Contro il Reddito di Base
- di Daniel Zamora -
Nel suo libro di memorie sulla sua campagna presidenziale, "What Happened", Hillary Clinton ha scritto che l'idea di un reddito di base universale (UBI) per tutti gli americani l'aveva "affascinata". Riflettendo sulla sua campagna assolutamente noiosa, spiega che lei avrebbe voluto includerlo nella sua piattaforma ma «non è riuscita a far quadrare i conti», così ha lasciato perdere l'idea.
Aveva programmato di chiamarla «Alaska for America», riferendosi all'«Alaska Permanent Fund». Istituito nel 1982, questo programma assegna a ciascuno dei cittadini dello Stato dell'Alaska un dividendo annuale proveniente dai ricavi del petrolio. L'idea aveva acquisito popolarità verso la metà degli anni '60, e Nixon era quasi arrivato ad implementarla a livello nazionale. I ricercatori americano avevano portato avanti degli esperimenti su larga scala nel New Jersey, e c'era stato a tal proposito uno studio canadese a Winnipeg. A quel tempo, la proposta aveva causato accesi dibattiti sia in Nord America che nell'Europa continentale, ma i decenni successivi avevano portato ad un lento ma costante declino del sostegno a quell'idea. Le preferenze conservatrici per il "workfare" e per le politiche di "attivazione" che avevano caratterizzato le riforme del welfare negli anni '90 - portate avanti da un altro Clinton - avevano fatto diventare il reddito di base una fantasia utopica.
Ma come attesta l'interesse per l'UBI da parte di uno dei più potenti personaggi politici del pianeta, gli ultimi dieci anni hanno portato nuova linfa all'idea. In realtà, ora l'interesse per l'UBI si trova sull'agenda di molti movimenti e governi. Per Philippe Van Parijs e Yannick Vanderborght, due dei principali sostenitori dell'UBI, «la congiunzione di crescenti disuguaglianze, di una nuova ondata di automazione, ed una più acuta consapevolezza dei limiti ecologici imposti alla crescita ne ha fatto l'oggetto di interessi senza precedenti in tutto il mondo.»
Il governo di destra della Finlandia sta testando l'idea, sostituendo parte dei suoi sussidi di disoccupazione con un reddito di base distribuito a tutti i cittadini finlandesi. In Canada, il governo dell'Ontario ha condotto un esperimento su larga scala a partire dall'estate del 2017. I Paesi Bassi stanno portando avanti il programma di UBI più avanzato d'Europa. Diversi comuni stanno testando gli effetti del programma sui beneficiari. E in Francia, lo sfortunato candidato socialista alla presidenza, Benoît Hamon, aveva fatto del reddito di base la sua misura chiave.
In tutto il mondo, ci sono partiti politici che stanno discutendo apertamente dell'idea di distribuire un reddito incondizionato ad ogni cittadino. Ciascun lato dello spettro politico punta ad ottenere differenti presunti benefici: la destra approva l'UBI per sbarazzarsi di burocrazie statali obsolete; la sinistra per sradicare la povertà.
Apparendo allo stesso tempo come "liberale" e come "sociale", il reddito di base, secondo un punto di vista popolare, divide coloro i quali pensano ancora alla classe e alla rivoluzione industriale in termini antiquati da quelli che riconoscono che l'«economia della conoscenza» ha profondamente trasformato la nostra economia e la nostra società. Per quest'ultimo gruppo, la piena occupazione è utopica, il lavoro stabile è una richiesta obsoleta, e le vecchie istituzioni del lavoro salariato - sicurezza sociale, sindacati, e così via - sono obsolete, sono freni al progresso ed alla libertà individuale. Per i teorici "accelerazionisti" della sinistra radicale, Nick Srnicek e Alex Williams, il reddito di base costituisce un percorso di uscita "post-capitalista", mentre l'auto-proclamatosi imprenditore Peter Barnes - il cui bestseller "With Liberty and Dividends For All" ha ispirato Hillary Clinton . Lo vede come un modo per creare un «capitalismo più equilibrato - potremmo chiamarlo capitalismo-per-tutti.»
Gli studi, gli esperimenti ed i dibattiti si stanno moltiplicando, rendendo l'UBI ancora una volta un'idea «per la quale è arrivato il suo momento.»
