domenica 26 gennaio 2020

«De omnibus dubitandum»

«Non sono marxista, io!»
- di Michael Heinrich -

Chiunque visiti la tomba di Marx nel cimitero di Highgate, a Londra, si trova davanti ad un enorme piedistallo sul quale è stato installato, troneggiante, un gigantesco busto di Marx. Bisogna piegare in su la testa, per poterlo guardare. Subito sotto il busto, in lettere d'oro sta scritto «Workers of all lands unite», e ancora, più in basso, «Karl Marx». Più sotto, all'interno del piedistallo, è stata piazzata una semplice piccola lapide che elenca, senza né sfarzo né oro, i nomi di chi giace sepolto in quella tomba: oltre a Karl Marx, c'è sua moglie Jenny, suo nipote Harry Longuet, sua figlia Eleonora e Helene Demuth, la quale per decenni è stata la governante della famiglia. È stato lo stesso Marx, dopo la morte della moglie, a scegliere la semplice lapide. Aveva chiesto esplicitamente che venisse fatto un funerale tranquillo e limitato ad una piccola cerchia di amici e familiari. Vi presero parte solo undici persone. Friedrich Engels riuscì ad impedire che venissero messi in atto i piani del Partito socialdemocratico tedesco di erigere, nel cimitero, un monumento a Marx. Egli scrisse ad August Bebel dicendo che la famiglia era contraria ad un monumento del genere, in quanto la semplice lapide «ai loro occhi, sarebbe stata profanata qualora fosse sostituita da un monumento» (MECW 47, p.17).
Circa 70 anni dopo, non c'era più nessuno rimasto a proteggere la tomba di Marx. L'attuale monumento venne commissionato dal Communist Party of Great Britain, ed inaugurato nel 1956. Solo i regolamenti del cimitero ne impedirono l'ulteriore ampliamento. I marxisti erano riusciti a prevalere e a farsi valere, contro Marx.
«Non sono marxista, io!», aveva affermato Marx, piuttosto seccato, parlando col genero Paul Lafargue, quando questi gli aveva riferito gli ultimi comunicati provenienti da "marxisti" francesi. Era stato Engels ad aver fatto circolare innumerevoli volte questa dichiarazione, perfino in delle lettere ai giornali - di certo affinché diventasse di pubblico dominio. La distanza di Marx dai marxisti era stata espressa anche per mezzo di altri commenti. Quando risiedeva in Francia, nel 1882, aveva scritto a Engels che «i "Marxisti" e gli "Anti-Marxisti" » [...] in quelli che erano stati i loro rispettivi congressi a Roanne e a Saint-Étienne avevano «fatto tutti del loro meglio per rovinare il mio soggiorno in Francia» (MECW 46, p.339).
In ogni caso, Marx non ambiva affatto al «Marxismo». Ma non solo; quando l'economista tedesco Adolph Wagner, che fu il primo ad occuparsi della teoria di Marx nel suo libro e scrisse del «sistema socialista» di Marx, questi, indignato, annotò a margine che egli «non aveva mai istituito un sistema socialista» (MECW 24, p.533). «Sistemi» e visioni del mondo fatte di «ismi» non sono mai stati la sua passione. È vano mettersi in cerca di citazioni in cui egli si sarebbe definito in qualche modo come il padre fondatore di un qualche «ismo». A parte vedere sé stesso come un uomo del «partito» (cosa con cui intendeva però non un'organizzazione specifica, ma piuttosto la totalità delle forze che combattevano contro il capitalismo , per l'emancipazione sociale), Marx si considerava un uomo di scienza. Egli annoverava la sua opera Il Capitale, da lui considerato come «il più terribile missile che era mai stato sparato contro i dirigenti della borghesia (inclusi i proprietari terrieri)» (MECW 42, p.358), tra quelli che erano i «tentativi scientifici di rivoluzionare la scienza» (MECW 41, p.436). La sottolineatura posta sotto «scientifico» appartiene a Marx. E quando Marx scriveva nella prefazione al primo volume del Capitale, «ogni opinione basata sulla critica scientifica è benvenuta» (MECW 35, p.11), non si trattava semplicemente di retorica. Marx era perfettamente consapevole della natura provvisoria e della fallibilità delle affermazioni scientifiche.«De omnibus dubitandum» - «Va messo tutto in discussione» - aveva scritto come risposta alla domanda che, in un questionario alla moda propostogli dalla figlia, chiedeva quale fosse la sua massima preferita. L'enorme massa di manoscritti rimasti inediti, insieme alle revisioni, a volte considerevoli, dei testi già pubblicati testimoniano come egli non esentasse neanche il proprio lavoro da tale dubbio. Nella storia del marxismo, quest'opera è stata spesso trattata in maniera diversa da questa.
