Internet: una storia di evocazione, di bolle e di sussunzione del capitale
- Internet: una forma che inizialmente ha impedito la proliferazione della materia bruta, selvaggia, e che ha richiesto decine di anni per poter essere domata, ed essere sussunta realmente al capitale. -
- di humanaesfera - Pubblicato il 18/7/2018 -
1. Una forma che non era in grado di opporsi all'irruzione di un contenuto sociale indomabile (ma che si trovava ad essere contenuto all'interno dei suoi limiti)
L'iniziale apparizione pubblica di Internet (negli anni '90, con il World Wide Web [*1]) ha generato delle circostanze sociali inedite che il capitale, per decine d'anni, non è stato in grado di sussumere realmente all'interno della forma merce e della forma capitale. Per circa 20 anni, la pirateria (relativa al software, alla conoscenza e all'arte) è stata irreprimibile e generalizzata, e c'erano migliaia di ambiti (forum di discussioni, siti a tema ...) dove era possibile a chiunque - di solito, facendo uso di pseudonimi - appropriarsi, sviluppare, creare e condividere gratis ogni tipo di conoscenza e arte direttamente con qualsiasi altro essere umano sulla faccia della terra che frugasse su Internet. Uno degli aspetti era la potente comunità di software libero che spesso dettava quelli che erano i progressi di Internet e del software in opposizione alle imprese, contro la mercificazione e contro lo Stato.
L'iniziale struttura fisica di Internet era una forma materiale creata e foraggiata attraverso un afflusso di capitali provenienti da tutto il mondo, alla folle ricerca di opportunità che promettevano accumulazione. L'effetto collaterale è stato quello di creare condizioni tecniche selvagge, che a partire da una tale base, almeno sul piano intellettuale ed artistico, hanno portato ad una proliferazione di contenuto sociale libero, che nella pratica affermava senza troppe chiacchiere il principio: «da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo i suoi bisogni».
Di fronte ad un simile contenuto sociale, la proprietà privata ( e pertanto l'estrazione di plusvalore) era non solo inadeguata, ma impraticabile. Ciò significava che esisteva una sussunzione formale del capitale (l'infrastruttura fisica era la proprietà privata e, quindi, bisognava pagare per l'accesso), ma non c'era ancora sussunzione reale (il contenuto sociale che emergeva in questa struttura si trovava fuori dalla portata del capitale). Le imprese ci provavano, ma continuavano a fallire in quella che doveva essere l'impresa di realizzare la sussunzione reale del contenuto. Un esempio classico di quest'epoca è stata AOL [America On Line], l'impresa che forniva accesso a Internet attraverso i suoi «walled garden» ["giardini recintati"], che si rivelò un tentativo totalmente fallimentare di imprigionare gli internauti all'interno di «bolle» che li isolassero, rispetto a quello che era invece l'accesso diretto ai contenuti che venivano resi universalmente disponibili su Intenet. Incapace di catturare gli internauti in delle «bolle» (che li limitassero digitalmente) per trarne profitto, quell'immenso afflusso di capitali provenienti da tutto il mondo trasformò Internet stessa in un'immensa bolla finanziaria che sarebbe poi scoppiata negli anni 2000 (la famosa «bolla di Internet», o «bolla dei dot com»).
È ovvio che tutta quella effervescenza «online» fosse del tutto insufficiente per superare ed abolire la società capitalista, dal momento che questo dipende dalla lotta del proletariato, che allora stava ancora soffrendo tutte le conseguenze della sconfitta di quella che era stata l'ondata mondiale del 1968. La proprietà privata sul piano «fisico» delle condizioni sociali di vita (ivi inclusa la forma stessa di Internet, ossia i mezzi fisici di connessione, le telecomunicazioni...) continuava a rimanere intatta, «offline». Ciò nonostante, erano emerse delle relazioni sociali affascinanti che, seppure estremamente marginali (dal momento che sono una percentuale molto piccola della popolazione mondiale vi aveva accesso), nel loro contenuto non venivano sussunte dal capitale.
Indipendentemente da ogni illusione ideologica di quel tempo ( e non sono state poche), veniva assunta come se fosse ovvia, evidente, la prospettiva di una fattività desiderabile di un'intera società globale, la quale funzionasse secondo gli stessi principi del World Wide Web: che venisse abolita, non solo intellettualmente ed artisticamente, ma anche «fisicamente», la proprietà privata, la merce, il capitale, le frontiere e lo Stato [*2]. Erano molti a presupporre che tutto questo sarebbe avvenuto automaticamente, una volta giunta a termine la fine della separazione fra i mondi «online» e quelli «offline» [*3].
2. Evocazione di forze creative incontrollabili
Tutta questa effervescenza non addomesticata che si scatenò in quel periodo, è stata oggetto di molte critiche. Si diceva che non fosse altro che feticismo tecnologico, o mera illusione di liberazione «virtuale» che non ha niente a che vedere con la lotta che avviene nella realtà «offline». Secondo queste critiche, non sarebbe stata altro che una fuga dalla «cruda ed indigesta» realtà. Realtà, la cui essenza sarebbe il sacrificio, il dolore e la morte, e nella quale il «valore reale» dev'essere misurato attraverso l'auto-negazione, per mezzo del dolore sopportato eroicamente, e sorretti dalla speranza.
In realtà, storicamente, la lotta di classe - il movimento di associazione diretta ed universale dei proletari di tutto il mondo che affermano i loro desideri, e che sviluppa le sue capacità lottando conto il capitale, contro la proprietà privata e lo Stato, per la soddisfazione delle proprie necessità - non avviene mai su uno sfondo vuoto, e ancor meno su uno sfondo funereo, né avviene come mera affermazione volontaristica di persone o collettività speranzose, di fronte ad una presunta «brutale realtà».
Al contrario, la lotta avviene sempre da parte delle forze produttive della specie umana, che consistono precisamente nei bisogni e nelle facoltà di esseri umani che si riproducono e si sviluppano in quanto fine in sé, e non come mezzi per fini altrui. È questo a mettere periodicamente a rischio la produzione e la riproduzione del capitale, il quale, tuttavia, non può espandersi senza evocare proprio queste forze. Ma le evoca solo per separarle violentemente per mezzo di quel cuneo poliziesco-penale che è la proprietà privata: da un lato, per controllare e formattare queste necessità (sottomettendoli ad una continua scarsità, che è l'unico modo per poter vendere continuamente merci) e, dall'altro lato, per sfruttare ed estrare plusvalore da quelle capacità (la continua scarsezza richiede che si ottenga continuamente denaro per poter comprare, imponendo a ciascuno la competizione per vendere, continuamente, le capacità umane - vale a dire, vendere sé stessi - al capitale sul mercato del lavoro; a partire da questo, diventano soggetti a minacce di punizioni e ricompense, affinché si lavori al massimo, creando prodotti che verranno poi venduti per realizzare il plusvalore e riprodurre ampiamente il capitale).
In sostanza, a partire dalla rivoluzione industriale (XVIII secolo), l'espansione del capitale non può avvenire senza avvalersi dell'irruzione delle forze produttive, cioè, senza avvalersi delle capacità e dei bisogni umani, che periodicamente sfuggono al loro controllo e minacciano di oltrepassare i limiti del capitale, di abolirlo e di superarlo. Perciò, il capitale lotta contro di esse, per controllarle e trasformarle in forze distruttive, mortifere, che negano, smorzano, diminuiscono, vampirizzano e impoveriscono le capacità e le necessità della specie umana. Tuttavia, il capitale non è altro che queste stesse capacità e necessità (le forze produttive stesse) che vengono rivolte contro loro stesse (accidentalmente) componendo un meccanismo (lavoro morto, il capitale) che si riproduce in maniera cumulativa come se fosse di fatto una forza semovente, automatica, una forza spontanea, irresistibile come un fenomeno naturale. È questo lo sfondo su cui si muove la lotta di classe [*4].
3. La conversione delle forze produttive in distruttive: la rete reazionaria
Oggi, tutto indica che alla fine Internet è stata convertita, da forza produttiva, in forza distruttiva. Negli ultimi 10 anni, è diventato chiaro che ogni creazione di contenuti sociali che finora Internet aveva dato, alla fine passava per essere sussunta realmente sotto il capitale.
Internet libera ed universalista (pirateria senza alcuna restrizione, forum, siti web, comunità di software libero, ecc.) è stata brutalmente svuotata e abbandonata, e i vecchi partecipanti sono stati risucchiati in massa in un mulino di proprietà private che, come le «reti sociali» (o i «social media»), scarseggiano di contenuto prodotto collettivamente, che ora viene elaborato attraverso algoritmi, riducendosi così a spazio virtuale privato, familista o addirittura neo-feudale (vale a dire, le cosiddette «bolle»).
