martedì 30 dicembre 2025

Un Uomo in Rivolta !!

Albert Camus, e il suo recupero reazionario
- di Alexis Lager, Remi Larue e Faris Lounis – Pubblicato su "Ballast" [*1]

   «Sei un intellettuale di sinistra?» Poche settimane prima della sua morte, Albert Camus rispose a questa domanda che gli era stata posta dal professor François Meyer: «Non sono sicuro di essere un intellettuale... Per quanto riguarda il resto, io sono per la sinistra, e lo sono malgrado me stesso, e nonostante essa stessa» [*2]. Seppure questa risposta testimonia una profonda disillusione circa i vagabondaggi della sua famiglia politica, e il ruolo che egli poteva ancora svolgere in essa, allo stesso tempo sottolinea anche, assai chiaramente, che alla fine degli anni Sessanta lo scrittore non aveva voltato le spalle alla sinistra. A quanto pare, sembra che in quel periodo gli ideali di uguaglianza, di giustizia ed emancipazione fossero ancora profondamente vivi in lui, cosa che spinse il giovane militante antifascista che era nel 1935 ad aderire al Partito Comunista Algerino (PCA), e a denunciare sulle pagine di Alger Républicain le iniquità del colonialismo. Il suo rifiuto dell'astrazione, e della sua critica inflessibile al dogmatismo ideologico - così come ai grandi sistemi totalitari di pensiero - spiegano sia perché venisse emarginato dai compagni di viaggio del comunismo dell'epoca – soprattutto dopo la sua rottura con Sartre – sia la sua vicinanza agli anarco-sindacalisti e alla sinistra libertaria. Contrariamente a quanto avesse fatto la Storia, la lucidità anti-totalitaria che Camus incarnava in quel tempo, sembra che gli abbia dato ragione negli anni '90, ponendolo come in uno stato di grazia, che gli venne offerto alla caduta del Muro di Berlino. Ma l'attuale unanimità mediatica intorno alla sua figura, e la strategia di recupero, attuata da parte della destra e dell'estrema destra, sembra che oggi stia ispirando, a sinistra, nuovamente sospetto, se non una palese sfiducia. Ci sono persino alcuni autori che ci invitano a dimenticarlo [*3]. Indubbiamente, l'anti-totalitarismo di Camus appare come permeato da un pensiero coloniale e da un eurocentrismo, il quale riesce in parte a spiegare l'assenza, ne "L'Uomo in rivolta", di qualsiasi riferimento critico al colonialismo in Africa e Asia. La sua critica al colonialismo, per quanto inscritta nel paradigma dei diritti umani, rimane incoerente – soprattutto perché non affronta in maniera abbastanza profonda la questione dell'espropriazione e dell'insediamento coloniale in quanto sistema. Le sue posizioni politiche, che non hanno mai previsto la fine della presenza francese in Algeria, ma che proponevano piuttosto  la costruzione di un federalismo, sembrano essere, viste col senno di poi, assai irrealistiche, quasi persino utopiche. Fare di Camus - in quella che è una lettura senza scrupoli che ignora ogni e qualsiasi rigore storico - un campione del «colonialismo dal volto umano», rimane a ogni modo del tutto assurdo. In una recente conferenza, dedicata al rapporto dell'autore con l'Algeria coloniale, è stato evidenziato con precisione quali fossero le ragioni che stavano alla base della complessa posizione di Camus [*4]. Come osserva una organizzatrice, è stato proprio questo evento ad aver costituito un'opportunità che è servita a sottolineare assai chiaramente quali erano i "limiti" della sua consapevolezza, laddove ci sono stati «altri, europei liberali a lui vicini, che sono riusciti ad operare di fronte alla crisi algerina» [*5]. La cecità di Camus, e la sua indecisione sulla questione coloniale annullano, a sinistra, qualsiasi rilevanza del suo pensiero politico? Figura estremamente popolare, oggi Camus è stato ridotto a posizioni ideologiche che polarizzano eccessivamente il suo pensiero. Non solo quest'ultimo, però, può ancora riguardare i nostri tempi, ma quel che sembra urgente è reagire, e non commettere il grande errore di abbandonarlo alla sua strumentalizzazione da parte della destra e dell'estrema destra. Il recupero degli intellettuali di sinistra, che non è iniziato con Camus, al livello più basso, lo trasforma in un debole pensatore della maggioranza, e a quello più alto, in una figura reazionaria, in un sostenitore dello scontro di civiltà. Una simile impostura, merita di essere analizzata e fortemente denunciata. Tuttavia, bisogna che venga accompagnata da una revisione critica delle posizioni politiche di Camus e delle ragioni del suo ancoraggio a a sinistra, in modo da uscire così dalla tentazione agiografica, e dalla sua iconizzazione mediatica. Nel 1955, l'autore ebbe a dichiarare: «Nel momento in cui ciò che viene chiamata sinistra - rinunciando al suo conformismo - riorganizzerà le proprie forze, così come la sua volontà di lucidità e la sua esigenza di giustizia riguardo l'idea di libertà, a quel punto forse rinascerà quella solidarietà che fu nostra e che, da parte mia, non ho mai né dimenticato né umiliato.» [*6] Settant'anni dopo, il suo appello continua a essere attuale. Camus rimane un pensatore di sinistra; e la sua famiglia politica, di ogni tendenza, deve tornare a impadronirsene.

