Da tempo, Karl Marx aspettava una rivolta contro l'impero europeo
- di Kieran Durkin -
Alcuni critici hanno accusato Karl Marx di aver forzato la storia mondiale in un quadro ristretto che presentava il capitalismo europeo come un modello di sviluppo universale. Uno sguardo più attento agli ultimi scritti di Marx mostra quanto questo stereotipo sia lontano dalla verità. Nel suo nuovo libro "Karl Marx in America", Andrew Hartman suggerisce che stiamo vivendo quello che è un "quarto boom" del marxismo nel mondo anglofono. Sebbene un'idea del genere possa sembrare fantasiosa, se vista in termini di movimenti sociali e politici, quando la prendiamo come un riferimento all'impegno intellettuale rispetto al pensiero e agli scritti di Karl Marx, essa allora cattura quella che è una verità definita. L'anno scorso, la Princeton University Press ha pubblicato, dopo decenni, la prima nuova traduzione inglese del I° volume del Capitale, e questo mentre "Slow Down: The Degrowth Manifesto", di Kohei Saito, è stato pubblicato con enorme clamore. Oggi, nel 2025, il libro di Hartman fa scalpore. e questo nel mentre che "The Late Marx's Revolutionary Roads" di Kevin Anderson sembra ora dimostrare quale sia la continua rilevanza e il fascino di Marx e del marxismo.
Un Marx multilineare
"Revolutionary Roads" riprende da dove il precedente libro di Anderson, "Marx at the Margins", si era interrotto quindici anni fa. La pubblicazione di "Marx ai margini" ha costituito uno sviluppo fondamentale riguardo la ricerca su Marx. Attingendo ai suoi scritti giornalistici, alle sue lettere e ai suoi ultimi quaderni sulle società non europee e pre-capitaliste, ha sfidato la visione diffusa di Marx che lo vuole come un pensatore deterministico, con un modello unilineare di storia che veniva esemplificato, nelle parole di Edward Said, come una "visione omogeneizzante del Terzo Mondo". Kevin Anderson ha dimostrato che gli scritti di Marx, se presi a tutto tondo, dimostrano che la sua non è una comprensione unilineare e deterministica della storia e della cultura umana. E infatti, in essa si può trovare un resoconto molto più aperto, multilineare, e con un acuto apprezzamento della diversità umana. "Revolutionary Roads" amplia e perfeziona un tale quadro. Il libro si basa sull'accesso a dei documenti che precedentemente non erano disponibili, e che sono stati ottenuti grazie alla collaborazione di Anderson al progetto Marx-Engels Gesamtausgabe (MEGA). Questi documenti includono tutti gli appunti scritti da Marx negli ultimi anni della sua vita e che riguardano le opere antropologiche di Lewis Henry Morgan, Maksim Kovalevsky e altri. Il tema della multi-linearità è centrale in "Revolutionary Roads". In particolare, Anderson interroga la nozione di «"epochen" progressiva»; vale a dire, l'idea di fasi successive della società umana, la quale si basa su ciò che Marx avrebbe descritto come dei distinti «modi di produzione». Marx e Frederick Engels, articolarono per la prima volta questo schema ne "L'ideologia tedesca" (un'opera composta nel 1845-46 e che rimase inedita durante la loro vita). In essa si postula tutta una serie di stadi di sviluppo storico, segnati dai movimenti che portano da un modo di produzione dominante all'altro; dove vediamo come il modo di produzione tribale, o di clan, cedere il passo all'antico modo di produzione schiavista della Grecia e di Roma, per poi essere soppiantato a sua volta dal modo di produzione feudale, quindi dal modo di produzione borghese e poi, Infine, dal modo di produzione comunista o socialista. La questione del feudalesimo – in particolare, cioè, nella misura in cui possiamo generalmente descrivere le società di classe precapitaliste in tutto il mondo vedendole come "feudali" – è fondamentale ai fini dell'argomentazione di Anderson.
