Se dovessi scrivere un pezzo speculativo a proposito di una futura società comunista, da dove cominciare?
Cominciamo, ovviamente, con Žižek:
«A partire da una semplice riflessione su come sia soggetto a cambiamento l'orizzonte dell'immaginazione storica, ecco che ci veniamo a trovare in medias res, costretti ad accettare la pertinenza inesorabile del concetto di ideologia. Fino a dieci anni fa, il sistema produzione-natura (la relazione produttiva-sfruttatrice che ha l'uomo con la natura e le sue risorse) veniva percepito come se fosse una costante, laddove tutti erano impegnati ad immaginare differenti forme di quella che sarebbe stata l'organizzazione sociale della produzione e del commercio (il Fascismo o il Comunismo visti come alternative al capitalismo liberale); oggi, come ha sottolineato con perspicacia Fredric Jameson, nessuno considera più seriamente possibile che ci siano delle alternative al capitalismo, laddove l'immaginazione popolare si trova ad essere perseguitata dalla visione dell'imminente "collasso della natura", dell'interruzione di tutta la vita sulla Terra - sembra che sia più facile immaginare la "fine del mondo" piuttosto che un molto più modesto cambiamento nel modo di produzione, come se il capitalismo liberale fosse il "reale" che in qualche modo sopravvivrà perfino in condizioni di catastrofe globale... Si può quindi far valere in maniera categorica l'esistenza dell'ideologia in quanto matrice generativa che regola la relazione esistente tra il visibile e il non visibile, tra l'immaginabile e il non immaginabile, così come regola i cambiamenti che in tale relazione avvengono.» (da l'introduzione di Žižek a "Mapping Ideology", London, Verso, 1994, p.1)
Se quello che scrive Žižek è vero, allora la chiave per le idee speculative che attengono al nostro futuro comunista si trova nella letteratura post-apocalittica. Ragion per cui, voglio prendere a prestito da Žižek questa sua idea. Voglio assumere non solo che per le persone sia più facile immaginare la fine del mondo che quella del capitalismo, ma che la letteratura post-apocalittica è essenzialmente una letteratura speculativa che descrive il mondo dopo il collasso capitalista.
Seguendo l'enunciato di Žižek, suggerisco "Il Giorno dei Trifidi", il classico scritto nel 1951, come uno degli esempi migliori del genere speculativo sul post-capitalismo che sia mai stato scritto, per motivi che spero di riuscire a chiarire in dettaglio. Secondo Wikipedia: «Il Giorno dei Trifidi è un romanzo post-apocalittico scritto nel 1951 dall'autore inglese di fantascienza John Wyndham. Dopo che nel mondo la maggioranza delle persone è rimasta cieca a causa di un'apparente pioggia di meteoriti, un'aggressiva specie di piante comincia a uccidere la gente.» La storia, scritta dopo le due guerre mondiali e dopo la Grande Depressione, e nel bel mezzo della Guerra Fredda, ha ricevuto elogi critici per la sua realistica rappresentazione di quella che è una catastrofe globale. Allo stesso tempo, è stato criticato da alcuni per aver descritto una catastrofe "comoda" e, a parere di un critico, per essere «del tutto priva di idee». L'aspetto saliente della storia, ad ogni modo, la cosa che molti sembra non abbiano colto, è che essa pone una semplice domanda, che va presa in considerazione: Cosa accadrebbe alla società capitalista se il 95% della popolazione adulta che lavora, domani si svegliasse scoprendo di essere cieca?
Nelle prime pagine del romanzo, quasi ogni adulto in grado di lavorare è stato improvvisamente reso inabile e non è più in grado di svolgere nemmeno quelli che sono i compiti più semplici. Forse una persona su venti è riuscita a sfuggire a questa infermità. Ricordando quei primi momenti, il narratore parla di cosa abbia implicato una simile nuova realtà, in cui quasi tutta la forza lavoro è diventata disabile, mentre rievoca l'orrore crescente quando si rende conto che quella divisione del lavoro così incredibilmente sofisticata, dalla quale la società dipende per la sopravvivenza, in realtà non esisteva più. Per quanto abbia un'educazione di alto livello, il narratore si rende conto di non sapere quasi niente di come funzionino i processi di base che avevano reso possibile fino a quel momento il funzionamento della sua vita:
«Non è facile riportarsi col pensiero al modo di vedere di quei giorni. Ora dobbiamo appoggiarci di più su noi stessi. Ma allora dominava il senso della "routine", e le cose erano strettamente connesse le une alle altre. Ognuno di noi recitava così regolarmente la sua piccola parte al posto giusto, che era facile scambiare l'abitudine e il costume per la legge naturale, tanto più quando la "routine" veniva in qualche modo sconvolta.
Quando si è andati avanti per quasi metà della vita secondo una certa concezione dell'ordine, orientarsi in un mondo nuovo non è affare di cinque minuti. Ripensando a come era organizzato il mondo allora, la quantità di cose che non conoscevamo e non ci curavamo di conoscere era non solo sorprendente, ma in certo modo scandalosa. Io non sapevo praticamente nulla, ad esempio di cose tanto comuni: come il cibo giungeva fino a me, da dove veniva l'acqua potabile, in che modo si tessevano e si confezionavano gli abiti che indossavo, come le fognature contribuivano alla salute di una città. La nostra vita si reggeva su un complesso di specialisti, ognuno dei quali attendeva al proprio lavoro con maggior o minore risultato, e si aspettava che gli altri facessero lo stesso. Quando andai di nuovo alla porta e lanciai un'occhiata per il corridoio, fui costretto a riconoscere che, qualunque cosa fosse accaduta, doveva coinvolgere assai più persone che il singolo paziente della camera 48.»
Anch'io mi schiero con quelli che hanno etichettato questa intuizione come «straordinariamente ben eseguita», nel senso che riesce a spiegare, nel modo più conciso possibile, sia quanto dipendiamo dalla moderna divisione del lavoro, sia come questo ci abbia reso incredibilmente ignoranti circa quali sono i requisiti materiali della nostra stessa vita. Nel momento in cui ci veniamo a trovare con la grande massa della società fisicamente disabile, questa moderna divisione del lavoro viene improvvisamente e irrimediabilmente perduta. Con la perdita della forza lavoro e della divisione del lavoro, non rimarrebbe più niente in grado di continuare a mantenere quel grande strumento globale di produzione creato dal capitale:
«Mi avvicinai alla finestra e guardai fuori. In maniera abbastanza consapevole, avevo cominciato a dire addio a tutto quanto. Il sole era basso. Le torri, le guglie e le alte facciate di Portland, erano bianche e rosa contro il cielo. Degli incendi divampavano qua e là. Il fumo saliva in grandi nubi nere, lambite da guizzi di fiamma. Molto probabilmente, mi dissi, non avrei mai più rivisto nessuno di questi edifici familiari.
Una volta mio padre mi aveva raccontato che, all'epoca dei bombardamenti di Londra, tra un allarme e l'altro, lui soleva girare per la città con gli occhi più aperti che mai, a scoprire negli edifici bellezze che non aveva mai notato prima, e a dir loro addio. E ora anch'io provavo lo stesso sentimento, sebbene la situazione fosse assai peggiore. Molto più di quanto non si fosse sperato era sopravvissuto a quella guerra, ma al nemico attuale nulla sarebbe sopravvissuto.