Paradossalmente, perciò, l'UBI sembra essere una domanda dovuta alla crisi, una domanda di crisi, che viene brandita in dei momenti di retrocessione sociale di austerità. Nel momento in cui la politica si sposta verso destra e i movimenti sociali si dispongono alla difensiva, l'UBI guadagna terreno. Più i guadagni sociali sembrano essere irraggiungibili, più l'UBI acquista senso. Si tratta di quello che i botanici chiamerebbero "bioindicatori": servono ad indicizzare il progresso del neoliberismo. Il sostegno ai redditi di base prolifera laddove le riforme neoliberiste sono state più devastanti.
In questo senso, l'UBI non è un'alternativa al neoliberismo, ma una capitolazione ideologica ad esso. Di fatto, le forme più praticabili di reddito di base dovrebbero universalizzare il lavoro precario ed estenderebbero la sfera del mercato - proprio come sperano i guru di Silicon Valley.
L'impossibilità di un Redito di Base di Sinistra
La questione della fattibilità economica dell'UBI, sebbene fondamentalmente tecnica, è vitale per poter determinare il suo carattere politico. Questo perché gli effetti dell'UBI dipendono dalla quantità che viene distribuita e dalle condizioni della sua implementazione.
Nick Srnicek e Alex Williams, nel loro manifesto accelerazionista, "Inventing the Future", scrivono che «il vero significato di UBI risiede nel modo in cui esso rovescia l'asimmetria del potere, fra lavoro e capitale, attualmente esistente.» La sua istituzione dovrebbe permette ai lavoratori di avere «l'opzione di poter scegliere di accettare un lavoro o meno... Quindi, un UBI libera dagli effetti coercitivi del lavoro salariato, de-mercificando parzialmente il lavoro, e quindi trasformando la relazione politica fra lavoro e capitale.»
Ma per fare questo, insistono gli autori, si «deve fornire una quantità sufficiente di reddito per poter vivere.» Se il pagamento non è abbastanza da permettere che le persone possano rifiutare il lavoro, l'UBI potrebbe spingere giù i salari e creare un maggior numero di "lavori-stronzata".
Nonostante l'importanza chiave dell'entità e dell'implementazione, gli innumerevoli testi dedicati all'istituzione dell'UBI - ivi incluso anche il lavoro di Srnicek e Williams - raramente discutono i dettagli concreti di una tale politica. Molti dei benefici derivanti dal reddito di base proverrebbero solo da una generosa quota mensile; il che significherebbe che una sua versione con un importo moderato o basso, potrebbe avere dei potenziali effetti negativi.
Guy Standing, un pioniere del reddito di base nel Regno Unito, attualmente difende la versione a basso costo dell'UBI. Per portare avanti la sua proposta, scommette sul "Compass (think thank)", il quale ha prodotto diverse micro-simulazioni che permettono di valutare gli effetti e la fattibilità di una tale misura in un contesto inglese. Gli studi di Compass mostrano quali sono i rischi di qualsiasi schema di reddito di base che cerchi di sostituire i benefici già testati: un tale "schema completo" assegnerebbe, nella sua versione più semplice, ad ogni adulto 392 dollari (292 sterline) al mese, mentre gli esistenti programmi già testati verrebbero aboliti. Il risultato sarebbe catastrofico: la povertà infantile aumenterebbe del 10%, la povertà fra i pensionati del 4%, e la povertà fra la popolazione attiva del 3%.
Compass ha analizzato anche uno "schema modificato", con un reddito base mensile di 284£ (380$) per gli adulti in età lavorativa (e pagamenti più piccoli per gli altri) che affiancherebbe, piuttosto che rimpiazzare, la maggior parte dei programmi sociali esistenti. Ma conterebbe anche come reddito per calcolare l'ammissibilità dei beneficiari di tale programmi, così come ai fini fiscali; questa struttura di "add-on" renderebbe le misure meno costose di quanto altrimenti sarebbero, dal momento che una larga parte del costo è già inclusa nella spesa sociale esistente. Ma questo serve anche ad ammortizzare l'aumento totale del reddito netto dei poveri. Tuttavia, il costo totale di questa versione - l'ammontare totale di nuove tasse di cui ci sarebbe bisogno - è di £170 miliardi, o del 6,5% del PIL del Regno Unito. È questa la versione che viene ora sostenuta da Standing.
