Rivoluzione Teorica Incompiuta
- Introduzione al libro "Denaro senza Valore" - Luglio 2012 -
di Robert Kurz
Le teorie grandi e influenti, sfociano sempre in scuole di interpretazione, e percorrono una storia che va ben al di là delle loro origini, che viene portata avanti mediando con la storia della società. La teoria di Marx, in termini storici, è ormai sedimentata: più di 125 anni dopo la morte del suo creatore, ha provato, da molto tempo, di essere una delle più poderose teorie di tutta la storia del pensiero; e questo sebbene non sia disponibile come se essa fosse una sorta di "insieme artistico" (come Marx avrebbe voluto pretendere dalla sua esposizione), ma più, quasi, come un immenso tronco, costituito da masse di testo, a volte tra loro eterogenee. A causa e a partire dalla sua forma, questa teoria non può essere integrata in quelle che sono le schematizzazioni del mondo accademico; dal momento che essa affronta, in termini espitemici, anche la comprensione del cosiddetto metodo scientifico. E questo perché Marx ha operato una cesura paradigmatica, la quale dev'essere definita come se fosse una "rivoluzione teorica"; e questo a ragione. Ma è proprio tale carattere, intrinseco alle riflessioni di Marx, ad aver dato luogo - e continua a dar luogo - a dubbi e a conflitti; e tutto ciò a causa del fatto che mai, per una sola volta, sia stato condotto alcun "assalto" paradigmatico. Pertanto, la rivoluzione teorica di Marx rimane, necessariamente, una rivoluzione incompiuta e, in questa misura, non è solo incompleta, ma è anche passibile, e carente, di interpretazione. Come ogni teoria poderosa, anche quella di Marx viene filtrata per mezzo di quella che è stata la sua storia interpretativa, e ciò avviene soprattutto in due modi: da una parte, la critica radicale dell'economia politica ha provocato una reazione affermativa da parte della scienza borghese che, proprio a causa del suo carattere reattivo, si è vista essa stessa costretta a un'interpretazione dell'oggetto in esame e, senza volere, ha assorbito elementi di quello stesso oggetto, seppure volesse negare qualsiasi "scientificità" a Marx; senza però essere tuttavia capace di riflettere sul contenuto di una teoria veramente critica della scienza. Dall'altro lato, la teoria di Marx è stata recepita in maniera positiva ma, com'era inevitabile, ciò è avvenuto a partire da una griglia interpretativa continua, e condizionata sia dalla contemporaneità che dalla società, che si è cosi manifestata, pertanto, come una storia del marxismo; la quale, simultaneamente, è stata determinata dalla controversia con le reazioni borghesi coeve (politiche e teoriche), costituendo così alla fine, e insieme a esse, un vasto campo del discorso storico. Il marxismo, si è differenziato in scuole, e relative battaglie interpretative che si sono caratterizzate per l'intendimento secondo cui la rivoluzione teorica di Marx si fosse conclusa, innalzando la sua opera principale a una sorta di bibbia. Tolte alcune eccezione (come quella di Rosa Luxemburg, sebbene in maniera limitata), nella storia della sua ricezione non c'è stato alcun confronto aperto coi concetti fondamentali della teoria di Marx; la critica marxista a Marx, si è riferita, tutt'al più, a dei fatti empirici, la cui mediazione con le determinazioni della riflessione teorica rimaneva del tutto nell'ombra. Così, le basi categoriali della critica dell'economia politica sono state solo oggetto di interpretazioni diverse, ma non di un ulteriore sviluppo. Apparentemente, Marx apriva una prospettiva che andava ben oltre l'orizzonte di comprensione di quella determinata epoca. Come disse Rosa Luxemburg, «ci aveva superato in anticipo». Pertanto, il carattere incompleto della teoria di Marx si manifestava solo indirettamente, e la cosa avveniva nell'ambito del confronto e nelle differenze interpretative, facendola così assomigliare a una disputa teologica. Sebbene le scuole filosofiche e scientifiche borghesi, si fossero raramente comportate in maniera diversa, la contro-reazione affermativa si aggrappò - con gratitudine - alla teologia interpretativa del marxismo, in modo da poter così respingere del tutto il testo della rivoluzione teorica, denunciandola come "ideologica", o come "metafisica". In tal modo si riuscì a enfatizzare il carattere ideologico e metafisico del positivismo (borghese), e la cosa riscosse il medesimo successo che aveva avuto il carattere della metafisica reale della società feticista capitalista. La storia interpretativa marxista, mancava di spiegazione, ma tale spiegazione - e soprattutto la necessità della stessa - sarebbe stata possibile solamente se la corrispondente storia, nella sua limitazione, fosse stata intesa in quanto tale. In realtà, tutto il campo del discorso storico cui apparteneva il marxismo, aveva cominciato ad appannarsi, e in maniera peculiare a partire dalla fine del XX° secolo, e tutto questo malgrado il fatto che i processi di crisi della società globale si stessero acutizzando in quelli che erano i suoi nuovi modelli; o forse proprio per questo. Le attuali esigenze capitalistiche richiedevano, a gran voce e più che mai, una critica radicale, ma sembrava che, apparentemente, con il cambiamento delle condizioni storiche, una simile critica, se vista nel quadro della griglia interpretativa del marxismo, non fosse più formulabile, proprio perché da tale griglia veniva paralizzata.
