« Aveva la stoffa per essere il più grande umorista tra i filosofi, pari solo a Socrate, che usava un metodo simile. Ma lui a quanto pare fu sfortunato e dovette prendere un impiego statale in Prussia, e così si diede anima e corpo allo Stato. Tuttavia aveva innato, a quanto posso capire, un certo ammiccare degli occhi, come un difetto di nascita, e se lo portò appresso fino alla morte; senza che lui stesso se ne rendesse conto, ammiccava continuamente con gli occhi, così come un altro ha un insopprimibile ballo di San Vito. Aveva un tale senso dell'umorismo che per esempio non poteva assolutamente immaginarsi una cosa come l'ordine senza il disordine. Egli si rendeva conto che proprio accanto all'ordine più perfetto si trova il più grande disordine, anzi, giunse persino a dire: proprio nello stesso posto! Per Stato egli intendeva qualcosa che sorge là dove si manifestano i più forti contrasti tra le classi, di modo che l'armonia dello Stato vive, per così dire, della disarmonia delle classi. Ha negato che uno sia uguale a uno, non solo in quanto tutto ciò che esiste si tramuta continuamente, senza sosta, in qualche altra cosa, e precisamente nel suo contrario, ma perché niente è identico a se stesso. (...) Il suo libro La grande logica lo lessi una volta che avevo i reumatismi e non potevo muovermi. È una delle più grandi opere umoristiche della letteratura mondiale. Tratta della maniera di vivere dei concetti, queste esistenze scivolose, instabili, irresponsabili; come s’insultano l’un l’altro e fan la lotta a coltello e poi si siedono a tavola insieme per la cena, come non fosse successo niente. »
(Ziffel, a proposito di Hegel, in Brecht, "Dialoghi tra profughi". )
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