Capire il Feudalesimo
L'idea stessa di un simile schema, ha sempre costituito un terreno di contesa negli studi marxisti e oltre, data la sua apparente affinità con le forme illuministe della cosiddetta "teoria stadiale". Come sottolinea Anderson, tuttavia, l'intera nozione di modi di produzione, in quanto epochen progressive, in Marx è sotto-determinata: ovvero, possiamo parlare di essi come progressivi in senso tecnologico, che rappresentano una sequenza di sviluppi tecnologici o sociali l'uno sull'altro, o come progressivi nel senso di seguirli uno dopo l'altro su scala temporale. Tuttavia, ci sono problemi con entrambe le interpretazioni. Per quanto riguarda il primo, Anderson nota come la discussione di Marx sul feudalesimo sia punteggiata da tutta una serie di frecciate contro il progressismo illuminista, frecciate che rendono non plausibile una tale lettura. Mentre per quanto riguarda il secondo, il fatto che Marx abbia parlato di un «modo di produzione asiatico», il quale si trovava al di fuori di quello che sarebbe il modello di sviluppo europeo, getta interamente nello scompiglio tutto lo schema. In ogni caso - al tempo del Capitale - il linguaggio relativo all'epochen progressista scompare completamente. Infatti, se consideriamo tutti gli scritti, le lettere, gli appunti di ricerca, e così via, di Marx, nei quali la discussione sul feudalesimo occupa in realtà uno spazio piuttosto ristretto, diventa allora, come nota Anderson, «doppiamente sbagliato considerare i primi modi comunali di produzione comunali, quell'antico greco-romano e quello asiatico come se fossero in qualche modo periferici rispetto all'opera di Marx, mentre allo stesso tempo viene fatto, del feudalesimo, il centro di essa». Nei quaderni etnologici di Marx, e in alcuni dei suoi scritti successivi - tra cui l'edizione in lingua francese del Capitale - lo vediamo quasi sforzarsi di criticare l'universalizzazione del feudalesimo europeo, inteso a coprire la storia delle società non europee. Anderson dimostra quale sia la traiettoria di studio di Marx, la quale ci indica che egli si trovava nelle prime fasi di quello che sarebbe stato poi un impegno significativo riguardo le strutture e l'ambito delle società non europee, il quale avrebbe potuto diventare più centrale nei successivi volumi incompiuti del Capitale, in particolare il discusso volume sul mercato mondiale. Nella sua risposta, del 1877, a un articolo apparso su una rivista russa che commentava criticamente lo schizzo storico relativo alla «cosiddetta accumulazione primitiva» - offerto nel I° Volume del Capitale - Marx se la prende direttamente con l'autore, un certo Žukovskij, il quale - si lamenta Marx - «si sente obbligato a trasformare il mio schizzo storico, della genesi del capitalismo nell'Europa occidentale, in sorta di quella che sarebbe una teoria storico-filosofica del percorso generale fatalmente imposto a tutti i popoli, qualunque siano le circostanze storiche in cui essi si trovano». Prove del rifiuto di Marx nei confronti di questa lettura unilineare, si possono trovare anche in un passaggio che Anderson cita, traendolo dalla successiva edizione francese del Capitale: «Ma la base di tutto questo sviluppo, è l'espropriazione dei coltivatori. Finora esso è stato portato avanti, in maniera radicale, solo in Inghilterra: e di conseguenza, nel nostro schizzo questo paese svolgerà necessariamente un ruolo di primo piano. Ma sono tutti i paesi dell'Europa occidentale ad attraversare il medesimo sviluppo, anche se, a seconda dell'ambiente particolare, cambia il loro carattere locale, o viene limitato a una sfera più ristretta, o mostra un carattere meno pronunciato, o segue un diverso ordine di successione.»