Ma tuttavia, la paralisi di un paradigma non ha mai impedito ai suoi difensori di trincerarsi identitariamente, o di combattere in ritirata, fino alla propria auto-dissoluzione. A volte, il processo di decomposizione viene mascherato da una "evoluzione" che, tuttavia, non rappresenta altro che delle varianti di un agganciamento, ostentato o inconfesso, alle teorie borghesi che si sono sviluppate storicamente in parallelo col marxismo. In questo si vede come ci si seppellisca, insieme ai vecchi avversari, in un campo discorsivo che ha smesso di essere veritiero. Le costellazioni e le congiunture di questa telenovela, che parla di una comprensione della teoria di Marx diventata obsoleta, possono essere viste mentre esse vanno in una successione sempre più veloce; non possiamo ignorare che la storicizzazione del marxismo, ivi inclusi i suoi epigoni, sia all'ordine del giorno della teoria critica, senza la cui riformulazione però il cosiddetto "postulato della prassi" della sinistra, può solo essere ridicolizzato. Storicizzazione, significa che una storia è arrivata alla fine, ed essendo finita, essa deve essere oggetto di riflessione visto da una prospettiva nuova e differente. Le scuole della storia interpretativa marxista, si sono esaurite, e la cosa rimanda all'esaurimento del loro campo di riferimento storico. Dalla "ortodossia" di Kautsky, al "revisionismo" di Bernstein, dalla teoria leninista della rivoluzione, alla "filosofia della prassi" di Bloch o di Gramsci, e dal "marxismo occidentale" fino a tutte le ramificazioni della cosiddetta "nuova sinistra", esse appartengono tutte ad un'epoca defunta che, se la critica sociale radicale vuole superare la propria impotenza, va definita teoricamente. Il fatto che sia arrivata l'ora di una profonda cesura si manifesta anche (spesso in modo involontario) nella letteratura accademica, sia quella favorevole a Marx che quella critica di Marx. In entrambi i casi, si afferma sempre più quello che è un punto di vista sinottico, nel quale le scuole del passato vengono elencate per poi essere messe in relazione le une contro le altre. Il loro carattere - per la maggior parte dei casi che si limitano alla filologia di tale letteratura di analisi critica, sotto forma di una sorta di "entomologia" del marxismo, con etichette e perfino con tabelle della storia della teoria - non riesce nemmeno a negare che quella che si sta marcando, è una cesura storica ancora indefinita. Ciò di cui essa consiste, e quello che è il suo obiettivo, costituisce, come si dice, un assunto "polemico". Tuttavia, non siamo più davanti ad una guerra di trincea tra posizioni formulate fino all'esaurimento, che poi si differenziano in una determinata costellazione interpretativa, e il cui campo di riferimento principale (all'incirca dalla metà del XIX° secolo e fino alla fine della II guerra mondiale) costituiva un punto cieco comune, o un presupposto incontestabile. Invece, oggi la teoria di Marx viene, da una parte, collocata, dal mondo accademico, sul piano della storia delle idee e fatta accomodare in un museo classico; mentre, dall'altra parte, viene ecletticamente amalgamata con le attuali tendenze ideologiche e/o subordinata, in maniera leggittimatrice, alle necessità politiche dei movimenti pre-teorici, senza tornare a radicalizzarla - a livello del XXI° secolo - in quanto contrarietà sovversiva per l'ordine vigente. Così facendo, si rende inevitabile un sondaggio e una definizione concettuale di quello che è un terreno ancora sconosciuto, in quanto solo a partire da questo si può gettare luce su una costellazione che è ormai di per sé passata. E quando ciò non avviene, allora non si può più formare, a causa delle alterate condizioni storiche, un campo discorsivo nuovo e stabile, relativo alla rivoluzione teorica di Marx e al suo sviluppo ulteriore. Nella maggior parte dei casi, quello che si fa passare per questo, fa parte proprio del processo di dissoluzione del marxismo. In questo inter-mondo, la riflessione critica comporta necessariamente un rischio elevato, e deve incontrare il suo destino solo nella determinazione della cesura storica. Bisogna chiarire non solo la relazione di tensione della storia del marxismo con la teoria di Marx, così come, e soprattutto, il modo in cui il marxismo storico si sia alimentato dell'incompletezza di questa teoria, a causa proprio del suo postulato di completezza, tentando di risolvere le contraddizioni dei contenuti in maniera interpretativa ed unilaterale. Il fatto che, in termini oggettivi, si sia aperto un nuovo terreno storico è qualcosa di ben presente - tanto nel discorso ufficiale quanto nel discorso di sinistra della critica sociale - nell'espressione corrente di "fine di un'epoca", dove per questo si intende, nella maggior parte dei casi, superficialmente, il collasso del "socialismo reale" e la fine della Guerra Fredda. Tuttavia, questa rottura eclatante è stata solamente il fenomeno superficiale di un processo ben più profondo e che, da molto, si era già manifestato nella decadenza del vecchio movimento operaio, e nell'affievolirsi della "lotta di classe" storica. Lo sfondo di tutte queste manifestazioni, è costituito dallo sviluppo capitalistico delle forze produttive, che avviene nella transizione della terza rivoluzione industriale della microelettronica, la quale non solo rappresenta una mutazione tecnologica nel disegno dei nuovi processi di razionalizzazione (forme di informazione e di comunicazione, Internet), così come rappresenta un capovolgimento delle condizioni sociali e culturali; ma tutto questo ha finito anche per costituire il capitale globale, e ha portato a un processo di crisi planetaria di nuovo tipo. Quel che ora importa sapere, è se questa rottura sia avvenuta nell'ambito di una storia continua - significando in tal modo solo una modificazione delle strutture basilari della società moderna, la quale continua ancora a essere capace di svilupparsi sul suo proprio terreno - oppure se si tratti di una fine della Storia, in quanto storia della modernizzazione; e pertanto di una rottura strutturale di ordine superiore. Dalla risposta a questa domanda, dipende il modo in cui ora vengono trattati i fenomeni a livello teorico, e di come essi vengono integrati nell'auto-riflessione della Critica Radicale del Capitalismo: ossia, se questa ha bisogno solo di modificarsi, in modo da poter così tenere il passo con le alterazioni, oppure se essa deve operare, in sé stessa, una vera e propria rottura consapevole, la quale metta profondamente in discussione tutta la comprensione precedente. Quando la letteratura di analisi del marxismo - filologica e superficiale - ci rimanda in forma implicita e - nella maggior parte dei casi - inconscia a una profonda cesura nella storia della teoria - e alla fine di tutto un discorso - ecco che vediamo che quest'allusione a una cesura endo-teorica, ancora non maturata appieno, può essere compresa solo nella misura in cui essa possa essere relazionata alla Storia della Società Reale, e alla "Fine di un'Epoca" di tale società reale. Di conseguenza, bisogna tematizzare le condizioni storico-sociale in cui si inquadra la discussione teorica.