Tutto ciò porta a credere che c'è stata una cattura in massa all'interno di una trappola pavloviana [*5], la quale, in cambio di stimoli-risposte che danno dipendenza e assuefazione, occupa ormai tutto il tempo, ed impone un'esposizione costante alla pubblicità e alla necessità di dover pagare denaro se si vuole accedere momentaneamente ad un qualche contenuto che viene reso accessibile da parte di alcuni domini feudali un po' più ampi. Un'ipotesi è quella secondo cui la cattura all'interno di questa trappola pavloviana avrebbe ormai raggiunto una massa critica in cui, a partire da un certo punto in poi, qualsiasi persona che rimanesse fuori da questa trappola diventerebbe isolata, escluso dalla vita sociale e perfino dal mercato del lavoro, e quindi anche il più recalcitrante sarebbe obbligato ad accettare di essere catturato.
Le «reti sociali» sono letteralmente delle reti di reazione. Nella loro struttura essenziale, sono profondamente reazionarie. A tal punto che qualsiasi contenuto che cada al loro interno, viene immediatamente spogliato di qualsiasi aspetto universalista, razionale, di ogni tentativo di contributo all'umanità, e viene obbligatoriamente risucchiato e convertito in un altro dei tanti detriti personali disponibili che competono in un interminabile «adesso», dove una massa infantilizzata, se non addirittura animalizzata, risponde pavlovaniamente per mezzo di reazioni emotive. In simili condizioni, la memoria, la ragione e la storia diventano impraticabili e non esistono più, ed ogni cosa si trova ad essere ridotta alla polarizzazione emotiva finale su questo o su quell'assunto, «urgente» e di moda. Nelle reti sociali non rimane niente di quella che è la ricchezza delle espressioni umane; l'unica espressione permessa è la propaganda ininterrotta di sé stesso, dei prodotti o delle aziende.
Nel periodo immediatamente precedente a questa catastrofe, la lotta per i contenuti gratuiti e aperti su Internet sembra essere incredibilmente vittoriosa, rivolgendo apparentemente contro le aziende le grandi innovazioni di Internet [*6]. Come abbiamo visto, diversamente dalla proprietà provata, Internet consisteva di una situazione nella quale la libertà di ciascuno non si trovava ad essere in concorrenza e, pertanto, non limitava la libertà degli altri, ma, al contrario, potenziava la libertà e l'autonomia (vale a dire, le capacità e le necessità) di tutti, estendendo la portata della specie umana. Perciò, ad esempio, ogni persona che contribuiva con conoscenze ed informazioni, ecc. su un determinato argomento, con l'accesso a Internet andava a comporre, insieme alla conoscenza di tutti gli altri che erano interessati nel mondo, una conoscenza assai più ricca e profonda. Questa era un sua caratteristica, fin dai suoi inizi negli anni '90.
Tuttavia, intorno al periodo che va dal 2006 al 2010, a tutto questo viene dato il nome di «sharing economy», «economia collaborativa». Stranamente, a partire da quel momento questo tipo di nomi cominciano ad apparire dappertutto: imprese, governi, pubblicità di qualsiasi prodotto, libri su come «coltivare la felicità». Coloro che erano maggiormente critici, cominciano ad insospettirsi, ma la maggior parte delle persone vengono ingenuamente sedotte dal pensiero secondo il quale il «modello anarco-comunista» di Internet stava dimostrando di essere talmente superiore che le imprese e i governi stavano cominciando ad aderirvi, cosa che avrebbe mutato il mondo in senso cooperativo, in maniera contraria alla concorrenza, se non addirittura post-capitalista.
Improvvisamente, molti cominciarono a rendersi conto, troppo tardi, che le «economie collaborative» che erano così di moda, e che veniva utilizzate massicciamente, erano in realtà imprese, proprietà private (come youtube, google, facebook, twitter, ecc.).
Era successo che moltissime aziende che avevano un'aura visionaria e utopica (praticamente tutte quelle che usavano software libero e tecnologie open source [*7] [*8]), e che nascondevano il fatto di essere industrie capitalistiche, erano riuscite a catturare e a indurre sempre più internauti a produrre contenuti per aumentare la loro proprietà privata. Queste persone non si rendevano conto di non star più contribuendo alla comunità libera su Internet. Ma tale comunità era stata oramai già svuotata, ed era stata sostituita da queste proprietà private, il cui capitale fisso è costituito da algoritmi che controllano le condizioni e le relazioni nelle quali gli utenti si incontrano e accedono a quello che rimane di Internet.
D'ora in avanti, catturato in questa trappola pavloviana della proprietà privata, ogni contributo volontario non potenzia più l'autonomia di sé e degli altri, ma, al contrario, contribuisce solamente ad accumulare più proprietà privata, più dipendenza, più scarsità, più assoggettamento alla classe proprietaria.
È stato così che, dopo decenni, il capitale ha trovato finalmente la formula per convertire Internet in una forza distruttiva. Distruttiva, in quanto nega, smorza ed impoverisce le capacità e le necessità della specie umana, che vengono vampirizzate dal lavoro morto, dal capitale.
A partire da quel momento, con un Internet finalmente addomesticata, la barriera esistente fra «offline» e «online», che fino ad allora era stata rigidamente mantenuta, viene rimossa quasi immediatamente, e il «reale» ed il «virtuale» sono cominciano a diventare sempre più indistinguibili.
4. Il confezionamento sotto la forma merce, e la sussunzione reale, sotto il capitale, della produzione di contenuti
Una delle caratteristiche più basilare dell'informatica, è la copia esatta dell'informazione che avviene praticamente a costo zero [*9]. Anche prima di Internet, fin dall'emergere dei computer digitali, in special modo dai Personal Computer, esistevano già reti incredibilmente estese, il cui mezzo di comunicazione consisteva nella copia manuale, su nastro magnetico o su floppy disc, dei dati (programmi, archivi, libri, immagini, codici di programmazione ecc., piratati o gratuiti) fra utenti di computer di tutto il mondo. Internet, il World Wide Web, non è altro che la medesima rete di copiatura di dati diventata automatica e praticamente istantanea, attraverso stazioni ripetitrici di telecomunicazioni - vale a dire, copiatrici automatiche di dati - che coprono tutto il globo con fibra ottica, cavi e radio.
La copia e la diffusione di informazioni diventa pertanto una comunità universale, in cui la copia viene resa disponibile da ciascuno a tutti, e viceversa. Essa avviene quasi in tempo reale, e può includere, ad esempio, una molteplicità di rapporti sugli avvenimenti, oppure le più diverse conoscenze pratiche (per esempio, come riparare le cose, o perfino come costruirle) e teoriche. La molteplicità dei resoconti, che erano ugualmente accessibili a tutti quelli che li cercavano, la molteplicità dei punti di vista su un certo evento e su un certo soggetto, consentiva a ciascuno di potersi formare un'idea abbastanza oggettiva riguardo ai soggetti e agli eventi che interessavano la sua vita.
In questo modo, la trasmissione digitale di informazioni ignora quella che è la base della proprietà privata, la scarsità, dal momento che la trasmissione digitale è di per sé copia, parola che, non a caso, trae origine dal latino "copia", «abbondanza, profusione, eccedenza, pienezza» (parola formata da "co-" «unito, con. in comune» + "opis", «potere, ricchezza, forza, risorse».
Ma questo è assolutamente intollerabile in una società che si fonda su acquisti e vendite costanti, e che pertanto necessita del fatto che tutti si sforzino instancabilmente di imporre continuamente la scarsità, la proprietà privata, come condizione assoluta della sopravvivenza nella concorrenza generalizzata.
Il capitale aveva pertanto disperatamente bisogno di creare un'interfaccia, o un livello artificiale, rispetto alla rete fisica universale della copia libera e gratuita, che fosse capace di rendere scarsa ogni e qualsiasi informazione, doveva renderla difficile da accedere. Era necessario iniettare artificialmente in Internet. nel suo insieme, un rumore assordante e costante, un muro di entropia contro il quale l'informazione si staglia come un qualcosa di separato, di raro, di valorizzato, di privato, di vendibile. Alla fine, solo ciò che è monopolizzabile ha un prezzo, è proprietà privata, merce, vale a dire, ha il potere di imporre il pagamento (e, di conseguenza, il lavoro) come condizione per accedervi, sotto la protezione e la garanzia della polizia, dei tribunali, dello Stato.
In ultima analisi, questa scarsità generalizzata dell'informazione è avvenuta soprattutto a causa dello svuotamento di Internet causato dalle «reti sociali», che abbiamo precedentemente descritto. Internet svuotata è una terra di nessuno, un deserto occupato da migliaia di falsi siti creati continuamente su scala industriale (probabilmente da algoritmi, da robot) che mostrano solo pubblicità e ancora annunci pubblicitari, informazioni fraudolente o incomplete, link ingannevoli, truffe, trappole per fregare i soldi degli Internauti, per acquisire informazioni e poterle poi rivendere, per utilizzare i processori degli Internauti a fini occulti, per installare malware, virus, ecc..