Storicamente parlando, la divulgazione messa in atto da Engels negli ultimi libri, soprattutto nel suo Anti-Dühring, ha costituito il punto di partenza per la costruzione del "Marxismo". Tuttavia, rimane in una certa qual misura un po' unilaterale trasformare Engels nell'«inventore» del Marxismo. come ha fatto la casa editrice  Propyläen quando ha assegnato alla traduzione tedesca della biografia tedesca di Engels scritta da Tristam Hunt, il sottotitolo "L'uomo che ha inventato il Marxismo". L'edizione originale inglese ha un titolo più appropriato: “The Frock-Coated Communist” ["Il comunista ben vestito"]. Solo sotto pressione da parte di Bebel e Liebnecht, nel 1870, Engels era arrivato a misurarsi con le opinioni dell'accademico tedesco Eugen Dühring, che in Germania stava sempre più conquistando nuovi aderenti alla socialdemocrazia. Dal momento che Dühring sosteneva di avere assemblato un nuovo «sistema» globale che riuniva filosofia, storia, economia, e scienze naturali, Engels aveva dovuto inseguirlo in tutte queste aree, ma sottolineando però nella sua prefazione al testo che «non poteva in alcun modo mirare a presentare un altro sistema come alternativo a quello di Herr Dühring» (MECW 25, p.6). Ma questo suggerimento non servì a niente. Storicamente, l'Anti-Dühring rimarrà il punto di partenza proprio per quel "sistema" che sarebbe poi diventato famoso con il nome di "Marxismo". Il suo primo importante esponente fu Karl Kautsky. E fino alla prima guerra mondiale, si accodò anche Lenin, senza mai fare alcuna critica. Così, mentre Engels si faceva gioco di quello che era il proclama di  Dühring, circa la pretesa di una «verità definita ed assoluta» (MECW 25, P.28), ecco che ora una simile pretesa - insieme a quelle che erano tutte le fantasie di onnipotenza che su tale pretesa si basavano - veniva fatta propria da molti Marxisti: «La dottrina marxista è onnipotente in quanto è vera». L'appiattimento in cui aveva investito il marxismo socialdemocratico prima della prima guerra mondiale continuò poi nel marxismo-leninismo che divenne una dottrina canonica in Unione Sovietica dopo la morte di Lenin.

Giusto per essere chiari: non è mia intenzione screditare ogni risultato analitico e politico di Kautsky, di Lenin, e di molti altri Marxisti. Se si vogliono valutare quei risultati, in ogni caso ciascuno di essi va preso individualmente. Quello di cui io sto parlando, sono quelle semplificazioni filosofiche che vengono presentate come «Marxismo». Quelle miscele di semplice materialismo, di idee borghesi di progresso, e di volgare hegelismo che vengono presentate come «materialismo dialettico» e «materialismo storico» - termini che verrebbero cercati invano nell'opera di Marx.