In questo saggio, rispetto a tutto questo, possiamo procedere solo marginalmente, soprattutto per quanto riguarda il contesto dell'analisi critica della Teoria della Crisi di Marx, che rimane solo come se fosse la "desiderata" di un'elaborazione teorica. e di un'ulteriore analisi. Qui si tratta soprattutto di un contesto avvolgente, il quale proietta una qualche luce sulla Rivoluzione Teorica di Marx, e sul suo carattere incompiuto, in modo che così possa indicarci la strada di un'ulteriore evoluzione; il che comporta sapere in cosa consista il "nucleo temporale" della teoria di Marx, vale a dire, sia i suoi limiti storici che i momenti i quali puntano oltre tali limiti. La pretesa storicizzazione, pertanto, non può essere definitiva, ma solo trasformativa. Ed essa, in tal modo, ci assegna un compito del tutto nuovo, rispetto a cui non può essere risolta, e non può nemmeno continuare a essere collocata, e formulata in quanto tale, sul terreno del Marxismo, così come lo intendiamo ora. Questa forma di porre il problema, ancor meno, può essere attribuita a un qualche "post-marxismo" attuale. Tutti i "post" sono oriundi dell'ideologia postmoderna, la quale è, sotto ogni aspetto, incompatibile con la Critica dell'Economia Politica di Marx, così come lo è con ogni "tipo di teoria", o comprensione concettuale di base, corrispondente, il cui aspetto principale consiste proprio nel sabotare qualsiasi chiarificazione teorica che riguarda la nuova situazione storica, affogandola nell'eclettismo. La teoria critica viene sostituita da una percezione superficiale fenomenologicamente riduttiva, ovvero dal positivismo discorsivo "decostruttivo". Essenzialmente, si tratta di un'ideologia della classe media, la quale costituisce l'espressione affermativa di una virtualizzazione del capitale nel contesto di crisi all'inizio del XXI° secolo. Così, sotto il termine di "post-marxismo" possono essere riassunti tutti gli sforzi volti a "post-modernizzare" il marxismo; il che equivale - anziché a soppiantare criticamente il marxismo del Partito e del Movimento Operaio - a virtualizzare solamente quello che era il vecchio paradigma, e renderlo così compatibile con la classe media. Per fare avanzare il contenuto radicale della teoria di Marx - nel senso di una concretizzazione approfondita della rivoluzione teorica - contro le tendenze "post-marxiste" di dissoluzione e di volatilizzazione, è necessaria una definizione più circostanziata di quello che è il concetto di Trasformazione, rispetto alla differenziazione che poneva la vecchia opposizione fra ortodossia e revisionismo. Tale opposizione, deriva il suo nome dall'antidiluviana controversia fra Kautsky e Bernstein, avvenuta alla fine del XIX° secolo; ma oltre a questo, essa è diventata la definizione di ogni controversia politica - tra e all'interno di tutte le scuole marxiste - a partire da quell'epoca e, prima, fino al "marxismo occidentale", e poi alla "nuova sinistra" degli anni 1960. In un contesto simile, il concetto di revisionismo è diventato più o meno una parola che sembra essere ora quasi sinonimo di riformismo, nel mentre che, simultaneamente, l'ortodossia veniva supposta essere come l'equivalente delle posizioni "rivoluzionarie". Così, già allora si poteva dire che con l'esaurimento del suo ambito di riferimento storico, tutto lo spettro dei marxismi aveva dato le dimissioni da qualsiasi tipo di ambizione rivoluzionaria; così come essa era stata sempre intesa, e (secondo i suoi stessi vecchi termini) era caduto in una sorta di Revisionismo. Da questo punto di vista, la vergognosa fine del "socialismo reale", in quanto segnale esterno della fine di un'epoca, non ha fatto altro che ratificare uno sviluppo ideologico già iniziato molto tempo prima. Appare evidente, in questa sua unilateralità, che associare l'ortodossia a delle posizioni radicalmente critiche - e il revisionismo, invece, alla pura ideologia del conformismo - sia sempre stato sbagliato. Durante la Prima Guerra Mondiale, furono molti gli ortodossi che votarono a favore dei prestiti di guerra, mentre il revisionista Bernstein, malgrado tutto, alzò la sua voce contro quei prestiti e affrontò il patriottardismo socialdemocratico. In termini generici, quel che è certo, è che nella pratica, gli ortodossi e i revisionisti delle diverse fazioni e scuole marxiste, manifestarono, nel corso dei decenni, il medesimo orientamento, contro-rivoluzionario o riformista; cosa che fa già intuire come entrambe le parti appartenessero - una volta osservati da un punto di vista teorico e storicamente superiore - a un determinato campo delimitato e che era loro comune, senza che avessero alcuna coscienza di questo fatto. A prima vista, invece, la vera opposizione immanente consisteva, da una parte, nel trattamento diverso della contraddizione esistente nella teoria di Marx, e dall'altra nella pratica riformista di quella che era una mera "lotta per il riconoscimento" dei lavoratori salariati sul terreno delle categorie capitalistiche. In tal modo, si definisce un punto di vista decisivo: quello categoriale. La teoria di Marx, si riferisce essenzialmente al piano categoriale, del fondamentale contesto sociale formale, del "lavoro astratto": merce, forma del valore, denaro e valorizzazione del capitale. Sono tutti questi, i momenti decisivi della definizione critica dei concetti, fatta da Marx (specialmente l'analisi del carattere feticista della socializzazione capitalista), i quali venivano ugualmente tutti elusi da entrambe le parti, che non li comprendevano. Ma, mentre la cosiddetta ortodossia aveva pietrificato l'opera di Marx, in termini teorici, canonizzando su piani diversi i suoi enunciati parzialmente sconosciuti e contraddittori, e convertendoli poi in una sorta di catechesi marxista - la quale, si contrapponeva come se fosse qualcosa di esterno alla vera prassi "politica", e rimaneva pertanto, in larga misura, senza conseguenza alcuna - nel mentre che, invece, il revisionismo tendeva innanzitutto ad affermare le necessità di questa vera prassi dei partiti e dei movimenti ponendola in contrasto con la teoria "distante dalla realtà". Da un lato, essa si avvicinava così alla critica borghese a Marx, la quale, alla fine, parlava di mistificazioni, di promesse di salvezza, di costrutti filosofici, e "non scientifici" della teoria di Marx. Dall'altro lato, allo stesso tempo, si prendeva in considerazione solo la difesa del buon senso del movimento operaio, contro le imposizioni delle distanze teoriche rispetto alla vita quotidiana; e la cosa riguardava non solo la routine politico-partitaria e sindacale, in quella che è la "gabbia di ferro della servitù" di cui ha parlato Weber, ma anche il radicalismo della sinistra soggettivista di tutti i tempi e paesi. L'impulso a essere ostili rispetto alla teoria è stato, da sempre, profondamente revisionista, nel senso di una falsa immediatezza del volontarismo, del sentimento istintivo, dell'espressione esistenzialista, dell'orizzonte presente degli eventi e delle ideologie di moda, che veniva contrapposto alle difficili astrazioni teoriche della critica dell'economia politica. In un certo, tale modo, anche oggi, nel pensiero di "sinistra" postmoderno, fa parte di questo tipo di revisionismo; nel momento in cui fa ancora qualche riferimento a Marx.
