"Nel nome della croce" parla dell'affermazione del cristianesimo nel IV secolo, ma dal punto di vista dei pagani e della cultura greco-romana. Da quella prospettiva, non c'è niente di eroico da celebrare e non mancano i documenti per testimoniarlo. Dalla ricostruzione degli eventi narrata da Catherine Nixey risulta evidente come il mondo classico fosse molto più tollerante di quanto comunemente si pensi e come i primi cristiani, o almeno molti fra loro, fossero molto più intolleranti e - più spesso di quanto ci si aspetterebbe - violenti. L'autrice ci guida nel corso dei secoli cruciali della tarda Antichità, portandoci ad Alessandria, Roma, Costantinopoli e Atene, mostrandoci torme minacciose di fanatici incitati da personaggi che non di rado in seguito saranno chiamati santi. La distruzione di Palmira, il linciaggio della filosofa neoplatonica Ipazia, la chiusura definitiva della millenaria Accademia ateniese e una quantità di altri episodi mostrano un volto nuovo e inaspettato di quei tempi difficili. Quando infine il cristianesimo divenne religione di Stato nell'impero, le leggi finirono l'opera di rimozione della cultura classica, imponendo a tutti la conversione al nuovo credo e condannando all'oblio gran parte della raffinata e antichissima cultura greco-romana. Si aprirono così, di fatto, le porte al millennio oscuro del Medioevo. Sono innumerevoli le opere che abbiamo perduto per sempre a causa del fanatismo profondo che animò quel periodo: magnifiche statue fatte a pezzi, roghi pubblici di libri, templi devastati, bassorilievi divelti, palazzi rasi al suolo. Dal punto di vista cristiano fu il periodo del «trionfo», ma per chi desiderava restare fedele agli antichi culti pagani e allo stile di vita tradizionale fu invece una sconfitta definitiva, al punto che lo scontro frontale tra la cristianità e il mondo classico che risuona in queste pagine non può non richiamare, fatalmente, le cronache dell'odierno Medio Oriente. La storica e giornalista Catherine Nixey ci regala un libro che scuote le coscienze e rovescia le prospettive mentre racconta un trionfo di crudeltà, violenze, dogmatismo e fanatismo là dove non pensavamo esistesse.
(dal risvolto di copertina di: "Nel nome della croce. La distruzione cristiana del mondo classico", di Catherine Nixey. Bollati Boringhieri)
Quando i fanatici eravamo noi
- I primi cristiani contro l’arte classica -
di Giorgio Ieranò
Orde di fanatici vestiti di nero arrivano dal deserto siriano per distruggere gli antichi monumenti di Palmira. Altri, in Egitto, assalgono i luoghi di culto di chi non abbraccia la vera fede. Bande di estremisti religiosi distruggono opere d’arte, massacrano gli infedeli, bruciano i libri profani, uccidono gli intellettuali che praticano il libero pensiero. Così Catherine Nixey, nel suo Nel nome della croce (Bollati Boringhieri, pp. 364, € 24), racconta il trionfo del cristianesimo. O meglio, come recita il sottotitolo, «la distruzione cristiana del mondo classico». I fanatici vestiti di nero non sono, infatti, i terroristi dell’Isis ma i monaci che secoli fa demolivano i templi degli idolatri. Anche a Palmira, dove gli archeologi hanno trovato la testa di una statua di Atena mutilata e sfigurata con furia iconoclasta alla fine del IV secolo, negli anni in cui l’imperatore Teodosio vietava i culti pagani. Insomma, per Nixey i cristiani di ieri erano come l’Isis di oggi, con san Giovanni Crisostomo nella parte del califfo al-Baghdadi.
Il libro di Nixey, uscito in Inghilterra nel 2017, è già un caso ed è stato tradotto in varie lingue. L’autrice, che vanta la sua formazione classica (ma tiene anche a informarci di essere figlia di un ex monaco e di una ex suora), racconta l’avvento della religione di Gesù come una storia di prevaricazione e violenza: l’ottuso radicalismo religioso dei cristiani distrugge la bellezza della cultura classica e lo splendore dell’impero romano. Il suo, più che un saggio, è un pamphlet. Leggendolo ci si trova trasportati in una dimensione quasi d’antan. Si torna alle polemiche di stampo illuministico contro la religione, ai feuilleton ottocenteschi sui crimini dei Papi o dell’Inquisizione, alla vecchia idea del Medioevo come «età oscura» (The darkening age è il titolo originale). Sullo sfondo si staglia l’ombra maestosa di Edward Gibbon che, nel suo Declino e caduta dell’impero romano, già imputava ai cristiani di avere istituito, con le loro sette rissose e fanatiche, «una nuova specie di tirannia».
Certo, come scriveva Franco Cardini nel suo Cristiani perseguitati e persecutori (Salerno Editrice, 2011), il cristianesimo non si è affermato solo «con l’amore e con la persuasione». L’altra faccia del martirio cristiano è la violenza che i cristiani stessi hanno esercitato nei confronti dei pagani. Violenza a volte dimenticata o rimossa dal velo pietoso di certa apologetica. Come dice Cardini: «Nella storia di solito la voce dei vinti viene soffocata e quindi non esiste un martirologio pagano». Ma i casi di intolleranza furono molti. Nel 392, per esempio, una folla di cristiani inferociti assale il Serapeo di Alessandria d’Egitto, uno dei templi più splendidi di tutto il mondo antico, riducendolo a un cumulo di macerie e devastandone la gloriosa biblioteca. E cristiani erano anche i parabolani, le bande di fanatici che, nel 415, aizzati dal vescovo Cirillo, fanno a pezzi la filosofa neoplatonica Ipazia dopo averle cavato gli occhi.
Il libro di Nixey racconta queste e altre storie (che, si badi, sono tutte vere) per dimostrare che il primo cristianesimo era integralisticamente votato alla distruzione della civiltà classica. Per esempio, si argomenta, se abbiamo perso così tanti testi antichi è colpa della censura e dei roghi di libri perpetrati dai cristiani. Ma in realtà il «genocidio culturale» che viene adombrato non ci fu, anche perché i Padri della Chiesa inserirono i classici profani nel curriculum educativo di un buon cristiano. La stessa visione del mondo pagano è un po’ naïve: un mondo di sano edonismo e gioiosa razionalità soffocato dall’oscurantismo cristiano.
Nixey oppone, per esempio, il libertinismo di Ovidio alla cupezza del monachesimo. Eppure l’impertinente Ovidio fu spedito in esilio da Augusto, mentre il Medioevo cristiano si è poi nutrito di letture ovidiane. Anche sostenere, a maggior gloria della tolleranza pagana, che i martiri cristiani furono pochissimi è vecchio cavallo di battaglia della polemica anticristiana (lo cavalcava già Voltaire nel suo Trattato sulla tolleranza). Resta il fatto che quelli tra IV e V secolo furono anni in cui il cristianesimo si affermò anche con la violenza. Ma in un contesto che, comunque, era molto ambiguo e ricco di chiaroscuri. Come insegna anche il caso del più fedele discepolo della martire pagana Ipazia, il filosofo Sinesio di Cirene. Che morì dopo essere stato eletto vescovo di Tolemaide, senza avere mai rinunciato alla dottrina neoplatonica.
- Giorgio Ieranò - Pubblicato sulla Stampa del 9 ottobre 2018 -
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