No, l'antisemitismo di sinistra, purtroppo, non è una "fake news"
- Nel contestare l'esistenza di un "antisemitismo di sinistra", lo storico Julien Théry entra a far parte di una lunga tradizione di negazionismo. Un'attenta lettura della storia, e delle sue zone d'ombra, mostra fino a che punto finora la sinistra sia stata in grado di veicolare rappresentazioni ostili riferite agli ebrei -
di Emmanuel Debono, 11 novembre 2025
«Di fronte all'opinione pubblica mondiale, i sionisti stanno cercando (...) di frenare la marea di prove e critiche. Per farlo, ricorrono all'ipnotismo di accuse come quelle di "razzismo" e di "antisemitismo", che in una situazione del genere sono ridicole e insensate.»
Nel 1972, fu così che l'ambasciata sovietica a Parigi rispose, in questi termini, alle accuse di antisemitismo che avevano accolto il bollettino dell'URSS appena pubblicato e che, l'anno successivo, sarebbe stato condannato per incitamento all'odio antisemita [*1]. Le argomentazioni prefiguravano quelle che Jean-Luc Mélenchon avrebbe poi brandito, durante un'apparizione su RTL il 23 luglio 2014, in un contesto in cui nelle città della Francia risuonavano slogan radicali antisionisti: «Non possiamo più pensare, non abbiamo più il diritto di parlare. Immediatamente qualcuno tira fuori quel raggio paralizzante dove ti chiama antisemita.» [*2]. Il fondatore de La France Insoumise avrebbe poi usato più volte questa espressione, che in una versione più aggiornata è stata appena proposta in un articolo dello storico Julien Théry sul sito Hors-Série. «È diventato appropriato imputare (...) agli oppositori troppo pericolosi, una macchia ontologica, nella quale il solo sospetto rende chiunque completamente asociale e impercettibile. L'accusa di antisemitismo ha così assunto una funzione paragonabile, per certi aspetti, a quella svolta dalla scomunica» [*3], così giudica il medievalista, professore all'Università di Lione 2, in un suo lungo articolo volto ad assimilare la nozione di "antisemitismo di sinistra" alle "grandi fake news" (sic). L'accademico, che accorre in aiuto di Jean-Luc Mélenchon, e dell'ex leader del partito laburista Jeremy Corbyn, il quale secondo lui sarebbe stato vittima di «un'accusa di antisemitismo senza alcun fondamento», spiega come questa accusa sarebbe stata utilizzata per squalificare i «leader dei principali movimenti di sinistra (...) in quanto essi rappresentano una seria minaccia per le forze politiche di "governo" (...)». Se Julien Théry non usa il termine "demonizzazione", probabilmente lo fa per non insistere sullo sfortunato parallelo tra LFI, FN e i rispettivi leader, entrambi maestri nella provocazione verbale. Nell'estate del 2021, su Twitter, lo storico ha difeso Jean-Luc Mélenchon, il quale, un anno prima, aveva assunto la tesi antisemita, che riferisce al popolo ebraico come... deicida, dichiarando che Gesù era stato crocifisso dai «suoi stessi compatrioti» [*4]. Poi, contro i detrattori de "L'Insoumise", Julien Théry ha tentato di usare l'ironia : «Dire che gli ebrei hanno fatto uccidere Gesù, è davvero inaccettabile. Quando si pensa che il Nuovo Testamento viene venduto liberamente [*5]!!»