Doveva essere, pensai, una delle più tenaci e consolanti illusioni della razza credere che certe cose "non possano accadere" in un determinato tempo e in un determinato luogo. E ora, a meno che si compisse qualche miracolo, stavo assistendo all'inizio della fine di Londra; e, molto probabilmente, c'erano altri uomini, non diversi da me, che assistevano all'inizio della fine di New York, di Parigi, di San Francisco, di Buenos Aires, di Bombay, e di tante altre città.»
Verso la fine di questo passaggio, il narratore fa un'affermazione inquietante: «Doveva essere, pensai, una delle più tenaci e consolanti illusioni della razza credere che certe cose "non possano accadere" in un determinato tempo e in un determinato luogo.» - come se il nostro piccolo angolo di mondo fosse al riparo dai cataclismi. Di certo, queste sono le parole usate dall'autore, messe in bocca al narratore. E probabilmente, l'autore, John Wyndham, non era uno di quelli che pensava che «non può succedere qui». Aveva combattuto nella Grande Guerra, aveva vissuto la Grande Depressione, aveva assistito anche a quello che era stato il conflitto ancora più terrificante della Seconda Guerra Mondiale, aveva visto l'ascesa del fascismo, la Rivoluzione russa e all'alba dell'era atomica risplendere su Hiroshima. In sostanza, aveva vissuto l'inizio della fine del capitalismo, e probabilmente sospettava anche, che fosse l'inizio della fine del capitalismo.
La narrativa speculativa ci consente di sospendere il giudizio. Dico che «ci consente di sospendere il giudizio», non che «richiede che si sospenda il giudizio». Se vogliamo fantasticare a proposito del fatto che da qualche parte, in una galassia lontana, tanto tempo fa, c'era una principessa che aspettava di essere salvata, allora devi sospendere il giudizio. Molte persone sostengono che questa non sia narrativa speculativa. Questa è fantasy.
A differenza della fantasy, la narrativa speculativa crea dei mondi che sono quanto meno possibili. Se vuoi credere che nel 1951 una qualche calamità abbia messo improvvisamente fuori gioco la grande massa dei lavoratori , devi solo estrapolare la Grande Depressione, o una delle due guerre mondiali dei trent'anni precedenti, e provare ad immaginare un possibile effetto scatenante di quell'evento. Qual è la differenza tra il 25% ed il 95% di disoccupazione? Solo una questione di percentuale.
Al tempo della sua pubblicazione, la maggior parte dei lettori de Il Giorno dei Trifidi aveva già vissuto una calamità nella quale un quarto della popolazione in età lavorativa era rimasta improvvisamente disoccupata, e questo senza che ci fosse stata alcuna causa apparente. Come ne I Trifidi, durante la Grande Depressione le fabbriche e le fattorie non vennero distrutte da nessuna bomba, non ci fu alcuna pestilenza o epidemia, e la gente aveva disperatamente bisogno dei prodotti che le aziende producevano. Eppure, nonostante tutto ciò, le fabbriche e le fattorie rimasero inattive e i lavoratori vagavano senza meta alla ricerca di lavoro, come se fossero ciechi. (Ok, va bene, non c'erano dei girasoli carnivori e velenosi che se ne andavano in giro a mangiare la gente, lo so, per cui la faccenda poteva essere un po' differente). John Wyndham ha scritto una storia in cui il 95% della popolazione atta al lavoro è inabile perché le persone sono disabili, ma avrebbe potuto aver scritto altrettanto facilmente una storia nella quale il 95% della popolazione lavorativa si trovava senza lavoro a causa di una depressione economica. In entrambi i casi, abbiamo un pezzo di narrativa speculativa di cui la più parte delle persone direbbe probabilmente che «qui non può succedere». Certo, ha ragione, qui non può succedere!
C'è solo una branca della scienza - la teoria del valore-lavoro, per essere precisi - a dire che può succedere qui.
Infatti, la teoria del valore-lavoro afferma che sarebbe accaduto negli anni '30 - vale a dire, che alla fine il 25% sarebbe diventato il 95% - se non fosse stato per la distruzione totale delle forze produttive avvenuta con la Seconda Guerra Mondiale.
Alla fine, l'intera forza lavoro sarebbe rimasta disoccupata, senza che ci fosse stata una sola fabbrica o una fattoria ad essere distrutta da una singola bomba.
Ho fatto l'esempio di ricollocare l'incubo post-apocalittico di John Wyndham in un contesto leggermente più coerente con la storia attuale del 20° secolo e, forse un po' più plausibile. Certo, è ancora un po' tirato per i capelli, visto che ho dovuto tralasciare la Seconda Guerra Mondiale, e non assumere nessun altro meccanismo per lo stimolo in stile keynesiano che agisca su una scala simile. (Potremmo fare un po' di confusione, assumendo che ci sia stato in precedenza un intervento aggressivo anglo-francese per contrastare l'aggressione tedesca alla Cecoslovacchia, ma se ne riparlerà). A dire il vero, non intendo creare un'Europa con il 95% di disoccupazione come quella de Il Giorno dei Trifidi. Voglio solo dimostrare come, almeno in teoria, sia possibile che una catastrofe simile a quella dei Trifidi possa derivare esclusivamente da cause economiche, e senza l'intervento di un meccanismo straordinario come quello dell'improvvisa ed inspiegabile cecità del 95% della popolazione umana del pianeta. Nel contempo, se il 95% di disoccupazione si verificasse esclusivamente per cause economiche, la fine del mondo, per la quale, secondo Žižek, noi non abbiamo problemi ad immaginare, sarebbe allora del tutto identica alla fine del capitalismo. Infine, il mio punto di vista è quello di mostrare che dietro entrambe le cause - cecità/trifidi, e la più plausibile depressione economica - si trova lo stesso meccanismo che abbiamo proposto: l'innovazione tecnologica.