Nonostante lo sforzo fiscale che dovrebbe servire per poter implementare il nuovo sistema - 6,5% del PIL, o quasi il doppio della quota del PIL che gli Stati Uniti spendono attualmente per i loro militari - i risultati sono piuttosto deludenti. La povertà infantile si riduce dal 16 al 9%, ma per le persone in età lavorativa diminuisce di meno di 2 punti (dal 13,9 al 12%), e fra i pensionati scende solo di un punto (dal 14,9 al 14,1%). La considerevole somma di denaro mobilitata ha solo un modesto effetto sulla povertà, e non apporta un beneficio specifico a quelli che ne hanno più bisogno. Come scrive l'economista Ian Gough, l'idea appare essere come «un nuovo potente motore delle tasse» che «spinge un piccolo vagone.»
Tutto questo è ancora più sorprendente se consideriamo che il costo dell'eliminazione della povertà in ogni paese sviluppato è pari a circa l'1% del PIL. Un sussidio individuale di disoccupazione fissato sulla soglia di povertà (circa $1.200 al mese) e concesso a tutti gli individui disoccupati a prescindere dal loro ruolo nella struttura familiare, non solo porrebbe tutti al di fuori dalla povertà, ma metterebbe fine anche al "workfare", mettendo in discussione le dimensioni normative delle strutture familiari, e alterando fondamentalmente il mercato del lavoro. E tutto questo corrisponderebbe a qualcosa che verrebbe a costare da 6 a 35 volte meno denaro di quanto costa un redito di base universale.
La medesima critica si può applicare alla versione moderata di Philippe Van Parijs, uno de fondatori del "Basic Income Earth Network"(BIEN), che sta promuovendo l'UBI fin dalla metà degli anni '80. Van Parijs parla di un reddito per una "base" di €600 ($710), che, come nella versione di Standing, non viene completamente aggiunto ai benefici sociali esistenti. Questo programma costerebbe un po' di più del 6% del PIL, in un paese come il Belgio, che ha già un alto livello di spesa sociale di benefit - per un sistema che non riesce ad incrementare i magri guadagni della vasta maggioranza delle persone che dipendono dai servizi sociali. Questo è un fatto eccezionale circa una misura che viene spesso descritta come "rivoluzionaria" - un fatto che è stato reso esplicito nel processo sociale finlandese: cita come «obiettivo primario» quello di «promuovere l'occupazione " incentivando le persone " ad accettare pagamenti bassi e lavori poco produttivi.»
Certo, potremmo invocare un versione più generosa, più vicina a proposte anti-capitaliste o accelerazioniste, come quella dell'economista francese Yann Moulier-Boutang. La sua proposta per l'UBI ammonta a €1.100 ($1.302) al mese per ciascun cittadino e verrebbe aggiunta ai benefici già esistenti.
In Francia, verrebbe a costare €871 miliardi, o il 35% del PIL. Quando il gruppo di esperti del partito socialista francesi, la Fondation Jean Jaurès, ha studiato l'impatto che avrebbero avuto sul budget i €1000 mensili dell'UBI, ha stimato che sarebbero venuti a costare quanto tutte le attuali spese sociali - pensioni, disoccupazione, assistenza sociale, e così via - più il budget necessario per l'istruzione nazionale e quello per l'assistenza sanitaria. Basta dire che è improbabile che questa versione dell'UBI riesca a vedere la luce del giorno.
Lo stesso Moulier-Boutang lo ha riconosciuto, scrivendo che sebbene «debba essere ancora elaborato un bilancio dettagliato», «una cosa è certa: l'attuale sistema di tassazione del reddito è in grado di finanziare solo una piccola parziale applicazione di questa misura.» Per risolvere questo problema, Moulier-Boutang suggerisce di cambiare l'attuale sistema fiscale (inclusa una tassa progressiva sul reddito) con una tassa del 5% sulle transazioni finanziarie - una «rivoluzione fiscale» che dovrebbe «ridurre il deficit di bilancio» mentre «mantiene l'attuale livello di spesa sociale e aggiungendo un'UBI di 871 miliardi di euro.»