Anatomia di un'impostura
    Se già allora, nella sua epoca, la destra cercò di recuperare Camus [*7], approfittando delle sue critiche alla sinistra cesareana-bonapartista e della rottura con Sartre, che lo marginalizzò rispetto alla sua famiglia politica; fu dagli anni 2010, segnati dalle esuberanti celebrazioni del centenario della nascita di Camus, che la posizione ideologica nei confronti dello scrittore cominciò a cambiare. Un simile contesto finì per favorire il suo recupero da parte della destra, in modo da catturare così la sua aura popolare e universalista, e imporre così meglio, in definitiva, una rimodellazione implicitamente reazionaria di quella che era stata una figura della sinistra umanista e anti-totalitaria. Questa inversione retorica, e l'imposizione di tale nuova narrazione ideologica sono strategiche. Nel 2009, con l'avvicinarsi del cinquantesimo anniversario della morte dell'autore de "Lo straniero", la proposta di Nicolas Sarkozy - allora Presidente della Repubblica - di far entrare Camus nel Pantheon, rappresentò la prima pietra di questa strategia di recupero politico; e fu questo il motivo per cui il figlio dello scrittore, Jean, rifiutò una simile pantheonizzazione. «Albert Camus, anarchico di sinistra, costituirebbe un altro grande colpo, portato a segno da Nicolas Sarkozy, nella sua politica di apertura», concludeva allora "Le Journal du Dimanche". In quello stesso anno, nel numero speciale dedicato a Camus [*8], Alain Finkielkraut, proiettando su Camus il suo tropismo "peguiysta", e la sua inclinazione passatista, ne faceva un "non-contemporaneo", un inattuale il cui «fiorire» nel nostro mondo «semplicemente non sarebbe più possibile» [*9]. «Egli non è esclusivamente di sinistra» [*10]. Quattro anni dopo, Henri Guaino, penna, e consigliere speciale, di Nicolas Sarkozy, in occasione del centenario della sua nascita pubblicò " Camus au Panthéon" , nel quale immagina il discorso che avrebbe potuto accompagnare la pantheonizzazione dell'autore, segnando una nuova fase nel processo di recupero. In un'epoca pre-macronista nella quale la divisione politica inizia a mostrare le sue crepe, ecco che Guaino cerca di sfumare i confini, dipingendo il ritratto di un pensatore che non è né di destra né di sinistra, e veicolando allo stesso tempo l'immagine di un Camus apolitico, una sorta di banderuola dalle posizioni incerte: «Non può aderire alla destra perché sentirebbe di tradire coloro in mezzo ai quali è nato. Egli si sente più vicino ai socialisti. Ma non abbastanza da potersi unire a loro» [*11]. La critica camussiana alla sinistra comunista stalinista venne riletta, prima dalla Nuova Destra e poi dalla Primavera Repubblicana, come se fosse una definitiva squalifica della sinistra e del progetto da essa portato avanti. La sinistra sarebbe – di per sé – violenta, radicale, e pertanto necessariamente totalitaria: in "Camus, notre rampart", pubblicato nel 2024, l'ex ministro socialista Hubert Védrine ritiene che l'autore sarebbe un "baluardo" contro il fanatismo del "wokismo" e contro le «nevrosi americane» della «cancel culture», le quali minaccerebbero l'insegnamento nelle Università francesi. In tal modo, Camus appare - erroneamente - come se fosse l'apostolo di un modo di pensare conservatore e attendista, come se fosse il guardiano immobile dello status quo sociale e politico. Contrariamente a questa riduzione, che neutralizza deliberatamente l'ardente preoccupazione per la giustizia sociale e per l'uguaglianza, propria di Camus, nella quale il pensiero politico dell'autore deve essere inserito, visto nel quadro di un socialismo libertario che non ha mai negato la possibilità di un progresso storico, ma che però si rifiuta di renderlo un'ideologia auto-realizzaztrice e messianica. La sua critica delle ideologie progressiste, alle «dottrine assolute e infallibili», non dovrebbe oscurare il fatto che per lui, «il miglioramento [...] della condizione umana» è possibile, ma che la sua realizzazione si possa effettuare in maniera "ostinata" e "caotica"[*12]. A metà degli anni 2010, la rivista eterogenea "Limite", di ispirazione cristiana e che affermava di superare la divisione sinistra-destra [*13] all'interno di quella che definiva una "ecologia integrale" decrescente e anti-liberale, partecipò in maniera sotterranea a questo movimento di recupero di figure di sinistra percepite come precursori dell'ecologia radicale, e che andavano da George Orwell ad André Gorz e a Simone Weil. Così facendo, "Limite" partecipò a una forma di legittimazione delle idee conservatrici nel campo intellettuale [*14]. In un'intervista con il filosofo belga Jacques Dewitte, pubblicata sulla stessa rivista, il giornalista Max-Erwann Gastineau diffuse nel seguente modo l'idea secondo cui il pensiero di Albert Camus rivela «la pervasività di uno spirito conservatore, che cerca di preservare ciò che è». Il bottino di guerra dei decrescenti, sarebbe stato il concetto di "limite" che ispira il titolo della rivista, e che è un modo per polarizzare ideologicamente questa nozione che Camus utilizza spesso nella sua analisi della rivolta e della violenza. All'inizio degli anni 2020, è la rivista di estrema destra "Causeur" a prendere il testimone. Gli articoli che essa dedicò al Premio Nobel, andarono ad alimentare la costruzione strategica di un Camus neo-reazionario. I titoli sono eloquenti ed espliciti: «Albert Camus, l'uomo in rivolta contro il progresso» (6 gennaio 2020), «Camus, un pensatore conservatore?» (10 gennaio 2020), «La destra non odia Albert Camus!» (8 marzo 2024), «Camus non avrebbe mai amato i César... »(5 marzo 2025). Michael Sadoun, uno dei giornalisti di "Causeur", non esita ad affermare a colpi di riduzioni storiche e di semplificazioni ideologiche che «Ai nostri tempi, Camus sarebbe stato probabilmente uno scrittore descritto come reazionario e di fatto un uomo bianco di oltre 50 anni. Le sue opere non corrispondono a quell'esigenza di diversità imposta, la sua filosofia non esalta né il cambiamento perpetuo né il desiderio individuale, ed si situa assai lontana rispetto ai creatori di sistemi e ai grandi accusatori dell'Occidente, i quali hanno forgiato il pensiero del maggio '68. Camus, è piuttosto uno di coloro che pensano che certe invarianti dell'esistenza umana debbano essere messe alla prova e amate, piuttosto che essere annientate per mezzo del progresso tecnico e a partire da fumose teorie»[*15].