Da quel momento in poi, ciascun Internauta, immerso in delle bolle forgiate dagli algoritmi delle reti sociali (e credendosi perfino protetto da essi), si trova ad essere perpetuamente sottomesso ad un'a completa assenza di informazioni, artificialmente scagliato in una palude di frenetica entropia, in una paralizzante valanga di informazioni di qualità estremamente bassa, inutili, manipolatrici e false. Nelle bolle, ogni Internauta diventa, egli stesso, iniettore, ripetitore e diffusore robotico di rumore per tutti gli altri, indipendentemente dalla sua volontà. In tale circostanza, diventa finalmente possibile imporre degli oneri per ottenere le informazioni (conoscenze pratiche, teoriche, arte, programmi, ecc.) che promettono di differenziarsi rispetto al flusso diarroico di rumore artificiale che affligge ogni Internauta.
La sussunzione reale della società sotto il capitale arriva a delle profondità che erano precedentemente irraggiungibili. Le «reti sociali» sono riuscite a sottomettere perfino la stessa soggettività umana alla forma capitale, nel senso che la produzione per la produzione (lavoro astratto), la produzione in quanto fine in sé cieco, nella soggettività è diventato un imperativo (nella «dialettica del riconoscimento» in quanto tale, se si parla in termini hegeliani). Le «reti sociali» sono condizioni sociali tecnicamente progettate in ogni dettaglio dalle aziende affinché i partecipanti esistano l'uno per l'altro (e, di conseguenza, per sé stessi) solo se producono freneticamente contenuti in un presente perpetuo sempre più accelerato. Essi diventano dipendenti dalla contemplazione dello schermo, continuando ad aspettare nuove opportunità di reagire e di produrre più contenuti, più rumore. Produzione che la proprietà privata colloca in anticipo (dal momento che prima ha ridotto i partecipanti, i quali nel precedente periodo di Internet di regola usavano dei pseudonimi, a persone identificate «reali», certificate dalla proprietà privata, vale a dire, dallo Stato, dalla polizia, e classificata in dei profili bio-socio-psicometrici) per sottometterla in modo che segua la forma merce, per venderla e trarne profitto.
5. Personalizzazione, Temporalità animalizzata, Vigilanza, Frustrazione, Paura, Odio, Trollificazione di massa
Come abbiamo detto, nel primo periodo di Internet, l'utilizzo di pseudonimi era la regola. Questo aveva come effetto che i soggetti non venivano mai principalmente ricercati, dibattuti, creati, sviluppati e sfruttati per il loro aspetto personale, familista, feudale, contrariamente a quanto avviene oggi. Gli "alias" si contattavano, comunicavano e si relazionavano a partire dagli interessi, dalle curiosità e dalle passioni umane, e non in funzione del vuoto di un'identità che dev'essere costantemente affermata nella competizione per il presente perpetuo della «timeline», una linea temporale che è una travolgente valanga entropica.
Questa condizione, simultaneamente universalista e singolare (ma non personale), all'interno della quale ciascun Internauta si incontrava, e che costituiva la Internet iniziale, portava in sé una percezione del tempo e dello spazio che era storico-globale: quando qualche pseudonimo contribuiva, pubblicando su Internet, si atteneva alla prospettiva secondo la quale il suo contributo sarebbe stato accessibile a tutta l'umanità, e che sarebbe rimasto disponibile per sempre nel futuro, e per le generazioni future. Pertanto, le passioni, a partire dalle quali i pseudonimi si relazionavano, venivano espresse in quanto passioni che contribuivano all'umanità e al futuro della specie, per mezzo di elaborate opere prime che non avrebbero dovuto essere corrotte dal tempo, né dovevano avere frontiere nella spazio (esistevano migliaia di simili siti web, ammirevoli, che oggi sono stati abbandonati o che, nella maggior parte dei casi, sono scomparsi).
Era esattamente il contrario di quanto avviene oggi, dove tutti si incontrano in una condizione in cui sanno già che il loro contributo vale solo per adesso, per coloro che hanno familiarità, dove reagiscono gli «amici» e gli «amici degli amici», e sparendo dalla visione di qualsiasi pubblico , essendo rifiutati come se subito dopo fossero già qualcosa di obsoleto. Tutto questo comporta per ciascuno, quando si pubblica qualcosa, di avere in anticipo la percezione di essere inutile, in una sorta di stanchezza per cui non vale la pena tentare di elaborare e pubblicare qualsiasi cosa che vada al di là di questo tempo «di ora», al di là di questo spazio feudale fatto di «amici e familiari» e fatto della ricerca istupidente della «viralizzazione».
E anche dal momento che la maggior parte delle attività gratuite su Internet (in principal modo la pirateria) venivano perseguite da parte dello Stato nella vita «offline», ecco che l'utilizzo di pseudonimi diventava una necessità vitale (i metodi di identificazione su Internet, da parte dello Stato e delle imprese, erano ancora primitivi, se non poco usati). Ovviamente c'erano dei «troll» (persone che scaricavano le loro frustrazioni, creando confusione nei forum), ma non costituivano in alcun modo una minaccia reale, in quanto nessuno era così pazzo da esporsi su Internet col suo proprio nome, foto e indirizzo.
Oggi è il contrario, praticamente quasi tutti accettano di esporsi ai troll, psicopatici, mafie, polizia, padroni e imprese, e sono costretti ad esporsi se non vogliono restare esclusi dalla vita sociale. Come minimo, vivono un uno stato di costante paura di vedere distrutta la propria immagine (nella società dello spettacolo, questo è tutto quello che si possiede), oppure che - in una situazione personalistica, accelerata, senza tempo, che permette solo delle reazioni emotive - obblighi tutti, costantemente frustrati, a trasformarsi in troll [*10].
6. Sussunzione degli ingranaggi che costituiscono la mente: la memoria, il pensiero, la volontà, il desiderio
Non è solo la relazione sociale delle conoscenze, delle capacità e degli affetti di ciascuna persona con gli altri, ma è anche la relazione che ciascuna persona ha con le idee, gli affetti, le conoscenze e le capacità che si trovano al proprio interno, ad essere ogni volta sempre più sussunta realmente sotto il capitale. Nell'esternalizzare sulle reti sociali le proprie conoscenze, le proprie facoltà e sentimenti, tutto queste cose diventano, in pochi istanti, non interessanti, obsoleti e da buttare. Non esiste più né tempo né spazio per poter sviluppare profondamente una qualche idea, una qualche conoscenza o capacità, per sé stessi, anche perché non c'è più né tempo né spazio in cui tali idee, conoscenze e capacità possono essere espresse per venire fruite e confermate (o meno) come potenza umana oggettiva, sociale.
Socrate criticava la scrittura perché essa esternalizza la memoria umana in oggetti, cosa che renderebbe le persone non in grado di ricordare, facendoli diventare sempre più smemorati e sempre meno autonomi. Forse esagerava, ma è una descrizione esatta di quel che stiamo vedendo oggi: la memoria di ciascuno viene sempre più esternalizzata, abbandonata, per venire appropriata da aziende che rendono opaco e difficile l'accesso alla forma originale in cui è stata esternalizzata, lo rendono «scarso», in modo che, dopo essere stata sviluppata, resa più facile, «masticata» dagli algoritmi, manipolata e formattata per creare dipendenza, divenga merce. Si tratta di un modus operandi diametralmente opposto a quello della precedente comunità gratuita di Internet, la cui ricchezza consisteva unicamente nella crescita dell'autonomia, delle capacità di coloro che partecipavano, che diventavano più potenti attraverso le storie e le memorie che ciascuno apportava.
Questa attuazione algoritmica della mente ai fini della proprietà privata può essere vista nelle attuali interfacce uomo-macchina, che diventano sempre più bestializzanti, destituite di tutte quelle che sono le ampie possibilità di configurazione e modificazione che avevano precedentemente (perfino i più semplici software degli anni '90, sembravano essere dei complessi pannelli di navi spaziali). Le interfacce attuali (dei sistemi operativi, degli applicativi, dei programmi, delle macchine e perfino quelle di intere industrie, ecc.) sono in genere dei grandi pulsanti colorati tipo asilo nido, con tutte le diverse possibilità bloccate, inaccessibili o nascoste.