John Wyndham era abbastanza consapevole del fatto di come l'innovazione tecnologica avesse degli effetti imprevedibili sull'economia. Ne dice qualcosa in proposito proprio ne Il Giorno dei Trifidi:
«Lo scopritore e l'inventore sono la rovina degli affari. A paragone, un po' di sabbia negli ingranaggi non è niente - basta solo sostituire le parti danneggiate, e andare avanti. Ma l'apparire di un nuovo processo, di una nuova sostanza, quando tutte le cose sono ben organizzate, e ticchettano bene tutte insieme, ecco, quello è il diavolo. A volte può andare ancora peggio - e non si può consentire che ciò avvenga. Ci sono troppe cose in ballo. Non si possono usare i metodi legali, devi provarne altri. [...] Umberto aveva dato di tutta la faccenda un quadro fin troppo roseo. La produzione di quel nuovo olio a prezzo assai basso non avrebbe rovinato soltanto la "Arctic and European" e i suoi associati. Le conseguenze sarebbero state di più vasta portata. Poteva darsi che la cosa non riuscisse fatale all'industria dell'olio di pistacchio, dell'olio d'oliva, dell'olio di arachidi e ad altre simili, ma sarebbe stata pur sempre un rude colpo. Per di più, ci sarebbero state violente ripercussioni nelle industrie derivate quale quella della margarina, del sapone e di cento altri prodotti, dalle creme di bellezza alle vernici, e così via. In effetti, una volta che alcune delle personalità più autorevoli in materia ebbero afferrato l'entità della minaccia, i termini proposti da Umberto finirono col sembrare quasi modesti. »
Ne Il Giorno dei Trifidi, è l'innovazione tecnologica, in due campi che collidono brevemente, a creare la catastrofe: il primo campo è quello dell'orticoltura, probabilmente proveniente dall'Unione Sovietica, che produce i letali trifidi. Il secondo campo è quello delle armi spaziali, presumibilmente dagli Stati Uniti, che producono i satelliti malfunzionanti che accecano il 95% della popolazione mondiale. Per poter stabilire quale sia il ruolo dell'innovazione tecnologica nel generare la depressione economica, basta citare come fonte John Maynard Keynes, il quale sosteneva che la Grande Depressione era stata causata dai rapidi progressi tecnologici, i quali avevano eliminato la necessità del lavoro umano nella produzione. Scrive Keynes:
«Siamo afflitti da un nuovo male, del quale alcuni lettori potrebbero anche non aver ancora sentito il nome, ma di cui sentiranno molto parlare negli anni a venire, vale a dire, la disoccupazione tecnologica. Ciò significa disoccupazione dovuta alle nostre scoperte di quei mezzi volti ad economizzare l'utilizzo del lavoro, più rapidamente di quanto riusciamo a trovare dei nuovi utilizzi per il lavoro.»
Voglio solo ricordare a chi legge, che arrivati a questo punto, non sto affatto cercando di trovare un modo per creare una depressione globale con il 95% di disoccupazione. Sto semplicemente cercando di far vedere come il meccanismo impiegato da John Wyndham nella sua storia - l'innovazione tecnologica - sia lo stesso che viene impiegato da Keynes per spiegare la Grande Depressione, la quale ha in realtà prodotto una molto meno grave disoccupazione globale del 25%. Il mio argomento è quello secondo cui, armeggiando con l'attuale cronologia storica - vale a dire, rimuovendo l'impatto distruttivo della Seconda Guerra Mondiale sulle forze produttive - avremmo potuto realisticamente aspettarci una Grande Depressione molto più grave di quanto non sia stata. Ciò dovrebbe preparare il terreno per il mio tentativo di costruire una narrazione speculativa di una futura società comunista alternativa.
Ed ecco che così abbiamo il nostro colpevole, che si trova dietro il dramma post-apocalittico che si svolge ne Il Giorno dei Trifidi. E viene fuori che il colpevole è lo stesso criminale che viene accusato da Keynes di essere implicato nella Grande Depressione: l'innovazione tecnologica. La domanda alla quale bisogna ora rispondere, riguarda come si possa trasformare queste potenziale altamente distruttivo, latente nell'innovazione tecnologica, in un'utile forza produttiva per poter costruire la base materiale della mia narrazione speculativa di una società comunista?
Nel capitolo 15 del I Volume de Il Capitale, Karl Marx offre un suggerimento tratto da un esempio storico dell'Inghilterra del 19° secolo: a quanto pare, la relazione tra innovazione tecnologica e ridondanza del lavoro può essere ampiamente reciproca. È vero che l'innovazione teorica può creare disoccupazione tecnologica, portando così a gravi contrazioni economiche, come la Grande Depressione, ma sembra che sia vero anche il contrario: drastiche riduzioni dell'orario di lavoro accelerano enormemente le innovazioni tecnologiche e incrementano la produttività.
Nel capitolo 15, Marx esamina quelli che sono i dati di queste riduzioni. Nel 1844, la giornata lavorativa in Gran Bretagna venne limitata a 12 ore. Nel 1847, tale limite venne nuovamente abbassato a sole 10 ore. I miglioramenti nella produttività conseguenti alle due riduzioni, sembrano provenire da 3 diverse fonti:
Per prima cosa, entro certi limiti, quello che si perde in giornata lavorativa, accorciandone la durata, si recupera grazie all'aumentata tensione del dispendio di forza lavoro. I lavoratori meglio riposati, sono in grado di lavorare con più energia, con più costanza ed attenzione. Come seconda cosa, con l'accorciamento della giornata lavorativa e l'aumentata capacità del lavoratore, l'impresa capitalista impiega macchinari migliorati, in modo da poter spremere più lavoro nello spazio dei limiti della nuova giornata lavorativa. Ciò viene attuato sia accelerando che concentrando un maggior numero di macchinari sotto il controllo di un singolo lavoratore. Più di 150 anni dopo, queste due osservazioni fatte da Marx, continuano ad essere supportate dalla ricerca. Queste risposte del capitale a quelli che sono i limiti della giornata lavorativa, volevano dire che i primi sforzi per limitare le ore di lavoro hanno effettivamente sortito il paradossale effetto combinato di incrementare di 5 volte i profitti, piuttosto che ridurli! Secondo i dati citati da Marx, tra il 1838 ed il 1850, i profitti relativi al cotone inglese e alle altre fabbriche erano in media del 2,7% l'anno. Sono saliti al 14,3%, tra il 1850 ed il 1856, dopo che le ore di lavoro vennero limitate a 10 ore. Riducendo la giornata lavorativa, a 12 ore nel 1844, e poi di nuovo a 10 ore nel 1847, il parlamento costrinse l'industria britannica, per ripristinare la sua redditività, ad innovare e a diventare più produttiva. Scrive Marx:
«Non può esserci alcun dubbio sulla tendenza che spinge il capitale, non appena il prolungamento delle ore di lavoro viene proibito una volta per tutte, a compensare sé stesso, attraverso un innalzamento sistematico dell'intensità del lavoro, e convertendo ogni miglioramento nei macchinari in un modo più perfetto di sfiancare il lavoratore, e questo deve ben presto portare ad uno stato di cose in cui la riduzione dell'orario di lavoro sarà di nuovo inevitabile. Dall'altra parte, il rapido progresso dell'industria inglese tra il 1848 e i nostri giorni, sotto l'influenza della giornata di 10 ore, supera quello che era stato l'avanzamento che era stato fatto tra il 1843 ed il 1847, quando la giornata di 12 ore, aveva sorpassato di gran lunga il progresso che era stato fatto nel corso del mezzo secolo successivo alla prima introduzione del sistema di fabbrica, quando la giornata lavorativa non aveva alcun limite.»
Potrebbe sembrare, perciò, che per poter creare le basi materiali della mia società speculativa comunista immaginaria io stia facendo appello ad una drastica riduzione dell’orario di lavoro, in modo da liberare quel tipo di innovazione tecnologica che porterebbe ad una società con caratteristiche assai simili a quelle della Londra immaginaria de Il Giorno dei Trifidi. Tuttavia, la differenza sarebbe che nessuno verrebbe reso disabile, nessuno rimarrebbe disoccupato (come accade anche un una versione apocalitticamente più grave della Grande Depressione), e non ci sarebbero girasoli che mangiano le persone.