   Un insieme di schemi reazionari, è alla base di questo estratto. Il pensiero di Camus non viene più compreso a partire dal contesto storico specifico in cui esso si inscrive, ma lo si fa a partire da una sorta di essenzialità ideologica circondata da menzogne. Il giornalista attualizza il ricorrente rimprovero mosso, al suo lavoro, per l'invisibilizzazione dei musulmani algerini, trasformandola qui in una qualità conservatrice: l'assenza di diversità etnica. L'inversione assiologica di questa critica consente di allinearlo alla doxa reazionaria contemporanea, tendendo subdolamente a fare di questa assenza una scelta deliberata – e quindi razzista – dello scrittore. Le ragioni di questa assenza, sono ovviamente assai diverse, e legate alla riluttanza di Camus a «parlare per i colonizzati, al loro posto, a testimoniare la loro esperienza», [*16] come ebbe a spiegare egli stesso allo scrittore Mouloud Ferraoun che lo intervistò sulla questione: «Non pensare che se non ho parlato degli arabi di Orano, ciò sia stato perché io mi senta separato da loro. Gli è che per metterli in scena bisogna parlare del problema che, in Algeria, avvelena la vita di tutti noi; avrei dovuto scrivere un libro diverso da quello che volevo fare. E per scrivere questo altro libro, tra l'altro, serve altresì un talento che io non sono sicuro di avere: forse lo scriverai tu, poiché sai, senza sforzo, come metterti al di sopra degli stupidi odi che disonorano il nostro paese» [*17]. Ma il giornalista di "Causeur" non si arresta  affatto di fronte alla promozione di un latente razzismo camusiano. Il commento sul «maschio bianco sui 50 anni» non ha altra funzione se non quella di iscriversi in una crociata "anti-woke". La formula secondo cui Camus non esalta il "cambiamento perpetuo" è particolarmente fallace, poiché presenta, ancora una volta, l'immagine fuorviante di un Camus politicamente quietista, laddove, in realtà, il suo pensiero e la sua vita sono sempre stati orientati verso la rivolta e l'azione. Inoltre, fare di Camus un pensatore che non è mai stato uno dei «grandi accusatori dell'Occidente», è totalmente falso. Ciò è dimostrato dal testo di "L'Uomo in rivolta", nel quale l'autore afferma che l'Europa, questa «terra dell'umanesimo», è diventata una «terra disumana», [*18] cosa che può essere letta come una critica alla «storia dell'orgoglio europeo» svolta per poter  mostrare meglio il suo vagabondare e il suo nichilismo omicida. Infine, affermare che Camus sarebbe il guardiano di «alcune invarianti dell'esistenza umana», significa omettere l'idea secondo cui, per lui, i valori umani non siano affatto dei dati assoluti che giustifichino la conservazione di un ordine gerarchico, bensì i frutti di una ricerca costante e di un instancabile movimento di rivolta. Un altro punto culminante della trasformazione di Camus in un'icona reazionaria: la pubblicazione, nel 2023, del libro di Olivier Gloag, "Dimenticare Camus", il quale, lungi dall'offrire un esame critico attento, onesto e scrupoloso della relazione di Camus con il colonialismo, scaglia intenzionalmente l'anatema sullo scrittore al fine di approfondire maggiormente il sospetto riguardo all'appartenenza di Camus alla sinistra. In tal modo, lo scrittore diventa così «un modello di umanesimo astratto che di conveniente – e di sospetto – ha qualcosa che soddisfa sia la destra che la sinistra» [*19]. Le reazioni della destra, e dell'estrema destra francese, non tardarono ad arrivare. Il lavoro di Gloag contribuisce, e non certo suo malgrado, a promuovere il recupero neo-reazionario dell'opera di Camus, in un gioco di posizioni ideologiche e di battaglie culturali; l'accademico viene pertanto presentato come se si opponesse alla «canonizzazione mainstream» di Camus, e i suoi critici conservatori appaiono come se fossero i veri guardiani della cultura, contro l'offensiva "woke" [*20]. Nello spostamento a destra di questa ricezione di Camus, contano anche le voci di alcuni scrittori algerini francofoni, in particolare quella di Kamel Daoud. Per quest'ultimo, che è anche editorialista a "Le Point", affermare Camus significa affermare la sua legittimità letteraria e intellettuale agli occhi della destra repubblicana francese. In una crociata permanente contro un "wokismo isterico", egli strumentalizza la figura di Camus al fine di legittimare le offensive reazionarie contro il "sinistrismo culturale" dei "decoloniali". Nel raccontare la pubblicazione del volume postumo "Actuelles IV", Kamel Daoud sostiene che Camus «non si identificò né con la sinistra né con la destra, cosa che l'ha protetto dall'essere dimenticato dai suoi contemporanei» [*21]. Attraverso la magia di una retorica dell'inversione, l'impegno di Camus contro i crimini del comunismo stalinista e contro la repressione sovietica della rivolta in Ungheria del 1956, agli occhi di Kamel Daoud, sarebbero stati l'equivalente delle sue proprie guerre culturali contro i seguenti spaventapasseri: «Islamismo, negazionismo, processi per islamofobia, abaya e contrizione, declinismo». Kamel Daoud, identificandosi con Camus, ha cercato invano di risolvere le contraddizioni della sua svolta reazionaria: «Anche oggi è difficile essere un intellettuale contemporaneo, vale a dire, né facente della sinistra – paralizzata dal suo senso di colpa e dal dogma della colpa dell'Occidente nei confronti delle ex colonie – né dell'estrema destra.» Forse, allora significa che l'intellettuale contemporaneo dovrebbe necessariamente trovarsi nel vuoto lasciato tra queste due posizioni, vale a dire, semplicemente di destra? Va notato che questa formula mantiene una sua ambiguità su questo argomento. Kamel Daoud dipinge un ritratto, essenzializzato dal lirismo che viene usato, di un Camus del "né-né": «Né a sinistra né a destra, ma in un presente scintillante e sfuggente. Sospettoso nei confronti dei profeti, dal momento che ce n'è sempre qualcuno. Del resto, come si può essere algerini e francesi allo stesso tempo? Ecco qual è un verdetto che si applica tanto a ieri quanto a oggi: una parte della stampa ha accusato Camus di tiepidezza rivoluzionaria, così come c'è stato chi ha lo accusato di tiepidezza decoloniale. Ieri, le famiglie politiche hanno taciuto sui crimini commessi a Est, per salvare l'utopia comunista; oggi si tace sull'islamismo per evitare di essere denunciati per islamofobia». Ci sono dei ponti tra passato e presente, che a volte si costruiscono nella fretta di identificarsi con una figura autoritaria. E qui, Kamel Daoud riconduce a sé il pensiero di Camus, il quale, nel suo tempo, non si espresse mai esplicitamente sul tema del fondamentalismo islamico, forse semplicemente perché questa domanda non veniva mai posta in questi medesimi termini. Il recupero, o l'identificazione, non sono mai attenti alla eventuale produzione di grossolani anacronismi. Le analogie sono piene di limiti, nel momento in cui non vengono supportate da scritti o fatti.

