lunedì 29 aprile 2019

Contro la rivoluzione del capitale

Gilet gialli: una resistenza alla rivoluzione del capitale
- di Temps critiques -

Quale relazione?
Nel momento in cui troviamo d'accordo nel riconoscere una relazione fra il movimento dei Gilet gialli ed i processi contemporanei di totalizzazione e di globalizzazione del capitale - processo che abbiamo chiamato «la rivoluzione del capitale» -  diventa importante caratterizzare una tale relazione facendolo in maniera diversa da quella che parla di un semplice rapporto immediato di causa/conseguenza. È stato prodotto un flusso di discorsi e di scritti i quali affrontano questa determinazione causale: i Gilet gialli sono in rivolta contro ogni genere di disastro causato loro dalla «globalizzazione», i Gilet gialli sono le vittime de «La Finanza», delle aziende multinazionali e dello Stato che li taglieggia. Un'affermazione simile non è per niente falsa, ma rimane sommaria fino al punto di sfiorare la tautologia, dal momento che si potrebbe dire una cosa del genere riferita a qualsiasi rivendicazione categoriale. Inoltre, non tiene assolutamente conto del carattere inatteso ed imprevisto del sollevamento dei Gilet gialli; cosa che lo rende un avvenimento storico singolare.
Perciò, ci sembra più appropriato sostenere che i Gilet gialli hanno svolto la funzione di aver fatto emergere ed analizzare la rivoluzione del capitale. Questo è un effetto di disvelamento, di delucidazione, di rilevazione e di intervento, e ci sembra più giusto parlare in questi termini di quello che, in Francia e nel mondo, è il momento-dei Gilet-gialli.

Alcuni effetti dei Gilet gialli sulla rivoluzione del capitale
Rovesciamo il ragionamento. Anziché analizzare l'avvenimento Gilet gialli come se fosse una semplice conseguenza della rivoluzione del capitale, specifichiamo alcuni effetti dei Gilet gialli sulla rivoluzione del capitale:

- Quello che gli attivisti di sinistra, ed altri, hanno definito - per denigrarlo - come l'«interclassismo» del movimento dei Gilet gialli è un effetto della cancellazione di quelli che erano i confini ed i «collegamenti» di classe, che è stata prodotta dal processo di "moyennisation" [costituzione di una vasta classe media, e riduzione delle differenze fra le classi sociali] avviato alla fine degli anni '60. Una "moyennisation" che all'inizio, in seguito all'ultimo assalto proletario,  è avvenuta a partire dall'alto verso il basso. Da allora in poi, le varie crisi hanno come inceppato questo processo in una configurazione nella quale questa "moyennisation" sembra perdurare avvenendo sugli strati più bassi, con la pauperizzazione di alcune frazioni della popolazione, senza che però ci sia una proletarizzazione. È come se fosse stata messa a riposo la questione della «composizione di classe», nel senso in cui la intendevano gli operaisti italiani, ma senza quel paradigma di classe che serviva da paradigma teorico. Questo spiega la difficoltà a definire la composizione sociale assai diversa e molteplice dei Gilet gialli: classe media inferiore per alcuni, classe popolare per altri, plebe per altri ancora, ecc. Tutto questo si riferisce alla scomparsa delle identità di classe; e rivela la tendenza democraticistica della dinamica del capitale; il capitale afferma la sua utopia unificante e normalizzatrice. La subordinazione di uno strato sociale rispetto ad un altro in funzione di quello che è il suo posto nei rapporti di produzione - se non è scomparso - non è più il modo di dominio principale esercitato dal capitale, dal momento che i rapporti di potere si sono moltiplicati.

- L'utilizzo massiccio dei social network per mobilitare i Gilet gialli ai fini di qualsiasi tipo di azione, rivela non solo il potere delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione nelle interazioni collettive, ma costituisce un indicatore rilevante dell'individualizzazione dei rapporti sociale. Processo di individualizzazione e di particolarizzazione che è uno degli operatori centrali del potere de-socializzante del capitale. Ma il movimento dei Gilet gialli ha dovuto rovesciare proprio quest'ordine di cose, utilizzando le reti sociali al posto delle mediazioni tradizionali di mobilitazione, ed ha dovuto inventarsene delle nuove che le hanno sostituite rapidamente.

