sabato 13 dicembre 2025

Sedotti dal Nulla ?!!???

Lo stato molecolare di eccezione
- La coscienza di crisi e la "svolta teologica" della postmodernità -
di Robert Kurz

   Il postmodernismo è una cosa del passato. A ogni modo, il concetto è sempre stato comunque una trappola: avrebbe dovuto suggerire qualcosa di socialmente nuovo, e tuttavia non poteva fornire alcun contenuto proprio. Il vuoto di una tale auto-denominazione fa riferimento al fatto che la postmodernità non era altro che una sorta di moderno capitalismo divenuto privo di concetto, e questo nella forma tardiva di una vana contemplazione del sé, in cui il soggetto svuotato si compiaceva di quello che era come un culto della medialità in cui "tutto è permesso". A livello sociale, questa virtualizzazione ha corrisposto, a partire dagli anni '80, da un lato, tecnologicamente, ai personal computer, ai nuovi media e alle tecnologie di comunicazione (in particolare Internet) mentre  dall'altro, economicamente, alle bolle finanziarie speculative, sui mercati azionari e immobiliari. Ma tuttavia il nucleo duro del capitalismo, non può essere ammorbidito in maniera simulata. Al centro di questo sistema si trova la categoria del "lavoro", determinata da quelle che sono le sue radici; "maschile, bianco e occidentale". Questo, si è accompagnato a una svalorizzazione delle donne, alle quali sono stati delegati tutti quei momenti di riproduzione sociale dissociati dal "lavoro", e che non si integrano a esso. Allo stesso tempo, è insito nel codice di disciplina prodotto dalle intollerabili richieste da parte del "lavoro", il fatto che una svalorizzazione delle persone non bianche venga iscritta in quanto archetipo della mancanza di sottomissione alla ragione della modernità, mentre le crisi interne del sistema sono sempre state attribuite a un potere soggettivo straniero, che nel contesto della storia europea viene identificato negli "ebrei". Sessismo, razzismo e antisemitismo sono stati pertanto mediati, fin dall'Illuminismo, attraverso la positivizzazione del "lavoro",il quale costituisce così la sostanza della valorizzazione del capitale, e non rappresenta altro che ciò che Marx aveva concepito negativamente, definendolo come "lavoro astratto". Tutte le altre categorie della società moderna produttrice di materie prime (mercato, stato, nazione, politica, ecc.) sono determinate da tale essenziale legame. Limitandosi a una "lotta per il riconoscimento", all'interno della "gabbia d'acciaio" (Max Weber) di queste categorie, il marxismo tradizionale, a sua volta, ha dovuto riconoscere il "lavoro astratto", così come ha fatto con la sua disciplina, elevandoli entrambi, ideologicamente, al rango di una "ontologia del lavoro", trans-storica. Tuttavia, è con la terza rivoluzione industriale che il capitalismo ha reso, per la prima volta, obsoleto il "lavoro". Questo limite storico, interno, relativo alla valorizzazione, venne nascosto dall'economia della bolla finanziaria degli anni '90, ed è stato in quel clima che il postmodernismo riuscì a raggiungere il rango di ideologia dominante. La sinistra postmoderna, si è rifiutata di affrontare il problema di una critica categoriale delle forme sociali del moderno sistema di produzione di merci (ivi inclusa anche una critica al "lavoro"). Ecco perché non è riuscita a comprendere le profonde dimensioni storiche e strutturali del sessismo, del razzismo e dell'antisemitismo. Questa sinistra non è riuscita a superare la vecchia "lotta per il riconoscimento", sociale e nazionale, all'interno del mondo borghese, limitandosi solo a evitare il marxismo tradizionale. Nel contesto della virtuale globalizzazione economica e culturale, ha collaborato al processo di de-materializzazione ideologica del mondo; così anche la stessa critica dell'economia politica è stata “de-materializzata”. Recentemente, con il concetto di «lavoro immateriale», Negri e Hardt hanno dato una formulazione apparentemente elegante di questa tendenza. Nel complesso, tuttavia, in tal modo, i concetti di analisi e di critica sociale non sono stati rinnovati e sviluppati, ma solo virtualizzati.