Una "gigantesca manipolazione della storia"
Pertanto, è soprattutto come attivista politico, e non come specialista di antisemitismo (cosa che non è), che Julien Théry oggi contraddice coloro, «compresi degli eminenti storici», i quali ritengono che possa esistere un "antisemitismo di sinistra" [*6]. Ovviamente, è l'attualità che richiede questa riflessione, visto che si tratta di liberare la critica antisionista da ogni ostacolo politico e morale. Così, nel lungo sviluppo storico, il lettore, alla fine dell'articolo, viene condotto davanti al cuore dell'affermazione che sostiene: «I tre postulati fondamentali del sionismo contemporaneo, vale a dire l'esistenza di una nazione che unisca tutti gli ebrei, la sua vocazione a costruire uno stato-nazione, e il diritto di quest'ultimo ad avere un territorio in Palestina (postulati che possono essere condivisi, e che vengono condivisi da molti antisemiti) non sono difendibili, se non a partire da forti pregiudizi ideologici accompagnati da falsificazioni storiche. Basti dire che lo storico non concede alcuna legittimità allo Stato di Israele, né a coloro che, oggi, sono colpevoli di sostenere "lo sterminio degli abitanti di Gaza".» L'"antisemitismo di sinistra", viene pertanto denunciato in quanto "grande fake news", come "gigantesca manipolazione della storia" al servizio di un progetto genocida. Per fare questo, lo storico del Medioevo si sforza di mostrare come, nel XIX° secolo, certe figure del socialismo esprimessero a volte dei pregiudizi che erano solo i pregiudizi del loro tempo. Alphonse Toussenel, Karl Marx, Joseph Proudhon, e persino Jean Jaurès; dai quali non è difficile, spiega l'autore, raccogliere citazioni antisemite, ma che però non sarebbero di natura tale da strutturare il pensiero socialista. Bisogna dare ragione a Julien Théry, allorché egli attribuisce a questi pregiudizi, e a all'antisemitismo, la loro presa sulla destra nazionalista, sul suo status dottrinale, che l'ha irrigata per tutta la sua storia (e ancora oggi); e questo in un momento in cui la sinistra cercava di ergersi, come meglio poteva, a baluardo contro l'antisemitismo. La lettura di questo articolo, tuttavia, ispira profondo disagio perché dietro lo sgombero della nozione di "antisemitismo di sinistra" si cela, molto chiaramente, lo sfratto più globale di quell"antisemitismo di sinistra" che lo storico Michel Dreyfus ha evidenziato in un libro ben documentato, pubblicato nel 2009 [*7]. Théry vorrebbe che la rinascita, da parte di certi autori, di un «antichissimo immaginario relativo a un emblematico ebraismo dell'usura volto a simboleggiare i misfatti del capitalismo» fosse solo episodico. Il suo desiderio di relativizzare, ad esempio, l'antisemitismo di un Toussenel ,del quale perfino il "Dizionario biografico del movimento operaio e del movimento sociale" (Le Maitron) diceva che «non si tratta di un'espressione infelice, o di un semplice pregiudizio (come in Proudhon), né di un semplice anticapitalismo ebraico, ma abbaiamo proprio a che fare con una delle origini dell'antisemitismo di fine secolo» [*8]. A proposito del suo libro "Gli ebrei, re del tempo. Histoire de la féodalité financière" (1845), Théry minimizza la situazione: «il sottotitolo suggerisce che ciò che qui era in discussione, non era tanto un vero e proprio gruppo sociale, che all'epoca era quasi inesistente in Francia, ma piuttosto un fenomeno socio-economico, vale a dire, l'arricchimento attraverso la rendita e la speculazione». In tal modo, quel che si dovrebbe capire, è che gli ebrei non venivano presi di mira in quanto tali, ma per quello che essi rappresentavano [*9], e negare che questa stigmatizzazione fu di breve durata, poiché «all'epoca, in Francia, gli ebrei erano quasi inesistenti», e che non ci sarebbe alcun dubbio che certe attività usurarie praticate dagli ebrei, potrebbero spiegare un simile titolo generalizzante. Certo, un Toussenel non fa il socialismo, ma possiamo negare che certi stereotipi si siano formati con lui, come con altri, all'interno del movimento sociale, e che poi in seguito avrebbero in gran parte ispirato l'estrema destra [*10]? Con questo trasferimento ideologico, spiega Théry, il nome "ebreo" «non si riferirebbe più in maniera astratta a uno stato d'animo, ma bensì a un gruppo definito da una presunta essenza razziale». Si potrebbe però porre una domanda all'accademico: le astrazioni sono davvero così trascurabili in termini di pregiudizio? La denuncia ossessiva di un Rothschild, non ha forse avuto un significato considerevole nella storia dell'antisemitismo, sebbene l'estrema destra gli abbia dato le sue lettere di nobiltà, senza che ci sia stata, a sinistra, la scomparsa di tutti i riferimenti alla "finanza ebraica”»[*11]?