«Va bene, ma dove sta il divertimento? Dov'è il dramma? Dov'è il conflitto? Dove sono gli zombi carnivori? »
Se nella rivoluzione borghese per antonomasia, la Rivoluzione francese, c'è stato posto per Robespierre e per il Regno del Terrore, allora, nel nostro comunismo speculativo immaginario, noi di certo possiamo avere Stalin!
«Stalin? Che schifo!»
E lo so, giusto? Andavamo così d'accordo... Ed ora probabilmente vorrai fare almeno una doccia. Ma non si può fare una frittata senza collettivizzare i contadini ed espropriare le loro uova, vero?
Oltretutto, in cambio stiamo dando loro il comunismo, trascinandolo via a calci ed urla dall'idiozia della vita rurale. I loro figli ci ringrazieranno. Seriamente, intendo quello che dirà un adolescente, «Non vedo l'ora di allevare maiali, non appena mi laureo!» Quindi, sì. Stalin.
Il tipo ha una cattiva reputazione anche tra la maggior parte dei comunisti, ma io non sono qui per difenderlo. Come ho detto, serve ad aggiungere sapore alla storia. Da qualche parte, in questa futura società comunista speculativa, bisogna metterci Stalin. Senza di lui, tutto sarebbe troppo pulito e ordinato. Senza Stalin, gli stupidi comunisti avrebbero cominciato a credere nelle loro fantasie masturbatorie in technicolor a proposito della rivoluzione proletaria.
Pensala così: la borghesia americana deve fare i conti con i difetti dei suoi eroi. Tutti sanno che Thomas Jefferson si scopava la sorellastra di sua moglie, che era anche la loro schiava. Vivevano in una normale orgia romana, mentre lui stilava dichiarazioni secondo cui tutti gli uomini erano stati creati uguali, «tranne quella schiava puttana e la sua progenie bastarda!» Nonostante tutta questa schifezza, gli hanno eretto un monumento a Washington.
Jefferson non è stato cancellato dalla storia americana e Stalin rimane in questa storia, poiché le persone che creano il comunismo sono dei prodotti del capitalismo. Dobbiamo sapere che i proletari che sono passati attraverso i meandri di un tale abominio per creare il comunismo, non sono state necessariamente delle persone molto gentili. E non c'è alcun motivo di aspettarsi che comincino ad essere gentili il giorno dopo che viene abolita la schiavitù salariale.
Come diceva Marx ne La Critica del Programma di Gotha: «Quella con cui abbiamo da far qui, è una società comunista, non come si è sviluppata sulla sua propria base, ma viceversa, come sorge dalla società capitalistica; che porta quindi ancora sotto ogni rapporto, economico, morale, spirituale, le impronte materne della vecchia società dal cui seno essa è uscita.»
All'inizio, la mia speculativa società comunista immaginaria sarà moralmente spaventosa, in quanto è stata creata da persone che recano ancora impresso il marchio della vecchia società; per generazioni, le persone hanno affittato sé stesse in cambio di cibo e riparo. Pensi che questo danno scompaia dall'oggi al domani? Il coperchio della vecchia società verrà aperto, e ne uscirà fuori ogni genere di mostri. Ne verrà fuori merda tale che ci farà perdere qualsiasi fiducia nell'umanità - e forse ci toccherà anche mangiarla.
Ma per far rimanere Stalin nella storia, c'è anche una seconda ragione, meno negativa. Anche se la cosa non è mai stata riconosciuta dai comunisti, fra tutti i comunisti del 20° secolo, Stalin aveva da dire alcune cose piuttosto intelligenti circa i passi pratici necessari per realizzare effettivamente il comunismo. Nel 1950, Stalin si rende conto che nel momento in cui cominci a distribuire i generi di prima necessità in base ai bisogni, tutto il mondo verrà a bussare alla tua porta. Hai mai visto le tende dei senzatetto che fiancheggiano le strade a San Francisco? Perché si trovano lì? Ci sono perché la gente sa che il governo non impedirà loro di vivere per strada, però non ha in programma di costruire alloggi per impedire loro di vivere per strada. Ecco perché.
Se l'Unione Sovietica avesse annunciato che da quel momento in poi i beni di prima necessità sarebbero stati distribuiti in base ai bisogni, allora era meglio che si preparassero a far fronte all'afflusso di decine di milioni di proletari in fuga dalla zona capitalista che venivano a godersi la loro nuova vita in comune, dove tutti i beni di prima necessità venivano distribuiti in base ai bisogni. Stalin, che - qualsiasi cosa tu possa pensare di lui - rimase fino alla fine una persona pratica, ci pensò sopra e disse che se mai ci fosse stato il comunismo, l'Unione Sovietica avrebbe dovuto essere in grado di espandere costantemente la produzione sociale, e inoltre doveva espandere ad un ritmo ancora più rapido la produzione dei mezzi di produzione. Senza che riuscisse a far questo, l'Unione Sovietica non avrebbe potuto estendere costantemente l'entità della produzione, come sarebbe stato richiesto da un sistema di distribuzione basato sui bisogni. Ad ogni modo, è interessante notare che anche se Stalin stava parlando del bisogno di espandere costantemente la produzione sociale e di estendere l'entità della produzione per andare incontro a ciò che richiedeva un sistema di produzione basato sui bisogni, egli proponeva anche di ridurre la giornata lavorativa a 5 ore. Chiaramente, Stalin non credeva che la costante espansione dell'entità della produzione, fatta al fine di soddisfare i requisiti di un sistema di distribuzione basato sui bisogni, poteva essere raggiunta grazie alla forza bruta del lavoro umano. Sarebbe stato il prodotto della macchina, e ciò significa un bel po' di innovazione tecnologica. Perciò Stalin propone che il governo sovietico introduca l'educazione politecnica obbligatoria universale.- Voleva convertire l'innovazione tecnologica da forza distruttiva, come viene descritta ne Il Giorno dei Trifidi di John Wyndham, in una forza produttiva in grado di creare le basi materiali per una società comunista.
Il comunismo sarebbe la creazione, non delle mani umane, ma di quello che Marx aveva chiamato «the general intellect».
Allora, cos'è il general intellect?
Ad essere sincero, sembra che nessuno lo sappia. E sul termine non provare a consultare Wikipedia; farlo è del tutto inutile: «Il General Intellect, secondo Marx, nei suoi Grundrisse, diventa una forza determinante di produzione. È una combinazione di competenza tecnologica e di intelletto sociale, ovvero conoscenza sociale generale (l'importanza sempre più crescente del macchinario, in quella che è l'organizzazione sociale). Il passaggio che riguarda il «general intellect», nel Frammento sulle macchine della sezione dei Grundrisse, mostra che, mentre sotto il capitalismo lo sviluppo dei macchinari ha portato all'oppressione dei lavoratori, esso offre anche una prospettiva per la liberazione futura.»