Lavoro sociale
Una questione correlata riguarda l'importanza dello studio di Marx sulle relazioni di proprietà comunitarie – o, piuttosto, come dice Anderson, sulle «relazioni sociali comunitarie», o forme sociali. Una distinzione del genere, da parte di Anderson, non è un esercizio di spaccatura del capello. Come osserva egli stesso, sarebbe sbagliato dire che Marx, nei suoi studi sulle società non europee, si sia concentrato sulla proprietà comune di per sé, dal momento che molte di queste società «avevano poco, se viste nei in termini di proprietà di qualsiasi tipo, tranne che per delle piccole quantità di proprietà personale». Più significativamente, è la forma di lavoro sociale utilizzata per sostenere la società - piuttosto che le forme di proprietà stesse - a essere, per Marx, la preoccupazione più essenziale. Le forme di proprietà, funzionano più come caratteristiche secondarie, derivate da questa forma precedente. La distinzione è utile, e non da ultimo per dissipare l'argomento - che troviamo nell'opera di Proudhon e di altri - che dipinge la proprietà come una forma di furto. Per Marx, l'idea che «la proprietà è furto» si basa su una confusione elementare: non possiamo parlare di "furto" in relazione a qualcosa che non era già proprietà. Affinché qualcosa possa essere rubato, deve prima appartenere a qualcun altro. Pertanto, Marx sostiene che le relazioni di proprietà sono il risultato di un processo di trasformazione di relazioni sociali più ampie, e del ruolo del lavoro: in particolare, il processo violento di separazione dei produttori dall'accesso diretto ai mezzi di produzione, e il loro coinvolgimento in nuove relazioni sociali (per esempio, come schiavi o come lavoratori salariati). Solo allora si potrà avere la proprietà privata, vista come forma duratura di relazione sociale. Marx lo espone nell'ultimo capitolo del I° Volume del Capitale, ne "La teoria moderna della colonizzazione", che appare nella sezione dedicata alla «cosiddetta accumulazione primitiva». In questo capitolo, Marx racconta la triste storia del signor Peel, un industriale inglese che fraintese il desiderio umano di un lavoro non alienato. Il signor Peel, aveva trasportato i mezzi di produzione, insieme a un gruppo di potenziali lavoratori salariati, a Swan River, nell'Australia occidentale, fornendo loro tutto ciò che sarebbe stati necessario per l'insediamento di un'impresa incipiente. Tuttavia, con grande orrore e indignazione del signor Peel, i futuri lavoratori salariati lo abbandonarono prontamente non appena arrivati a destinazione. Essi si misero in proprio, esercitando così l'elementare diritto all'autodeterminazione della propria riproduzione quotidiana e delle loro condizioni di esistenza. Sul fatto che dovremmo vedere la «cosiddetta accumulazione primitiva» come se essa fosse un processo storico o continuo, c'è un dibattito di lunga data . Veniva limitato al periodo in cui il capitale emergeva dal non-capitale attraverso quello che era uno strano processo di alchimia: nel corso della "preistoria" del capitale, come la chiama Marx?!?? Oppure si tratta di un fenomeno esteso, fino ancora a oggi esemplificato dal continuo sviluppo del capitale in zone di non-capitale? Come mostra Anderson, le note di Marx descrivono l'accumulazione avanzata e matura del capitale, vedendola come funzionante a fianco - e necessariamente richiedente - di quella violenza di Stato palese, che serve a poter trasformare le relazioni sociali comunitarie. L'India ne è un chiaro esempio, e in misura minore lo è l'Algeria, ma è tuttavia degno di nota il fatto che Marx ne discuta, vedendola anche come un fenomeno storico imminente nel caso della Russia. Come afferma Marx, nella sua lettera alla leader populista russa Vera Zasulich: «ciò che minaccia la vita della Comune russa, non è né un'inevitabilità storica, né una teoria; bensì è l'oppressione e lo sfruttamento dello Stato da parte di capitalisti intrusi».