Combat: per un "socialismo libertario".
    Come si può rispondere a questo spostamento a destra, che fantastica a proposito di un Camus conservatore? Basta rileggere gli editoriali di "Combat" per rendersi conto del divario esistente tra il progetto "social-libertario" portato avanti dallo scrittore e il suo tentativo di recuperarlo da delle destre, persino dagli illiberali. In un testo pubblicato il 1° ottobre 1944, sulle colonne del quotidiano clandestino, l'autore delineò il seguente progetto: «Lo abbiamo detto più volte, desideriamo la riconciliazione tra giustizia e libertà. A quanto pare, sembra che però questo non sia ancora abbastanza chiaro. Chiameremo, pertanto, giustizia quello stato sociale nel quale ogni individuo riceve già in partenza tutte le sue possibilità, e dove la maggioranza di un paese non venga tenuta in condizioni indegne da una minoranza privilegiata. E chiameremo libertà, un clima politico nel quale la persona umana viene rispettata, sia per ciò che è sia per ciò che esprime» [*22]. E quindi Camus sarebbe di destra? Libertario di sinistra, piuttosto! L'equilibrio tra giustizia e libertà, che lo scrittore rivendica e che viene stroncato da parte dal suo recupero reazionario, il quale insiste solo sulla libertà, facendolo a scapito dell'uguaglianza, ma egli si ispira invece a quel movimento anarchico dei comuni laddove, secondo il filosofo Édouard Jourdain, «la libertà non può essere separata dall'uguaglianza [dal momento che esse] si sostengono a vicenda». Per poi aggiungere, andando ben oltre in quella che è la descrizione di questa combinazione di libertà/giustizia/uguaglianza: «La libertà senza uguaglianza è liberale, e giustifica lo sfruttamento di un individuo da parte di un altro; l'uguaglianza senza libertà è autoritaria, e giustifica la dominazione di un gruppo su un altro. In questo, l'anarchismo vuole essere un superamento, tanto del liberalismo quanto del marxismo. Il movimento dei beni comuni, può essere potenzialmente parte di una tale prospettiva, purché non venga ridotto a priori a certi beni (come i beni naturali) oppure a un certo economicismo che pretende di essere apolitico»[*23]. Tuttavia, Camus non si limita ai grandi principi. Il suo socialismo libertario si incarna e si dispiega nella vita quotidiana. Nell'editoriale già citato, egli va avanti nel descrivere la sua posizione: «La nostra idea è bisogna far sì che la giustizia regni sull'economia, e garantisca la libertà sul piano politico. Poiché stiamo parlando di affermazioni elementari, diremo quindi che, per la Francia, desideriamo un'economia collettivista e una politica liberale. Senza l'economia collettivista, che toglie al denaro il privilegio, per restituirlo al lavoro, una politica di libertà sarebbe un inganno. Ma senza la garanzia costituzionale della libertà politica, l'economia collettivista rischia di assorbire ogni iniziativa e ogni espressione individuale. Ed è in questo equilibrio, costante e stretto, che risiede non solo la felicità umana, che è solo un'altra questione, ma le condizioni necessarie e sufficienti a far sì che ogni uomo sia l'unico responsabile della propria felicità e del proprio destino. Si tratta semplicemente di non aggiungere alle profonde miserie della nostra condizione un'ingiustizia che sarebbe puramente umana. Insomma, e ci scusiamo per aver ripetuto ciò che abbiamo detto già una volta, vogliamo realizzare senza alcun indugio una vera democrazia popolare.»