L'effetto revisionista che ebbe la necessità di una partecipazione pratica - sul piano del mero trattamento della contraddizione nel quadro irriflesso delle categorie capitalistiche - si fece sentire, in termini teorici o metodologici, nella forma di un orientamento positivista ed empirista di "sinistra". Qui, la critica a Marx, che ne conseguiva, faceva riferimento al piano categoriale, le cui definizioni venivano - quando andava bene - rifiutate in quanto "filosofiche" o "speculative", senza che nemmeno se ne analizzasse il contenuto. Anzi, contro certi enunciati analitici di Marx, si invocava l'esistenza di un mondo fattuale cambiato, come accadeva per esempio relativamente alla formazione di una nuova classe media al posto della crescente polarizzazione fra borghesia e proletariato industriale, (e anche in questa misura, il revisionismo classico appartiene alla galleria degli antenati del pensiero postmoderno). Analogamente, anche la teoria della crisi di Marx, che non aveva ricevuto un trattamento sul piano categoriale, finì per essere considerata refutata e considerata vedendola su un piano superficiale, empirico e datato. Anche i marxisti ortodossi, facevano riferimento a un mondo empirico che era cambiato in termini politici e superficialmente analitici, ma tuttavia cercavano di conciliarlo astrattamente con il dogma, oppure smettevano di continuare a mettere la teoria da "catechesi" accanto alle circostanze empiriche, fianco a fianco, in quanto esterne l'una all'altra, e non mediate, laddove, in termini pratici e programmatici, non andavano però, tuttavia, molto lontano rispetto alla posizione contraria dei revisionisti.Il vero tratto comune - tra ortodossia (inclusa quella leninista e quella della sinistra radicale) e revisionismo - consisteva nell'intendere, in fondo, le categorie della critica dell'economia politica come se fossero delle "definizioni" positive della fattualità oggettiva e, in larga misura, trans-storica, della cosiddetta economia, in quanto supposta come "base" della società umana in quanto tale. Fino alla Prima Guerra Mondiale, occasionalmente, emergevano ancora delle concezioni oscure che si riferivano a un superamento socialista delle forme del valore e del denaro, ma venivano proiettate in un futuro immaginario e molto distante. E poi, in secondo luogo, venivano intese quasi esclusivamente in senso tecnocratico, vale a dire, non come una loro applicazione cosciente e "pianificata", di modo che così la forma valore e il denaro potessero semplicemente "sparire" in termini fenomenologici (o "deperire" pacificamente), senza che la relazione del feticcio soggiacente al "lavoro astratto", dovesse simultaneamente sparire anch'essa (come avviene, per esempio, in Hilferding). Dopo la Grande Guerra, questo piano di riflessione, già così poco frequentato, finì per evaporare sempre più dal discorso marxista - anche sotto i colpi della produzione pianificata di merci da parte del "socialismo reale" - e oggi viene evitato, più accuratamente che mai, da quasi tutte le correnti residuali e post-marxiste, come se si trattasse di peste. In buona coscienza - dal punto di vista categoriale - possiamo definire tanto l'ortodossia quanto il revisionismo, e quello che di loro rimane, come profondamente positiviste. Naturalmente, si pone la questione di come relazionare la rivoluzione teorica di Marx, e il suo carattere incompiuto, con questa storia della sua ricezione; ora oramai già chiusa da tempo e da storicizzare. Questa domanda, che prima non era neanche possibile, è stata preparata grazie a una riflessione teorica, avvenuta nel contesto della nuova sinistra fin dagli anni 1960, e presentata come una "ricostruzione della critica dell'economia politica"; "ricostruzione", in primo luogo, perché si suppone che il marxismo tradizionale di partito, con tutte le sue fazioni e correnti, alla fine, quella che aveva diffuso e canonizzato era solo un'interpretazione superficiale e ridotta della teoria di Marx. In secondo luogo - d'accordo con l'idea fondamentale, soprattutto filologica, per cui tale interpretazione, tuttora, si riferisce a una materiale editoriale limitato - è avvenuto che importanti testi di Marx sono stati pubblicati solo nel corso del XX° secolo e, in particolare, i tuttavia famosi Grundrisse sono tornati a essere accessibili solo dopo la II° guerra mondiale. Un impulso importante, è stato esercitato dall'ampio commentario di Roman Rosdolksky, con il suo "Genesi e struttura del Capitale di Marx" (Rosdolsky, 1968), il cui fulcro erano appunto i Grundrisse. A partire dai primi scritti di Marx, aveva avuto così origine una corrente interpretativa propria della "teoria dell'alienazione" (per lo più, superficialmente filosofica o moralizzante), nella quale i Grundrisse ora apparivano come al centro di una nuova e diversa riformulazione. La critica dell'economia di Marx, andava ricostruita dettagliatamente, proprio sulla base del materiale delle fonti nel frattempo scoperte, e quindi depurata delle erronee interpretazioni "revisioniste". Questo progetto di ricostruzione ebbe una carattere ambivalente, Da un lato, gli si doveva attribuire il grande merito di avere di reso accessibili nuove grandi masse di testi dell'opera di Marx e, soprattutto, di essere tornato a collocare al centro dell'interesse il trascurato piano categoriale della critica dell'economia politica; più o meno ridotto ad astrazione, a causa del suo trattamento accademico e, in gran misura, malinteso sulla base delle definizioni positiviste. Dall'altro lato, questi tentativi di ricostruzione avvenivano in un ambiente peculiare. L'abbandono del marxismo di Partito, aveva anche ragioni strutturali. Alla fine, in ultima analisi, la cristallizzazione dogmatica o la dissoluzione revisionista del marxismo di Partito derivavano dal fatto che il movimento e i partiti operai si erano da molto tempo istituzionalizzati, in termini capitalistici e, in fondo, non avevano più alcuna necessità della teoria di Marx; tranne che, forse, per operazioni nostalgiche. Il marxismo teorico era stato accademizzato, e trasformato in una manifestazione marginale di discussioni scientifiche borghesi. A tutto questo, corrispondeva una limitazione filologica al Marx del progetto di una sua ricostruzione, ed essa aveva come lemma, più o meno, quello di appurare, con minuziosità certosina, "quello che Marx aveva realmente detto".