   La lotta di classe e la lotta per l'indipendenza, che un tempo erano reali e storiche, sono state riprodotte sotto forma di un programma di simulazione. La sinistra, socializzata dai media, ha cominciato a credere che avrebbe potuto provocare un cambiamento sociale, nel momento in cui la sua messa in scena fosse apparsa in televisione sotto forma di immagini in movimento. Sulla base del  cosiddetto "lavoro immateriale", ora sembrava che il capitale avrebbe potuto accumularsi in modo illimitato e fittizio grazie alle bolle finanziarie, allo stesso modo in cui, alla fine degli anni '70, aveva già affermato Jean Baudrillard, facendo uso di una terminologia filosofica nebulosa; e la sinistra post-modernizzata si divertiva a replicare delle «lotte» altrettanto fittizie e puramente simboliche, come fosse una recita teatrale alla fine dell'anno scolastico. Il capitalismo, almeno in apparenza, non era altro che una sorta di “film”. Dopo il collasso della Nuova Economia, nel 2000/2001,il concetto di "lavoro immateriale" perse ogni credibilità. Il "lavoro" - anche il cosiddetto lavoro intellettuale - rimane sempre un dispendio materiale di «nervi, muscoli, cervello» (Marx). Nel capitalismo, il "lavoro astratto" non costituisce solo un semplice strumento di pensiero: è proprio l'astrazione per mezzo della quale l'economia si distacca dal contenuto concreto, e così facendo riduce il "lavoro" a essere estrazione dell'energia umana in quanto fine irrazionale in sé. Non è attraverso i piani dettagliati, le idee "creative", e nemmeno grazie ai clic del mouse che il capitale viene valorizzato, ma tutto questo può avvenire solo attraverso l'utilizzo quotidiano, ripetitivo, da parte di quelle che sono le masse reali, del "lavoro astratto". La così tanto invocata società della conoscenza, nella quale gli uomini si trovano fuori dal processo produttivo – come aveva predetto Marx – in forma capitalista, non è possibile. Il collasso di intere economie nazionali, a partire dagli inizi degli anni '90, e lo scoppio delle bolle finanziarie in Asia e le crisi finanziarie in numerosi paesi hanno lasciato dietro di sé quella che può essere definita come "terra bruciata" sociale. Tuttavia, l'economia simulata del capitale fittizio, sembrava potesse continuare a prosperare nelle metropoli. Nell'Europa continentale, il senso di sicurezza continuava a essere ancora garantito dallo stato sociale. E ovunque, i lavoratori altamente qualificati, specialmente nei settori dell'informatica e dell'alta tecnologia, si credevano al sicuro. Agli occhi della coscienza postmoderna, la miseria degli "altri" rimaneva solo un "film". Ma lo scoppio della bolla della Nuova Economia gettava in rovina un gran numero di "conoscenti" postmoderni, e svalorizzava quella che era la loro conoscenza. La crisi, che si sta diffondendo anche nelle metropoli, sta minando a gran velocità, lo stato sociale europeo. La nuova classe media ha già cominciato a declinare, e improvvisamente, per molti, avviene quella che si configura come una brutale rottura nel film dalle loro vite reali. Quelli che si vedono come se fossero una versione simulata di sé stessi devono ora affrontare i fatti: il denaro non cresce sugli alberi, e il cibo non può essere scaricato da Internet. L'irruzione della realtà negativa nello spazio virtuale della simulazione, tuttavia, non viene trattata affatto in modo critico, bensì regressivo. Di fronte alla durezza dell'economia. che ora la colpisce, la coscienza culturalmente ridotta sembra essere destinata a una sorta di svolta apocalittica. Il nichilismo trascendentale del capitale e la sua "forma vuota" vengono presentati in pompa magna, ma senza che tuttavia venga attuata alcuna mediazione analitica. Allo steso modo in cui la postmodernità tende generalmente a esagerare la contingenza, e a cancellare la differenza tra critica e affermazione, anche qui la questione di cosa significhi tutto questo rimane senza alcuna risposta. La scoperta del carattere nichilistico dell'economia, può quindi così significare anche che la postmodernità ha finito per lasciarsi sedurre dal nulla. Come a dire che, se devi affondare socialmente, allora tanto vale farlo con stile. Il vero carattere metafisico delle categorie capitalistiche appare in riflesso, quasi come uno spettro. Il modo in cui il filosofo italiano Giorgio Agamben descrive il "mistero dell'economia" come se fosse un "paradigma teologico-economico", ad esempio, rimane così talmente criptico, da diventare, a sua volta, una mistificazione, piuttosto che un inizio di demistificazione. Il momento quasi religioso del capitalismo, che Marx aveva suggerito a partire dal suo concetto di feticismo della merce, non viene criticato, andando oltre Marx, ma viene teologizzato. E già si parla già di una "svolta teologica" della postmodernità.