Forme comunitarie
Uno dei temi di "Revolutionary Roads", è l'acuta attenzione posta da Marx alla resistenza al dominio coloniale. Di particolare importanza qui è il ruolo assunto dalle "comuni rurali"; Marx commenta, non solo le comuni rurali dell'India, ma anche quelle dell'Algeria e delle Americhe. Il suo elogio per tale resistenza, sembra essere in contrasto coi precedenti commenti che Marx faceva in un articolo del 1853, dove descriveva la "primitiva" comune di villaggio come se essa fosse «il solido fondamento del dispotismo orientale», laddove il colonialismo avrebbe giocato un ruolo progressivo nel portare alla sua dissoluzione. Precedentemente, Anderson aveva discusso questo punto in "Marx at the Margins", dove aveva contestualizzato quei commenti, dimostrando il progressivo spostamento di Marx, negli anni successivi, verso una posizione più direttamente anticolonialista. Nel suo nuovo libro, ci fornisce un senso più profondo del come Marx abbia sviluppato questa posizione anticoloniale. La cosa appare particolarmente evidente nel fascino che Marx subiva, proveniente dalla persistenza di forme sociali comunitarie; dalla Russia all'Irlanda e persino alla Germania. Leggendo Anderson, abbiamo la sensazione palpabile che Marx vedesse le forme sociali comunitarie, anche laddove rimangono solo degli elementi vestigiali, in quanto fondamentali per poter comprendere «la negazione della negazione» del capitale, suggerendo così la forma della futura società comunista. Non è un caso che lo studio di Marx sulla Comune tradizionale si intensifichi negli anni successivi alla Comune di Parigi del 1871. Sarebbe sbagliato vedere l'interesse di Marx per l'antica comune come se questo fosse un'identificazione romantica con quelle forme arcaiche. Anderson mostra Marx che sottopone gli elementi patriarcali di quelle forme, in particolare, a una critica rigorosa, mentre allo stesso tempo ne loda gli elementi più progressisti. In realtà, la principale preoccupazione di Marx non sono le antiche forme comunitarie nelle loro versioni precoloniali. Prendendo l'India come esempio, Anderson osserva che il «punto dialettico chiave» ai fini della teorizzazione di Marx arriva solo «dopo la sostanziale penetrazione del colonialismo britannico, dopo che queste forme comunitarie sono state sconvolte dagli aspetti delle relazioni sociali capitalistiche imposte dagli inglesi». Marx è preoccupato, crede Anderson, di come questo processo abbia avviato dei «nuovi tipi di pensiero e di organizzazione che possono costituire la base di un nuovo tipo di soggettività», che poi si rivelerà pericolosa per le forze colonizzatrici. Se era davvero questa l'osservazione di Marx, allora ciò dimostra, alla luce della storia del XX secolo, con la sua miriade di rivoluzioni anticoloniali, un'innegabile preveggenza.
Strade per la rivoluzione
Il capitolo conclusivo di Anderson - dove affronta la questione della comprensione di Marx della trasformazione rivoluzionaria e di come essa sia cambiata nel tempo - è per molti versi il fulcro finale del libro. Almeno fino alla metà degli anni '50 dell'Ottocento, era evidente che Marx considerasse le nazioni industrialmente sviluppate, quali la Gran Bretagna, come se esse fossero il probabile luogo della rivoluzione, che si sarebbe poi diffusa nelle periferie del capitalismo in paesi come l'Irlanda e la Polonia. Alla fine degli anni '60 dell'Ottocento, tuttavia, era arrivato a capovolgere tale visione, sostenendo che sarebbe avvenuto a causa degli eventi in Irlanda, che la rivoluzione sarebbe stata innescata in Gran Bretagna, da dove poi si sarebbe diffusa in tutto il mondo. In "Revolutionary Roads", Anderson dimostra come la Russia sia arrivata, in seguito, ad assumere per Marx il posto dell'Irlanda e della Polonia, come pietra d'angolo della rivoluzione mondiale. In una lettera del 1879 al leader socialista francese Jules Guesde lo dice chiaramente: «Sono