I calcoli piuttosto fantastici dell'autore sembrano allettanti, ma una tassa sulle transazioni finanziarie potrebbe non arrivare a mettere insieme una simile cifra. Il volume delle transazioni finanziarie è grande - attualmente, dieci volte il PIL - ma è proprio per questo che non vengono tassate al 5%.
Dal momento che le transazioni finanziarie vengono generalmente eseguite per compravendere relativamente a profitti di poche decine di punti percentuali, se istituissimo la tassa suggerita da Moulier-Boutang, si limiterebbero semplicemente a cessare. A titolo di confronto, la "Tobin tax", l'unica tassa sulle transazioni finanziarie che viene seriamente considerata oggi, viene generalmente prevista al massimo fra lo 0,05% e lo 0,2% - cento volte più piccola rispetto alla proposta di Moulier-Boutang - anche se è stato specificamente progettato per ridurre la speculazione (e quindi le transazioni).
Nessuna economia esistente può pagare un generoso reddito di base senza de-finanziare tutto il resto. Dovremmo accontentarci della versione minimalista - i cui effetti sarebbero altamente sospetti - oppure dovremmo eliminare tutte le altre spese sociali, creando effettivamente il paradiso di Milton Friedman. Di fronte a questi fatti, dovremmo interrogarci sulla razionalità dell'UBI; come ha detto Luke Martinelli: «un UBI conveniente è inadeguato, ed un UBI adeguato non è conveniente.»
Fino a quando non avremo trasformato profondamente le nostre economie, non potremo mettere in atto una misura che ci costerebbe più del 35% del PIL, in economie nelle quali lo Stato spende già circa il 50% del PIL. Il rapporto di forza necessario a stabilire un simile livello dell'UBI verrebbe a costituire un'uscita dal capitalismo, puramente e semplicemente, che finirebbe per rendere un non sense la descrizione dell'UBI, vista come un "mezzo" di trasformazione sociale. In realtà, molte delle difese del reddito di base possono essere classificate come ciò che Raymond Geuss chiamava «filosofia politica non realista»: idee formulate facendo una completa astrazione dal mondo esistente e dalle persone reali, completamente «disgiunte dalla politica reale» - come avviene per il modello di giustizia di Rawls, che è servito da ispirazione a figure come Philippe Van Parijs.
Se dovesse prendere forma l'UBI, le attuali relazioni di potere finiranno per favorire coloro che hanno hanno il potere economico e che vorranno approfittarsene, indebolendo l'esistente sistema di protezione sociale e la regolamentazione del mercato del lavoro. Chi deciderà l'importo mensile e chi ne detterà i termini e le condizioni? Chi verrà avvantaggiato dalle attuali relazioni di potere? Di certo non saranno i lavoratori.
La crisi del lavoro?
A proposito del lavoro, Philippe Van Parijs ama citare Jan Pieter Kuiper, professore di medicina sociale, che negli anni '70, nei Paesi Bassi, ha lanciato il dibattito sul reddito di base: «Fra i miei pazienti ci sono persone che si sono ammalate perché lavorano troppo, e persone che si sono ammalate perché non riescono a trovare lavoro.» Questa contraddizione attraversa la storia del capitalismo, e costituisce una motivazione per Van Parijs e per molti dei suoi seguaci.
L'UBI dovrebbe creare una società nella quale «coloro che lavorano troppo...possano lavorare meno, per evitare l'esaurimento, tirare un po' il fiato, o occuparsi dei propri cari, ed i posti di lavoro così liberati potrebbero essere assunti da altri.» Vale a dire, non mira a «lavorare meno, in modo che così tutto possa funzionare,» come faceva il movimento operaio tradizionale, ma vuole lasciare che tutti scelgano quanto lavorare in un dato momento. I suoi fautori la presentano come un modo per arrivare ad avere una più armoniosa distribuzione del lavoro. Questo obiettivo può sembrare ragionevole, ma pone diverse domande. Cosa più importante, rischia di incrementare, da parte dei datori di lavoro, l'attuale corsa al ribasso dei salari.
