critica ed una pratica sociale veramente all'altezza dei tempi in cui oggi viviamo.
Probabilmente, ci sono altri libri che hanno inquadrato meglio l'uomo Debord e la sua soggiacente natura artistica. Ciò che mi interessava era l'eredità che ci ha lasciato. È stato detto che il surrealismo sia stato un tentativo di mettere insieme Rimbaud e Marx e di «cambiare la vita» nel mentre che si voleva «cambiare il mondo»; possiamo dire che Debord ha voluto fondere il surrealismo con Marx. In questo libro, il modo in cui ho trattato la dimensione surrealista della sua opera è rimasto piuttosto limitato; ma voglio credere che la mia analisi di quello che è stato il suo uso del marxismo continui ancora oggi ad avere qualcosa da dire, anche a dei lettori che sono nati dopo la sua morte.
La prima edizione francese di questo libro è apparsa nel 1995 per i tipi di Via Valeriano, un piccolo editore marsigliese sparito velocemente. La seconda è stata pubblicata dalle Éditions Denoël nel 2001. Si tratta dunque qui della terza edizione. Ho rinunciato ad aggiungere delle ulteriori considerazioni e ad «attualizzare» il libro, anche se, venticinque anni dopo la sua prima pubblicazione, ci sarebbe stato molto da dire - anche solo mostrando, per esempio, come l'importanza che, nei suoi Commentari alla Società dello spettacolo, Debord attribuisce alla «disinformazione» riecheggi stranamente il ruolo giocato oggi dalle fake news in politica. Ma allora avrei finito per scrivere un nuovo libro. Ragion per cui mi sono limitato ad attualizzare le indicazioni bibliografiche, rimandando soprattutto per tutte le citazioni all'edizione delle sue "Opere" (2006), e a recensire una parte degli studi dedicati a Debord dopo il 2000.
- Anselm Jappe – Gennaio 2020 -
fonte: Calameo
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