"Razza sociale"
Nel momento in cui Julien Théry intende scagionare Karl Marx da ogni accusa di antisemitismo, spiegando che il filosofo, quando affermava che «il denaro [era] il dio geloso d'Israele, davanti al quale nessun altro dio deve sussistere», non faceva altro che inscriversi nella «grammatica ideologico-politica del proprio tempo, senza tuttavia aderirvi più quanto facesse allora chiunque altro», egli risolve così rapidamente una questione fondamentale, la quale però meriterebbe molta più profondità e sfumature. E quando Jean Jaurès evoca la "febbre del guadagno" della "razza ebraica", ma parla anche della sua capacità di gestire «il meccanismo della rapina, della menzogna, della corruzione e dell'estorsione», magari l'accademico pensa di correggersi citando Jaurès fino alla fine: «non è la razza che deve essere spezzata, è il meccanismo che usa, e che usano gli sfruttatori cristiani». Tuttavia, questa precisazione appare sufficiente ad attenuare la portata corrosiva di queste osservazioni, situando l'attacco sul terreno della "astrazione"? A Julien Théry piacerebbe senza dubbio crederlo, ma bisogna ricordare, ancora una volta, che è in virtù di questo tipo di astrazione che i grandi pregiudizi si radicano e si attualizzano. Sarebbe utile anche andare oltre i pochi autori citati in questo testo. Bruno Rizzi (1901-1977), ad esempio, teorico marxista, vicino al trotskismo, autore di un saggio, "La burocratizzazione del mondo", pubblicato nel 1939, fu condannato in applicazione del decreto-legge Marchandeau per le numerose osservazioni antiebraiche contenute nel suo testo, tra cui la seguente considerazione: «A che cosa vi aspettate che sia moralmente ridotto un popolo che, notoriamente e in modo ininterrotto, ha, per secoli, vissuto sulle fatiche altrui, che ha derubato il prossimo, strangolandolo comprando, e poi ingannandolo rivendendo? Quale spreco di umanità in un popolo che, per secoli, di padre in figlio, ha vissuto solo per accumulare ricchezze, per inventare tutti i mezzi più abili e immorali per spogliare, e ingannare i suoi simili?» E Rizzi chiama alla lotta contro gli ebrei in quanto "classe" e non come "razza" [*12] Ora ci sentiamo rassicurati!
Naturalmente, la sinistra si è impegnata contro i pregiudizi razzisti e antisemiti, e lo ha fatto secondo un'interpretazione per cui i padroni cercavano, propagandoli nell'opinione pubblica, di dividere e indebolire così il movimento sociale. Ma fu anche la Lega Internazionale contro l'Antisemitismo (Lica, oggi Licra), molto impegnata nella difesa del Fronte Popolare, che nel giugno 1939 pubblicò un numero speciale del suo giornale, "Le Droit de Vivre", dedicato ai lavoratori ("Proletari volete le catene?"), con l'appoggio di molti quadri sindacali, attraverso cui l'antisemitismo si manifestò nelle loro file [*13]. L'iniziativa coinvolgeva quantomeno un quadro misto di partiti di sinistra che trovavano difficile ostacolare, nelle loro stesse file, i pregiudizi sul "capitalismo ebraico". La fantasia della dominazione ebraica, era ben lungi dall'essere assente dalle menti della sinistra. Il comunista Robert Louzon, che non era alla sua prima diatriba antisemita, castigò gli ebrei nell'estate del 1939, dopo l'adozione del decreto-legge Marchandeau, condividendo l'ispirazione dell'estrema destra antisemita che denunciava quella che vedeva come una "legge ebraica": «Sono stati, nel corso dei secoli, i rappresentanti della libertà economica e della libera speculazione intellettuale (nonostante la servitù delle loro osservanze rituali); D'ora in poi, sarebbero stati solo fornitori del sistema penitenziario [*14].» Per Julien Théry – come per altri storici – l'affare Dreyfus segna l'adesione della sinistra all'idea che l'antisemitismo sia un'infamia reazionaria da combattere. Ai suoi occhi, questa "svolta cruciale" segnava la rinuncia del movimento operaio alla "assimilazione dell'ebraismo con il capitalismo", ma costituiva anche il "voltafaccia" di quest'ultimo rispetto a «questo immaginario, facendo della lotta contro l'antisemitismo una nuova causa». Tuttavia, questa visione appare frettolosa nella sua generalizzazione. Essa ignora i canali, i discorsi e le staffette ideologiche attraverso i quali l'antisemitismo è stato in grado di trovare il suo posto all'interno del movimento sociale, in particolare attraverso il pacifismo che stava crescendo di fronte alle dittature fasciste. Julien Théry, anche qui, schiva la domanda, parla di un episodio che è stato esagerato in maniera eccessiva: «Quando una corrente della SFIO, l'antenata del Partito socialista, rimproverò ingiustamente agli ebrei di spingere per la guerra con la Germania di Hitler, si trattava di pacifismo, e non di attacchi all'ebraismo». Ma sa che questa accusa di "ebreo guerrafondaio" sia stata, soprattutto all'interno della sinistra, uno dei principali attacchi contro gli ebrei negli anni '30 e durante la seconda guerra mondiale (il tema della "guerra giudaica"), così come lo sarebbe stata poi quella di "sionista" nel dopoguerra?