La voce di Wikipedia fa riferimento ad un testo di Paolo Virno. Costui afferma con sorprendente sfacciataggine che Marx ha completamento sbagliato il concetto di general intellect! Come avviene di solito nella lunga tradizione marxista, Marx conia un termine inteso a catturare un concetto, ed ecco che poi arriva un qualche accademico marxista di terza categoria e dichiara che il termine inventato da Marx si riferisce ad un concetto diverso da quello per il quale Marx ha inventato quel termine.
L'intelletto generale è il termine che viene usato da Marx per riferirsi al situazione generale della scienza e della tecnologia (vale a dire, alle applicazioni di questa conoscenza scientifica alla produzione) come esso fosse fisicamente connesso all'infrastruttura produttiva totale della società. Esso descrive sia l'attuale rivoluzione nella conoscenza, a partire dal fatto che è l'umanità ad attingere ai segreti della natura, sia l'applicazione pratica di tale conoscenza alla produzione, dal momento che l'umanità libera le forze della natura e utilizza quelle stesse forze per esercitare la propria padronanza sulla natura stessa.
L'elemento archetipico (l'unità, la componente) del general intellect è la macchina. Alcune persone confondono le macchine con gli strumenti, ma io penso che non siano la stessa cosa. Con un'ascia di pietra, puoi spaccare il legno e dividerlo, ma per dividere gli atomi ci vuole una macchina che lo faccia. Inoltre, le macchine non sono un'estensione della mano umana. Marx chiarisce come attualmente le macchine siano un'estensione del cervello umano, siano conoscenza scientifica materializzata nella forma di processi industriali: «Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana: capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità a esso. Fino a quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita reale.»
La macchina è conoscenza oggettivata!
L'intelletto generale è la somma totale delle conoscenze scientifiche e tecniche dell'umanità, espresse in forma oggettivata nell'infrastruttura produttiva totale della società. In questa forma, la conoscenza scientifica e tecnica è diventata sia una forma della produzione diretta a sé stante che un organo immediato della pratica sociale complessivamente.
Era questa la forza che Stalin indicava che la società sovietica avrebbe scatenato per realizzare il comunismo. In sostanza, il comunismo stesso sarebbe stato conoscenza oggettivata, un'estensione della mente umana. Il lavoro avrebbe dovuto andarsene per lasciare il posto a questo nuovo organo del cervello umano. Per descrivere meglio cosa sta accadendo nella nostra speculativa società comunista alternativa, possiamo parafrasare il frammento sulle macchine di Marx.
Progressivamente, la creazione del comunismo dipenderebbe sempre meno dal dispendio di lavoro umano e sempre più dall'applicazione controllata di forze naturali messe in moto nel corso della produzione. L'applicazione in maniera mirata di forze naturali nella produzione, a sua volta, dipenderebbe da quella che è la situazione generale della scienza e dall'applicazione di questa scienza alla produzione, in che modo si trova collegata direttamente (fisicamente incorporata) nell'infrastruttura della produzione in continua evoluzione.
Dal momento che la produzione delle basi materiali del comunismo, implicherebbe direttamente lo scatenarsi di processi naturali che sono stati trasformati in processi industriali, gli stessi lavoratori non verrebbero direttamente coinvolti nella produzione che ha creato il comunismo. Semmai, si limiterebbero solo a supervisionare le macchine che hanno effettivamente creato la base materiale della società comunista. Queste nuove generazioni di macchine impareranno da sé sole. Le iterazioni successive potrebbero anche cominciare a mantenersi da sole, e progettare e costruire macchine migliori. Nella terza fase, è possibile che le macchine agiscano come consulenti per la società umana!
Questo punto segnerà la nostra partenza dall'attuale fase storica, ma prima di poterci arrivare dobbiamo salvare Krusciov dal pensionamento anticipato e fare esplodere il mondo.
Oh certo, non è che voglia far saltare letteralmente in aria il mondo.
Ma voglio stabilire una linea temporale alternativa che finisca con l'Unione Sovietica che realizza una società comunista pienamente sviluppata prima del 1990, anziché collassare in una Stato oligarchico-gangster-fascista guidato da ex agenti del KGB, o qualunque altra cosa sostengano le ultime teorie pop che sia laggiù accaduto. Naturalmente, per rimuovere il collasso dell'Unione Sovietica dalla mia linea temporale, devo rimuovere la benevola leadership del Segretario Generale Gorbaciov e il suo programma di perestroika. Ma questo significa che dalla linea temporale devo rimuovere anche circa vent'anni di stagnazione economica sotto l'incompetente gestione del Segretario Generale Breznev, la quale a sua volta ha reso storicamente necessaria la benevola leadership del Segretario Generale Gorbaciov, vale a dire la forma necessaria, col senno di poi, assunta dal collasso dell'Unione Sovietica. Il che mi riporta al Segretario Generale Nikita Sergeyevich Krusciov (nato il 15 aprile 1894, morto l'11 settembre 1971), revisionista, straordinario "tankie" [vedi: https://www.urbandictionary.com/define.php?term=tankie ] e proverbiale «zio ubriaco nel bel mezzo del mio matrimonio» del comunismo moderno.
Se oggi ci sono così pochi comunisti che vogliono essere identificati con Stalin, la colpa è di Krusciov, il quale, nel 1956, rese pubblico un indirizzo segreto che descriveva nel dettaglio quelli che si diceva fossero stati i crimini di Stalin. Ragion per cui appare strano che, a prescindere dall'infamia di Stalin, non ci sia nessuno che si identifichi chi lo ha denunciato. O meglio, rimane strano finché non ti rendi conto che ci sono un bel po' di cose che la gente ritiene siano stati i crimini degli "stalinisti", come l'invasione dell'Ungheria, della Cecoslovacchia e dell'Afghanistan, il muro di Berlino, ecc., vennero commessi, non da Stalin, bensì dalle persone che denunciarono Stalin.
Ma torniamo a Sergeyevich! Lui ha denunciato Stalin, ma non ce l'ho con lui. Così come non sto dalla sua parte. Non ero lì, allora. Ha invaso l'Ungheria, e io non ero lì nemmeno allora. Probabilmente, quella era la cosa sbagliata da fare, ma l'ha fatta. Non sempre i proletari fanno la cosa giusta. Fanno anche delle stronzate malvagie!
Il motivo per cui voglio salvare Sergeyevich è piuttosto egoista: in questa storia, ho bisogno di Sergeyevich perché, in Unione Sovietica, lui sembra essere stato l'ultimo personaggio della leadership ad aver realizzato la connessione tra lavoro e comunismo. Dopo che lui viene rimosso dalla posizione di Segretario Generale, le cose cominciano rapidamente a dirigersi verso il collasso. Dopo che viene rimosso, la leadership sovietica rinnega il proprio impegno a ridurre le ore di lavoro e quello che era stato il suo obiettivo dichiarato di una settimana lavorativa di 15 ore entro il 1980. E forse il motivo per cui ciò avviene, è che i lavoratori ottengono un crescente potere sociale che permette loro di resistere alle esigenze della gestione aziendale. È possibile che sia la gestione delle imprese che i militari temano che con la richiesta di più beni di consumo da parte dei lavoratori si possa perdere l'enfasi sull'industria pesante. Forse questa è solo speculazione, ma serve a riempire le lacune narrative. Mi serve un risultato diverso, voglio che la leadership sovietica mantenga il suo impegno nel ridurre le ore di lavoro. Ciò significa che i militari devono farsi da parte, e Sergeyevich, che era presente durante la Grande Guerra Patriottica, può costringerli. Inoltre, l'Unione Sovietica possiede l'arma che garantisce la sua sopravvivenza di fronte alle aggressioni militari degli Stati Uniti. E per dimostrarlo, Sergeyevich ordina una dimostrazione di questo, facendo esplodere la Bomba Zar. Benché non lo si saprà per decenni, l'evento crea due linee temporali.