L'attuale mercato del lavoro è molto stratificato: alcune persone godono dell'accesso ad un buon lavoro, mentre altri, soggetti ad una dura concorrenza, riescono a trovare solo lavori precari ed instabili. Un UBI basso e modesto - troppo basso perché le persone possano rifiutare le offerte di lavoro - potrebbe relegare le persone meno qualificate in situazioni assai più precarie. Come dice Luke Martinelli:
«La mancanza di un'opzione di uscita per tali lavoratori, e la loro debole posizione negoziale rispetto ai datori di lavoro, significa che il reddito di base potrebbe finire per esacerbare salari bassi e condizioni sfavorevoli qualora gli altri lavoratori fossero disposti a ridurre le loro richieste salariali a causa del pagamento incondizionato.»
Martinelli sottolinea «il pericolo per cui il reddito di base potrebbe aggravare il problema di una bassa retribuzione, e finire per sovvenzionare i datori di lavoro inefficienti, portando ad una proliferazione di "lavori-stronzate".» In questo scenario, coloro che hanno dei buoni lavori continueranno a condurre una vita soddisfacente, ora integrata da un reddito universale, mentre gli altri dovranno combinare il loro UBI con uno o più lavori-"stronzata", con uno scarso incremento del reddito. La proposta non fa alcun tentativo di aiutare coloro che oggi non hanno un lavoro, ad ottenerne uno domani, o a migliorare il lavoro per quelli che ce l'hanno. In realtà, tutto suggerisce che accadrà il contrario: l'UBI funzionerà come una macchina da guerra per abbassare i salari e per diffondere il lavoro precario.
Quest'aspetto del reddito di base non è una novità: spiega il motivo per cui era stato originariamente l'economista neoliberista George Stigler a proporre un'UBI, sotto forma di un'imposta negativa sul reddito. In maniera contraria a quella di Keynes - il quale, nella sua spiegazione della disoccupazione, minimizzava il ruolo che avevano i livelli salariali - il famoso articolo di Stigler del 1946 "The Economics of Minimum Wage Legislation” sosteneva che il salario minimo riduceva l'occupazione. Stigler invitava il governo ad abolire simili regolamentazioni in modo che tutti i lavoratori possano accettare salari che non superino il prezzo di mercato.
L'imposta negativa sul reddito di Stigler, che servirebbe ad integrare i redditi fino ad un certo punto, permetterebbe ai lavoratori di accettare lavori a basso salario mentre continuano a vivere ancora al di sopra della soglia di povertà. In realtà, il sistema garantisce un reddito minimo senza incidere sul costo del salario. Come ha scritto Friedman nel 1956, il programma «mentre opera per mezzo del mercato, [fa sì che] non distorce il mercato e non ne impedisce il funzionamento», come fanno i programmi keynesiani.
Oggi, si può ancora vedere che comunemente i sostenitori dell'UBI ricorrono, per quel che riguarda la disoccupazione, a della banalità neoclassiche. Ad esempio, non si può che rimanere stupiti rispetto alle dubbie affermazioni fatte da Van Parijs e Vanderborgh nel loro recente libro " Basic Income: A Radical Proposal for a Free Society and a Sane Economy", del tipo: «laddove il livello della remunerazione è e rimane saldamente protetto dalla legislazione sui salari minimi, dalla contrattazione collettiva, e da un generoso sussidio di disoccupazione, il risultato tende ad essere quello di una massiccia perdita di posti di lavoro.»
Non si dovrebbe partire dalla premessa che salari troppo alti generano disoccupazione attraverso la distruzione dell'ottimale equilibrio dell'economia: che è proprio l'idea che va contesta con forza. In realtà, ci sono recenti studi che mettono seriamente in discussione queste affermazioni. Contrariamente alle predizioni neoclassiche, i paesi in cui le tasse funzionano hanno i più alti indici di occupazione in quanto le imposte sul reddito finanziano i servizi sociali, che a loro volta promuovono la partecipazione al mercato del lavoro, soprattutto per le donne.
Chi lavora?
Eppure, immagina che sia matematicamente possibile stabilire un UBI abbastanza alto in modo che nessuno di noi debba avere un lavoro. Supponiamo di poter avere questo generoso reddito di base e di avere allo stesso tempo comunque un forte stato sociale. Sicuramente si tratterebbe di un punto di svolta. Tuttavia, anche quest'utopia riposa su due ipotesi di lavoro problematiche.