Neo-antisemitismo
È proprio in un povero paragrafo dedicato al "blocco sovietico e all'antisemitismo" che il medievalista porta a termine la rivelazione della fragilità della sua argomentazione. Il migliaio di caratteri dedicati all'argomento (per un corpus di testo di circa 35.000 caratteri) affermano che, in questo ambito ideologico, i casi di antisemitismo «non derivano evidentemente dall'ideologia comunista specifica di questi regimi, bensì da una tradizione radicata da molto tempo nella cultura delle società interessate». Secondo lui, la questione verrà risolta alla fine, con il XX° Congresso del Partito Comunista dell'Unione Sovietica, il quale, nel 1956, «deplorava (...) atti di antisemitismo». Il resto dell'esposizione ci ricorda l'efficace condanna, da parte di Lenin, dei pogrom e dell'antisemitismo. L'antisionismo, promosso in maniera duratura dal regime di Stalin all'interno dei paesi del blocco socialista, viene quasi del tutto ignorato dall'autore (i termini "antisionismo" e "antisionisti" non compaiono nell'articolo), e questo malgrado una veloce menzione del «complotto dei camici bianchi» il cui antisemitismo non si sovrappone - almeno così viene detto - all'ideologia comunista. Che dire della persecuzione degli ebrei dell'URSS, sotto Krusciov, Breznev o Andropov [*15]? Che dire della discriminazione di Stato in Unione Sovietica, in Cecoslovacchia o in Polonia? Dell'azione specifica della Stasi [*16]? Ai “Refuseniki” venne vietato di emigrare in Israele? Che dire anche, e soprattutto, della Guerra dei Sei Giorni, la quale ha costituito una svolta importante nella storia dell'antisemitismo contemporaneo, inaugurando un antisionismo radicale, propagato dal blocco sovietico, e sostenuto dai paesi arabi, le cui ripercussioni sono state mondiali? A quel tempo, nel 1968, Jacques Vichniac, noto come Jacques Givet, pubblicò un opuscolo intitolato "La sinistra contro Israele?", in cui l'autore, ex combattente della resistenza e attivista anticoloniale, che si definiva un "ebreo di sinistra", intendeva criticare quella che era una sinistra «in procinto di tradire la sua propria ragion d'essere» [*17]. L'intenzione era quella di denunciare «uno stato d'animo assai travagliato, in cui l'antisionismo e l'anti-israelismo, in varia e diversa misura, riflettono di fatto un "neo-antisemitismo", il quale, sebbene il più delle volte inconscio, e quasi sempre coperto dalla maschera della buona coscienza, non è di meno una perfetta ignominia» [*18]. Allo stesso tempo, lo storico dell'antisemitismo Léon Poliakov (1969) pubblicò, insieme a Calmann-Lévy, "De l'antisionisme à l'antisémitisme", nel quale analizzava la matrice stalinista di questo odio per Israele, che deriva dall'odio per i sionisti e, in ultima analisi, dall'odio per tutti gli ebrei [*19]. A quel tempo (1973), Paul Giniewski pubblicò "Antisionismo", libro che comprendeva un centinaio di pagine dedicate all'"antisionismo di sinistra" [*20]. Veniva, ad esempio, messa in evidenza la seguente domanda di Edgar Morin, il quale si chiedeva, nel suo studio dedicato alle dicerie di Orléans, «se una buona parte di quegli angeli custodi dell'ebreo visto come vittima, costituiti dai partiti e dall'intellighenzia della sinistra, non si sarebbero alla fine trasformati in degli arcangeli sospettosi, persino minacciosi, nei confronti dell'ebreo sionista» [*21]. Ed Henry Bulawko, ex deportato di Auschwitz, e poi segretario generale del Cercle Bernard Lazare, in un'intervista pubblicata il 15 maggio 1970 su "La Presse nouvelle hebdomadaire", si chiedeva: «Se oggi domandassimo a un ebreo francese da che parte stanno i suoi amici e i suoi nemici, penso che egli avrebbe difficoltà a rispondere, e questo a causa della confusione creata dal conflitto arabo-israeliano e dalla lotta contro il sionismo [*22].» Nel 1973, alla fine del suo appello contro il bollettino dell'URSS, Robert Badinter, implacabilmente, conclude: «Se è tutta qui la difesa contro il male, se è tutta qui la speranza di giustizia e di fraternità che un mondo che si dice socialista porta avanti, allora il processo di oggi ha un significato quasi disperato, perché se il socialismo è altrettanto impotente di quanto lo sia stata la lotta contro le vecchie bestie e i vecchi demoni, allora, cosa rimane a coloro che credono nel socialismo [*23]?» Ora sono passati più di cinquant'anni, e abbiamo scoperto, allorché "La France Insoumise" ha affermato nel dibattito pubblico le sue posizioni antisioniste, puntualizzate dalle "piccole frasi" di Jean-Luc Mélenchon – e tutto questo nonostante la densità delle analisi prodotte sull'argomento per anni e anni – che esisteva un problema che riguardava la sinistra e l'antisemitismo...