Oggi, le aziende vendono una presunta massima facilitazione che presumibilmente serve ad economizzare il massimo del tempo (che è «denaro», il tempo astratto del capitale), e questo viene reso possibile grazie agli algoritmi delle imprese che vigilano in maniera invisibile sulle azioni della vita di ogni persona e ne analizzano il profilo bio-socio-psicometrico per poi presentare ciascuno, sotto forma di interfaccia uomo-macchina, gli oggetti di libera scelta che si suppone ognuno voglia già scegliere [*11]. Come abbiamo già visto nel capitolo 4, questa «facilitazione» è stata possibile solo grazie alla marea di rumore che è stato iniettato artificialmente in Internet (e dove programmi come torrent, da cui si scaricavano gratuitamente film, programmi e musica, sono stati svuotati, e dove proprietà private specializzate nello streaming, i cui algoritmi «rendono tutto più facile» - purché si paghi - come netflix e spotfy, ne hanno preso il posto in maniera inarrestabile).
7. La lavorizzazione dell'esistenza
In special modo, quello che fa un'interfaccia uomo-macchina è elevare in maniera quasi assoluta il potere delle imprese sull'esistenza umana. Con la popolarità degli smartphone - computer miniaturizzati connessi a Internet, dotati di telefono e di altri sensori (fotocamere, videocamere, microfoni, geolocalizzatori, accelerometri, giroscopi, sensori di prossimità, magnetometri, esposimetri, termometri...), diventati onnipresenti ed obbligatori per chi non vuole essere escluso dal contatto sociale - ogni persona viene praticamente monitorata in quelli che sono tutti gli aspetti della sua vita, per 24 ore al giorno, da degli algoritmi della proprietà privata.
I dati raccolti dalle aziende consentono di implementare, attraverso quegli stessi smartphone, una sussunzione della società sotto il capitale che oramai copre tutti i più minuti dettagli della vita quotidiana, del lavoro e del consumo, e che stanno diventando sempre meno distinguibili, e dove tutto diventa in una maniera o nell'altra una qualche forma di lavoro, di «aggregazione di valore».
Perfino in maniera inconscia, a causa dello sviluppo e dell'applicazione delle tecniche di gamification, vale a dire, progettare le condizioni di qualsiasi tipo di attività affinché essa sembri un giochino, manipolando in maniera pavloviana l'utente affinché svolga gratis dei compiti sotto il comando della classe capitalista, proprietaria di tali condizioni .
Con tutta una loro ideologia millenaria e utopica, le imprese di «economia collaborativa», come ad esempio Uber, annunciano di offrire il tocco di Mida che trasforma in capitale quelli che sono gli oggetti di consumo dei proletari (casa, automobile, attrezzi. mobili, elettrodomestici, giocattoli, ecc. che sono solo un costo - vengono consumati, vale a dire che si usurano a partire dal loro utilizzo), così come i loro corpi e la loro mente, ossia, annunciano la transustazione dei proletari in capitalisti, diventati finalmente liberi dal lavoro salariato e padroni del loro tempo [*12].
In realtà, con tutta questa retorica futuristica post-industriale, non ha fatto altro che resuscitare semplicemente, grazie all'altissima tecnologia, la più arcaica forma di sussunzione del lavoro sotto il capitale industriale: il «putting-out system» ["il sistema di darla via"], che include la tenebrosa figura dell'«intermediario». La differenza consiste nel fatto che, ora, l'intermediario (la classe proprietaria), grazie ai suoi «efficienti» algoritmi, che per mezzo di Internet analizzano e confrontano le prestazioni di ognuno rispetto a quelle di tutti gli altri, secondo una portata che coinvolge l'intero pianeta, riesce ad imporre sempre più ai proletari una competizione globale continuamente ottimizzata, al fine di riuscire ad offrire il massimo del lavoro in cambio del minino di salario. L'unica cosa che separa questo limite massimo di sfruttamento dall'essere assoluto, è il tempo per il sonno e per l'alimentazione (anche se sempre più spesso viene interrotto dal padrone, grazie ai suddetti smartphone). Mangiare e dormire sono necessità ancora insormontabili dei proletari di tutto il mondo. Sono l'ultima frontiera dello sfruttamento, e sono inaccettabili, intollerabili, inconcepibili per il sistema della proprietà privata [*13].
Inoltre, la produzione, il trasporto e la distribuzione di tutte le merci sono diventate inseparabili da Internet. Nelle catene di distribuzione, chiamate anche catene di rifornimento o reti logistiche, a comandare direttamente è l'aumento o la diminuzione della domanda di merci (senza esseri umani, per mezzo degli algoritmi), attraverso la trasmissione di informazioni via Internet, l'attivazione automatica delle varie fasi di produzione, di assemblaggio, di stoccaggio e flusso (marittimo, stradale, ferroviario, aereo) delle merci per tutto il mondo. Assai spesso sono i segnali trasmessi ad azionare direttamente le macchine, robot, nastri trasportatori, la movimentazione di container da e verso le navi, e la contrattazione e la movimentazione dei lavoratori dispersi e frammentati per tutto il pianeta, tutti coloro i quali sono collegati per mezzo di queste catene logistiche, che sono proprietà privata di giganteschi «intermediari» invisibili [*14].
I proletari di tutto il mondo non sono mai stati cos' vicini gli uni agli altri, ma sono sempre più collocati in una situazione nella quale non vedono che stanno lavorando direttamente per il capitale, per i padroni, per la classe proprietaria. Tutto quanto fa sembrare che stiano lavorando immediatamente per sé stessi e contro gli altri proletari in competizione fra di loro (il risorgere, oggi, del provincialismo, del razzismo, della xenofobia, del nazionalismo, dell'identitarismo di sinistra e di destra, del separatismo, del militarismo, del fascismo... che per molti è un mistero insondabile non è altro che la banale espressione dell'estrema intensità di quella che è la competizione per la sopravvivenza fra i lavoratori, la competizione per ottenere il «merito» della sottomissione esclusiva alle «loro» classi proprietarie). In cambio, essi pensano di star guadagnando denaro per poter soddisfare la domanda automatica del mercato globale che viene loro segnalata dalle interfacce uomo-macchina dalle quali sono ormai circondati [*15] [*16].
8. La trasfusione, nei pori del mondo fisico, delle forze distruttive - L'incorporazione della proprietà privata nella «natura delle cose»: l'Utopia suprema del capitale (per fortuna ancora irrealizzabile)
Innanzitutto, il dominio del capitale è da sempre l'incorporazione artificiale della scarsità nella natura oggettiva. È la natura trasformata, per mezzo del lavoro alienato degli esseri umani, in un potere separato da essi: la proprietà privata. La popolazione viene ad essere privata di quelle che sono le sue condizioni di esistenza materiale, e, di conseguenza, tutti, democraticamente, si vedono costretti a comprare, e per questo, se vogliono sopravvivere, sono costretti a vendere volontariamente la loro merce.
Nelle società precapitaliste, nella servitù e nella schiavitù, il dominio era personale, direttamente degli uomini su altri uomini, essendo la volontà personale imposta agli altri direttamente, negandoli. Diversamente, l'aspetto più fondamentale della società capitalistica è che essa trasforma il dominio e lo sfruttamento dell'uomo da parte dell'uomo in qualcosa che è volontario, in una manifestazione del libero arbitrio di ciascuno. Ciò perché questo si verifica in una condizione coercitiva oggettiva, la privazione della proprietà, che si impone oggettivamente, vale a dire, impone in maniera «neutra» («democratica», «impersonale», «ragionevole», «giusta», «naturale») la necessità di competere per la sottomissione alla proprietà privata, alla classe capitalista, per guadagnare un salario e sopravvivere.
Dal momento che ogni proletario, poiché viene privato dei mezzi di produzione, non ha niente da vendere, se egli vuole sopravvivere (socialmente e fisicamente) ha solo l'opzione di vendere volontariamente sé stesso, le sue capacità vitale, sul mercato del lavoro, ai proprietari dei mezzi di produzione (la classe capitalista). Egli ha il libero arbitrio, dal momento che «può» scegliere di morire di fame, oppure di mendicare, anziché vendersi. Comprati dai capitalisti, questi ultimi consumano una tale merce: il proletario viene messo a lavorare e a trasformare la natura, aumentando la proprietà privata, il potere oggettivo che gli si oppone come una forza ostile. Quanto più egli lavora, tanto più diventa privo della proprietà, tanto più potente diventa la proprietà privata, e tanto più egli trasferisce le sue capacità umana in essa (capitale fisso: macchine, automazione, conoscenza e know-how che diventano proprietà intellettuale), creando attivamente quello che diventa sempre più scartabile, privo di proprietà, proletario.