   Rispetto dei diritti individuali, difesa delle minoranze e libertà di espressione, critica al capitalismo e al regno del denaro, misure di giustizia sociale, lotta contro le disuguaglianze di ricchezza e di condizione: all'indomani della Liberazione, queste idee attraversano tutte le proposte dell'editorialista di Combat, sia che esse siano favorevoli alla creazione di una federazione europea per riuscire a superare il nazionalismo, sia che parlino di una «economia internazionalizzata, laddove le materie prime saranno messe in comune, dove la competizione tra commerci si trasformerà in cooperazione, dove gli scambi coloniali saranno aperti a tutti». Idee che possono ancora portare in un momento di ascesa del nazional-populismo, della rinascita delle dinamiche imperialiste e dell'appropriazione di risorse. Due anni dopo, Camus proseguirà in questa direzione, con tutta una serie di articoli che saranno nuovamente pubblicati su Combat, e che egli poi ristamperà, con il titolo "Ni victimes ni bourreaux", nel suo primo volume "Actuelles". Una sorta di sintesi del suo impegno assunto a partire dalla fine degli anni '30, ma tenendo conto in maniera dettagliata del contesto storico della fine della Seconda Guerra Mondiale; la serie di articoli si impone quasi come annuncio de "L'Uomo in rivolta". Questo, ci permette, soprattutto, ci permette di avere un panorama assai concreto delle posizioni di Camus, le quali all'epoca erano già state oggetto di denuncia a causa della loro franchezza. Basandosi sull'osservazione secondi cui era la paura a dominare la costruzione ideologica di quell'epoca, nel corso dei testi Camus sviluppò una posizione internazionalista e libertaria che si oppone all'ascesa del blocco capitalistico, ma anche alle insidie della socialdemocrazia e del comunismo. Critica dell'utilizzo del termine rivoluzione; attuazione di un nuovo contratto sociale basato su delle istituzioni internazionali; abolizione generale della pena di morte: la «relativa utopia» [*24] che l'autore descrive, si costruisce nell'azione e va al di là dei grandi principi. Nell'articolo "Un nuovo contratto sociale", egli arriva persino a evocare un metodo che possa permettere di riflettere e di seguire queste strade: «Il movimento per la pace, di cui ho parlato, dovrebbe poter essere articolato all'interno delle nazioni e su delle comunità lavoratrici, al di là dei confini, basandosi su delle comunità di riflessione, le quali, secondo dei contratti di mutuo accordo secondo una modalità cooperativa, coinvolgerebbero quante più persone possibile e cercherebbe così di definire quali sono i valori secondo cui vivrà questo ordine internazionale, allo stesso tempo in cui ci militerebbero, in ogni occasione. Più precisamente, il compito che avrebbe, sarebbe quello di opporre delle parole chiare alle confusioni del terrore. allo stesso tempo in cui definirebbe quali sono i valori essenziali per un mondo pacifico. Un codice di giustizia internazionale, il cui primo articolo sarebbe l'abolizione generale della pena di morte, una chiarificazione dei principi necessari a qualsiasi civiltà del dialogo, potrebbe essere il suo primo obiettivo.»[*25] Questa visione internazionalista, che trae origine dalla tradizione anarco-sindacalista francese della prima metà del Novecento, avrebbe poi trovato una sua forma aggiornata in una federazione mondiale, la quale avrebbe consentito di rispondere alle sfide dell'epoca, andando oltre i confini, e quindi superando lo scontro tra le sovranità nazionali. Sebbene i contesti siano ovviamente assai diversi, non c'è alcun dubbio che una simile riflessione possa trovare echi al giorno d'oggi, al centro della riorganizzazione internazionale che stiamo vivendo. La base ideologica, che Camus ha costruito durante il suo percorso intellettuale, fin dai suoi primi anni da studente, sembra qui cristallizzarsi, subito dopo l'esperienza della Resistenza, nel cuore di un mondo che era polarizzato tra capitalismo e comunismo. Oltre ai principi e persino al di là del metodo, ci sono anche i numerosi incontri ed amicizie che lo scrittore ha mantenuto nei circoli anarchici e libertari tra gli anni '30 e '60, che hanno segnato il suo impegno social-libertario. Da Rirette Maitrejean – il cui vero nome era Anna Estorges, figura del contesto anarchico individualista – a Louis Lecoin e Lucio Urtubia, tutti questi legami sono stati numerosi, e diedero origine a diverse forme di scambio, talvolta concretizzatisi in pochi testi, o in apparizioni a delle riunioni pubbliche. Se vogliamo approfondire questo aspetto dell'impegno politico di Camus, dove l'anti-autoritarismo appare come una salvaguardia [*26], il lavoro di Lou Marin è una vera e propria miniera. Per Camus, ci sono molti limiti politici che non devono essere superati, se non si vuole rischiare di cadere lungo la scivolosa china della violenza e degli eccessi, come dimostra il suo "Caligola". Superare questi limiti sarebbe stato ciò che avrebbe spezzato «il bellissimo equilibrio tra esseri umani e natura [...] a beneficio della storia» [*27]. Così facendo, egli è davvero dalla parte dell'ecologia e della critica al progresso, a metà strada tra i «pensatori del vivente» e gli «anarchici naturisti», laddove le riflessioni di Camus oggi vengono giustamente ri-mobilitate.

L'esperienza naturista e la parte storica
    Per rendersi conto di quanto il pensiero di Camus colpisca, ponendosi esattamente al centro di queste questioni, nonostante il secolo che ci separi da esso, basta menzionare le attuali divergenze esistenti all'interno dei movimenti ambientalisti stessi, riguardo l'uso della parola "natura" («in seno alle nostre lotte, la natura è una nozione divisiva», [*28] come viene dichiarato dalle "Soulèvements de la terre") nel dibattito intellettuale (tra quei filosofi che sostengono il mantenimento di un tale concetto, come Renaud Garcia, Michel Blay, Patrick Dupouey e certi altri antropologhi del "vivente", e i sostenitori della cancellazione di questo concetto, considerano troppo antropocentrico (come Bruno Latour, Philippe Descola, Tim Ingold). All'inizio della Guerra Fredda, nel 1948, lo scrittore osservava che «La natura è sempre lì. Essa oppone i suoi cieli calmi e le sue ragioni alla follia degli uomini».[*30] Sarebbe un anacronismo [*31], considerare Camus come un "antesignano" dell'ecologia politica, o come un "pioniere" della decrescita. I due termini sono apparsi solo ben dopo la sua morte. L'etichetta di "naturista", proposta da Renaud Garcia [*32], è corretta in quanto essa permette, nella storia delle idee, di inscrivere lo scrittore in maniera ampia in questa «tradizione della filosofia morale ed esistenziale, che per molto tempo è stata l'eredità comune agli ecologi radicali» [*33], oltre a essere il loro terreno intellettuale. Essa ci permette inoltre di sottolineare l'importanza dell'esperienza sensoriale e del rapporto con il mondo, presente nel pensiero di Camus, il quale nel 1946 pianificò di scrivere un saggio sul «sentimento della natura», [*34] che alla fine però non avrebbe mai completato, ma in cui altri, dopo di lui, avrebbero comunque visto una «forza rivoluzionaria» [*35]. Possiamo confrontare le parole di Bruno Latour, il quale annunciava che «la natura sta per morire» e che «sì, il grande dio Pan è morto» [*36] con quelle di Camus ne "L'Uomo in rivolta", secondo le quali «l'uomo non si riassume solo nella storia [...] ma egli trova anche una ragion d'essere nell'ordine della natura», e pertanto «il grande dio Pan non è morto» [*37]. Effettivamente, fin dai suoi primi testi, Camus comprese la piena complessità della relazione tra gli esseri umani e il mondo naturale: tra una «interdipendenza ontologica» [*38] e immanente – sulla quale i pensatori del vivente fondano le loro proposte; e la permanenza di un'alterità radicale. Contrariamente all'ecologia del vivente, che evidenzia il tessuto relazionale e continuo tra umani e non umani, in una logica generale di integrazione, cancellando ogni specificità per minare il dualismo tra natura e cultura, Camus immagina anche la relazione di estraneità, di irriducibilità del mondo naturale di fronte alla esigenza umana di razionalità e di significato. Ne "Il Mito di Sisifo" la definisce "assurda": «(...)accorgersi che il mondo è “denso”, intravedere fino a che punto una pietra sia estranea e per noi irriducibile, con quale intensità la natura, un paesaggio possano sottrarsi a noi. Nel fondo di ogni bellezza sta qualche cosa di inumano, ed ecco che le colline, la dolcezza del cielo, il profilo degli alberi perdono, nello stesso momento, il senso illusorio di cui noi li rivestivamo, più distanti ormai che un paradiso perduto. L’ostilità primitiva del mondo risale verso noi, attraverso i millenni. [...]Ma il tempo non è ancora giunto. Un’unica cosa da notare: questa densità e questa stranezza del mondo costituiscono l’assurdo».[*39] Ma questa esperienza di non-senso non occulta la sensazione di una «fratellanza segreta»[*40], come di un legame sensibile, stretto e nutriente, con il mondo naturale, sia quello animale («Amo le piccole lucertole, anche quelle secche come le pietre su cui corrono. Sono come me, pelle e ossa», [*41] scrisse nei suoi "Taccuini") o quello vegetale («Sopra di me, un melograno lasciava pendere i germogli dei suoi fiori, chiusi e serrati come piccoli pugni che contengono tutta la speranza della primavera» [*42]," leggiamo in "Nozze". In quanto "naturista", Camus pensa che l'esperienza della bellezza non sia estetizzante, ma che essa dia origine a un vero e proprio combattimento corpo a corpo con la stessa carne del reale, combattimento la cui intensità si esprime nella scrittura e nell'arte.