In primo luogo, presuppone che i disoccupati non vogliono lavorare o che si accontenterebbero semplicemente di ricevere un generoso assegno mensile. Ma che succede se non è così? L'idea secondo cui dovremmo ridurre la domanda di posti di lavoro anziché lottare per la piena occupazione, non considera il fatto che molte persone vogliono lavorare. Come ha sostenuto Seth Ackerman, si presuppone che la disperazione espressa dai disoccupati equivalga ad una falsa coscienza, un problema che può essere mitigato da delle campagne di propaganda che promuovano il non lavoro.
Si tratta di una spiegazione erronea di quello che è in gioco nella questione del lavoro. Si tratta di qualcosa di più profondo: il lavoro è qualcosa di più che un mezzo per guadagnare denaro. Si tratta di qualcosa che non è dovuto semplicemente alla "ideologia pro-lavoro", ma di qualcosa che è dovuto anche alle condizioni oggettiva di una società basata su una divisione del lavoro su larga scale, e nella quale ciascuno contribuisce individualmente alla produzione collettiva. Questo sistema genera una certa distribuzione del reddito così come una certa distribuzione del lavoro. Ovviamente, le persone si preoccupano per la disparità di reddito, ma non sono forse preoccupate anche della disparità di lavoro? Come scrive Ackerman, «fino a quando la riproduzione sociale richiederà lavoro alienato, ci sarà sempre questa domanda sociale per la pari responsabilità di tutti rispetto al lavoro, ed una consapevolezza inquieta di ciò fra coloro che potrebbero lavorare ma che, per qualsivoglia ragione, non lo fanno.»
Ecco perché una garanzia universale di un posto di lavoro ed una riduzione delle ore di lavoro rappresentano ancora quelli che sono gli obiettivi più importanti per qualsiasi politica di sinistra. Ridurre collettivamente il tempo di lavoro è politicamente e socialmente preferibile rispetto alla creazione di una riserva, socialmente segmentata, di lavoratori disoccupati; una situazione che avrebbe delle gravi conseguenze per gli occupati. Non è difficile immaginare come questa situazione possa favorire le divisioni all'interno della classe operaia - come è già è avvenuto a partire dagli ultimi decenni.
In secondo luogo, una tale "utopica" UBI solleverebbe delle domande su come la distribuzione del lavoro - cioè, come la divisione del lavoro - avverrebbe in una società dove possiamo scegliere di non lavorare. Sotto il capitalismo, la divisione del lavoro avviene in maniera brutale, relegando ampi settori della popolazione in posti di lavoro che sono molto duri e mal pagati, ma che spesso sono di grande valore per la società. Un UBI "utopico", al contrario, assume semplicemente il fatto che in una società liberata dall'imperativo del lavoro, l'aggregazione spontanea dei desideri individuali produrrebbe una divisione del lavoro tendente ad una società che funzioni correttamente; in cui i desideri degli individui nuovamente liberi di scegliere ciò che desiderano fare spontaneamente produce una divisione del lavoro perfettamente funzionale. Ma quest'aspettativa viene assunta, piuttosto che essere dimostrata.
Se vogliamo immaginare una società in cui la divisione del lavoro non è più determinata dalla costrizione, allora dovremo ripensare al lavoro stesso. Ed un ripensamento del lavoro indicherà una direzione di emancipazione solo se il lavoro viene reso più pieno di significato e più attraente. In una società dove la natura del lavoro è profondamente ineguale - non solo nella sua distribuzione ma anche nel suo contenuto - la sua trasformazione diventa fondamentale.
Denaro contante o de-mercificazione?
Al di là delle argomentazioni circa la sua fattibilità o gli effetti sul mercato del lavoro, dobbiamo porci una domanda fondamentale: distribuire €1.100 a tutta la popolazione, è l'uso migliore che si può fare del 35% del PIL? Il modo migliore di combattere il capitalismo non dovrebbe essere quello di limitare la sfera in cui esso opera? Al contrario, stabilire un reddito di base semplicemente consente a tutti di partecipare al mercato.