Insomma, nella società capitalistica, il dominio si presenta come un imperativo della realtà oggettiva, una «forza della natura» («seconda natura») che è stata creata dal lavoro umano. La scarsità, la privazione di proprietà, la proprietà privata, si riproduce come una forza indipendente che comanda tutti gli esseri (umani e non umani), inclusa la persona del capitalista ( e anche gli Stati) che, se perdono nella competizione per accumulare capitale, vengono dichiarati falliti, e sostituiti automaticamente da altri che sono in questo più «efficienti» (ed è per questo che usiamo la parola «capitale», poiché è essa, di fatto, che comanda al società della merce secondo una logica autonoma, automatica, ma opaca, dal momento che i capitalisti sono solo agenti, personificazioni del potere del capitale, obbligati ad applicare sugli esseri umani i dettami dell'accumulazione del capitale, pena cadere nell'inferno di diventare anche loro proletari).
Ma, fino ad oggi, la società capitalista non è stata possibile senza un potere centrale, il quale, con polizia e prigioni, impone con la violenza il rispetto della proprietà privata, convalida centralmente l'equivalenza dei mezzi di scambio e di pagamento (denaro, credito), protegge e garantisce i contratti fra proprietari, e reprime la lotta dei proletari contro la deprivazione delle loro condizioni di vita (lotta che, per definizione, non rispetta la proprietà privata di tali condizioni). Ragion per cui, la società capitalista ha un suo tallone di Achille abbastanza definito e visibile, che, se viene attaccato, inceppa istantaneamente tutti gli ingranaggi del sistema di proprietà privata. Ovviamente, l'esistenza di questo punto vulnerabile, è causa di grande preoccupazione per la classe proprietaria.
Finora, per la classe proprietaria, l'unico modo di giustificare e legittimare lo Stato - che è semplicemente un'impresa territoriale, che, come ogni capitale, è una dittatura che viene esercitata attraverso l'imposizione del lavoro salariato, sottomessa ai medesimi imperativi dell'accumulazione di capitale da parte di qualsiasi altra impresa - è stato quello di presentarla in maniera fantasiosa come neutrale, al di sopra delle classi e del capitale. Vale a dire, come «Stato di Diritto», come rappresentanza di soggetti (o cittadini) la cui «autonomia» coincide con la loro sottomissione volontaria ad esso, dove il cittadino elegge il proprio capo (che compete per essere scelto nelle urne), come rappresentanza della «volontà generale del popolo». In altre parole: l'ideologia democratica (o «socialista», come avviene nei paesi del capitale nazionalizzato).
Tuttavia, questa legittimità puramente immaginaria non è mai pienamente convincente, e molti capitalisti preferiscono predicare che lo Stato sarebbe del tutto separato ed estraneo rispetto alla proprietà privata, mentre in realtà, come abbiamo visto, esso è sempre stato di fatto un'istituzione suprema ed indispensabile che della proprietà privata garantisce l'esistenza. È semplicemente impossibile che la proprietà privata esista senza polizia, senza tribunali, senza forze armate e senza prigioni. Perfino oggi.
La tecnologia «block-chain» (il cosiddetto «contratto intelligente») oggi viene finanziata con l'esplicito oggettivo che, nel futuro, possa rendere la proprietà privata qualcosa che non dipenderà più assolutamente da nessun «potere centrale», rendendolo incorporato nel comportamento automatico e decentralizzato delle cose e, pertanto, nelle relazioni fra gli esseri umani mediate da queste cose.
L'obiettivo è quello di fare in modo che ciascuna cosa verifichi spontaneamente, omologhi e convalidi quella che è la presupposta condizione di deprivazione di proprietà. Ciò significa autenticare istantaneamente la scarsità artificiale di tutto per mezzo dell'equivalenza quantitativa imposta dalla proprietà privata: a partire dall'omologazione della limitazione dell'utilizzo del pagamento, alla limitazione della copia per mezzo di licenze di copia, all'autenticazione dell'ordine di eseguire il lavoro, dall'autenticazione istantanea del rispetto dei brevetti e della proprietà intellettuale in tutte le cose, e fino alle leggi che stabiliscono i casi in cui si applica, ecc..
In questo modo, ciascun oggetto tenderà a smettere di essere un «prodotto» - che viene comprato solo una volta, ed il cui uso, dopo essere stato comprato, diventa indipendente dall'impresa e dal mercato - per diventare un «servizio» - nel quale, per il suo utilizzo, viene continuamente pagato un abbonamento o una licenza, come se si trattasse di un affitto. Apparentemente, questo rende il suo uso a breve termine molto più a buon mercato, ed accessibile per i proletari, ma invece farà sì che la classe proprietaria avrà il potere di imporre direttamente a tutti e a chiunque il dettame della scarsità continuata. e la «monetizzazione» perfino di quelli che sono i gesti più banali (specialmente attraverso la diffusione della tecnologia indossabile, ad esempio, «abiti intelligenti», realtà aumentata, protesi «transumane», sensori biomedici, ecc.) quali vestirsi, camminare, andare in bagno, evacuare, sbadigliare, guardare, ascoltare, parlare, respirare, fino alla digestione, alla circolazione del sangue, alle sinapsi cerebrali... Tutti i gesti, e perfino il funzionamento dell'organismo umano, da quel momento in avanti, incarneranno la coercizione al lavoro. Sarò necessario, in maniera ancora più intensa di quanto già lo sia oggi, lavorare disperatamente per poter ottenere il denaro necessario a pagare per esistere.
È uno scenario in cui l'«Internet delle cose» assumerà di per sé, automaticamente, il ruolo di cuneo poliziesco-penale che separa le capacità umane dalle necessità umane, imponendo la sottomissione alla riproduzione della proprietà privata dei mezzi di vita, e alla produzione di assolutamente tutti gli aspetti di quella che è l'esistenza umana.
Come abbiamo visto, l'utopia della proprietà privata è stata sempre quella di convertire la totalità delle circostanze nelle quali si trovano gli esseri umani, in imperativi «naturali», «oggettivi», «automatici» e «volontari» di sottomissione ai dettami dell'accumulazione del capitali, tutt'al più a quelli del lavoro. Ora la differenza è che, con queste due tecnologie, il Blockchain e l'Internet delle cose, la polizia sarà automatica, e sarà nella «natura delle cose». La prigione potrà essere il divano di casa tua, oppure la propria «casa intelligente», che improvvisamente blocca la risorsa; o potrebbero anche essere tutte quante le cose (tutti i «servizi» nella casa intelligente e nella smart city) che improvvisamente smettono di funzionare per lui, isolandolo da una società che esiste solamente se si è connessi ad essa). E il giudizio del «crimine», un algoritmo decentralizzato che restituisce al «criminale» - il quale non dev'essere informato del fatto che sia stato accusato, giudicato e condannato (come già avviene quando si viene «bannati» sulle reti sociali e nelle imprese dell'«economia collaborativa») - l'esecuzione automatica della pena. «Diritto» e «fatto» diventano indistinguibili. L'ideologia dello «Stati di diritto» diventano del tutto inutili al fine di legittimare il cuneo poliziesco-penale, il quale diventa quella stessa oggettività «neutrale» delle condizioni in cui ciascun individuo atomizzato si trova costretto a «scegliere liberamente», volontariamente [*17].
Per fortuna, tutto questo è ancora un sogno del capitale. E non v'è dubbio che il minimo tentativo di realizzarlo, in una società che è un meccanismo cieco , del cui funzionamento i suoi capitalisti ed i suoi tecnocrati sono intrinsecamente quelli che ci capiscono meno (in quanto hanno una prassi - e pertanto anche un modo di pensare - del tutto offuscata dal feticismo delle merci), porterà di sicuro ad effetti incontrollabili che minacceranno di perturbare e minare proprio il funzionamento globale del capitale stesso. (Ad esempio, si veda cosa è successo di recente con la piccolissima esperienza legata alla criptovaluta bitcoin - dalla quale ha avuto origine l'idea stessa del Blockchain -, creata a partire da una fede feticistica incrollabile nella mano invisibile che opera per mano della tecnologia semovente, per mano del lavoro morto).
È assai più probabile che, alla fine, la tecnologia blockchain verrà utilizzata principalmente dagli Stati, per mantenere i propri archivi aggiornati istantaneamente, e per rendere automaticamente unificati e immediati al massimo quelli che sono gli schemi di vigilanza, di giudizio, di punizione e di polizia. Oppure - e il che è lo stesso - attraverso quelle imprese che, nella divisione del lavoro, svolgono il ruolo unificante (la cosiddetta «interoperabilità») necessario all'andamento della società capitalista (la quale, senza di esso, lacerata com'è dalla concorrenza della guerra di tutti contro tutti che la fa muovere, collassa), e a tal fine riscuotono contribuiti, tasse, per l'accesso a quei Blockchain che sono di loro proprietà privata - per esempio, sono tali quelle implementazioni del Blockchain come Ethereum -, proprietà privata che allo stesso tempo andrà a costituire l'infrastruttura unificante indispensabile per tutte le transazioni e le cose prodotte nella società capitalista. In pratica, questo contribuito equivarrà ad un'imposta, per cui queste imprese saranno l'equivalente di uno Stato, che a questo punto farebbe a meno di abbellirsi usando una facciata ideologica democratica («repubblica», «monarchia costituzionale», «socialismo»), per diventare direttamente una monarchia assolutista corporativa (del resto, com'è sempre avvenuto in un modo o nell'altro: dittatura dell'imprenditoria).
