La questione dell'intenzionalità genocida in relazione a Gaza
- di Emmanuel Faye -
La contrapposizione, tra la situazione disperata della popolazione civile a Gaza e la persistente negazione da parte di coloro che si rifiutano di riconoscere l'intenzionale distruzione della popolazione palestinese, appare essere abissale. Di fatto, le testimonianze e le analisi degli storici, degli osservatori e dei critici israeliani non vengono prese sul serio. La stessa cosa vale anche rispetto alle decisioni e alle azioni della Corte internazionale di giustizia delle Nazioni Unite e della Corte penale internazionale dell'Aia, che vengono screditate, o ostacolate. Ma probabilmente ciò smette di essere sorprendente se consideriamo il fatto che ogni impresa genocida viene sempre accompagnata da dei discorsi di negazione, i cui meccanismi sono noti. Qui, non si tratta di dimenticare il massacro perpetrato da Hamas il 7 ottobre 2023, e il sequestro di ostaggi israeliani. Lo Stato di Israele ha il diritto di difendersi in modo proporzionato contro ogni aggressione. Tuttavia, qualunque possa essere la posta in gioco per la leadership israeliana, da un lato, e di quelle palestinesi dall'altro, la popolazione palestinese bombardata a Gaza, costantemente sfollata e ridotta alla fame dal blocco israeliano, non rappresenta una minaccia esistenziale. Non c'è niente che possa giustificare la gravità della distruzione deliberatamente inflitta a questa popolazione, le cui infrastrutture sanitarie ed educative sono ora distrutte. E non c'è niente che autorizzi i discorsi disumanizzanti che hanno fatto i leader politici e militari israeliani. A fronte del coraggioso lavoro di ONG, giornalisti, storici e giuristi delle varie corti internazionali, cosa mai può fare un filosofo di fronte a una situazione genocida come quella che viene subita dalla popolazione palestinese di Gaza? Se è, in primo luogo, responsabilità dei giuristi stabilire se si sia verificato un genocidio, il filosofo può e deve, a nome dell'umanità, intraprendere un'analisi critica dei motivi teologici, ideologici, storici e politici che orientano e governano coloro che perpetrano dei crimini di guerra, dei crimini contro l'umanità e dei genocidi. Spetta a lui respingere i discorsi di odio, da qualunque parte essi provengano.
In un articolo su Le Monde pubblicato l'11 giugno 2025, lo storico Vincent Duclert riteneva che, nel caso della popolazione civile di Gaza, fosse controproducente focalizzarsi sulla qualificazione di genocidio. Parlare di crimini contro l'umanità, così come lo fa la Corte penale internazionale, avrebbe prodotto più effetto, andando a pesare direttamente sui leader chiamati in causa. Ci si può certamente chiedersi perché questa qualifica di genocidio, più difficile da stabilire dal momento che bisogna provare la realtà dell'intento sterminatore, sarebbe più decisiva di quella dei crimini contro l'umanità, altrettanto atroci sul piano fattuale. Tuttavia, oltre al fatto che un genocidio colpisce l'insieme di un intero gruppo umano, è proprio la sua dimensione intenzionale a fare la differenza. L'esistenza di un intento genocida solleva delle questioni che il concetto giuridico di crimini contro l'umanità non solleva allo stesso modo. Che cos'è che spinge delle menti a mettere deliberatamente in atto l'annientamento di un gruppo umano? Che cosa avviene in un pensiero per far sì che esso arrivi a una simile radicalità? Come avviene che si venga a costituire una mentalità genocida individuale, o collettiva? Se quella che è la questione dell'intenzionalità sterminatrice nei genocidi, viene affrontata troppo raramente, ciò avviene senza dubbio perché - imponendo la formula della "banalità del male", definita a partire dall'assenza di pensiero, e quindi di movente, nei responsabili della Soluzione Finale, Hannah Arendt ha neutralizzato questa questione, la quale è tuttavia ben documentata nelle dichiarazioni di Eichmann. È riuscita così a scagionare esplicitamente degli autori come Carl Schmitt e Martin Heidegger, la cui responsabilità, nel legittimare la politica nazista di annientamento (il primo attraverso la sua dottrina del "nemico esistenziale", il secondo attraverso le sue ingiunzioni a porsi come fine - a lungo termine - lo "sterminio totale" del nemico interno), si era rivelata particolarmente pesante
