Un Marx anti-marxista
- di Freddy Gomez -
«In ogni caso, quello che so è che non sono marxista.» - Karl Marx -
Fino a poco tempo fa, la storiografia marxista prestava ben poca attenzione al Marx dell'ultimo periodo, e, più in particolare, ignorava del tutto un episodio che non era molto noto fino a poco tempo fa [*1]: vale a dire, agli scambi epistolari che egli mantenne, dal marzo 1881 in poi, con la militante rivoluzionaria Vera Zasulich (1849-1919) e, più in generale, con dei convinti populisti russi, come Pyotr Lavrov (1823-1900) e Nikolai Danielson (1844-1918), così come il fatto che esisteva, dal punto di vista di una via russa verso il socialismo, una possibile articolazione, la quale, senza passare attraverso la fase capitalistica, che attraverso certe strutture tradizionali della società – la comune rurale (in particolare il mir oobshchina – potesse portar alla costruzione di una società che così sarebbe preservata da tutti quei mali, presumibilmente transitori, insiti in qualsiasi società basata sull'accumulo di capitale. La vivace curiosità per l'argomentazione populista - che ovviamente contraddiceva le leggi necessariamente intangibili che il marxismo scolastico dominante aveva invariabilmente sempre riecheggiato - manifestata dall'autore de Il Capitale, nel migliore dei casi, poteva essere interpretata come se fosse il capriccio di un vecchio. Ciò, significherebbe ignorare il fatto che, prima di invecchiare, nel 1869, Marx abbia imparato la lingua russa; facendolo a costo di un grande sforzo, e tuttavia lo abbia fatto in pochi mesi, per poter così accedere agli scritti populisti. Nel 1870, German Lopatin (1845-1918) lo introdusse agli scritti di Nikolai Chernyshevsky (1828-1889) – tra i quali "Capitale e Lavoro" e il suo famoso "Che fare?". Senza contare poi che, contemporaneamente, coltivava anche dei forti legami di amicizia con Elisabeth Dmitrieff (1851-1910. o 1918), una delle direttrici del giornale populista Narodnaye Delo ("La Causa del Popolo"). Leggendo il libro di Löwy e Guillibert, si comprende quale sia stato l'interesse costante che Marx avesse riservato alla Russia in quel decennio, e più precisamente alla sua struttura agraria, alla forma della sua proprietà comunale, e al ruolo che la contadinità avrebbe potuto svolgere in un futuro processo rivoluzionario. Per farlo, egli si dedicò - annotandole scrupolosamente - alla lettura meticolosa di una quantità colossale di opere, e mantenne una corrispondenza costante con alcuni dei loro autori, ai quali mostrava assai spesso la sua simpatia e il suo sostegno. Per Marx, il compito fu talmente impegnativo al punto il suo sodale Engels – secondo il genero di Marx, Paul Lafargue [*2] – ne era davvero infastidito: «Vorrei gettare nel fuoco le pubblicazioni russe sulla situazione agricola, che per anni vi hanno impedito di portare a termine "Il Capitale".» Si percepisce chiaramente come il duo non stia più suonando la stesso spartito. Tuttavia, Marx cercò – e in parte riuscì – a condividere con Engels, il quale mostrava anch'egli delle forti simpatie per i populisti, il proprio interesse per la questione russa, ma non le nuove vie di riflessione a cui essa si apriva – e ancor meno la rivelazione che gli aveva apportato e che egli, in una lettera del 25 marzo 1868 al suo alter ego, riassunse così: «La gente si stupisce di trovare nelle cose più antiche quelle che sono anche le più moderne.» Se in Marx esiste una rottura con il marxismo dottrinario, è proprio questa. Tutto sembra suggerire che - come, ai suoi tempi, già sosteneva Maximilien Rubel - il libro dell'antropologo Lewis Morgan, "Ancient Society, or Researches in the Lines of Human Progress from Savagery, through barbarism, to Civilization" (1877) (senza dubbio una delle ultime letture di Marx) svolse un ruolo essenziale per quanto riguarda ciò che si può definire - per usare l'espressione di Pierre Dardot e Christian Laval - come «un approccio "antropologico" alla concezione marxiana del comunismo» [*3]. Per L. Morgan, il quale fu in un certo senso il re-introduttore della figura ciclica della storia, persa nel XIX° secolo, e dell'idea, importante in questa svolta marxista, secondo cui grazie a ciò che sopravvive del passato – in Russia, per esempio, la "comune rurale" – non è affatto necessario ricominciare da zero, ma occorre una rigenerazione che venga basata sul suo potenziale rivoluzionario. Da questa idea, essa stessa rivoluzionaria amche rispetto al corpus di questo Capitale che non è mai stato completato, poiché incompiuto, Marx, il vecchio Marx, alla fine tanto inquietante quanto lo era il giovane Marx delle Tesi su Feuerbach del 1845, giunse alla conclusione, tutto sommato radicale, secondo cui la prospettiva evoluzionista basata sulla maturità delle forze produttive, viste come condizione per la transizione al comunismo, non era più operativa. In altre parole, bisogna ricominciare a pensare da una prospettiva antropologica. Detto da lui, è espresso come: «Dovremmo partire dall'inizio.» [*4] Da dopo l'esperienza comunarda del 1871, e quindi anche alla luce di ciò che l'esperienza populista russa e la lettura - da ogni punto di vista e nel senso letterale del termine travolgente - di Lewis Morgan gli rivelano.