A questo punto, quelli che sono i moderni, illuminati, non dogmatici marxisti moderni obietteranno immediatamente che il culto della personalità non è roba loro, e che non lo è neanche il vecchio, dogmatico marxismo. Solo il loro punto di vista illuminato dovrebbe essere considerato come "Marxismo", e tutto ciò che è spiacevole - a partire dalle concezioni deterministiche della storia, fino ad arrivare a ridurre le relazioni di genere ad essere solo una «contraddizione secondaria e al gulag stalinista - non avrebbe niente a che fare con vero, reale Marxismo. Tuttavia, se ci si chiede che cos'è che costituisce il Marxismo reale, ecco che improvvisamente comincia a mancare l'aria, e ciò non avviene per una coincidenza. Nel momento in cui si tenta di dare sostanza concreta al termine "Marxismo", ci si trova necessariamente di fronte ad un dilemma. Inserendoci troppi contenuti, ecco che la determinazione diventa troppo concreta, e finisce facilmente con il contraddire quella scienza che ne consegue. Di una cosa del genere, il "Lysenkoismo" è solo l'esempio più noto. Ma se si lascia la cosa nel vago, a livello generale, ecco che c'è il pericolo che ciò che viene presentato come Marxismo rimanga a livello di luoghi comuni: tipo, tutto ciò che è reale è materiale, la storia si sviluppa solo per mezzo di contraddizioni, ecc. Per alcuni Marxisti, Georg Lukàcs appare come colui che ha tagliato il nodo gordiano. Sebbene alcuni singoli risultati della teoria di Marx si sono rivelati falsi, secondo Lukàcs, il suo "metodo" sarebbe rimasto valido: mantenere la "dialettica materialista" in quanto metodo di ricerca era presumibilmente il nucleo del «Marxismo ortodosso». Ma anche trascurando il fatto che tra i Marxisti ci fosse ben poco accordo su cosa fosse ciò che costituiva questo metodo dialettico di cui tutti parlano così prontamente, non appare essere poi una così grande raccomandazione quella che spinge ad aggrapparsi ad un metodo quando esso porta anche a risultati errati. Non sto in alcun modo contestando che ci siano concezioni ragionevoli del materialismo e della dialettica. Dubito, tuttavia, che si possano mettere insieme quelle che sarebbero le basi di un'ontologia o di una metodo onnicomprensivo.
Ma se non si è in grado di offrire una determinazione sostanziale di Marxismo, rimane però sempre la possibilità di usare il termine in maniera puramente descrittiva. Perciò, una definizione della parola chiave "Marxismo" è quella secondo cui il «Marxismo abbraccia tutte quelle pratiche che negli ultimi 150 anni, positivamente o nel senso di una continuità, si sono riferite all'opera di Marx, nonché agli autori ed agli attivisti che di conseguenza si sono riferiti a Marx».  Andando più avanti si parla di «persecuzioni del Marxismo da parte dello Stalinismo e del Fascismo». Apparentemente, lo Stalinismo non viene considerato come parte del Marxismo, sebbene esso si riferisse decisamente e positivamente alle «opere di Karl Marx», nonostante i contemporanei non abbiano mai dubitato che lo Stalinismo facesse parte del Marxismo, e fra questi ci sono non pochi spiriti critici, come Ernst Bloch. Se si esclude retroattivamente, in maniera descrittiva, lo Stalinismo dal Marxismo, allora si finisce per procedere in maniera simile a quella di Stalin, il quale aveva tentato di cancellare dai documenti storici e dalle vecchie fotografie coloro che cadevano in disgrazia.