    Lontano dalla standardizzazione mediatica che trasforma - tramite citazioni - i testi lirici di Camus in un'ambientazione da cartolina, a doverci frenare. è proprio la sensibilità e la profondità filosofica dell'esperienza descritta. Se questi «istanti di accordo» vogliono dire che Camus non crede nella «frattura tra il mondo e l'uomo», [*43] allora la natura, secondo lui, rimane un "enigma", quello del "divenire", visto in una rappresentazione ereditata dalla Grecia presocratica. Il lirismo di Camus tenta di trascrivere, mettendolo per iscritto, l'esperienza sensibile di questo divenire, di questo movimento che attraversa ogni forma di vita, così come la vive lui durante un suo soggiorno in Dordogna: «Qui la terra è rosa, i sassi sono color carne, le mattine rosse e incoronate da cariti puri. Il fiore muore in un giorno e subito rinasce sotto il sole obliquo. Durante la notte la carpa addormentata discende il grasso fiume; torce di efemere fiammeggiano intorno ai lampioni del ponte, lasciando nelle mani piume piene di vita e coprendo il terreno di ali e di cera da cui sgorgherà una vita fugace. Ciò che muore qui non può avvizzire. Asilo, terra fedele, è qui, viaggiatore, che bisogna tornare, nella casa dove si conservano la traccia e il ricordo, e ciò che dell’uomo non muore con lui ma rinasce nei suoi figli» [*44]. La natura, nelle sue varie differenti forme, umane o non umane, non può pertanto essere ridotta a una rappresentazione scientifica e intellettuale che tenterebbe di padroneggiare questo movimento del divenire secondo degli schemi astratti. La parola "mondo", la quale costituisce la prima delle sue dieci parole preferite, non riveste in alcun modo una dimensione astratta - quella dello spazio globalizzato -  ma, ben al contrario, costituisce una realtà profondamente incarnata, vissuta in un corpo, in una "carne". Camus non si fidava del razionalismo, e si chiedeva già, nel 1955, se il «credo assoluto nella ragione razionalista non sia responsabile di un restringimento e un ritrarsi della sensibilità umana» e non «finisse così per provocare una sorta di perversione, sia nell'intelligenza che nella morale» [*45]. Quell'«ordine della natura» che Camus riconosce, è pertanto quello del divenire, ben lontano dai ogni recupero reazionario – come Causeur o Eugénie Bastié – che riduce questo flusso di «equilibri transitori» e di «sconvolgimenti permanenti» [*46] a una norma biologica da preservare. «L’essere non può sperimentarsi se non nel divenire, il divenire è nulla senza l’essere. Il mondo non consiste in una fissità pura; ma non è soltanto movimento. È movimento e fissità» [*47]. Se Camus crede nell'esistenza di una "natura umana" – una nozione problematica per i pensatori del vivente, come lo è per l'antropologo Tim Ingold – ciò avviene perché non ola vede legata né a un capitale genetico né a una norma, né tantomeno come ridotta a una pura storicità auto-creativa. Il processo di umanizzazione, che Camus mette in discussione a lungo ne "L'uomo in rivolta", parte tanto da un movimento di consenso verso il mondo, dal sentimento di comunità vivente che gli esseri umani provano sia verso i loro simili sia verso il mondo naturale, quanto da un movimento di rifiuto di questa realtà che li impegna ad agire nella storia. L'umanizzazione, che Camus chiama rivolta, è pertanto un doppio movimento, nel quale la parte storica dell'uomo, e la sua appartenenza alla natura, devono essere bilanciate insieme: «La rivoluzione assoluta presupponeva infatti l’assoluta plasticità della natura umana, la sua riduzione possibile allo stato di forza storica. Ma la rivolta è, nell’uomo, il rifiuto di essere trattato come cosa e ridotto alla pura storia. È l’affermazione di una natura comune a tutti gli uomini, che sfugge al mondo della potenza. Certo, la storia è uno dei limiti dell’uomo; in questo senso il rivoluzionario ha ragione. Ma reciprocamente l’uomo, nella sua rivolta, pone un limite alla storia. Su questo limite nasce la promessa di un valore».[*48] Nella sua penna, l'utilizzo della parola «natura umana» designa derivante da un certo limite basato sulla dignità e sull'esercizio che gli esseri umani attuano riguardo la loro umanità. Questo limite evocato da Camus, diventa poi una tensione enigmatica, e si pone all'origine della perpetuazione dell'essere umano. Lontano da qualsiasi conservatorismo, o transumanesimo, Camus propone una terza via, la quale riecheggia quanto proposto da Miguel Benasayag e da Léo Coutellec, molti anni dopo, nel loro articolo "I nostri limiti non sono affatto i loro[*49]. I due autori distinguono tre forme di limite: il limite inteso come soglia, il limite-bordo e il limite-Frontiera.