Nella prima, la storia si svolge come noi la conosciamo, l'Unione Sovietica collassa. Nella linea temporale n°2, l'Unione Sovietica continua a creare la prima società comunista, con tutte le implicazioni che un evento simile ha per il mercato mondiale.
Il narratore, ovviamente, segue la linea temporale n°2. E così passa un sacco di tempo a guardare l'Unione Sovietica che sviluppa una società pienamente comunista. Ed ecco che, nel 2020, quasi per caso, avviene la sconvolgente scoperta della linea temporale n°1. Naturalmente, per noi la scoperta non è affatto una sorpresa. Noi sappiamo di esserci. Ma come faranno loro a spiegare quel che è successo? E cosa proveranno a fare al riguardo?
Amo quest'affermazione della Le Guin a proposito della narrativa speculativa, sebbene io sia abbastanza sicuro di non condividerla: «Questo libro non è estrapolativo. Se volete potete leggerlo, come tanta altra fantascienza, come un esperimento del pensiero. Immaginiamo (dice Mary Shelley) che un giovane dottore riesca a creare un essere umano nel suo laboratorio; immaginiamo (dice Philip K. Dick) che gli Alleati abbiano perso la seconda guerra mondiale; immaginiamo che le cose stiano in questo modo o in quest’altro, e vediamo cosa succede… In una storia così concepita, la complessità morale caratteristica del romanzo moderno non deve essere immolata, né si deve arrivare a una fine obbligata già implicita; il pensiero e l’intuizione possono muoversi liberamente all’interno dei confini posti soltanto dai termini dell’esperimento, che possono essere davvero estesi. Il fine di un esperimento del pensiero, secondo l’uso che del termine facevano Schrödinger e altri fisici, non è quello di predire il futuro (anzi, il più famoso esperimento di pensiero di Schrödinger arriva a dimostrare che il "futuro", al livello del quanto, non può essere predetto), ma quello di descrivere la realtà, il mondo contemporaneo» - Ursula K. Le Guin, "Introduzione a La Mano Sinistra delle Tenebre”.
Contrariamente alla Le Guin, penso che la narrativa speculativa possa essere estrapolante. Per esempio, possiamo prendere l'argomentazione del 1930 di Keynes, che estrapola a partire dalle condizioni sociali verificatisi nella Grande Depressione. O vediamo se mi riesce di metterla insieme a partire da quello che è uno dei più interessanti saggi di Keynes sulla depressione, "Prospettive economiche per i nostri nipoti" (1930):
« Se il capitale aumenta, diciamo, del 2% l’anno, in vent’anni l’attrezzatura produttiva del mondo sarà aumentata del 50% e in cent’anni di sette volte e mezzo. Pensate a questo in termini di beni capitali: case, trasporti e simili (...) Visto in prospettiva, infatti, ciò significa
che l’umanità sta procedendo alla soluzione del suo problema economico. Mi sentirei di affermare che di qui a cent’anni il livello di vita dei paesi in progresso sarà da quattro a otto volte superiore a quello odierno. (...) Giungo alla conclusione che, scartando l’eventualità di guerra e di incrementi demografici eccezionali, il problema economico può essere risolto, o per lo meno giungere in vista di soluzione, nel giro di un secolo. Ciò significa che il problema economico non è se guardiamo al futuro, il problema permanente della razza umana. »
E, secondo Keynes, quali erano allora per Keynes le implicazioni di questa tendenza tecnologica?
« Faremo, per servire noi stessi, più cose di quante ne facciano di solito i ricchi d’oggi, e saremo fin troppo felici di avere limitati doveri, compiti, routine. Ma oltre a ciò dovremo adoperarci a far parti accurate di questo “pane” affinché il poco lavoro che ancora rimane sia distribuito fra quanta più gente possibile. Turni di tre ore e settimana lavorativa di quindici ore possono tenere a bada il problema per un buon periodo di tempo. Tre ore di lavoro al giorno, infatti, sono più che sufficienti per soddisfare il vecchio Adamo che è in ciascuno di noi. Dovremo attenderci cambiamenti anche in altri campi. Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale. Dovremo saperci liberare di molti dei principi pseudo-morali che ci hanno superstiziosamente angosciati per due secoli, e per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli. Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L'amore per il denaro come possesso, e distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali. Saremo, infine, liberi di lasciar cadere tutte quelle abitudini sociali e quelle pratiche economiche relative alla distribuzione della ricchezza e alle ricompense e penalità economiche, che adesso conserviamo a tutti i costi, per quanto di per se sgradevoli e ingiuste, per la loro incredibile utilità a sollecitare l’accumulazione del capitale. »
Questo, che avete appena letto, è un pezzo di narrativa speculativa; ed è anche estrapolante. Keynes prende semplicemente quelle che sono le esistenti tendenze dell'innovazione tecnologica, le estrapola 100 anni nel futuro e arriva ad una società notevolmente diversa da quella che ha osservato nel suo tempo. Un buon scrittore di narrativa speculativa avrebbe potuto prendere le riflessioni di Keynes e avrebbe poi potuto speculare a cosa potrebbe somigliare una società in cui «il problema economico» sia stato risolto. Infatti, in proposito Keynes fornisce alcuni interessanti suggerimenti:
- «Dovremo saperci liberare di molti dei principi pseudo-morali che ci hanno superstiziosamente angosciati per due secoli, e per i quali abbiamo esaltato come massime virtù le qualità umane più spiacevoli.»
- «Dovremo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L'amore per il denaro come possesso, e distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e a metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali.»
- «Saremo, infine, liberi di lasciar cadere tutte quelle abitudini sociali e quelle pratiche economiche relative alla distribuzione della ricchezza e alle ricompense e penalità economiche, che adesso conserviamo a tutti i costi, per quanto di per se sgradevoli e ingiuste, per la loro incredibile utilità a sollecitare l’accumulazione del capitale.»
Ma uno scrittore di narrativa speculativa che sia ancora migliore, potrebbe chiedersi: «Che cosa potrebbe vanificare ed impedire che si realizzi la visione di Keynes?». O, in maniera ancora più pertinente: «A cosa assomiglierebbe il mondo se non si fosse realizzata la visione di Keynes, e "il problema economico" fosse stato effettivamente risolto, ma le ore di lavoro fossero rimaste inalterate? Cosa farebbero quei poveri pazzi bastardi che continuano a lavorare pur senza avere nessun motivo per farlo?»