Così come l'inquadramento delle proprie intenzioni, e dell'oggetto del loro rifiuto nello sviluppo storico concreto della società, aveva portato in larga misura a occupare il piano categoriale della teoria di Marx; allo stesso tempo tuttavia non aveva portato a stabilire dei nuovi obiettivi per la critica radicale, ma aveva piuttosto consentito e favorito, occasionalmente, la prosecuzione delle carriere accademiche, per quanto questo fosse avvenuto solo nel campo delle discipline cosiddette esotiche. In tal modo, il progetto di ricostruzione filologica era andato acquisendo impercettibilmente il colorito di una coscienza accademica di classe media, come, del resto, accadeva con tutta la nuova sinistra, il cui ambito di riferimento "proletario" non era mai andato oltre la pura ideologia nostalgica; per quanto marziali fossero le loro evocazioni. Inoltre, evidentemente essa non aveva potuto restare immune dall'attivismo superficiale del movimento del 1968, e delle sue necessità politichesi. Così, in parte, era tornato a legarsi, nel nome della "capacità di intervento politico" - seppure con una pretesa "critica" ai vecchi partiti operai in acuta decadenza ideologica (SPD, DKP, eurocomunismo) o agli apparati sindacali - ai cosiddetti nuovi movimenti sociali della classe media. e al loro sbocco nel partito dei Verdi. Con simili orientamenti, le elevate pretese di "ricostruzione" tendevano così forzatamente a morire; almeno rispetto per quel che riguardava la maggior parte dei teorici. Il progetto di ricostruzione, non poteva essere pertanto classificato in maniera inequivocabile; in una determinata fase la nuova sinistra vi partecipava, a un grado minore o maggiore, con dei teorici di quasi tutte le correnti, e tutti quanti soffrivano la pressione di quelle che erano le necessità pratiche e politiche dell'ideologia del movimento, la cui preponderanza non portava a niente, se non al pantano ideologico. Mentre, per quanto riguardava l'occupazione della teoria di Marx, essa si suddivideva, grosso modo, in un'ortodossia cosiddetta recente, da una parte, e ina una denominata "Nuova lettura", dall'altra. L'aggettivo che indica la novità rimandava, in entrambi i casi, non solo alla nuova sinistra nell'ambito della classe media accademica, ma anche al passaggio (con caratteristiche diverse per ciascun caso) attraverso un progetto, filologicamente esigente, di ricostruzione; i cui risultati, tuttavia, dobbiamo ricercare, con fatica, noi bibliofili. E' stata proprio l'ortodossia recente, a mostrarsi disposta, in maniera significativa, ad avventurarsi sul piano categoriale della teoria di Marx, seppure solo in maniera condizionale e sempre più marginale, nella maggior parte dei casi, più per fini formativi (come, per esempio, nelle lezioni introduttive al Capitale di W.F. Haug), piuttosto che nel senso di una mediazione storica concreta e analitica, come già avveniva con la vecchia socialdemocrazia. L'abbandono di questo piano può esser visto, esemplarmente, nella cosiddetta teoria della regolazione, o "scuola della regolazione", la quale all'inizio si riferiva ancora alle categorie fondamentali della critica dell'economia politica, ma che poi non tardò a sganciarsi da sé sola, facendolo a beneficio di una elaborazione teorica superficiale, caratterizzata da un empirismo positivista. In termini globali, possiamo dire che fu proprio l'ortodossia recente, che non solo si limitò a comportarsi come quella vecchia, ma che, a dirla tutta, finì essa stessa per adottare, almeno implicitamente, un orientamento revisionista in senso classico. L'enfasi posta sull'elaborazione teorica e sulle pubblicazioni (nello spazio linguistico tedesco, per esempio, in riviste come Das Argument, Sozialismus o Prokla) si allontanò irreversibilmente dalle discussioni intorno alle categorie fondamentali (teoria del valore e del denaro, lavoro produttivo ed improduttivo, il "problema della riduzione", il "problema della trasformazione", ecc.), le quali rimanevano così senza alcuna soluzione in vista, in favore di un'analisi riduttiva, frequentemente sociologica e soprattutto fenomenologica, di quelli che erano i processi di sviluppo, le tendenze e i conflitti sociali; in parte, tutte porte già spalancate alle ideologie oriunde del mondo accademico e alle correnti indotte dallo spirito dell'epoca. Di una mediazione categoriale nel senso della critica di Marx, già si poteva parlare poco, e per lo più con riferimenti superficiali; fu questo, del resto, ciò che avvenne proprio riguardo alle relazioni fra i sessi (così, la rivista Argument, contrariamente alla maggioranza delle altre riviste teoriche di sinistra, che ebbe il grande merito di un'apertura alla teoria femminista, ma rimase assente sul riferimento categoriale). In realtà, la questione delle categorie fondamentali, e della loro interpretazione, compariva ancora nell'ambito dell'ortodossia recente, soprattutto quando veniva fuori il conflitto latente con la "Nuova Lettura di Marx". Fu quest'ultima che (soprattutto nei lavori di Hans Georg Backhaus e di Helmut Reichelt e, successivamente, nella riformulazione fatta da Michael Heinrich) proseguì il progetto di ricostruzione, concentrandosi più che mai sugli aspetti variati dell'analisi che Marx aveva fatto della forma del valore. Il prezzo da pagare fu, sotto diversi punti di vista, la quasi completa rinuncia alle analisi concrete dei processi sociali e della loro propria situazione storica, dal momento che cominciava ad evidenziarsi una peculiare "divisione del lavoro", sotto forma di deficit simmetrici e complementari. Se, per l'ortodossia recente, il piano categoriale della teoria si diluiva sempre più in una contemplazione superficiale delle tendenze, per la "Nuova Lettura di Marx", al contrario, il piano di analisi empirica della teoria rientrava in una auto-sufficienza categoriale filologica. Con la sua tematica "esoterica", tutto questo approccio sembrava qualificarsi come "eterno consiglio di iniziati" con un'esistenza nell'ombra, nel mondo accademico di sinistra e nelle frange delle pubblicazioni specializzate. La problematica teorica veniva cucinata a fuoco lento, nelle occasionali incursioni dell'ortodossia recente che, almeno sul suo stesso nuovo terreno catechistico, accondiscendeva a volersi mantenere "ortodossa", e si opponeva ai sondaggi di profondità concettuali della "Nuova Lettura di Marx" con sempre maggior diffidenza. La contesa guadagnò nuovo respiro nel discorso degli anni 1990, allorché la ricostruzione di Marx, fatta dalla "Nuova Lettura di Marx", si convertì poco a poco in critica. A questo contribuirono le pubblicazioni teoriche di Michael Heinrich, che con la sua "Die Wissenschaft vom Wert", non solo allargò il terreno su cui ricostruire l'analisi fondamentale della forma del valore, estendendolo all'analisi della totalità del Capitale di Marx, ma egli acutizzò anche la questione della critica di Marx, superando i suoi riferimenti teorici. Già nell'introduzione alla sua opera principale, dice chiaramente che, a proposito del progetto di ricostruzione: «E' un fatto che, negli anni '70, la rivelazione e la sistematizzazione