Il 16 febbraio 1881, Vera Zasulich scrisse a Marx, insistendo sul fatto che, per ogni rivoluzionario russo, il destino della comune rurale era centrale, e denunciava coloro che si facevano chiamare "Marcsistes" (sic) – «i vostri discepoli per eccellenza» [*5], aggiunse – i quali, ispirati da lui, la condannavano al fallimento, dal momento che «è Marx, a dirlo». E pertanto vuole sapere quale sia la sua posizione. Dopo quattro bozze, Marx rispose. Giustamente e appropriatamente, Löwy e Guillibert osservano come queste quattro bozze [*6], e la lettera di Marx a Zasulich, «costituiscono uno dei corpi di lavoro inediti più influenti per quel che attiene alle tradizioni eterodosse del marxismo». Questo è indiscutibile. Da ciò deriva il sacro oblio nel quale sono state a lungo confinate dal marxismo scolastico, senza dubbio per timore che potessero intaccarne l'immagine di infallibilità. Il marxologo Maximilien Rubel (1905-1996), attribuiva questa dimenticanza a una «cospirazione del silenzio». Lo storico Theodor Shanin (1930-2020) al fatto che alcuni marxisti più marxisti di Marx non esitarono a censurarlo. Due punti che, di fatto, non sono in contraddizione. Il silenzio ci fu, eccome, e fu lungo. La lettera a Vera Zasulich – e ancor di più le sue quattro bozze – «attestano», ci dicono Löwy e Guillibert, «la vicinanza assai stretta che Marx aveva alle posizioni populiste», da un lato, e corroborano, dall'altro, una chiara rottura nel pensiero di Marx, visto che «la critica del presente capitalista viene [d'ora in avanti] condotta in nome di un passato premoderno, il quale, sotto certi aspetti, prefigura il futuro emancipato dell'umanità.» La sua lettera specifica pertanto che «le analisi de Il Capitale si applicano soltanto all'Europa occidentale» (Löwy-Guillibert) e che «non si può escludere l'ipotesi secondo cui il comune rurale possa diventare il punto di partenza della "rigenerazione sociale" della Russia»; un'espressione, questa, che in realtà si riferisce al socialismo (Löwy-Guillibert). Inoltre, egli disconosceva i suoi cosiddetti discepoli russi ("marxisti") che, scrisse Marx, gli erano del tutto sconosciuti, a differenza dei russi con cui manteneva rapporti personali, e che «nutrono, per quanto ne so, opinioni piuttosto opposte» (Marx). Qui, si fa riferimento qui ai due esponenti vicini ai narodniki (populisti russi) Lavrov – desideroso di trovare punti di convergenza tra Marx e Bakunin (1814-1876) – e Danielson. «La Russia,» osserva Marx nella prima bozza della sua lettera a Vera Zasulich, «è l'unico paese europeo dove fino a oggi la "comune agricola" è stata mantenuta su scala nazionale. Non è stata preda di una conquista straniera, come per le Indie Orientali. Né vive isolata dal mondo moderno. In altre parole, si tratta di un'opportunità per la rivoluzione che arriverà.» Ricordiamo che, parallelamente alla scoperta di questa specifica problematica della "comune rurale", e delle sue potenzialità, Marx si trovava immerso nella lettura di Lewis Morgan, e che nell'ampliamento della sua analisi, essa giocò un ruolo decisivo. Ciò è dimostrato da questa frase di evidente essenza morganiana, laddove egli sottolinea come la crisi del capitalismo possa creare le condizioni per un «ritorno della società moderna a una forma superiore del tipo più arcaico: la produzione collettiva e l'appropriazione» [*7]. È comprensibile che l'ortodossia marxista si sia chiesta quale insetto avesse punto il profeta spingendolo a mettere tutti in imbarazzo, e abbia quindi deciso di ignorare questa distorsione