Per quel che attiene all'intelligenza artificiale, e alle illusioni nei suoi confronti, e per quanto riguarda la disoccupazione e il reddito di base universale [UBI], ne abbiamo parlato altrove, si tratta di un'altra panacea della classe proprietaria.
9. Conclusione: Scordiamoci la speranza!
Come abbiamo visto in precedenza, l'auto-costituzione del proletariato in classe autonoma contro il capitale - la lotta di classe - non avviene mai a partire da uno sfondo vuoto, o funereo, al quale si opporrebbe la libera volontà o il libero arbitrio degli sfruttati pieni di speranza, i quali romperebbero l'isolamento attraverso una comunità di sofferenza, di dolore e di colpa.
Nella realtà concreta, avviene esattamente il contrario: le capacità e le necessità umane, le forze produttive, diventano simultaneamente un fine in sé ed un mezzo di lotta del proletariato contro il capitale, e la rottura dell'isolamento e dell'atomizzazione, la fraternizzazione, e la sua irruzione in quanto classe storica mondiale, così come la sua sconfitta o la sua vittoria, dipende solo da questo.
Fintantoché l'altro viene vissuto, in pratica, come causa di impotenza, di negazione dei desideri e dei bisogni, come impedimento alla sopravvivenza nella competizione di ciascuno contro tutti per la sottomissione alla proprietà privata dei mezzi di vita, non esiste la benché minima possibilità di spezzare l'atomizzazione e l'isolamento. E i tentativi di romperlo per mezzo della «forza di volontà», delle «giuste idee» o attraverso l'attivismo non fanno altro che riprodurre solo quelle che sono le identiche circostanze, tutt'al più creando una competizione moralistica ancora più insopportabile, introducendo così nella soggettività umana un livello ancora più estremo, quello del «fare per fare», la «produzione per la produzione», la sussunzione reale sotto il capitale.
Alla libertà, che consiste nell'affermazione pratica delle forze produttive della specie umana, il capitale contrappone la libertà fittizia del libero arbitrio, la libera scelta, la libera volontà. Questa libertà immaginaria è il modo in cui esso sottomette e adatta la soggettività umana alla separazione di capacità e necessità, che vengono violentemente separate per mezzo della privazione di quelli che sono i loro mezzi (proprietà privata). Questa pseudo-libertà serve a rivolgerli contro sé stessi, trasformando in forze distruttive quelle che sono delle forze produttive, mediante l'accumulazione di lavoro morto, rendendoli dei servi attivi dell'imperativo di scegliere fra quelle che sono le innumerevoli opzioni di sottomissione e di sfruttamento che il capitale presenta al fine di riprodursi indefinitamente.
Le facoltà e i bisogni umani vengono creati, si producono e si sviluppano nelle condizioni di esistenza materiale che esse stesse stanno trasformando, vale a dire, nella prassi. Nel far questo, esse producono sé stesse, facendo emergere, in questa trasformazione, facoltà, potenzialità, desideri e necessità inedite, scoprendo così potenziali inimmaginabili ed impossibile nelle condizioni precedenti. Non esiste scelta libera. Scegliere, per definizione, è scegliere fra cose già note, già esistenti: fra elementi che compongono lo stesso status quo. Nella vera libertà, al contrario, non si sceglie niente, non viene selezionato niente di ciò che è possibile, ma, trasformando quelle che sono le condizioni nella loro totalità, ecco che irrompe ciò che viene sempre considerato come rigorosamente impossibile.
Ciò implica che non ha alcun senso il fatto che la teoria comunista venga fatta competere con le altre teorie, affinché possa essere scelta dagli sfruttati, non ha senso che venga resa popolare, che venga fatta diventare «virale». Visto che, come abbiamo visto, non è dalla libera scelta dei proletari che nasce e si sviluppa la loro lotta, la loro libertà, la loro autonomia, ma dalla crescita materialista della loro capacità di agire (dalla loro capacità di affermare i loro desideri nella pratica, di soddisfare le loro necessità, di svilupparle associandosi come classe senza frontiere contro la dittatura del capitale), la quale è indistinguibile dalla crescita della loro capacità di pensare in maniera autonoma. Ed è solo come espressione di tutto questo che ci si può appropriare della teoria comunista secondo quelli che sono i suoi stessi termini, anziché declassarla riducendola ad essere una delle tante nella società dello spettacolo. In altri termini: è dalla prassi comunista che nasce la necessità di appropriarsi delle teorie presenti e passate che hanno a che fare proprio con tale prassi. Allo stesso tempo, tutte queste teorie vanno criticate, liberandole dagli aspetti distorti del passato, in modo da sviluppare la teoria della sua prassi concreta, la conoscenza di ciò che è oggettivamente necessario fare per distruggere la società capitalista e liberare la strada affinché il processo dell'irruzione dell'impossibile arrivi fino in fondo.
Tutto questo implica che, nei lunghi periodi di incapacità pratica, come quello attuale (di profonda sconfitta del proletariato), la minuscola minoranza che prende partito per il comunismo sviluppi delle teorie la cui unica importanza sia quella di comporre un'analisi radicale della società capitalista, di come muta il dominino e lo sfruttamento, e, soprattutto, della situazione delle necessità e delle facoltà umane. Sono queste che, di tanto in tanto, ma prima o poi, irrompono come forze produttive selvagge, anche perché il capitale è destinato ad invocarle periodicamente per poter espandere le condizioni materiali di intensificazione dell'accumulazione, liberando senza volere tali forze. Ma poiché ogni trasformazione delle condizioni di esistenza crea un'irruzione da parte dell'impossibile, dell'inaspettato e dell'imprevedibile, ecco che il capitale allora si vede costretto a lottare violentemente per addomesticare queste forze, per rivolgerle contro sé stesse, dal momento che minacciano di tracimare, di abolirlo, di superarlo.
A partire dalle analisi delle contraddizioni e delle potenzialità che si sviluppano nella società capitalista, la teoria attualizza il programma comunista, che non è altro che uno sforzo di sintesi (sempre incompleto, fino a che il capitale e lo Stato non saranno aboliti) delle necessità pratiche oggettivamente indispensabili (e, come abbiamo visto prima, tutte rigorosamente impossibili) per poter superare le attuali società di classe.
Ad esempio, di fronte al fatto che scioperi, proteste e occupazioni devono essere addomesticati e canalizzati da parte delle diverse fazioni della classe dominante che concorrono fra di loro per dirigere sia il lavoro salariato che il capitale e lo Stato (a partire dai burocrati di sinistra e di destra, fino ad arrivare alle varie fazioni legali ed illegali del capitale nazionale ed internazionale, ai capitalisti finanziari, commerciali e industriali), appare comprovato come oggi sia un'illusione supporre che queste tattiche possano portare a delle graduali riforme capitalistiche a favore dei lavoratori (ad esempio, quelle in direzione di un «welfare»). Contro una simile illusione, i comunisti prendono posizione affermano la necessità oggettiva di superare queste vecchie tattiche, sostituendo lo sciopero con la tattica della produzione libera, la quale, insieme al suo diffondersi con rapidità in maniera esponenziale ed incontenibile in tutto il mondo, abolisce immediatamente l'impresa e il posto di lavoro. Questa rapidità è necessaria per abolire la divisione del lavoro - vale a dire, le condizioni di esistenza della merce, dello Stato e del capitale - prima che il capitale possa avere il tempo di studiare e mettere in atto la reazione, e questo prima che le scorte si esauriscano obbligando a scambiare - compravendere - per ottenere prodotti fabbricati in altre parti del mondo di cui si rimarrebbe privati, oppure che costringerebbe a competere in modo che i prodotti possano essere scambiati vantaggiosamente, riproducendo così al loro interno, necessariamente, lo sfruttamento e la società di classe. Si tratta di sopprimere la proprietà privata dalle condizioni di esistenza universalmente interconnesse (le catene di approvvigionamento e i mezzi di produzione e di distribuzione globali), con l'obiettivo di abolire ogni e qualsiasi sistema di ricompense e punizioni, liberando le forze produttive rendendo la comunità umana globale espressione dei desideri, dei bisogni e delle capacità umane in quanto fine in sé.