Il fatto che non sia facile per i Marxisti determinare che cosa sia realmente il "Marxismo", è colpa anche di Marx. Bisogna ammettere che lui di certo non ha reso facile loro la vita. La sua opera non consiste solamente in un certo numero di testi che ha pubblicato, ma anche in numerosi manoscritti che sono rimasti inediti per tutta la sua vita. Tutti i fondamentali progetti teorici che Marx ha portato avanti sono rimasti incompiuti. Manoscritti inediti, come I Manoscritti Economici e Filosofici, del 1844, oppure l'Omnibus del 1845/46 che divenne noto come L'Ideologia Tedesca sono rimasti incompiuti e frammentari. Molti dei testi pubblicati sono solo dei riassunti sommari, come il Manifesto Comunista del 1848, o sono parte di progetti incompiuti, come il Contributo alla Critica dell'Economia Politica [Urtext] (1859) o come il primo volume de Il Capitale (1867/1872). Analisi politiche come Il 18 Brumaio (1852) o come La Guerra Civile in Francia (1871) trattano in maniera esauriente quelli che erano i rispettivi argomenti, ma la teoria dello Stato e delle Politica, cui Marx ambiva, vengono affrontati solo in maniera implicita ed incompleta. Marx, non solo si è lasciato dietro un progetto incompiuto, ma ha disseminato anche tutta una serie di progetti che non sono mai stati portati a termine. Non c'è da stupirsi come la discussione intorno a tali progetti, riguardo la portata di ciascuno di essi, le loro rispettive lacune e la relazione che ognuno di essi aveva con tutti gli altri abbia fornito un ricco materiale per il dibattito, e continua tuttora a farlo.
Inoltre, le opere postume di Marx sono state pubblicate solo a poco a poco (e si trovano ancora in fase di pubblicazione). In modo che ogni generazione di lettori ha dovuto confrontarsi con un'opera diversa di Marx, ed in più occasioni nel 20° secolo è stato proclamato che ora - finalmente - sarebbe stato possibile conoscere il vero Marx. Ad ogni modo, le opere postume, prima di essere pubblicate, erano state fortemente riviste dai loro rispettivi editori. E questo era già successo nel caso della pubblicazione, da parte di Engels, del secondo e del terzo volume de Il Capitale, e lo era stato ancora di più in occasione dei Manoscritti Economici e Filosofici e de L'Ideologia Tedesca, che erano stati pubblicati negli anni '20 e '30. I testi di Marx ed Engels sono stati pubblicati, per la prima volta completamente e senza alcun intervento editoriale, solo nella seconda "Marx Engels Gesamtausgabe" (MEGA), a partire dal 1975, ma che per ora si trova solamente a metà strada. Tuttavia, nello sviluppo storico di quelli che sono stati i vari Marxismi, i testi di Marx ed Engels giocano comunque un ruolo limitato. All'inizio, i lettori erano soddisfatti di alcune dichiarazioni sorprendenti, come quella che riguardava che la storia era sempre una «storia delle lotte di classe», o del «comunismo» visto come «il movimento reale che abolisce lo stato presente delle cose». Il contesto nel quale Marx aveva fatto quelle affermazioni, e il modo in cui esse stesse erano state modificate nel corso di successivi sviluppi - era di minore interesse. Per il Marxismo, Marx non era interessante in quanto pensatore che si trovava costantemente nella condizione di imparare e di sviluppare le sue concezioni teoriche, ma lo era piuttosto come se fosse qualcuno che produceva verità finali - come quello che produceva «Marxismo».