- Sulle rotatorie, nelle occupazioni delle piattaforme commerciali, nelle manifestazioni, nelle assemblee generali, i Gilet gialli non si riconoscono affatto, l'un l'altro, a partire dal ruolo che ciascuno di loro svolge nell'economia. Non c'è quel «tu dove lavori?» che, incontrando gli altri, è sempre la prima domanda che viene posta. Se viene formulata una domanda del genere, allora è piuttosto il «tu come vivi?». In quanto sono innanzitutto le condizioni di vita e le difficoltà che attengono al peggioramento del tenore di vita ad aver contribuito a formare quello che abbiamo definito come «un abito giallo che fa comunità» [che può essere letto qui] . Qui, stiamo assistendo ad un cambiamento fondamentale: mentre con la classe operaia, le condizioni generali di vita erano come se fossero integrate nelle condizioni lavorative, e secondarie rispetto ad esse, ora invece sono piuttosto proprio queste condizioni lavorative a costituire solo uno dei tanti elementi delle condizioni di vita. L'aumento delle tasse e delle imposte, l'ingiustizia fiscale, il fatto che venga fissato un prezzo, deciso dallo Stato, per quelli che sono i prodotti di prima necessità, la riduzione delle indennità (disoccupazione, alloggio), sono altrettanti dispositivi economici e di controllo finanziario che la rivoluzione del capitale presenta come se fossero delle fatalità. Ora, tuttavia, il movimento dei Gilet gialli ha osato decostruire questo fatalismo per mezzo di un movimento che si dichiara a favore di un reddito senza illudersi circa quella che è la relazione fra il reddito ed il reale potere di acquisto, una volta dedotte le spese obbligatorie. Il movimento dei Gilet gialli ha rimesso sulla scena tutti questi dispositivi, rivelandone il carattere eminentemente politico. In effetti, il modo che ha lo Stato - secondo livello del dominio - di ricollegarsi al primo livello dell'iper-capitalismo globale rivela quelle che sono delle scelte politiche e continua ancora a far parte del dominio degli Stati-nazione. D'altronde, la scelta europea della Germania, seguita dalla Francia, non è quella della Gran Bretagna e della sua Brexit. La scelta liberale dei Paesi Bassi, non è comunque quella dirigistica del Belgio e della Francia, e così via.

- Ma è anche vero che questa scelta dirigistica, a partire dal momento in cui l'aggancio al ciclo mondiale appare assai più facile, si è ristretta  quando al secondo livello lo Stato adotta una strategia che, schematicamente parlando,  coincide con quella del primo livello, ossia con quella del modello anglosassone.
L'abolizione dei servizi pubblici di Stato nei territori rurali e semi-rurali, la rapida e generale digitalizzazione dell'accesso alla pubblica amministrazione, la desertificazione medica, ecc. sono altrettante misure di «razionalizzazione» dei costi salariali e di «ottimizzazione» degli investimenti pubblici richiesti dalla rivoluzione del capitale. Le istituzioni dello Stato-nazione tendono ad essere riassorbite in una gestione da parte di intermediari virtualizzati. Per rispondere alle esigenze della globalizzazione, lo Stato tende perciò ad abbandonare la sua forma nazione per privilegiare quella della rete. Non è quindi un caso che il movimento dei Gilet gialli sia partito dalle piccole città e dalle campagne, dove questa marcia verso la società capitalizzata ed il suo processo erano stati più lenti. Laddove le riforme liberali hanno portato meno vantaggi rispetto agli svantaggi, al contrario di quel che è accaduto nel mondo delle grandi metropoli, che integra e obbliga immediatamente tutti a mettersi «a quel livello». Ma non è causa di ciò che si deve dedurre che questi luoghi siano disconnessi. Del resto le rotatorie sono dei perfetti esempi delle connessioni in cui il livello locale e quello globale si trovano ad essere immediatamente integrati. L'occupazione delle rotatorie, avvenuta all'inizio del movimento, è stata l'espressione di questa coscienza immediata.