   Quando Agamben, o il suo collega francese Alain Badiou, oppure il versatile sloveno postmoderno Slavoj Žižek vedono seriamente nell'apostolo Paolo una sorta di Lenin, non manca certo il metodo. Naturalmente - in quanto buoni atei - essi non frequentano, saggiamente, la scuola domenicale di Papa Benedetto. Il tredicesimo apostolo, serve piuttosto da paradigma di un atteggiamento apparentemente vincente che, in un mondo in crisi, permette di diventare, attraverso un “gesto inedito”, artefici di un mondo nuovo. Paolo avrebbe trovato il metodo per abolire la “vecchia legge” attraverso una “politica della verità” che si imporrebbe da sé sola, trasformando la normale morte di Gesù in un “evento messianico”. Questa “verità” non avrebbe alcuna giustificazione; sarebbe completamente slegata dalle leggi, dalle condizioni e dagli sviluppi sociali. Ed è quindi così, che ancora oggi, la prassi sociale della vita andrebbe spezzata da una politica della verità, e dell'evento, che non poggia su alcuna giustificazione. Distorcendo alcune formulazioni di Walter Benjamin, ecco che così, un momento “messianico” del marxismo tradizionale finisce per rendersi, per così dire, autonomo. Ovviamente, tutto questo non è del tutto nuovo. I temi dell'esistenzialismo heideggeriano ripresi dai postmoderni, vengono ora, nella crisi realmente vissuta, riarrangiati sul piano della filosofia degli eventi sotto forma di “teologia politica”. Le mediazioni vengono definitivamente abolite, in modo da far così spazio al gesto che si auto.genera, da sé solo. Già, intorno a Guy Debord, i situazionisti si rifiutavano di concretizzare, tanto nella teoria quanto nella pratica, il loro disagio riguardo al "lavoro astratto" e al feticismo della merce. Preferivano inventare "situazioni" capaci di sospendere, anche solo momentaneamente e inaspettatamente, l'ordine stabilito. Adorno definì questi modi di pensare e di agire come "falsa immediatezza". In realtà, anche il soggetto stesso viene modellato dal capitalismo, ed è proprio per questo motivo che gli risulta impossibile, in assenza di giustificazioni o condizioni, stabilire un'altra verità. Anche Paolo era condizionato, sul piano storico-sociale, dalla propria epoca e non avrebbe potuto diventare l'inventore di una politica autopoietica della verità. Oggigiorno occorre una contro-mediazione consapevole e tenace che permetta di esaminare criticamente la storia della costituzione capitalistica, per decifrare la metafisica reale moderna quale legame interno tra le forme politico-economiche, al fine di cogliere negativamente la propria costituzionalità in quanto soggetto borghese nel suo essere in divenire. Ciò vale anche per la prassi della resistenza sociale, giacché anche l'azione sindacale più modesta può risultare efficace solo grazie a un complesso processo di mediazione. Il “gesto inedito”, inteso come contro-mediazione critica, è solo un miserabile mito con l'ausilio del quale i postmoderni sperano di cavarsela a buon mercato, gonfiando il petto. Ciò che la coscienza simulata vorrebbe più di ogni altra cosa, è consumare la fine sociale del mondo alla stregua di un evento, in modo da poter poi così rincasare tutta eccitata. Ma dal momento che il proprio reale impoverimento, e il proprio degrado sociale non possono essere virtualizzati, ecco che allora la teologizzazione del capitalismo assume una piega malevola. Nel suo libro, Homo sacer, Agamben ha spiegato la nascita e il processo della modernità grazie all'aiuto del concetto di "stato di eccezione", dando così un contributo importante a una nuova critica storica. Ma, rifiutando di collegare questa conoscenza a una critica categoriale concreta dell'economia politica, e teologizzando la modernità in maniera puramente associativa -  nel suo saggio "Profanazioni" - ecco che vediamo il suo pensiero aprirsi a un'interpretazione oscura e barbara. Reinterpretare la liberazione sociale attraverso la filosofia dell'evento di una salvezza escatologica divenuta profana, diventa compatibile con la “teologia politica” del teorico del diritto Carl Schmitt, un tempo legato al nazionalsocialismo hitleriano. «È sovrano colui che decide nel momento dello stato di emergenza». Questa famosa frase di Schmitt, somiglia alla "svolta teologica" postmoderna. Sebbene Agamben, in "Homo sacer", venisse ancora considerato un critico di Schmitt, ora possiamo osservare una convergenza inquietante. Ciò che essi hanno in comune, è che la "decisione" non si basa su alcuna giustificazione esplicita. La liberazione sociale richiede anche la volontà di decidere, ma questo può essere pensato solo sulla base di giustificazioni consapevoli, e di condizioni analizzate criticamente. Se il soggetto occidentale bianco-maschile - anche nella sua caduta - si rifiuta di ammettere che la propria costituzionalità è condizionata dalle forme sociali, e dalla dissociazione del femminile, e desidera perciò che gli "eventi" ingiustificati vengano imposti nel quadro di una politica della verità, grazie a un "lampo di decisione", ecco che allora, nella crisi,  ciò che può riprodursi dolorosamente è solo la determinazione capitalistica. Ma ai margini del sistema del “lavoro astratto”, comincia già a mancare la forza per realizzare una generalizzazione sociale globale. Nel momento stesso in cui la gestione statale della crisi smantella il legame sociale, la società frammentata precipita nella “guerra civile molecolare” (Hans Magnus Enzensberger). La teologizzazione postmoderna del capitalismo contribuisce, con le sue mistificazioni, alla barbarie; essa si trasforma brutalmente in una volontà vuota e distruttiva, in un «volere che vuole se stesso» (Hegel). Pertanto, anche la risposta neo-esistenzialista o neo-situazionista al nichilismo della modernità, si rivela essa stessa nichilista. La cosiddetta "individualizzazione" postmoderna (Ulrich Beck), che negli Stati Uniti e in Germania è ancora più avanti, si trova già sulla strada per diventare obsoleta. Ma gli individui atomizzati, costretti ad abdicare al loro ruolo di re nel regno del consumo personale di beni, hanno perso la capacità di vivere in società. Ne deriva, un'agglutinazione casuale di individui, i quali finiscono così per formare una folla. In un contesto di crisi della globalizzazione, non sono solo le campagne razziste e antisemite a conoscere, in tutto il mondo, una nuova congiuntura sotto diverse forme fenomeniche. Dappertutto si raggruppano coloro che si sentono vittime di un torto, le cui ambizioni rimangono insoddisfatte e che non riescono più ad essere concorrenziali. Non formano un fronte unito di solidarietà, quanto piuttosto un movimento militante e senza alcun impegno di affermazione di sé in quelli che sono dei contesti mafiosi, indipendentemente da qualsiasi contenuto.