analitica. Fu così che Plekhanov, originariamente populista e poi futuro leader menscevico, cadde nell'anti-populismo, e nella pura scolastica marxista evolutiva. Lenin (1870-1924), che aveva perso un fratello nell'avventura populista, e per il quale la popolazione contadina poteva diventare rivoluzionaria solo proletarizzandosi, difese la medesima linea di Plechanov asserendo che «il capitalismo agrario in Russia [era] una considerevole forza progressista» [*8] Per quanto riguarda Trotsky (1879-1940), da giovane molto vicino ai narodniki, che giustamente considerava "romantici", anche lui abbracciò il dogma, seppure con riluttanza. Infine, Rosa Luxemburg (1871-1919), la quale forse malgrado tutto, secondo il suo proprio giudizio, si sarebbe considerata meno dogmatica, convalidò a ogni modo la posizione di Engels, secondo cui la "comune rurale" fosse solo un «anacronismo storico» [*9]. Va notato, di sfuggita, come sottolineano Löwy e Guillibert, che quando Marx, faceva della "comune rurale" il punto di partenza di una possibile "altra via" verso il socialismo, la quale non passerebbe automaticamente attraverso la fase capitalista, i suoi discepoli rispondevano con la riaffermazione del dogma, con il pretesto che le Sacre Scritture del Capitale non possono essere toccate.
Ecco perché questo caso è piuttosto unico. Pensando contro sé stesso – e, per dirla in altro modo, contro l'ideologia meccanicistica che il marxismo era già diventato – l'ultimo Marx, nel proprio campo, non riesce più a farsi sentire. In breve, la cosa è inquietante. Insomma, dà fastidio. Proprio come dava fastidio il giovane Marx quando demoliva allegramente certe reputazioni consolidate e le vanità dei loro autori. Ma in questo caso la defezione è reale e, alla fine, generale tra i suoi presunti sostenitori. In altre parole, la dottrina ha trionfato. Sarà assunta, in maniera strumentale, dalla socialdemocrazia e, meccanicamente, dal marxismo-leninismo. Con tutte le conseguenze che conosciamo. Si potrebbe pertanto pensare che il vecchio Marx abbia commesso un errore, nell'intraprendere questa svolta teorica degli ultimi anni. Sulla questione se egli avesse ragione o torto, Löwy e Guillibert sottolineano che, se la Rivoluzione Russa, nel contenuto, era certamente più proletaria che contadina, i contadini hanno avuto un ruolo essenziale in essa e che, come testimoniano alcuni anarchici, le tradizioni comunitarie – come ha osservato il sottile osservatore Pierre Pascal (1890-1983 [*10] ) – esercitarono senza dubbio una certa influenza nella formazione dei soviet; un'opinione questa, condivisa dallo storico Moshe Lewin (1921-2010). D'altra parte, come sottolineato dagli autori, Marx aveva sicuramente ragione quando evocava «la possibilità che la rivoluzione iniziasse prima nei paesi periferici, meno industrializzati, con forze produttive capitalistiche ancora limitate e forme sociali “arcaiche”, prima che raggiungesse il centro». Molto opportuno, è inoltre il paragone che Löwy e Guillibert fanno, tra le tesi del tardo Marx e quelle, ancora oggi poco conosciute, difese, dall'altra parte del mondo, dal grande pensatore marxista peruviano José Carlos Mariátegui (1894-1930), fondatore nel 1926 della rivista "Amauta". Per lui, nessuna prospettiva di vera emancipazione sociale era possibile, senza che essa si basasse sulla vitalità delle «tradizioni comunitarie della contadinità andina», e sul suo passato «comunista inca». Come se si riecheggiassero le aspirazioni dei narodniki e, probabilmente senza conoscerle, le intuizioni del tardo Marx.