- Sono stati numerosi gli interventi dei Gilet gialli contro questa rete di mediazione dello Stato. Riaffermando il ruolo della solidarietà e dell'uguaglianza svolto dallo Stato, i Gilet gialli dimostrano quale sia la potenza del comando del capitalismo sugli Stati-nazione. L'azione diretta dei Gilet gialli contro il potere dello Stato, concentrata su un capo di Stato europeista e pro-globalizzazione (cfr.: « Macron démission ») mostra da questo punto di vista quale sia l'intensità del processo di collegamento in rete di quelle che erano le vecchie mediazioni gestite dallo Stato-nazione-provvidenza in un paese strutturalmente e politicamente «in ritardo». Il Macron della «start up della nazione»  avrebbe dovuto recuperare questo «ritardo» attraverso una marcia forzata. Per ora, è stata invece la vecchia «questione sociale» che lo ha raggiunto per mezzo di un movimento di insubordinazione che ha rotto con un'apparente sottomissione alle recenti politiche di gestione dello spazio attuate dal potere (nuovi tratti di autostrade, rotatorie ad ogni incrocio, nuove lottizzazioni, ipermercati). Ed è stato proprio in questi spazi che il movimento ha sfruttato a suo profitto il proprio vantaggio bloccandoli (pedaggi autostradali, blocchi delle piattaforme della grande distribuzione e del commercio elettronico), o deviandoli da quello che era il loro utilizzo (rotatorie). Per mezzo di quest'azione, è stato mostrata la fragilità di un'economia di flusso basata sulla fluidità e sulla flessibilità permanente.

- Durante le manifestazioni, o perfino nell'espressione collettiva della loro parola, i Gilet gialli concentrano i loro attacchi contro il capitale, a partire da quelle che sono le figure concrete dei padroni del CAC40 o dei banchieri, e non del padronato in generale (MEDEF [N.d.T.: la confindustria francese]). Sanno che i primi sono coloro che hanno dei poteri esorbitanti al livello superiore del dominio, che è quello dell'iper-capitalismo e della globalizzazione. La parola «oligarchia», frequentemente usata dai Gilet gialli per designare il nemico, è un segno di quello che è il concomitante declino del conflitto di classe e di uno Stato-provvidenza che «socializzava» le disuguaglianze per mezzo di una politica sociale e fiscale compensatoria ed equilibrata. Quell'equilibrio che si realizzava in seno alle istituzioni democratiche dello Stato-nazione, oggi è sconfitto (si veda a tal proposito il nostro concetto « d’institution résorbée ») ed il «popolo» viene reindirizzato, senza mediazioni, contro quelli che sono i grandi di questo mondo. Essi, allora vengano designati e personalizzati dalla vendetta popolare come dirigenti politici indegni, come oligarchie patrimoniali (gli Arnalt ed i Pinault) e finanziarie «che andremo a cercare» oppure come struttura del «Sistema» (i tecnocrati di Bruxelles), sottovalutando in tal modo quella che è la forma reticolare dominante della ridistribuzione capitalista attraverso il processo di globalizzazione.

Queste osservazioni a proposito dei Gilet gialli, che rivelano ed evidenziano quella che è la rivoluzione del capitale, potrebbero continuare, ma già a partire da quanto detto finora siamo nelle condizioni di poter vedere come questo movimento sia già portatore di un potere di conoscenza e di azione che con ogni probabilità aprirà la strada ad un'uscita dal mondo del capitale. Ma cerchiamo di essere più chiari e precisi. Quando leggiamo, o sentiamo, da parte dei Gilet gialli: «Fine del mese, fine del mondo, la stessa lotta», noi non intendiamo questo nel senso catastrofico in cui lo intendono degli attivisti ecologisti, ma nel senso della «fine di questo mondo».

- Temps critiques -  Pubblicato venerdì 26 aprile 2019 -

Fonte: Temps Critiques

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