   Il primo, quello della "soglia", interviene «allorché si possa dire che è possibile superarlo, ma che però comporterà un cambiamento significativo e negativo». È il limite superabile, quello che ci permette di dire che nulla è impossibile, e che la scienza si impegna a superare ogni giorno, senza tuttavia considerare quali saranno le conseguenze sul mondo e sui suoi abitanti. Camus comprese il rischio di superare questa soglia, allorché dichiarò che «i Greci non dissero mai che il limite non potesse essere superato», e che chiunque «osasse superarlo [...] sarebbe stato sconfitto senza pietà» [*50]. Ed è proprio questo limite quello che, nel transumanesimo, cerca di essere superato a tutti i costi grazie alla tecnologia. Il secondo, il limite-bordo, implica invece che «l'essere umano ha una forma determinata, e delle caratteristiche fisse, visibili e comprensibili, con contorni brevi che lo definiscono, e che quindi bisogna che non venga fatto scomparire, col rischio del post-umano o del transumano». Secondo questa visione della nozione di limite, troviamo una natura umana considerata tale da parte del conservatorismo assoluto, vale a dire, di un blocco iniziale da difendere a qualsiasi costo, di fronte agli assalti della storia e del progresso. È facile capire, alla luce di quanto già detto, che Camus non possa assolutamente assumere queste due forme di limite come sue proprie. Infine, l'ultima forma di limite che Benasayag e Coutellec evocano, è quella del limite-frontiera, questo «luogo nel quale la tensione tra l'illimitazione e l'autolimitaazione può essere espressa» A livello politico, pertanto, il limite-frontiera coinvolge gli esseri umani ponendoli «sul terreno conflittuale dell'arbitraggio, e nella gerarchia dei valori dovuti al processo decisionale», un terreno, questo, specifico della democrazia. Camus condivideva una tale visione del limite; quella di un confine in tensione, alla ricerca di «formule sociali grazie alle quali verrà realizzato [un certo] tipo di equilibrio, difficile da mantenere». [*51] Di fronte alla trasgressione del limite-soglia e all'artificializzazione generale della vita, a cui conduce la progressiva strumentalizzazione della scienza da parte dell'ideologia transumanista; di fronte a dei discorsi reazionari che riducono l'essere umano alla conservazione di limiti religiosi, sociali e biologici immateriali, la «natura umana»,così come viene immaginata da Camus, è un processo dinamico instancabile. E «piuttosto che a un'emancipazione», la quale presupporrebbe che alla fine si concretizzi l'esistenza di una realizzazione liberatoria, un tale processo sembra riferirsi piuttosto a «un'affermazione progressiva e mai raggiunta dell'uomo a partire da sé stesso» [*52].

- Alexis LAGER, Rémi LARUE, Faris LOUNIS - pubblicato su “!À contretemps" décembre 2025 –

NOTE:

[1] https://www.revue-ballast.fr/

[2] Actuelles IV, Gallimard, 2024, p. 397.

[3] Vedi Olivier Gloag, Oubli Camus, La Fabrique, 2023. Il libro di Faris Lounis e Christian Phéline, Finding Camus (Le Bord de l'eau, 2025), pur offrendo una critica ben argomentata dell'opera di Gloag, riposiziona, in una prospettiva storica, il rapporto di Camus con la colonizzazione e il colonialismo. Da parte nostra, ci riferiamo alla recensione di Nedjib Sidi Moussa sul libro di Gloag: "How to make to forget", online su.

[4] "Albert Camus e l'Algeria coloniale", 18 e 19 marzo 2025, organizzato da Catherine Brun, Christian Phéline, Agnès Spiquel.

[5] Agnès Spiquel, "Albert Camus e l'Algeria coloniale, il lungo confronto tra un uomo e una situazione. Prima valutazione di una recente conferenza", Chroniques Camusiennes, n° 45, aprile 2025, pp. 5-9.

[6] Estratto da un articolo pubblicato su L'Express nel 1955 con il titolo "Il vero dibattito", riprodotto in Œuvres complètes III, p. 1021.

[7] Il 26 giugno 1951, padre Bruckberger, amico di Camus, lo avvertì: "Sarai usato dalla destra, come Bernanos è stato usato dalla sinistra, e per le stesse ragioni." (Opere complete IV, p. 1222). Bruckberger non ha torto. Il 28 dicembre dello stesso anno, Michel Mourre recensì L'Homme révolté su Aspects de la France, il settimanale dell'Action française, con il titolo "La rivolta di Camus si unirà ai costruttori nazionalisti?" (ibid., p. 1224).

[8] La pubblicazione di una versione rilegata di questo numero speciale segnò la canonizzazione di Camus da parte del giornale.

[9] "Camus, il Contemporaneo", intervista ad Alain Finkielkraut. Intervista di Michel de Jaghere e Vincent Tremolet de Villers, "Camus, l'écriture, la révolte, la nostalgie", Le Figaro, numero speciale, dicembre 2009, p. 61.

[10] Ibid., p. 62.