Mentre Keynes faceva affidamento su dei nudi e crudi dati approssimativi per poter arrivare alla sua conclusione, secondo la quale le ore di lavoro, entro il 2030, si sarebbero ridotte a non più di 15 ore per settimana in quelle aree di mercato colpite dalla Grande Depressione, Krusciov e i leader dell'Unione Sovietica proponevano il calendario di una vera e propria tabella di marcia che entro il 1968 traghettasse l'URRS alla settimana lavorativa più corta del mondo. A partire dal 1956, i sovietici avevano annunciato di aver dato inizio ad una transizione che li avrebbe portati dalla settimana lavorativa di 48 ore - istituita dopo la seconda guerra mondiale per potersi riprendere dal catastrofico conflitto globale - ad una settimana lavorativa di 40 ore entro il 1962. A partire poi, quasi immediatamente dopo, dal 1964, i sovietici avrebbero dato inizio alla transizione che li avrebbe traghettati dalla nuova settimana lavorativa di 40 ore ad una ancora più corta di 35 ore. La transizione era stata programmata affinché si concludesse nel 1968, anno in cui l'Unione Sovietica avrebbe potuto vantarsi di avere la settimana lavorativa più corta del mondo. Ma le riduzioni dell'orario di lavoro non finiva lì: Krusciov aveva dichiarato pubblicamente che l'URSS avrebbe continuato a ridurre l'orario di lavoro anche nel decennio successivo, o giù di lì, per riuscire a raggiungere l'obiettivo delle 3/4 ore giornaliere di lavoro entro il 1980. In altre parole, l'Unione Sovietica aveva proclamato che avrebbe raggiunto l'obiettivo speculativo di Keynes del 2030 - della giornata lavorativa di 3 ore - cinquant'anni prima di quando aveva previsto Keynes con i suoi calcoli.
Krusciov stava parlando a vanvera? Non esattamente.
La chiave della credibilità dell'affermazione di Krusciov sta nel fatto che Keynes, nei suoi prudenti calcoli del 1930, si basava su degli incrementi annuali della produttività stimati al 2%, mentre per l'URRS veniva stimato, quanto meno dalla CIA (che difficilmente può essere considerata come una fonte incline all'iperbole rivoluzionaria), un'espansione della sua produzione ad un tasso annuale del 10%, nei primi 9 mesi del 1960. Inoltre, sia che ti trovi nel campo dei comunisti che pensano che l'Unione Sovietica fosse socialista, oppure che tu sia nel campo di quelli che pensano fosse capitalista - se non addirittura bloccata da qualche parte nel mezzo - devi ammettere che, essenzialmente, la sua era una produzione pianificata, nella quale l'intera infrastruttura di produzione veniva gestita come se fosse costituita da un'unica impresa (o azienda capitalista, se sei incline a pensarlo). Grazie alla pianificazione centrale, questa enorme impresa, secondo fonti affidabili, stava accumulando un surplus aggiuntivo al tasso del 10% annuo, senza patire le consuete interruzioni dovute alle periodiche crisi capitalistiche. Perciò, assumendo solo le condizioni esistenti al tempo dei calcoli nudi e crudi di Keynes, l'Unione Sovietica, grossomodo, raddoppiava ogni sette anni quelle che erano le sue dimensioni produttive, anziché aumentare del 50% ogni venti anni, come immaginava Keynes. E come diceva Keynes, devi pensare tutto questo in termini di quelle che era l'infrastruttura totale del capitale dell'Unione Sovietica - case, trasporti, e così via -, la capacità di produrre tutto.
Per poter comprendere quelle che erano le implicazioni del calendario della tabella di marcia sovietica per la riduzione dell'orario lavorativo, va menzionato il fato che il 1968 si sarebbe aperto con la spettacolare sconfitta dell'aggressione americana al Vietnam e con il caotico collasso della presidenza Johnson; e si sarebbe chiuso con l'annuncio ufficiale, da parte dell'Unione Sovietica, che sarebbe stato istituito la più corta giornata lavorativa della storia dell'umanità. Nel corso del decennio successivo, il mercato mondiale avrebbe assistito al crollo di Bretton Woods e al collasso dell'economia globale in un'inimmaginabile eruzione simultanea di iperinflazione e di iperdisoccupazione, che avrebbe portato all'ascesa della Tatcher in Gran Bretagna e di Reagan negli Stati Uniti, quando l'Unione Sovietica stata progressivamente riducendo la sua giornata lavorativa da 7 a 3 ore, con 50 anni di anticipo sulla predizione di Keynes. Come dire che, riguardo la predizione di Keynes, un buon scrittore speculativo avrebbe potuto prendere il programma di Krusciov e speculare, essenzialmente, su a che cosa potrebbe assomigliare un mondo nel quale i sovietici avessero risolto «il problema economico». O certo, come sarebbe nel caso un tale programma non fosse stato rispettato, lo sappiamo già. Lo mostra l'immagine che vediamo sopra.
La nostra esplorazione ci ha portato al limite di quelli che probabilmente sono i requisiti minimi di una società pienamente comunista: una giornata lavorativa di 3 ore.
Keynes aveva previsto queste 3 ore di giornata lavorativa, basandosi su un tasso di crescita del 2%, e quindi di quelle che erano le tendenze tecnologiche allora esistenti. Aveva supposto che sarebbe stata probabile entro il 2030. L'Unione Sovietica, basando le sue proiezioni su un tasso di crescita molto più elevato, del 10%, aveva preventivato che ad una giornata lavorativa di 3 ore si sarebbe arrivati 50 anni prima, nel 1980. Come sappiamo, non si realizzata nessuna di queste proiezioni. Tuttavia, mi trovo impegnato nel cercare di creare un mondo alternativo, una futura società comunista speculativa alternativa che, almeno fino ad ora, non è mai esistita. Lo faccio, per poter arrivare a descrivere come potrebbe funzionare una simile società. Questa domanda viene fatta continuamente dalle persone che sono scettiche riguardo al fatto che una società del genere possa mai esistere. Perciò, facciamo ancora un passo avanti e supponiamo di essere ora arrivati all'obiettivo che si era dato Kruscev per il 1980, di una giornata lavorativa di 3 ore.
Abbiamo risolto tutti i problemi che l'umanità si è posta? Ci troviamo ora nella mia utopia comunista? La storia è finita? Forse no.
E perché no?
Ok, come ho detto precedentemente, il comunismo in sé sarebbe conoscenza oggettivata, sarebbe un'estensione della mente umana. Ho usato questi termini per un motivo. Marx li ha usati entrambi, per descrivere le macchine. Un altro modo per dirlo, è quello secondo cui, in contrasto con il capitalismo - il quale è essenzialmente un modo di produzione che serve a spremere plus-lavoro dai lavoratori salariati -, il comunismo può essere concettualizzato come una enorme macchina, come una macchina intelligente. Il comunismo, è la creazione di un'intelligenza artificiale (macchina). All'inizio, avremmo creato quella macchina, mantenendola e supervisionandola. Ma poi, col passare del tempo, la macchina avrebbe cominciato a mantenersi e a supervisionarsi da sé sola, progettando i propri miglioramenti e funzionando, per lo più, senza che ci fosse bisogno di alcun intervento umano. È anche possibile che un giorno questa macchina possa eclissare, per quanto riguarda l'intelligenza, gli esseri umani.