dei testi di Marx emersi sotto il titolo di "Nuova Lettura", sono stati un passo importante verso l'appropriazione della teoria di Marx. Tuttavia, essi presupponevano l'esistenza di un discorso coerente e corretto, il quale poi si sarebbe semplicemente distillato a partire dai vari manoscritti di Marx, ossia, "ricostruito" già protetto dalle volgarizzazioni e dalle interpretazioni erronee, essendo rimasta sistemisticamente limitata quella che era la capacità critica di fronte al testo di Marx.» Possiamo dire che, per Heinrich, la "capacità critica" relativa a Marx costituiva il nocciolo degli sforzi teorici. Ora, bisogna invece evidentemente sapere in quale senso qui va inteso il concetto di critica. Da un lato, esso può riferirsi al carattere necessariamente incompiuto della teoria di Marx e pertanto, in questa accezione, alla sua natura storicamente datata; ma può anche però riferirsi ai fondamenti stessi, oltre che al modus operandi della teoria di Marx. Anche nel caso di una critica formalmente immanente, tutto dipende dal criterio; essa può designare ciò che rimane incompiuto, oppure può sviluppare la teoria a partire dal suo interno, secondo quello che è il suo proprio impulso, o ancora può valutare la teoria per quel che dice riguardo la propria realizzazione immanente, facendolo a partire da un criterio esterno di definizioni del contenuto, oppure dalla teoria della scienza, e in tal modo abbandonare, o perfino negare, tale impulso. Nel primo caso, si tratta della già citata trasformazione della teoria di Marx, mentre nel secondo, ancora una volta e alla fine, della sua mera revisione; in questo caso, però, andata già molto al di là del revisionismo classico: ora si tratta di abbandonare gli stessi fondamenti categoriali, proprio perché ne viene riconosciuto il loro carattere negativo e, insieme ad esso, il potere esplosivo insito in un tale piano. Dalla metà del decennio 1980, e soprattutto negli anni 1990, questa preconizzata interpretazione della teoria di Marx - fatta alla luce della critica del valore, o (includendo anche la moderna relazione tra i sessi) quella svolta alla luce della dissociazione e del valore - è come sorta, in mezzo agli altri combattenti, come se, nel campo del dibattito della critica sociale, fosse una specie di UFO. E dopo i falliti tentativi di metterla a tacere, essa è stata coinvolta in un'accesa polemica con entrambe le parti, ossia, tanto con l'Ortodossia recente quanto con la Nuova Lettura di Marx (la quale, da parte sua, non ha potuto fare a meno di rispondere); non essendo ancora oggi completamente chiaro se sia la nostra insistenza sulle definizioni fondamentali relative al Marx critico del feticcio, oppure se, a motivare la maggiore enfasi, sia stata la critica trasformativa del cosiddetto Marx del "movimento operaio", formulata in questo preciso senso. Tutto ciò, non solo ha una sua connotazione identitaria dovuta a motivi nostalgici, ma fa anche sì che si debba rimanere nel cuore della teoria, in modo da poter così continuare a "correggerlo" su un unico e solo superficiale piano sociologico (detta più concretamente, nel senso dell'ideologia postmoderna della classe media di sinistra), nel mentre che, allo stesso tempo, "l'altro" Marx possa continuare a essere ignorato, o svalorizzato, come se fosse un po' "tonto".
Tuttavia, bisogna che la critica della Rivoluzione Teorica Incompiuta contenga in sé gli impulsi per la sua prosecuzione, e non per la sua revoca parziale o totale. Se la questione sia quella di andare "con Marx oltre Marx", o "dietro Marx senza Marx"? Un ulteriore sviluppo trasformativo - se è questo ciò che viene chiesto sul serio, e non solo per finta - attuato nel senso di un adattamento alle relazioni capitalistiche del XXI° secolo, presuppone la critica della teoria di Marx svolta unicamente nel senso dei suoi limiti storici relativi, e la sua collocazione rispetto alla nostra attuale posizione storica. Dal punto di vista di un tale intendimento, la delimitazione storica al XXI° secolo è stata duplice, essendo i due momenti legati tra di essi. Da una parte, e sebbene la rivoluzione teorica di Marx rappresenti una rottura con la razionalità illuminista del capitalismo, in accordo con le condizioni dell'epoca e con le sue forme di espressione teorica, essa conserva le scorie di una tale razionalità (come, soprattutto, possiamo vedere nella metafisica borghese della storia e del progresso, in quella che è la sua rappresentazione hegeliana). Nelle condizioni storiche date, una rottura pià ampia non sarebbe neppure stata possibile, dal momento che il Capitale e la Ragione, a partire dalle loro proprie stesse basi, avevano ancora davanti a sé un lungo sviluppo. E' per questo che la critica categoriale della costituzione feticista del capitale, a volte inciampa in quelli che sono i resti dell'ontologia borghese che si trova contenuta nel pensiero di Marx. Dall'altra parte, Marx lega necessariamente la sua teoria, sotto molti aspetti, al movimento operaio allora incipiente, il cui obiettivo immanente, tuttavia, era solamente quello del suo riconoscimento in quanto soggetto funzionale proprio sul terreno delle categorie capitaliste: un compito questo, che era parte della "modernizzazione" capitalista stessa, e non della rottura con essa modernizzazione. Era da qui che nasceva una tensione, non solo fra la teoria di Marx e l'ideologia borghese del movimento operaio, ma anche in seno alla teoria di Marx stessa. Allora, la vecchia ortodossia aveva risolto questa tensione, in gran misura e unilateralmente, facendo ricorso al paradigma della modernizzazione e del riconoscimento. Pertanto, in tal modo, possiamo caratterizzare tutto il marxismo fino a oggi esistente come un "marxismo del movimento operaio" esercitato sotto il controllo (o il vincolo) delle categorie del contesto formale capitalista. Ma oggi, all'inizio del XXI° secolo, il capitalismo si è già sviluppato fino al punto di aver reso manifesta la sua essenza feticista e la sua maturità per la crisi. Proprio per questo, il marxismo finora esistente si deve ora esaurire in tutte le sue correnti, nella misura in cui quello che era l'intento della modernizzazione e del riconoscimento è ormai diventato puramente e semplicemente irrilevante. Al contrario, la critica che viene fatta a Marx, da parte della sua "Nuova Lettura", soprattutto nella versione di Michael Heinrich, in questa riduzione, rimane legata - in accordo con il suo percorso, che è di natura molto più strettamente filologica, e senza un inquadramento storico approfondito - soprattutto alla scienza economica borghese, e al suo rispettivo sviluppo accademico, collocando pertanto la questione della «rottura (di Marx) con il campo teorico dell'economia politica»(Heinrich) in un quella che appare come una penombra sospetta, come verrà dimostrato. Questo si applica soprattutto al problema di sapere in che relazione la critica di Heinrich a Marx si ponga rispetto all'economia neoclassica borghese e all'ideologia postmoderna (a loro volta, legate tra di loro). Ora, potrebbe anche sembrare che l'Ortodossia recente si opponga, e resista, alla discussione