La nostra attuale crisi economica va al di là del problema della disuguaglianza dei redditi. Mentre la disuguaglianza guadagna sempre più maggior attenzione, continua ad essere un aspetto secondario del capitalismo. Uno dei risultati più notevoli del capitalismo (ma anche uno dei più violenti) è quello che ha reso lo scambio di mercato il mezzo quasi esclusivo per poter acquisire i beni necessari per la nostra riproduzione. Così facendo, ha trasformato il denaro in quasi l'unico mezzo di scambio valido ed ha reso dipendente dal capitale la maggioranza della popolazione, rafforzando una relazione di potere fondamentalmente asimmetrica fra il padrone ed il lavoratore. Questo rapporto profondamente disuguale non solo subordina le persone all'interno della sfera del lavoro, ma lo fa anche al di fuori di essa, attraverso la potente influenza che il potere economico esercita sulla politica, sull'ideologia, e sulla cultura.
Verso la fine del XIX secolo, la sinistra aveva compreso perfettamente questo problema. Lo stato sociale aveva cercato di limitare le aree in cui il mercato ed il potere economico potevano operare. Se l'industrializzazione aveva reso cittadini con pieni diritti solo i proprietari, allora la sicurezza sociale ed il sussidio di disoccupazione avevano stabilito quello che Robert Castell ha chiamato "proprietà sociale", che ha segnato «l'emergere di una nuova funzione dello Stato, di una nuova forma di diritto, ed una nuova concezione di proprietà.» Come ha spiegato il sociologo inglese T. H. Marshall, l'uguaglianza non è possibile «senza restringere la libertà dei mercati competitivi,» senza aprire spazi socializzati liberi dagli imperativi del mercato. In altre parole, per la Sinistra, gli effetti economici dell'estensione del mercato (così come gli effetti politici e culturali) non sono mai separati da una messa in discussione della logica stessa del mercato.
Sebbene questa prospettiva abbia subito enormi battute di arresto a partire dall'inizio degli anni '70, essa offre ancora una visione radicalmente differente da quella del nostro attuale consenso neoliberista. Lo scopo ultimo non è quello di rendere la competizione più "giusta", meno "discriminatoria", o meno "normativa". Cerca invece di ridurre lo spazio in cui la competizione esiste. In tal senso, libertà non significa la capacità di accedere al mercato, ma piuttosto la capacità di ridurre lo spazio in cui esso opera.
Hillary Clinton aveva ragione nel dire che aveva sottovalutato il potere delle "grandi idee". Ma questo non significa che l'UBI sia la grande idea di cui abbiamo bisogno. Dovremmo riconnetterci con l'eredità emancipatrice del periodo del dopoguerra. Le istituzioni per i lavoratori istituite dopo la seconda guerra mondiale fecero assai più che stabilizzare o correggere il capitalismo. Hanno costituito, in forma embrionale, gli elementi di una società realmente democratica ed egualitaria, in cui il mercato non ha il posto centrale che adesso occupa. E se i recenti successi di Bernie Sanders e di Jeremy Corbyn sono qualcosa su cui ci si può basare, la porta allora potrebbe aprirsi sulla rinascita della politica socialista.
L'utopia non è al di fuori della nostra portata - è più vicina di quanto si pensi.
- Daniel Zamora - Pubblicato su Jacobin il 28/12/2017 -
1 commento:
Interessante articolo,indubbiamente il reddito di base non mette in discussione il capitalismo, ma quello che propone l'articolista sono i soliti palliativi(come la riduzione dell'orario di lavoro), che non permetteranno mai di emanciparci dal lavoro .Si finisce sempre per confondere il lavoro astratto e schiavo del denaro con le attività autodeterminate.
Ma mi domandavo, a nessuno è mai venuto in mente che l'ossessione per il lavoro possa nascere anche da una fuga da se stessi?(segno quindi di una societa malata) E che pertanto il lavoro si sia trasformato in una via di fuga da un disagio esistenziale,da un disagio della modernita, da un mal di vivere? come al contrario pure il desiderio di incasellamento(come se la natura unmana fosse nata per essere incasellata)possa nascere dalla paura di non essre come gli altri, di non apparire utili e produttivi agli occhi degli altri? (e per alcuni perfino agli occhi di Dio).
Salvatore
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