Va bene, vero?
Beh, forse no. Nel 1993, in un saggio dal titolo "Technological Singularity", Vernor Vinge ha fatto alcune riflessioni su quest'idea ed ha concluso che potrebbe portare alla nostra estinzione in quanto specie. Leggendolo, si scopre che ciò che io chiamo «la base materiale del comunismo», Vinge la chiama «singolarità tecnologica». Il termine richiama, facendogli eco, il neologismo di Keynes, «disoccupazione tecnologica», alla quale nel suo saggio Vinge fa effettivamente riferimento: definisce che cosa egli intenda con quel termine, e perché ritiene che possa essere una minaccia per il futuro dell'umanità. Secondo Vinge, l'accelerazione del progresso tecnologico è stata la caratteristica centrale di questo secolo. Non solo essa ha eclissato l'impiego del lavoro umano nella produzione, ma ha prodotto quello che è stato un cambiamento paragonabile all'ascesa della vita umana sulla Terra: l'imminente creazione - con mezzi tecnologici - di una coscienza dotata di un'intelligenza più che umana. Ci possiamo aspettare che, in una forma o nell'altra, emergerà una intelligenza super-umana. Vinge ritiene che sarà una certezza entro il 2030: la stessa data entro la quale Keynes aveva previsto la giornata lavorativa di 3 ore.
Dal momento in cui sarà emersa questa intelligenza super-umana, il progresso tecnologico diverrà ancora più incredibilmente rapido. Un simile progresso comporterà la creazione di entità ancora più intelligenti, su una scala temporale ancora più breve. Mentre l'evoluzione della vita intelligente, attraverso la selezione naturale, ha richiesto miliardi di anni sulla Terra, gli esseri umani sono stati in grado di realizzarla in pochi secoli. Adesso ci troviamo sull'orlo del precipizio di una nuova fase, che è altrettanto radicalmente diversa da quella a cui noi apparteniamo quanto la nostra lo era da quella degli animali inferiori. Vinge così conclude, affermando:
«Questo cambiamento sarà un rigetto di tutte le regole umane, e forse avverrà in un batter d'occhi - una fuga esponenziale al di là di ogni speranza di controllo. Gli sviluppi che pensavamo potessero avvenire solo "in un milione di anni" (se mai) probabilmente avverranno nel prossimo secolo. È corretto chiamare questo evento una singolarità ("la Singolarità", ai fini di questo testo). Si tratta di un punto in cui i nostri vecchi modelli devono essere scartati e dove governa una nuova realtà, un punto che incomberà sempre più sugli affari umani fino a che diventerà banale. Eppure, quando alla fine accadrà, sarà un'enorme sorpresa e un territorio ignoto.»
Secondo Vinge, se una singolarità tecnologica non può essere prevenuta o limitata, allora si rende possibile l'estinzione fisica della razza umana. Ma ci avverte, l'estinzione fisica potrebbe non essere la possibilità più spaventosa: l'umanità potrebbe essere ridotta a mero bestiame, impiegata per delle specifiche funzioni che si renderano utili in quello che sarà un più ampio ambito di Intelligenza Artificiale:
«Pensa ai modi diversi in cui ci relazioniamo con gli animali. Un mondo post-umano potrebbe avere ancora un bel po' di nicchie in cui potrebbe essere auspicabile un'equivalente automazione per l'uomo: sistemi integrati in dispositivi autonomi, demoni autocoscienti al livello di funzionamento più basso di sistemi senzienti più grandi... Alcuni di questi equivalenti umani potrebbero essere usati solo per l'elaborazione del segnale digitale. Altri potrebbero essere molto simili all'uomo, sebbene con un'unilateralità, una dedizione che lo inserirebbe in quello che sarebbe l'equivalente di un ospedale psichiatrico della nostra era. Sebbene nessuna di queste creature potrebbe essere un uomo in carne ed ossa, nel nuovo ambiente, si potrebbe trattare della cosa più vicina a ciò che noi chiamiamo essere umano».
Praticamente, si tratta del concetto che sta alla base del film Matrix. L'umanità è stata ridotta ad essere una fonte di energia per un'Intelligenza Artificiale. E per mantenerla sana di mente, viene alimentata per mezzo di una simulazione. Vinge ha concettualizzato la post-apocalisse in modo da farla apparire come se fosse il risultato inevitabile dell'innovazione tecnologica. Si legga attentamente questo passaggio:
«Prima, ho sostenuto che non possiamo impedire la Singolarità, e che la sua venuta è un'inevitabile conseguenza della naturale competitività umana e delle possibilità inerenti alla tecnologia».
Vinge vorrebbe farci credere che quale che sia la minaccia dell'estinzione fisica che incombe oggi sulla testa dell'umanità, essa sia conseguenze dell'innovazione tecnologica. Questa innovazione tecnologica, in un futuro assai prossimo, produrrà una fuga intellettuale, un'esplosione esponenziale dell'intelligenza artificiale, al di là di ogni speranza e di ogni controllo umano. Ma se esaminiamo questo argomento più da vicino, è ovvio che al momento non esiste alcun controllo sulla tecnologia. L'innovazione tecnologica è guidata esclusivamente dalla concorrenza. Secondo Vinge:
- «Ritengo che qualsiasi regola abbastanza rigorosa da poter essere efficace, produrrebbe anche un dispositivo la cui capacità sarebbe chiaramente inferiore a quella della sua versione illimitata (in modo tale che la concorrenza umana favorirebbe lo sviluppo di modelli più pericolosi)».
- « Noi umani possediamo un bagaglio evolutivo di milioni di anni che ci porta a considerare la concorrenza sotto una luce mortale ».
- « Il vantaggio competitivo - economico, militare, persino artistico - di ogni progresso nell'automazione è talmente avvincente che proibire simili cose non farebbe altro che assicurare semplicemente che ci sarebbe qualcun altro che le otterrebbe ».
- « [Aumentare l'Intelligenza], per i singoli esseri umani, crea un'élite alquanto sinistra ».
Vinge, forse senza rendersene conto, suggerisce che il suo principale sintomo di una singolarità tecnologica - la fuga tecnologica - non è una preoccupazione che riguarda il futuro, ma piuttosto una realtà costante dell'esistente modo di produzione. Ed è stata una minaccia da quando l'innovazione tecnologica guidata dalla concorrenza capitalistica ha innescato la prima depressione - forse già negli Stati Uniti del 1819. Per prima cosa, la tecnologia ha dislocato il lavoro umano nella produzione, creando la Grande Depressione; ed ora minaccia di rendere superflui gli esseri umani, anche per quel che riguarda il design e la supervisione delle macchine che essi hanno creato per sostituire il lavoro umano.
Se in tutto questo, le argomentazioni di Vinge riguardo la competizione e l'innovazione tecnologica vi suonano vagamente familiari, è perché è così. È la stessa discussione che infuria ormai da decenni tra i comunisti, e che pone l'imbarazzante domanda: «Dov'è il soggetto rivoluzionario?»
fonte: The Real Movement
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