Alla ricerca della sinistra, baluardo...
Quando Julien Théry ritiene che il "corpus di idee" ostili agli ebrei, sviluppato dai primi pensatori del movimento operaio, «ha avuto continuità solamente nell'altro campo», non sta forse andando un po' troppo in fretta? Quando afferma che «dopo quel momento cruciale, gli stereotipi antisemiti a sinistra erano ormai stati superati, salvo casi marginali.» e che c'è stato solo l'affare Dreyfus, non sta forse coltivando la negazione? Quando afferma che «l'unico antisemitismo moderno» è quello della destra nazionalista, non sta forse rinunciando a una forma di oggettività storica che invece gli richiederebbe, come minimo, di analizzare quanto, a lungo termine, l'anno 1967 (del tutto assente dall'articolo) abbia pesato in questa storia? Il fatto di chiedersi se esista una cosa come l'antisemitismo "di sinistra" o "a sinistra", è in definitiva una tecnica di confusione e di diversione. Quando il medievalista, rimettendo al loro posto gli specialisti dell'antisemitismo contemporaneo, decreta che la nozione di "antisemitismo di sinistra" è un'«idea assai recente», e che essa «non esisteva prima dell'inizio del ventunesimo secolo, e si è affermata davvero solo alla fine degli anni 2010» (sic), in ogni caso egli sta ignorando gran parte della storiografia e dell'analisi, che non conosce o che non vuole conoscere. E questa omissione, se vista alla luce delle posizioni indigeniste che egli esprime in conclusione, parlando di una «strumentalizzazione degli ebrei» e di «giochi perversi giocati a loro danno dalle élite dominanti occidentali», non ci stupisce affatto. Il riferimento a Houria Bouteldja, fatto «per approfondire» l'analisi, la dice assai lunga a proposito del background ideologico di questa operazione di discolpa. Il fatto che la destra nazional-populista, o l'estrema destra, stiano ora cercando spudoratamente di nascondere il posto strutturante che l'antisemitismo ha avuto nella loro storia, non dovrebbe impedire a uno storico di considerare quale sia stato il rapporto della sinistra con tutta la questione, i suoi aspetti di base, le sue ambivalenze, le sue zone d'ombra; ma anche quei momenti in cui è stato affermato, senza ambiguità o deviazioni, che i pregiudizi antiebraici disonorano l'umanità. Questa riflessione è del tutto assente in un articolo che illustra perfettamente alcune carenze attuali per quel che riguarda la comprensione dell'antisemitismo; così come quali sono le carenze di quello che è un approccio "accademico-militante" [*24] che mette in discussione l'etica disciplinare. Pertanto, non è sufficiente dire che l'antisemitismo non debba essere rivendicato e assunto come tale, da individui o correnti politiche, perché esso non esisterebbe. Per fortuna, invece, questa dimensione dell'analisi è ben familiare agli specialisti della materia.
- Emmanuel Debono, 11 novembre 2025 - Pubblicato su https://www.conspiracywatch.info/ -
NOTE:
[1] Si veda il corso di questo caso nel 16°capitolo ("I primi passi della legge Pleven. La bambola di Digione. Il bollettino dell'URSS") di: Emmanuel Debono, "Le racisme dans le prétoire. Antisemitismo, razzismo e xenofobia davanti ai tribunali", Parigi, PUF, 2019, pp. 608-628. Fu questa la prima applicazione della legge del "pronto soccorso contro il razzismo", del luglio 1972.