Humanaesfera - Pubblicato nel luglio 2018 -
NOTE:
[*1] - Una breve storia sintetica di come è stata creata Internet, e di come, praticamente per caso, i suoi protocolli fondamentali di comunicazione vennero sviluppati da parte di hacker che collaboravano, in una prospettiva universalista, volontariamente, alla Internet Engineering Task Force, dove ogni risorsa doveva essere libera ed ugualmente accessibile da chiunque nella rete, può essere trovato in questo testo: http://www.metamute.org/editorial/articles/immaterial-aristocracy-internet
[*2] - A proposito di alcune evidenti potenzialità di Internet , a partire delle quali il proletariato può abolire la proprietà privata e lo Stato, creando il comunismo generalizzato si veda: http://humanaesfera.blogspot.com.br/2016/01/contra-metafisica-da-escassez_85.html
[*3] - Negli anni 2000, fra le altre cose, è emersa una tendenza tecnocratica la quale predicava che lo sviluppo delle stampanti 3D avrebbe traghettato il mondo «offline» verso il «comunismo» di Internet, causando una rivoluzione tecnica che avrebbe abolito il capitalismo (per esempio, quest'idea è stata difesa da Adrian Bowyer, Jeremy Rifkin, Paul Mason, e Alex Williams). Riassumendo, l'idea era la seguente: la generalizzazione delle stampanti 3D avrebbe permesso a chiunque di produrre qualsiasi cosa volesse, usando progetti e modelli digitali creati liberamente dagli utenti e resi disponibili gratuitamente su Internet. Le stampanti stesse sarebbero state riprodotte in maniera esponenziale, allo stesso modo, da altre stampanti 3D, in modo che chiunque avrebbe potuto averne gratuitamente una. Questo perciò avrebbe portato a mettere fine alla necessità di scambiare merci, e quindi alla fine del denaro, alla fine della proprietà privata dei mezzi di vita, e di conseguenza alla fine del capitale. L'ideale perfetto sarebbe stato quello di sviluppare una stampante 3D molecolare, che avrebbe prodotto qualsiasi materia prima ed avrebbe costruito qualsiasi cosa a partire dagli atomi di idrogeno, che sono la cosa più abbondante dell'universo. In questa visione, l'equivoco, così come in ogni tecnocrazia, in realtà è quello per cui essa attribuisce alla tecnica un potere immaginario, che presuppone proprio quello che è il feticismo della merce stessa, nella quale la tecnica, le cose e i mezzi di produzione vengono visti come se fossero qualcosa che posseggono in sé una virtù propria, autonoma, separata dalle relazioni sociali , e determinante. In realtà, è il concetto stesso di «tecnologia» - vale a dire, di una logica autonoma che regolerebbe le tecniche indipendentemente dalle relazioni sociali, indipendentemente dalle necessità e dalle capacità umane e dalla lotta di classe - a non essere altro che un sinonimo del capitale, il movimento autonomo del lavoro morto.
[*4] - Si veda: "Absolute Property", di G. Kay e J. Mott; "L'Anti-Edipo". di Deleuze e Guattari. Ma anche il concetto di composizione di classe, sviluppato dall'Autonomia Operaia italiana negli anni 1960-1970. "Segni e macchine. Il capitalismo e la produzione", di Maurizio Lazzarato, ma anche "I Grundrisse" di Marx, così come "Bozza di un articolo sul libro di Friedrich List", sempre di Marx:
«L'industria può essere vista come un grande laboratorio in cui l'uomo prende per la prima volta possesso delle proprie forze e delle forze della natura, oggettivando sé stesso e creando per sé stesso le condizioni per un'esistenza umana. Quando l'industria viene considerata in questo modo, si astrae dalle circostanze in cui essa oggi opera, ed in cui esiste come industria; non è un punto di vista portato dall'interno dell'epoca industriale, ma al di sopra; l'industria viene considerata non per quello che essa oggi è per l'uomo, ma per quello che l'uomo di oggi è per la storia umana, per cosa egli è storicamente; non è la sua esistenza presente (non è l'industria come tale) quella che viene riconosciuta, ma piuttosto il potere che l'industria ha senza volerlo e senza saperlo, il potere che la distrugge e che crea le basi per un'esistenza umana. [...] Questa valutazione dell'industria è perciò allo stesso tempo il riconoscimento che per essa è arrivata l'ora di essere abolita, ovvero è arrivata l'ora per l'abolizione delle condizioni materiali e sociali in cui l'umanità ha sviluppato le proprie abilità in quanto schiava. Nel momento in cui l'industria non viene più considerata come un interesse usuraio, ma così come lo sviluppo dell'uomo, l'uomo, invece che dall'interesse usuraio, è fatto dal principio e quello che l'industria potrebbe sviluppare soltanto in contraddizione con l'industria stessa fornisce le basi che sono in armonia con quello che dev'essere sviluppato. [...] La scuola di Saint-Simon ha glorificato in ditirambi la potenza produttiva dell'industria. Le forze che l'industria chiama all'esistenza vengono accomunate all'industria stessa, che è come dire, alle attuali condizioni di esistenza che l'industria impone a queste forze. [...] Questa valutazione dell'industria è perciò allo stesso tempo il riconoscimento che per essa è arrivata l'ora di essere abolita, ovvero è arrivata l'ora per l'abolizione delle condizioni materiali e sociali in cui l'umanità ha sviluppato le proprie abilità in quanto schiava. Nel momento in cui l'industria non viene più considerata come un interesse usuraio, ma così come lo sviluppo dell'uomo, l'uomo, invece che dall'interesse usuraio, è fatto dal principio e quello che l'industria potrebbe sviluppare soltanto in contraddizione con l'industria stessa fornisce le basi che sono in armonia con quello che dev'essere sviluppato.» ("Bozza di un articolo sul libro di Friedrich List", di Karl Marx).
[*5] - Questa manipolazione behaviorista deve molto ad un campo di studio accademico, quello della cosiddetta psicologia cognitiva e che esiste dagli anni '80 e che viene chiamata «gestione dell'attenzione» o «economia dell'attenzione», il cui obiettivo è manipolare la percezione e la cognizione della popolazione mettendola al servizio dell'accumulazione del capitale. Le reti sociali sono state progettate da imprese che hanno usato questa «scienza», in modo che gli utenti focalizzano la loro attenzione su di esse, trascurando tutto il resto.
[*6] - Come Linux, Apache, PHP, MySQL, Python, wiki, ecc.
[*7] - http://www.metamute.org/editorial/articles/infoenclosure-2.0 , questo testo, scritto in quel momento descrive cosa stava accadendo. Si veda anche: https://libcom.org/library/fetishism-digital-commodities-hidden-exploitation-cases-amazon-apple
[*8] - La comunità del software libero e quella del software open source, cui gli hacker aderivano volontariamente contro la proprietà privata dei software, contro il dominio delle imprese e dello Stato (peraltro, è stato grazie a tale proposito da parte degli hacker, che sono stati creati i protocolli di comunicazione, che sono il fondamento del World Wide Web e di Internet), sono state svuotate e la funzione svolta precedentemente da loro è stata sostituita in maniera schiacciante dalle imprese di «startup». Qui, una massa di giovani («nerd») viene direttamente finanziata dal capitale per creare «innovazioni», sviluppando così sempre più modi di lucrare e «monetizzare» tutto quello che fino ad allora non aveva potuto essere sottomesso alla proprietà privata.
[*9] - Il segnale trasmesso nelle vecchie reti analogiche delle telecomunicazioni, si degradava ad ogni ri-trasmissione, a ciascuna copia, sommando al segnale ricevuto il rumore accumulato per tutto l'intero percorso, dall'inizio alla fine. Al contrario, il segnale trasmesso nelle reti digitali viene rigenerato nella sua esatta forma originale, a ciascuna copia e ad ogni ritrasmissione, dal momento che la trasmissione non più un segnale continuamente variabile (ossia, analogico), bensì un segnale binario (cioè, digitale , formato da «zero e uno»). Pertanto, è necessario che nel segnale vengano ricevuti solo questi due livelli discreti, che servono a rigenerarlo o a copiarlo, il che permette di scartare il rumore esistente fra i due livelli Oppure, misurarlo, correggerlo, per mezzo di calcoli o, se la relazione fra segnale e rumore è molto bassa, scartare il segnale e sollecitare un rinvio, e tutto questo in maniera automatica), mentre nell'era analogica era necessario rilevare l'intera forma d'onda dei livelli in continua variazione, cosa che rendeva impossibile distinguere il segnale originario dal rumore che veniva aggiunto dal mezzo di trasmissione (di conseguenza, nell'era analogica, il segnale originale senza rumore era necessariamente proprietà privata di chi stava trasmettendo verso i destinatari, mentre nell'era digitale, questa base fisica della proprietà privata dell'informazione è stata intrinsecamente superata, dal momento che tutti possono avere la copia esatta dell'originale). Inoltre, diversamente da come avveniva con la vecchia trasmissione analogica, una volta stabilita una rete di trasmissione digitale , il consumo di energia necessario a rigenerare (recuperare il segnale binario originale, correggere gli errori, ecc.) e a ritrasmettere il segnale digitale in tutti le connessioni fisiche (cavi sottomarini, fibre ottiche, satelliti, cavi elettrici, radio a micro-onde) è sempre lo stesso, indipendentemente dal fatto che gli utenti si stiano trasmettendo o meno informazioni l'un l'altro. Poiché le connessioni hanno sempre la loro banda occupata da simboli i «zero e uno» a causa dei protocolli di controllo dei livelli 1 e 2 (livello fisico e livello di collegamento) del modello OSI (un'eccezione è quella costituita da alcuni sistemi di radio a micro-onde, che usano uno schema di larghezza dinamica della banda base, e che non è in funzione di una minore o maggiore trasmissione di informazioni per gli utenti, ma è in funzione della relazione segnale-rumore sul mezzo di propagazione del segnale, ossia, l'atmosfera terrestre che varia continuamente). La variazione del consumo di energia si verifica solo nel processo di informazione, il quale si concentra prevalentemente nel computer dell'utente (livelli 4,5 e 6 del modello OSI) e nei router (livello 3 del modello OSI), ma anche così la variazione è insignificante.