convinto che questa volta l'esplosione della rivoluzione, non comincerà in Occidente, ma piuttosto in Oriente, in Russia». Secondo Marx, la rivoluzione si sarebbe diffusa, per prima, dalla Russia, e poi alla Germania e all'Austria: «E' della massima importanza che nel momento di questa crisi generale in Europa,ci veniamo a trovare con il proletariato francese già organizzato in un partito operaio, e pronto a svolgere il suo ruolo. Per quanto riguarda l'Inghilterra, gli elementi materiali per la sua trasformazione sociale sono sovrabbondanti, ma manca uno spirito propulsivo. Questo non si formerà, se non sotto l'impatto dell'esplosione degli eventi sul continente.» Allo stesso tempo, vediamo come la comune antica divenga centrale nel pensiero di Marx riguardo la rivoluzione stessa. Il Marx che Anderson ci mostra, facendocelo vedere nei suoi ultimi anni, si sforza di respingere l'idea che gli sviluppi in Gran Bretagna e nell'Europa occidentale debbano essere replicati ovunque, per far sì che la transizione al comunismo sia possibile. Egli suggerisce chiaramente che un futuro socialista può emergere a partire dalle comuni di villaggio, a condizione che le influenze che gravano su di loro, a partire dall'invasione capitalistica, possano essere superate: «Può l'obshchina russa - una forma, anche se fortemente erosa, di quella che era la proprietà comune primordiale della terra - passare direttamente alla forma superiore, comunista, della proprietà comune? O deve prima passare attraverso lo stesso processo di dissoluzione che segna lo sviluppo storico dell'Occidente? L'unica risposta oggi possibile è: se la rivoluzione russa diventasse il segnale di una rivoluzione proletaria in Occidente - in modo che le due si realizzino a vicenda - ecco che allora l'attuale proprietà fondiaria comune russa potrebbe servire come il punto di partenza per uno sviluppo comunista.» Un ultimo contributo offerto dallo studio di Anderson, è quello che mette in primo piano i temi centrali della "Critica del programma Gotha" di Marx, che Anderson ha co-tradotto, insieme a Karel Ludenhoff, nel 2023. Quella edizione, con un'eccellente introduzione di Peter Hudis, si concentra sulla problematica traduzione del termine tedesco "Staatswesen" ("corpo politico"), il quale viene reso in maniera errata, nella maggior parte delle traduzioni inglesi, come "stato". Come notano Ludenhoff e Anderson, il resoconto di Marx della futura società comunista si basa sulla sostituzione dello Stato con il controllo democratico diretto sulle necessarie "funzioni statali" [Staatsfunktionen]. È per questo motivo che Marx, ne "la Guerra civile in Francia", ha parlato della Comune vedendola come «una rivoluzione contro lo Stato» e del «riassorbimento del potere statale da parte della società, come della sua stessa forza vitale». In questi ultimi scritti, Marx lascia un po' troppo poco chiaro il processo preciso, attraverso il quale la Comune russa e l'Occidente industriale avrebbero interagito per riuscire a modernizzare la forma della Comune. Eppure essi, presi insieme, dovrebbero sfatare l'idea secondo cui lui vedesse come l'alternativa al capitalismo, una forma statalista di socialismo. Lo studio di Anderson, rivela così un Marx marcatamente diverso dalla figura dogmatica che tanti critici e ammiratori hanno dipinto, uno la cui flessibilità di pensiero, ispirata dall'attenzione alle pratiche sul campo, così come dall'immersione in una vasta gamma di letture accademiche, dovrebbe essere presa molto più sul serio. "Revolutionary Roads" ci invita implicitamente a trasporre la pratica di Marx nel nostro momento, prestando molta attenzione alle diverse pratiche e possibilità sociali, cercando non solo l'evidenza della regressione, così evidente intorno a noi, ma anche le molte forme di resistenza ad essa.
- Kieran Durkin - Pubblicato su Jacobin il 14/9/2025 -
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