   Le leggi del mondo criminale si stanno estendendo a tutti i gruppi e a tutte le istituzioni della società. E questo va oltre quella che era la semplice tradizionale corruzione. Nella gestione, nei partiti politici, nel mondo accademico, o persino nei circoli teorici di sinistra, la personalizzazione dei problemi, l'intrigo, la patologizzazione reciproca e lo scandalo inscenato, sono tutte cose all'ordine del giorno. A livello della vita quotidiana, la guerra di tutti contro tutti sta diventando uno "stato molecolare di eccezione". Il cosiddetto “evento” non appare più come un atto di liberazione, quanto piuttosto come un colpo di Stato, o come una sorta di putsch, volto a ristabilire, su un terreno sociale in stile Disney World, come una “sovranità” ormai disperata e già, nel suo embrione, priva di qualsiasi fondamento. Nel declino della modernità, la sua storia fondante si ripete ora come una farsa, su scala miniaturizzata. Nel capitalismo della terza rivoluzione industriale, la crisi dell'identità maschile si manifesta sotto forma di una «vendetta di quelli che sono dei piccoli uomini», contro le "élite" che devono essere rovesciate, ma appare anche come un nuovo tipo di sessismo. Non è insignificante che San Paolo - considerato il fondatore della politica della verità -  abbia anche ordinato alle donne di rimanere in silenzio nella comunità. E ora, gli uomini postmoderni paradossalmente svalutati aspirano a diventare donne migliori. Le posizioni e le creazioni femminili nella società, devono essere saccheggiate, in modo da preservare così quella che è la supremazia maschile. Paolo, come se fosse una sorta di Lenin, illustra bene il paradigma di quali sono i problemi di autostima dei soggetti bianchi-maschi e occidentali, di fronte alla crisi del "lavoro astratto"; i quali ora cercano anch'essi di mettere le mani sul femminile dissociato in quanto "capitale culturale" (Pierre Bourdieu). La giostra dello "stato molecolare di eccezione" si trasforma nell'ingiustificata auto-giustificazione di quelli che sono dei soggetti distorti, i quali stilizzano, nella filosofia dell'evento, la loro mancanza di prospettiva. Si ottiene così la cosiddetta «risoluzione» heideggeriana senza alcun contenuto: essi sono sempre e continuamente risoluti, ma ignorano nei confronti di che cosa lo sono.

- Robert Kurz - 2005 -

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