In questi tempi maledetti, in cui il capitalismo ci sta conducendo al peggio – crollo generalizzato e guerre – è ovvio dire che queste intuizioni continuano a essere ancora rilevanti. Sono esse che devono nutrire qualsiasi prospettiva rivoluzionaria che si preoccupi di non riprodurre gli errori del passato. E per farlo, nulla ci sembra più utile del citare, in omaggio al suo lavoro di pioniere, questo estratto da Maximilien Rubel: «Da nessuna parte e in nessun momento vediamo, in queste riflessioni, la minima allusione alla necessità di un apparato politico onnipotente che debba sostituire la spontaneità attiva dei contadini russi, per poi guidarli sulla strada della liberazione; oppure, di un partito che dispensi questa liberazione.» [*11] Partendo da questa citazione, possiamo avanzare, secondo l'ultima ipotesi, che forse sia stata questa la causa dell'accoglienza ostile che i marxisti partitici e dogmatici – a differenza di alcuni eterodossi – riservarono agli ultimi testi di Marx, per usare un eufemismo.
- Freddy GOMEZ -
MICHAEL LÖWY et PAUL GUILLIBERT, "MARX NARODNIK. Les populistes russes, le communisme et l'avenir de la révolution". L'échappée, « Versus », 128 p -
NOTE:
[1] Con poche eccezioni degne di nota, fra cui, tra le altre, quella di Maximilien Rubel – marxista e non marxista – che fu il primo a dedicargli pagine particolarmente ispirate (Rivière, 1957) [pp. 340-351 della ristampa di Klincksieck, 2016] nel suo Karl Marx, essai de biographie intellectuelle, un'opera prefazione di Louis Janover, a quella di Pierre Dardot e Christian Laval, autori di "Marx, nome di battesimo: Karl" – Gallimard, Essais, 2012 – dove questa questione viene affrontata [pp. 657-672] in un continuum storico che va dall'esperienza della Comune di Parigi a quella dei populisti russi, il cui effetto sarebbe stato, nel caso di Marx, di operare una sorta di "deviazione dalla strada" basata sul desiderio di emanciparsi dalle vecchie certezze. Espresse lui stesso questo desiderio al suo amico populista Nikolai Danielson, traduttore russo del Libro I del Capitale: "Dovremmo ricominciare da capo."
[2] Paul Lafargue, "Friedrich Engels. Memorie personali", in Memories of Marx and Engels, Foreign Language Editions, Mosca, 1953, p. 93.
[3] Pierre Dardot e Christian Laval, Marx, nome: Karl, op. cit., p. 665.
[4] Lettere di Marx a Danielson del 13 giugno 1871 e del 13 dicembre 1881. Il passaggio è citato da Michael R. Krätke in "The Last Marx and Capital", Actuel Marx, 2005/1, n° 37, PUF, 2005.
[5] Va però notato che due anni dopo – nel 1883 – Vera Zasulich aderì al primo gruppo marxista russo – "Liberazione del Lavoro" – fondato da Plekhanov (1856-1918), che fece parte della redazione di Iskra e che radunò i menscevichi in un'opposizione radicale e virulenta alle tesi di Lenin.
[6] Furono trovati nel 1911 nei documenti del genero Paul Lafargue. Per quanto riguarda la lettera inviata a Vera Zasulich, fu scoperta nei documenti del marxista russo Pavel Axelrod (1850-1928) e pubblicata nel 1923 dall'archivista e storico Boris Nikolaevsky (1887-1966).
[7] Vedi Kolja Lindner e le edizioni dell'asimmetria, The Last Marx, 2019, p. 272.
[8] Lenin, Opere III, Lo sviluppo del capitalismo in Russia, Editions du progrès, Mosca/Éditions sociales, Parigi, 1969, p. 14.
[9] Rosa Luxemburg, L'accumulo del capitale, Opere complete, Volume V, Agone, Marsiglia/Smolny, Tolosa, 2019, p. 278.
[10] "Il mir si è ripreso con la rivoluzione, non solo non è morto, ma è tornato in vita, è risorto dove apparentemente era scomparso, e da allora ha funzionato in modo diverso. […] Fu sufficiente per far scomparire la pressione governativa e far rilanciare il comune. C'erano terre da dividere, decisioni da prendere, un ordine sociale da ristabilire: l'assemblea comunale era pronta a svolgere questo ruolo. (Pierre Pascal, Civilisation paysanne en Russie, Losanna, L'Âge d'homme, 1969, p. 31.
[11] Maximilien Rubel, Karl Marx, essai de biographie intellectuelle, op. cit., p. 349.
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