Prefazione alla nuova edizione di "Aventures de la marchandise" (La découverte, 2017) di Anselm Jappe
- Anselm Jappe -
Quando questo libro venne pubblicato, nel 2003, dalle edizioni Denoël, ciò che si proponeva era di riassumere la corrente della critica sociale nota sotto il nome di «critica del valore», soprattutto nella sua forma, elaborata nel corso dei precedenti 15 anni dalla rivista tedesca Krisis. Il libro comincia attuando una rilettura dell'opera di Marx assai diversa da quella che viene fatta dalla quasi totalità dei marxismi storici. Al centro di questa lettura, troviamo delle concezioni radicalmente critiche del valore e della merce, del denaro e del lavoro. A partire da questa base teorica, il libro passa ad analizzare la crisi attuale della società capitalista, ne rilegge la storia e stabilisce dei legami con l'antropologia. Vengono poi esaminate numerose altre forme di critica sociale, a volta con una certa severità.
Essenzialmente, la ristampa di questo libro implica delle correzioni formali. Per quel che concerne il contenuto, sono assai poche le cose che ho trovato da cambiare. Ciò non è dovuto ad una mia particolare perspicacia, della quale avrei dato prova al momento della sua prima stesura, ma piuttosto dimostra, spero, quale sia la solidità delle basi teoriche elaborate dalla critica del valore, ed in particolar modo dal suo principale autore, Robert Kurz.
Tuttavia, da allora la riflessione teorica non si è mai fermata, e la realtà sociale è andata incontro a dei grandi sconvolgimenti. C'è stato quindi bisogno di sviluppare ed approfondire le tesi della critica del valore, e soprattutto di servirsene per poter leggere quello che è il mondo contemporaneo. È questo che ho cercato di fare in numerosi articoli, in una mia raccolta di saggi, "Crédit à mort" (Lignes, 2011), e poi ne "La Société autophage", che è stato pubblicato dallo stesso autore contemporaneamente a questa edizione tascabile. Andando avanti, nel corso delle mie analisi mi sono liberato degli ultimi residui di una concezione «progressista», ed oramai non credo più che lo sviluppo delle forze produttive sia necessariamente virtuoso; ragion per cui, oggi non rimprovererei più al valore, come faccio in questo libro, di essere una «corazza» che «soffoca» le possibilità produttive. Su un altro piano, è diventato per me chiaro che nelle società precapitaliste non c'era affatto una «circolazione semplice» del denaro, senza accumulazione del capitale, dal momento che allora non esisteva né denaro, nel senso moderno, né lavoro «concreto». Questo è stato sottolineato con maggior forza, da Robert Kurz nel suo ultimo libro. "Denaro senza valore", pubblicato in Germania al momento della sua morte, nel 2012.
Dopo la scissione di Krisis, avvenuta nel 2004, e dopo la fondazione della rivista Exit!, Robert Kurz, Roswitha Scholz, Claus Peter Ortlieb ed altri hanno sviluppato ulteriormente la critica del soggetto, la critica della ragione così come era emersa dall'Illuminismo e la critica della «scissione-valore», dove viene sottolineato appunto che il valore si basa su una scissione preliminare di quella che è la sfera del «non-valore», e che tale scissione viene scaricata essenzialmente sulle donne. In questo modo, la critica del patriarcato ha finito per giocare un ruolo essenziale nella critica della società delle merci. Da parte mia, ho accolto queste analisi ne "La Société autophage", insistendo soprattutto sulla dimensione psicoanalitica che attiene alla descrizione del feticismo della merce e del «soggetto automatico».
La morte di Robert Kurz, avvenuta nel 2012 all'età di 68 anni, a causa di un errore medico, ha purtroppo interrotto la sua incessante attività; il vuoto che ha lasciato sarà difficile da riempire. Tuttavia, le tesi della critica del valore hanno trovato un eco sempre più ampia in tutto il mondo, e la ricezione della teoria ora comincia ad essere seguita, nella sua rielaborazione e nel suo approfondimento, da nuovi interessati, in Europa e altrove.