[11] Henri Guaino, Camus al Pantheon. Discours imaginaire, Plon, 2013.

[12] Combat, 24 novembre 1944, riprodotto in À Combat, Folio, p. 369.

[13] "La divisione sinistra-destra è superata, è un trucco di vecchi idioti in disordine," dichiarò il direttore editoriale di Limite, Paul Piccarreta, nel 2016 (in: Arnaud Gonzague, "Médias: la nouvelle tribu réac", Le Nouvel Observateur, 5 novembre 2016).

[14] Con tutto il rispetto per Eugénie Bastié, cofondatrice della rivista prima di essere reclutata da CNews, che dichiarò: "Non rientriamo nelle caselle tradizionali, quindi, ovviamente, la tentazione è grande di dipingerci come sottomarini dell'estrema destra, che sfumano deliberatamente i punti di riferimento ideologici per ingannare le persone." (Arnaud Gonzague, "Media: la nuova tribù reazionaria", Le Nouvel Observateur, 5 novembre 2016).

[15] Michael Sadoun, "Camus, un pensatore conservatore?", Causeur, 10 gennaio 2020.

[16] Agnès Spiquel, "Albert Camus e l'Algeria coloniale, il lungo confronto tra un uomo e una situazione. Prima valutazione di una recente conferenza", Chroniques Camusiennes, n°45, aprile 2025, pp. 5-9.

[17] Lettera citata da Maciej Kaluza, "Rethinking Camus's Truce Appeals: Neither Coloniser and Colonizized in relation to Memmi's Colonial Dichotomy," Interventions: International Journal of Postcolonial Studies, Vol. 21, No. 2, 2019, pp. 219-234.

[18] L'Homme révolté, Complete Works III, p. 274.

[19] Presentazione del libro di Olivier Gloag sul sito web de La Fabrique.

[20] L'articolo di Eugénie Bastié sul libro di Gloag è ora archiviato nel dossier "L'offensiva woke" di Le Figaro. La giornalista apre la sua critica accusando queste "università anglosassoni" dove "far scendere i DWEM (Dead White European Menes) dai loro piedistalli è diventato un dipartimento a tutti gli effetti della ricerca occidentale."

[21] Kamel Daoud, "Il crimine di Camus, ieri e oggi", Le Point, 17 gennaio 2025.

[22] À Combat, Gallimard, Folio, pp. 235-326.

[23] À Combat, editoriale del 18 dicembre 1944, op. cit., p. 417.

[24] Termine usato nell'articolo "La rivoluzione travestita", Complete Works II, p. 445.

[25] "Un nuovo contratto sociale", Complete Works II, p. 451.

[26] Albert Camus e i libertari (1948-1960), scritti raccolti da Lou Marin, 2008, Égrégores. Questo libro è stato ripubblicato nel 2013, in coedizione con Indigène Éditions, con il titolo Albert Camus, Écrits libertaires (1948-1960), testi raccolti e presentati da Lou Marin.

[27] L'Homme révolté, Complete Works, III, p. 223.

[28] Le rivolte della Terra, Primi Tremori, La Fabrique, 2024, p. 158. Vedi in particolare il capitolo "Qual è la natura che si difende?", pp. 157-167.

[29] Opere complete, III, p. 599.

[30] "La tesi dei due autori [Alexis Lager e Rémi Larue] è stimabile, ma soffre di cadere nell'anacronismo storico," afferma Yves Ansel in una recensione pubblicata sul sito "En attendant Nadeau" [https://www.en-attendant-nadeau.fr/2025/03/18/actualites-dalbert-camus-actuelles/] sul nostro libro, Albert Camus, e Nature Against History (Il Cavaliere Gratis, 2024). Dall'introduzione, però, facciamo attenzione a evitare questa tentazione usando il termine "whistleblower" per parlare di Camus.

[31] Vedi Renaud Garcia, "La tecnologia è diventata un oggetto di culto", online su https://www.revue-ballast.fr/renaud-garcia-la-technologie-est-devenue-lobjet-dun-culte/.

[32] Renaud Garcia, Collapsologia o ecologia mutilata, L'Échappée, 2020, p. 135.

[33] Quaderni, Opere Complete II, p. 1072.

[34] In particolare Bernard Charbonneau e Jacques Ellul nell'articolo "Le Sentiment de la nature, force révolutionnaire", pubblicato per la prima volta sul Journal intérieur des groupes personnalisétes du Sud-Ouest nel giugno 1937, poi ristampato nel 2013 da Editions du Seuil nel loro libro collettivo Nous sommes révolutionnaires malgré nous.

[35] Bruno Latour, Politiques de la nature, Parigi, La Découverte, 2004, p. 42, citato da Michel Blay e Renaud Garcia in La nature existe, L'échappée, 2025, p. 30.

[36] L'Homme révolté, Complete Works, III, p. 299.

[37] Laurent Bove, Albert Camus, de la trasfigurazione, Éditions de la Sorbonne, 2014, p. 120.

[38] Il mito di Sisifo, in Complete Works, I, p. 228.

[39] Noces, Opere Complete, I, p. 45.

[40] Quaderni, Opere Complete, IV, p. 1298.

[41] Noces, Opere Complete, I, p. 109.

[42] Quaderni, Opere Complete, II, pp. 1072–1073.

[43] Quaderni, Opere Complete, IV, p. 1113.

[44] Il futuro della civiltà europea, Opere complete, III, pp. 995-998.

[45] Le rivolte della Terra, op. cit., p. 159.

[46] L'Homme révolté, Opere complete, III, p. 315.

[47] L'Homme révolté, Opere complete, III, p. 275.

[48] Miguel Benasayag e Léo Coutellec, "I nostri limiti non sono loro", Ecology & Politics, 2018/2, n° 57 (online su https://shs.cairn.info/revue-ecologie-et-politique-2018-2-page-117?lang=fr.

[49] "L'esilio di Elena", L'Été, Œuvres completes, III, p. 600.

[50] Il futuro della civiltà europea, Opere complete, III, p. 1001.

[51] Nota sulla rivolta, Complete Works, III, p. 332.

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