[2] Su questo argomento, si veda Milo Lévy-Bruhl, "La France insoumise, Jean-Luc Mélenchon et l'antisémitisme", in Alexandre Bande, Pierre-Jérôme Biscarat & Rudy Reichstadt (eds.), Histoire politique de l'antisémitisme en France (Robert Laffont, 2024), pp. 296-299.
[3] Possiamo anche leggere un po' più tardi che l'accusa di antisemitismo è «sempre stata concepita dai leader israeliani come una "cupola di ferro" che si basa sulla colpevolezza del giudeocidio europeo al fine di neutralizzare l'opposizione internazionale».
[4] Forti reazioni dopo le osservazioni di Mélenchon su Gesù crocifisso dai "suoi stessi compatrioti", La Croix, 17 luglio 2020.
[5] Tweet di Julien Théry del 30 agosto 2021 [archivio].
[6] Per una recente riflessione sull'argomento, si veda la nota di Bernard Bruneteau e Stéphane Courtois, Les gauches antisémites (1. Da Proudhon alla rivoluzione bolscevica 2. Determinazione totalitaria), Fondazione per l'innovazione politica, 23 giugno 2025.
[7] Michel Dreyfus, L'antisemitismo a sinistra. Histoire d'un paradoxe, de 1830 à nos jours, Paris, La Découverte, 2009.
[8] Avviso TOUSSENEL Alphonse, versione pubblicata online il 20 febbraio 2009, modificata da ultimo il 7 ottobre 2024.
[9] Questa sottosezione dell'articolo di Julien Théry è intitolata "'Ebraismo', un altro nome per il regno del denaro e dello sfruttamento capitalistico".
[10] In La France juive (Flammarion, 1886), Édouard Drumont rende omaggio in diverse occasioni al "capolavoro" di Toussenel.
[11] Si veda ad esempio il discorso di Benoît Frachon a 36 annie Congresso del sindacato (11-17 giugno 1967), dove il segretario ricorda una cerimonia al Muro del Pianto a cui parteciparono "due rappresentanti di una tribù cosmopolita di banchieri ben noti in tutti i paesi del mondo: Alain e Edmond de Rothschild". (L'Humanité, 17 giugno 1967)
[12] Sul caso Rizzi, si veda Emmanuel Debono, Le racisme dans le prétoire... Op. cit., pp. 100-103.
[13] Su questa operazione, si veda Emmanuel Debono, Aux origines de l'antiracisme. La Licra 1927-1940, Parigi, CNRS Éditions, 2012, pp. 367-371 ("Un diritto alla vita per le masse operaie").
[14] Robert Louzon, Solidarietà internazionale antifascista, 3 agosto 1939.
[15] Si veda in particolare Sarah Fainberg, Les discriminés. L'antisemitismo sovietico dopo Stalin, Parigi, Fayard, 2014.
[16] Gilles Karmasyn, "Il Drang nach westen dell'antisemitismo sovietico e il suo cavallo di 'antisionismo'", Le DDV, 7 settembre 2024.
[17] Jacques Givet, La Gauche contre Israël?, Parigi, Jean-Jacques Pauvert, 1968.
[18] Ivi, p. 12.
[19] Léon Poliakov, De l'antisionisme à l'antisémitisme, Parigi, Calmann-Lévy, 1969.
[20] Paul Giniewski, L'antisionisme, Bruxelles, Éditions de la Librairie encyclopédique, 1973.
[21] Ivi, p. 63. Edgard Morin, La rumeur d'Orléans, Paris, Éditions du Seuil, 1969.
[22] La Presse nouvelle hebdomadaire, 15 maggio 1970. Si tratta di un'intervista congiunta con Charles Palant, segretario generale del Movimento contro il razzismo, l'antisemitismo e per la pace (MRAP), Henry Bulawko, segretario del Cercle Bernard Lazare, e André Gisselbrecht, germanista, professore all'Università di Vincennes.
[23] "1973, Badinter si schiera contro l'antisionismo", Revue K, 15 ottobre 2025. Appello di Robert Badinter del 26 marzo 1973, presentato e annotato da Emmanuel Debono.
[24] Nathalie Heinich, Che cosa fa l'attivismo alla ricerca, (trattati n°29), Parigi, Gallimard, 2021.
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