Se nel corso dei venticinque anni della sua esistenza, la critica de valore è passata da una condizione ultra-minoritaria a quella di essere un'importante componente del dibattito contemporaneo - almeno per quel che riguarda il campo della critica sociale - questo non è certamente dovuto ad una sua collocazione all'interno di un discorso accademico universitario, né grazie ad aver ricevuto una qualche attenzione mediatica: la critica del valore continua ad essere trattata, da quelli che sono gli organi e le istituzioni ufficiali della produzione e della diffusione del sapere, con un sospetto che non può che fare onore ad una critica che pretende di essere radicale. Piuttosto, è stata l'evidenza tanto della crisi mondiale quanto dell'insufficienza delle vecchie interpretazioni di tale crisi che vengono proposte a sinistra, ad aver accresciuto l'attenzione nei suoi confronti.
Dopo la crisi finanziaria ed economica dell'autunno del 2008, e a volte anche prima, è diventata moneta corrente sentir dire che il capitalismo versa in pessime condizioni di salute, se non addirittura sull'orlo del collasso (se prima questa crisi era ancora assai lontana dal costituire la minaccia di un crollo su grande scala, da allora, ha potuto apparire di grandezza considerevole agli occhi di coloro che negavano - a destra come a sinistra - ogni possibilità che si verificasse una grande crisi; mentre, d'altra parte, agli occhi della teoria della crisi, era solamente un altro sisma premonitore). Giorno dopo giorno, diventa sempre più difficile negare, o rimuovere, quella conclusione che la critica del valore aveva già formulato in un'epoca nella quale si diceva volentieri che il capitalismo aveva «vinto la partita». All'inizio degli anni '90, prima di ogni dimostrazione empirica, essa aveva tratto questa conclusione a partire dall'opera di Marx, potendo quindi dimostrare allo stesso tempo che il nucleo di quell'opera rimaneva la miglior guida per poter comprendere quello che sta accadendo oggi.
Se l'aggravamento della crisi del capitalismo ha dato ragione alla teoria radicale, non ha purtroppo fatto aumentare in egual misura quelle che sono le possibilità di emancipazione sociale. La crescita dei populismi, con dei tratti assai spesso barbari, e soprattutto la crescita di un «populismo trasversale» che riunisce degli elementi di destra e di «sinistra» e che attribuisce alle «banche» e agli «speculatori» quelli che sono tutti i difetti del capitalismo, è stata fin qui il risultato più visibile della disperazione provocata dal declino del capitalismo e dalla terra bruciata che questo ha lasciato dietro di sé. L'«anticapitalismo» contemporaneo, perfino quando è sincero, confonde volentieri il capitalismo in quanto tale con quella che è la sua fase più recente: il neoliberismo, imperante a partire dalla fine degli anni '70. Incapace di riconoscere nelle convulsioni attuali, le conseguenze dell'esaurimento del valore e della merce, dell'esaurirsi del denaro e del lavoro, la stragrande maggioranza delle correnti della sinistra - compresi coloro che si considerano «radicali» - riescono a vedere solo la necessità di tornare ad un capitalismo più «equilibrato», al keynesismo, ad un ruolo forte dello Stato e ad una più severa regolamentazione delle banche e della finanza. I movimenti sociali di questi ultimi anni non hanno fatto altro che esprimere il desiderio di restaurare quella che è stata una tappa precedente dello sviluppo capitalistico. Hanno esplicitamente, o implicitamente, attribuito il potere attuale della finanza internazionale ad una sorta di cospirazione, anziché riconoscere nel credito e nella creazione di somme astronomiche di «capitale fittizio» una fuga in avanti del sistema di mercato, diventata inevitabile dopo che il progresso della tecnologia ha quasi fermato la produzione di plusvalore.
A mancare decisamente, è una riflessione sulla necessità di rompere con con tutta la «civiltà» fondata sul lavoro astratto. Ecco perché "Les Aventures de la marchandise", un libro teorico che non indica una strada immediatamente praticabile per uscire dalla palude in cui ci troviamo, può avere ancora qualcosa da dire.
Ovunque, la crescita congiunta della crisi economica, della crisi ecologica e della crisi energetica pone gli uomini nella posizione in cui si trovava il prigioniero de "Il Pozzo e il Pendolo", di Edgar Allan Poe. Dipende da ognuno di noi se il capitalismo sarà l'ultima parola dell'umanità, oppure se rivelerà una porta che alla fine si apre in una via d'uscita. Contrariamente a quanto avviene nel racconto di Poe, noi, qui, non potremo affidarci ad alcun aiuto miracoloso.
- Anselm Jappe - Pubblicato online su Cairn, il 15 marzo 2019 -
fonte: Cairn
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