[*10] - Il libro "Teoria del Drone". di Gregoire Chamayou (Derive Approdi), esplora le implicazioni dei sistemi di vigilanza totale, e la loro relazione con la repressione e la guerra.
[*11] - Su questo, un testo interessante può essere "Style Is an Algoritm ( https://www.racked.com/2018/4/17/17219166/fashion-style-algorithm-amazon-echo-look )
[*12] - Si veda su questo: "Uberizzazione del lavoro: sussunzione reale della viralità" ( http://passapalavra.info/2017/02/110685 ). E inoltre anche il libro di Adam Greenfield, "Tecnologie radica. Il progetto della vita quotidiana" (Einaudi), che esamina fondo le implicazioni, per la vita quotidiana, di una serie di tecnologie, come lo smartphone, l'Internet delle cose, la realtà aumentata, la fabbricazione digitale, la cripto-valuta, il BlockChain, l'automazione, l'apprendimento attraverso le macchine e l'ntelligenza artificiale.
[*13] - Per capire come tutte queste «novità» si limitano a reiterare e ad intensificare tendenze della società capitalista che sono emerse dopo la sconfitta delle lotte proletarie del 1968, e dopo la crisi della redditività che dura dagli anni '70 e arriva fino ad oggi, si veda questo testo del 1988 che rimane incredibilmente attuale: Il capitolo "I frammenti del capitale", dal libro "Contrattempo - Saggi su Alcune Metamorfosi del Capitale", di Eric Alliez, Michel Feher, Didier Gille, Isabelle Stengers e con una postfazione di Félix Guattari, pubblicato nel 1988 da Derive Approdi, descrive le enormi trasformazioni che la società capitalista stava attraversando nei decenni 1960-1980.
Circa il sonno, si veda il libro di Jonathan Crary, "24/7. Il capitalismo all'assalto del sonno" (Einaudi).
[*14] - Si veda, di Brian Ashton, La logistica e la fabbrica senza mura ( http://humanaesfera.blogspot.com/2013/03/a-logistica-e-fabrica-mundial.html ).
[*15] - Questa sottomissione alla classe proprietaria che sembra rendere i lavoratori piccoli dei capitalisti, imprenditori, capitale umano, piccolo-borghesi, porta anche a quella che, da parte dei lavoratori, è una lotta illusoria, una sorta di proudhonismo. Questa illusione presuppone che, per realizzare i suoi interessi, basterebbe farla finita con i monopoli delle grandi imprese, e stabilire una società di piccoli produttori (autogestione) che, grazie alle App, scambierebbe fra di esse, le merci «secondo giustizia», stabilendo quello che è il «giusto valore» che remuneri ciascuno. Ma tutto questo è illusorio in quanto lo scambio delle merci è una relazione sociale che, indipendentemente dalla volontà e dalle buone intenzioni, implica la competizione (in modo che si comprino le merci di uno al posto delle merci di un altro, e che si compri a buon mercato e si venda a caro prezzo, ecc.) Competizione e monopoli sono solo dei semplici aggettivi della proprietà privata, che presuppongono la privazione della proprietà, vale a dire, la proletarizzazione, e quindi il lavoro salariato, l'accumulazione del capitale, la classe capitalista, lo Stato... Quanto al valore, anch'esso è una relazione sociale che non dipende dalla volontà o dalle buone intenzioni: il valore è il comando che una proprietà privata, attraverso la competizione, ottiene sul lavoro altrui, facendo sì che chi compra debba lavorare al massimo per poter comprare (vale a dire, che la sua merce divenga equivalente al massimo del lavoro astratto della società, in cambio del minino del lavoro minimo di quella società), oltre ad imporre che gli stessi lavoratori lavorino al massimo, in cambio del minimo, per tentare di vincere la concorrenza), Perciò, questa illusione va sempre apertamente contestata nelle lotte dei lavoratori.
[*16] - Nel libro di Nick Srnicek, "Platform Capitalism", questa nuova configurazione della società capitalista viene chiamata «capitalismo delle piattaforme». Secondo lui, le piattaforme si caratterizzano per l'estrazione dei dati della società, come materia prima per poterne trarre profitto. Classifica cinque tipi diversi di piattaforma:
«L'elemento che conta è che la classe capitalista sia proprietaria della piattaforma, e non necessariamente che essa produca un prodotto fisico. Il primo tipo è quello delle piattaforme di propagande (per es. Google, Facebook), che estraggono informazioni dagli utenti, fanno un lavoro di analisi, e quindi utilizzano i risultati di questo processo al fine di vendere spazio pubblicitario. Il secondo tipo è quello delle piattaforme «cloud» (ad es., AWS, Salesforce), proprietarie di hardware e di software che vengono usati da imprese che dipendono dall'economia digitale, e che li affittano secondo le necessità. Il terzo tipo è quello delle piattaforme industriali (per es., GE, Siemens), che fabbricano hardware e software necessari a trasformare la produzione tradizionale in processi connessi mediante Internet che riducano il costo di produzione e trasformino i prodotti in servizi. Il quarto tipo è quello delle piattaforme di prodotti (per es., Rolls Royce, Spotify), che generano reddito utilizzando altre piattaforme per trasformare prodotti tradizionali in servizi, ottenendo il pagamento degli affitti, o sottoscrivendo abbonamenti. Infine, il quinto tipo è quello delle piattaforme snelle (per es., Uber, Airbnb), che cercano di ridurre la loro proprietà patrimoniale al minimo, lucrando sulla riduzione al massimo dei costi. Queste divisioni analitiche funzionano spesso insieme all'interno di ciascuna impresa. Amazon, per esempio, viene vista spesso come una compagnia di commercio elettronico, sebbene si sia rapidamente estesa come una compagnia di logistica. Oggi, si sta espandendo nel mercato on-demand (lavoro su domamda) con un programma di Home Service (lavoro a casa) in collaborazione con TaskRabbit, mentre la famigerata azienda Mechanical Turk (AMT) è stata per molti versi un pioniere della gig economy (economia dei lavoretti) e, cosa forse ancora più importante, sta sviluppando Amazon Web Service, come servizio basato sul «cloud». Pertanto, Amazon copre quasi tutte le categorie descritte sopra.»
[*17] - Felix Guattari, Eric Alliez e Maurizio Lazzarato fanno uso dei concetti di assoggettamento sociale (tradotto anche come soggezione sociale) e servitù macchinica (tradotto anche come soggezione macchinica) e servitù macchinica (tradotto anche come schiavizzazione macchinica), per descrivere questa modifica del dominio. Seconda tale ipotesi, negli ultimi decenni, la tendenza è quella che la società capitalista smette di legittimarsi presentandosi come affermazione di libertà del soggetto che attraversa volontariamente vari compartimenti della società capitalistica per assoggettarsi ad essi (la soggezione sociale). Questa libertà, che ha la soggettività di attraversare le compartimentazioni (quali, il tempo di lavoro e il tempo di riposo, la prigione e la libertà, la scuola e il tempo fuori dalla scuola), culminava nell'autonomia in quanto soggezione volontaria, diritti di cittadinanza, per mezzo dello Stato di Diritto e, quindi, legittimazione da parte della società capitalista per quel che riguardava i diritti e le libertà democratiche, attraverso lo Stato del benessere sociale ecc., visto come liberto ed esterni al dominio macchinico del capitale. A partire dagli anni '80, la società capitalista tende a trasmutare, ribaltando quelle che sono tutte queste compartimentazioni, nei confronti dei quali la soggettività che le attraversava veniva rappresentata come se fossero libera dal dominio, mentre ora si presentava immediatamente come servitù macchinica, che poi è esattamente quello che descriviamo in questo capitolo sulla massima utopia del capitale.