intorno alla critica di determinati elementi della teoria di Marx, e che così finisca per affermare la sua vecchia identità, ma questo è vero solo fino ad un certo punto. Evidentemente, i grandi punti di una lettura che, in termini globali e di preferenza, è orientata secondo modelli di comprensione tradizionali (o, in ogni caso, finalizzata a una narrazione lineare e ininterrotta del marxismo), si agitano davanti all'espressione del "duplice Marx", la quale da tempo è moneta corrente nella teoria critica della dissociazione e del valore, e con la determinazione da essa risultante, di un Marx "essoterico" e un Marx "esoterico" - differenziazione dell'opera di Marx che avviene per la prima volta in Stefan Breuer (1977). Queste designazioni vennero usate dallo stesso Marx (in "Teorie sul Plusvalore") nei confronti di Adam Smith, il vero fondatore della "scienza economica" moderna. Secondo Marx, il lato "essoterico" della teoria di Smith consisteva nel cominciare a fare una semplice descrizione dei fenomeni capitalistici, ossia, a determinare le categorie solo rispetto al loro modo di essere superficiali. La parte "esoterica" di Smith, al contrario, si sarebbe sforzata, anche se in modo erroneo e affermativo, di determinare teoricamente l'essenza del "nesso interno" categoriale. Ora, W.F. Haug insorge contro la possibilità che si possa procedere secondo questa differenziazione, seppure in un altro modo, anche nei confronti dello stesso Marx: «Uno dei fenomeni grotteschi della forma verbalmente radicale di misurarsi con Marx, nel post-comunismo, consiste nell'applicare retroattivamente una simile differenziazione allo stesso suo autore, Marx» (Haug). Per Haug, e non solo per lui, è insopportabile vedere designati i momenti di mera teoria della modernizzazione, della metafisica del progresso e "del movimento operaio" presenti nella teoria di Marx, vedendoli come "essoterici" e storicamente decadenti, e vedere invece i momenti critici del feticcio, riferiti al carattere di fine in sé della "ricchezza astratta" e al "soggetto automatico" del valore, essere designati, al contrario come "esoterici", e dotati così di vitalità futura. Nell'invettiva di Haug viene espressa soltanto la sua caparbietà nel voler interpretare la teoria di Marx nell'orizzonte della supposta infinita "storia della modernizzazione", sulla base di fragili premesse ispirate tanto dalla Realpolitik quanto dall'opportunismo del movimento, oltre che sul terreno delle categorie fondamentali del capitalismo, che non deve mai essere messo in discussione, né teoricamente né praticamente. Questa opzione, però - ed è in questo che consiste la dialettica del proseguimento di un marxismo che viene supposto ininterrotto, e che viene solo modificato secondo la modernizzazione - non può essere attuata senza operare, sotto diversi aspetti, delle rotture che non sono ammesse. Così, da un lato, anche la supposta ortodossia è rimasta da tempo bucherellata, come un formaggio svizzero, dal modo di pensare postmoderno - cosa che non costituisce alcuna sorpresa, dal momento che, sul piano categoriale, l'ortodossia stessa ha smesso di offrire qualche resistenza; e la grettezza dell'analisi, fenomenologicamente sociologica e "praxeologicamente" politicastra, deve rimanere sottomessa al positivismo del discorso decostruttivista postmoderno, a essa conforme.00
Dall'altro lato, col collasso della RDT e dell'Unione Sovietica, l'Ortodossia recente (e molto più i suoi cugini dell'Est del vecchio "socialismo reale") ha sofferto un colpo tale, che alla fine non si è alzata più in piedi, e l'arbitro della storia teorica ha dovuto contare fino a dieci. Gli occhi tumefatti, il naso disfatto e il cervello ridotto in pappa, ora anche il marxista residuale di ferro ritiene di doversi trascinare verso nuovi lidi: «Che, in quest'ambito, andiamo sempre oltre Marx, è sottinteso» (Haug). Ma come, e in che stato, e soprattutto: per andare dove? Guarda piuttosto dove stai andando, è tutto quello che possiamo dire; soprattutto visto che Haug continua, facendo una citazione di sé stesso: «Per il pensiero marxista, bisogna considerare escluso ogni riferimento a Marx fatto in termini acritici» Anche qui occorre, piuttosto, interrogarsi proprio sul contenuto e sulla tendenza di ogni critica a Marx, la quale, quanto meno a partire dal 1989, ora è diventata alla portata di tutti, e anziché dichiarare una nuova e piacevole passeggiata del proprio discorso, e andare a dare una benevola occhiata, l'integrazione politichese dell'Ortodossia recente (che si trova già nell'orbita del Linkspartei) ci fa proprio invece sospettare che la critica di Marx che è stata intrapresa abbia proprio come obiettivo, innanzitutto, la legittimazione delle necessità di partecipazione e di adattamento, per potersi così leccare le ferite, dopo essere stati messi al tappeto dalla storia reale. Con simili premesse, il rifiuto apparentemente ortodosso di una storicizzazione del Marx del movimento operaio assomiglia a una critica di Marx ispirata esclusivamente dallo spirito dell'epoca, ed è essa stessa revisionista, regredendo fino a prima del Marx "essoterico". Pertanto, lo sfondo che vediamo stagliarsi dietro l'intento di un più o meno chiaro ripudio di Marx - sia da parte dell'Ortodossia recente che da parte della "Nuova Lettura di Marx" - è costituito, da un lato, dal collasso del "socialismo reale", dalla fine della Guerra Fredda e dalla terza rivoluzione industriale e, dall'altro lato, dalla necessità e dall'ideologia postmoderna vista sull'orizzonte di una coscienza della classe media di sinistra. In questo confronto si decide se ciò sarà una trasformazione della teoria di Marx, nel senso di un avanzamento della rivoluzione teorica, o nel senso di un revisionismo di nuovo tipo. Al centro di tale processo, si trovano necessariamente le categorie fondamentali della critica dell'economia politica e il loro statuto. E rispetto a questo ci sono, almeno, cinque gruppi di questioni che vanno trattati e chiariti, non potendo il presente saggio fare altro che delimitare soltanto il terreno, in modo da fornire un panorama delle linee guida dell'inevitabile conflitto teorico. Il primo gruppo di questioni, riguarda sapere in che misura le categorie di Marx non rappresentano delle mere categorie teoriche, o un "modello" meramente ipotetico, bensì categorie reali ovvero, secondo Marx, delle "forme oggettive di esistenza", alle quali corrispondono delle "forme oggettive di pensiero". In quest'ultimo approccio, però, la differenza tra situazione storica reale e la sua riflessione teorica, non è ancora del tutto appianata. Nella teoria, lo statuto delle categorie dev'essere diverso dalla realtà. Da qui ne consegue il famoso "problema di esposizione" riguardo solo lo sviluppo sequenziale della teoria di Marx, sistematizzato dalla "Nuova Lettura di Marx", ma in maniera non adeguatamente risolta. Il secondo gruppo di questioni, si riferisce alla storicità delle categorie, e lo fa in duplice senso. Da un lato, a essere in causa è il suo statuto nella storia pre-moderna o pre-capitalista. Queste questioni, andrebbero intese come trasversali