Tuttavia, per tornare alla questione del Medio Oriente, ci sono diverse dichiarazioni, da parte di funzionari israeliani, che testimoniano oggi l'esistenza di un'intenzione sterminatrice. I riferimenti fatti da Netanyahu agli Amalechiti - questo popolo da sterminare nel Deuteronomio, tra cui donne e bambini - sono di una grande radicalità, anche se, incriminato per crimini contro l'umanità e per crimini di guerra dalla CPI, Netanyahu ha successivamente cercato di minimizzare la portata delle sue dichiarazioni. Resta il fatto che la sua comunicazione formale alle truppe dell'IDF: «Ricordate che cosa vi ha fatto Amalek», pubblicata il 3 novembre 2023 da "The Times of Israel", non poteva certo rimanere senza conseguenze. Lo stesso vale per le proposte del ministro della Difesa, che equiparano gli abitanti di Gaza a degli «animali umani». Molte altre dichiarazioni, potenzialmente genocide, da parte di ufficiali israeliani, sono state raccolte e pubblicate dallo storico israeliano Lee Mordechai. Ricordiamo anche l'episodio in cui, durante un discorso all'ONU, il 27 settembre 2024, il Primo Ministro di Israele ha mostrato, esponendola, una mappa del suo Paese, che non comprendeva la Striscia di Gaza o la Cisgiordania, come se volesse ratificarne la loro cancellazione, con tutte le conseguenze prevedibili per la popolazione palestinese che vi abita. Questa volontà della "Grande Israele" degli Ebrei, che sarebbe biblica, nega ai palestinesi il diritto di continuare a vivere in quel luogo. L'intenzione politica del governo israeliano non si limita pertanto a voler combattere Hamas. L'obiettivo appare essere più ampio e radicale. È questo il motivo per cui è importante analizzare l'intenzionalità sterminatrice all'opera, e le sue motivazioni.
La formazione di un pensiero genocida è ora documentata. Si forma quando i leader politici e militari si convincono che un'intera popolazione, e non solo un esercito, rappresenta una minaccia esistenziale per la loro nazione. La sofferenza subita, per loro giustifica la necessità di lottare per sradicarla. Hanno pertanto deciso di distruggere uomini, donne e bambini in nome della legittima difesa. Il senso di una comune appartenenza all'umanità e il rispetto per la vita altrui sono scomparsi dalle coscienze. Fino a oggi, questo radicalismo sterminatore si è sempre basato su una prospettiva messianica, o teologica, fuorviante. Per le versioni più estreme, possiamo citare la volontà hitleriana di costruire un Reich millenario "purificato" da ogni elemento "non ariano", oppure la demonizzazione dei Tutsi, operata da parte di alcuni leader religiosi Hutu. Una delle questioni che oggi si pone, è pertanto quella di determinare, con uno studio approfondito, svolto al fine di effettuare una critica, quali sono state le rispettive visioni messianiche che hanno ispirato nelle loro azioni, tanto i suprematisti israeliani quanto i fondamentalisti evangelici americani che li sostengono, a partire dalla radicalizzazione politica che ciò implica. Lo studio critico delle intenzionalità genocide, rimane essenziale per poterle disinnescare a lungo termine. Tuttavia, nell'immediato futuro, queste domande che implicano la comprensione del presente, e quindi del nostro futuro, non sono tuttavia né le uniche né le più urgenti. La realtà di ciò che sta accadendo attualmente a Gaza, offende l'umanità di tutti. Dobbiamo perciò fare tutto il possibile per porre fine a questa situazione.
- di Emmanuel Faye, pubblicato sulla Tribuna de L'Humanité il 19 settembre 2025 -
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