Ci sono stati molti moderni, illuminati Marxisti che hanno mantenuto anche una certa distanza rispetto ad un preciso coinvolgimento con l'opera di Marx. Frequentemente, viene sottolineato il fatto che non si desideri «fare filologia», ma  piuttosto occuparsi politicamente di Marx. Non di rado, tuttavia, prendere le distanze dalla filologia serve innanzitutto allo scopo di lasciare che rimanga indisturbata quella che è la loro concezione della teoria di Marx e del Marxismo. Se, ad esempio, ci si riferisce al concetto di prassi nelle Tesi su Feuerbach, che molti considerano un concetto centrale della teoria di Marx, mentre invece si tratta solo di un concetto specifico relativo a quello che era il dibattito con Feuerbach e con i Giovani Hegeliani,  privando così le Tesi su Feuerbach del loro status di documento fondamentale; o se si sottolinea come, nel caso del Manifesto Comunista, che l'effettivo impegno di Marx nei confronti del capitalismo è cominciato solo dopo e che egli è arrivato perfino a rigettare alcune delle tesi che si trovano nel Manifesto; ecco che a questo punto tutto ciò non fa sì che ci si facciano molti amici. La stessa cosa avviene se si nota che non è che ogni affermazione che viene fatta nel Capitale si trovi ad essere scolpita nella pietra, e che per esempio c'è motivo di credere che negli anni '70 Marx avrebbe potuto considerare un pochino più criticamente la «Legge della caduta tendenziale del saggio di profitto» che aveva formulato nel manoscritto del 1864/65 del terzo volume del Capitale. Ecco che allora tutto questo diventa decisamente troppa «filologia». Ancora una volta, per essere chiaro: il fatto che la critica del capitalismo non si esaurisce nella filologia è banale. Tuttavia, il fatto che se uno desidera misurarsi con i concetti di Marx, se ne debba prima appropriare criticamente, e non solo in maniera superficiale come se fosse un manuale, beh, anche questo è altrettanto banale. Eppure, il più delle volte, è proprio questa appropriazione critica a mancare. Un'ultima cosa: tra gli scienziati critici sociali, e in particolare l'Assoziation für kritische Gesellschaftsforschung [Associazione per la ricerca sociale critica], Michael Foucault gode di una certa popolarità. Le sue analisi del rapporto tra potere e conoscenza vengono citate con entusiasmo. Tuttavia, i Marxisti - anche quelli moderni e non dogmatici - fanno fatica a concepire il Marxismo come se si trattasse di un intrico tra potere e conoscenza. Alla conferenza organizzata dall'AkG, il Marxismo come strumento di dominio non era un argomento in discussione. È stato discusso in riferimento al Marxismo nella RDT. Ma non è solo lo Stalinismo, e la storia dei partiti comunisti autoritari, ad essere parte di quest'argomento, in cui la storia del Marxismo è sempre una storia di esclusione e di dominio. Nei gruppi della sinistra e nei seminari universitari in Occidente, le presunte certezze del "Marxismo" hanno prodotto anche numerose distinzioni tra ciò che viene incluso e quello che viene escluso dai discorsi e dalle pratiche sociali. Anche se alcuni amerebbero pensarlo, la microfisica del potere non si ferma dove (ad Occidente) comincia il Marxismo. La «breve estate del Marxismo accademico» (Elmar Altvater)  esistita in Germania occidentale negli anni '70, e di cui alcuni sentono la mancanza, è stata in gran parte una pseudo prosperità che si basava sugli effetti discorsivi del potere. Per poter dimostrare di essere all'avanguardia c'era chi sapeva - indipendentemente da quale fosse l'argomento - quantomeno fare un breve riferimento alla «contraddizione tra valore d'uso e valore di scambio». Molte analisi della teoria di Marx e dei successivi contributi composti in questo periodo valevano la pena di essere lette, ma contenevano anche un'enorme quantità di sciocchezze. Lo stesso Marx, in ogni caso, non era alla ricerca di certezze finali. Egli era molto più interessato a quella che era attività critica di minare le certezze, al fine di aprire nuovi spazi per il pensiero e per l'azione - cosa in cui non può essere immediatamente chiaro quale sarà il risultato giusto. Contrariamente al "Marxismo" che Marx rifiutava, insieme alle sue certezze che ne definiscono l'identità, questo Marx, critico ed incompiuto, aveva un effetto estremamente stimolante e sovversivo. Quali delle sue analisi e quali dei suoi concetti siano utili, che cosa di questi possa aiutarci a cambiare il mondo, e cosa non possa, non è stato fissato per sempre. Bisogna sempre discutere continuamente e formulare nuove valutazioni: «De omnibus dubitandum».

- Michael Heinrich - Pubblicato il 24/1/2015 su ND -

fonte: libcom.org

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