rispetto alle formazioni, se non addirittura trans-storiche, quanto meno per quel che riguarda le culture cosiddette superiori, a partire approssimativamente dalla rivoluzione neolitica; oppure si applica, in senso stretto, solo al capitalismo? E in cosa consisterebbe allora la differenza, e come può la costituzione storica primordiale del capitale venire tradotta in categorie? Dall'altra parte, si deve determinare lo statuto delle categorie in quella che è stata la storia interna del capitalismo. Si tratta di forme di esistenza, intrinsecamente dinamiche, che nell'astrazione teorica, possono solo apparire come sempre uguali, sennò sarebbero statiche in sé, confrontandosi così con una storia fatta solo di accadimenti esteriori, e meramente empirica? Dalla risposta a questa domanda, dipende non solo sapere se un'esposizione definitiva del "capitale in generale" è del tutto possibile, ma anche se esiste un limite storico interno alla valorizzazione del capitale (teoria della crisi). Il terzo gruppo, si occupa della relazione tra categorie e totalità capitalista ovvero il "processo globale" (Marx) del Capitale, il quale viene trattato solamente nel terzo volume dell'opera principale di Marx. Qui, la questione dello statuto delle categorie, si riferisce alla relazione tra la particolarità e la generalità sociale. Potrebbero, le categorie della critica dell'economia politica, essere concettualmente rappresentate nella merce e nel capitale, se considerate individualmente, o si tratta invece dell'incontro di categorie della totalità che, in quanto tali, si applicano solo al Tutto, e appaiono non corrette dal punto di vista dei soggetti economici individuali e della loro condotta? Questo significherebbe anche che il concetto di "valore individuale" di Marx, sarebbe errato, e dovuto solamente al suo "problema di esposizione", laddove, implicita ed inavvertitamente, si manifesta "l'individualismo metodologico" delle scienze sociali borghesi, che ostruisce la prosecuzione della rivoluzione teorica. Il quarto gruppo, attiene invece allo statuto delle categorie, viste nella loro relazione tra essenza ed apparenza. Si tratta, nel caso delle categorie della critica dell'economia politica, di determinazioni dell'essenza di quello che è un "apriorismo trascendentale", il quale non può manifestarsi immediatamente in quanto tale, ma costituisce ancora la realtà sociale; oppure i fenomeni capitalistici possono essere compresi direttamente nelle categorie, e pertanto possono esistere sotto forma indipendente? Come categorie reali trascendentali, non possono essere empiriche; e, se venissero intese come empiriche, allora non necessiterebbero di definizione trascendentale. Nel primo approccio, teoria ed empiria non possono fondersi l'una con l'altra, e le apparenze devono essere, innanzi tutto, decifrate; mentre nel secondo, l'essenza e l'apparenza - e insieme a esse anche la teoria e l'empiria - coincidono immediatamente, vale a dire che le stesse categorie sono immediatamente empiriche. In tal caso, da un lato, esistono solamente, a ben vedere, le apparenze e la loro osservazione "scientifica". Il quinto gruppo di questioni, costituisce, in un certo qual modo, la conclusione dell'approccio categoriale totale. Lo statuto delle categorie della critica dell'economia politica sarà positivo o negativo? La parola "positivo" deve qui essere intesa nel senso di un'oggettività esteriore neutra che un soggetto della conoscenza affronta. È questa la costellazione fondamentale del mondo della scienza, che esclude il concetto di critica e, insieme a essa, per la verità, anche il sottotitolo del Capitale di Marx. In questo caso, la critica dev'essere sostituita da un'etica ugualmente esteriore. Le categorie non sono, in questa prospettiva, dei meri modelli del pensiero (come indicato nel primo gruppo), ma si relazionano anche a un'oggettività indiscutibile, le cui "leggi" devono solo essere identificate e trattate in maniera strumentale. Se, al contrario, lo statuto delle categorie sarà negativo, allora anche la sua conoscenza può essere solo negativa, ossia, esso statuto viene processato soltanto secondo il modus della critica dell'oggetto stesso, il quale va distrutto, e le cui "leggi" devono essere abolite. Da questa breve rassegna, già emerge il fatto che una prosecuzione della rivoluzione teorica di Marx sarà, in termini epistemici, fondamentalmente critica della scienza, e pertanto dovrà farla finita con qualsiasi intendimento positivista del capitale; cosa che finora è stata caratteristica della totalità del marxismo del movimento operaio (sia quello dell'ortodossia che quello del revisionismo) il quale ora è allegramente rinato dalle sue ceneri sotto forma di una riformulazione postmoderna. Un momento essenziale, in questo superamento del pensiero positivista, è costituito - per la critica radicale - dallo "individualismo metodologico"; e questo non solo nella forma riferita prima, nel terzo gruppo, ma anche come momento globale di tutti gli aspetti di una reinterpretazione della critica dell'economia politica. Qui, non si tratta solo di una diffusa ideologia borghese "della totalità", ma della definizione accurata che descrive la relazione tra il contesto sociale globale, in quanto determinazione dell'essenza, e le apparenze, ovvero le micro-"unità" riproduttive individuali di questo Tutto sociale; ossia, la critica di un modo di pensare predominante nelle scienze sociali che, al posto della totalità (negativa), nel suo contesto di mediazione, colloca la mera "astrazione intellettuale" (Hegel) dell'azione individuale (per esempio, il cosiddetto atto di scambio) vista come essenziale e costitutiva. Non è certo per caso che questo problema rimane alieno al marxismo, ed è stato tematizzato, nella migliore delle ipotesi, in modo tanto marginale quanto insufficiente.
La parola d'ordine, è rischiare tutto. La conseguenza, può consistere solamente in un programma esplicito di critica categoriale e di rottura categoriale pratica, vale a dire, in un globale «programma di abolizioni» (Karl Korsch). E' proprio a questo sviluppo di energia negativa che si riferisce il concetto di trasformazione teorica, con il quale già si affronta solo un revisionismo fondamentale, fatto di vari colori, sotto forma di marxismo residuale e post-marxismo. Trasformazione o revisione, ecco il problema. Per questo, ciò che sta all'ordine del giorno è il confronto, e non un eclettismo accademico post-moderno. In un nuovo empito polemico, il problema può innanzi tutto essere rappresentato con particolare chiarezza, in quanto contesto storico-sociale globale, nella realtà e nel concetto di denaro. Il Denaro è la manifestazione fondamentale dell'essenza; esso è categoria e, allo stesso tempo, fenomeno palpabile, crocevia della storia e oggetto visibile dell'abolizione. E' perciò che è in quest'oggetto che la determinazione categoriale negativa può distruggere con la massima incisività l'esaltazione positivista dei fatti e la grettezza fenomenologica.
- Robert Kurz - Introduzione al libro "Denaro senza Valore" - Luglio 2012 -
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