Robert Kurz ha affermato una volta che, per quanto riguarda la teoria, i comunisti sostengono l'abolizione del lavoro salariato. Ad ogni modo, quest'idea esiste solo in teoria. Quando si tratta di andare a vedere i loro sforzi pratici, i comunisti sono sempre puramente e semplicemente dei riformisti. «Perciò così l'emancipazione sociale è rimasta solo la promessa di un immaginario futuro. Per prima cosa, dovrebbe essere necessario attraversare la valle delle lacrime politiche, prima di poter vedere la terra promessa del "socialismo" e poterla occupare nella pratica.»
In teoria, i comunisti sono tutti davvero molto radicali. Nella pratica, però, non appaiono più radicali di qualsiasi membro di un qualche Partito dei Verdi tedesco, o dei Socialisti Democratici d'America!
Coloro che si attengono al nostro futuro immaginario non sono stati finora in grado di articolare una strategia per poter arrivare a realizzare quel futuro qui ed ora.
Perciò, tutti i movimenti rivolti al nostro immaginario futuro sono stati lasciati nelle mani di persone che pensano che il nostro futuro immaginario sia... immaginario. Queste sono persone che credono veramente che le nostre prospettive siano definite per mezzo della "Finestra di Overton" della Politica Elettorale Borghese.
Questi pensano davvero che si possa raggiungere il nostro immaginario futuro passando attraverso una serie di approssimazioni politiche, ciascuna delle quali ci dovrebbe portare sempre più vicino al nostro obiettivo finale. Ma quanto in alto devono arrivare i salari per arrivare al comunismo, ossia, per arrivare ad un modo di produzione dove non ci sono salari? Quanto dev'essere piena l'occupazione prima che si possa arrivare a dove nessuno venda la propria forza lavoro per poter acquisire i mezzi per vivere?
No, non c'è una quantità in termini di salario che possa avvicinare al principio di «a ciascuno secondo i suoi bisogni». Non c'è nessuna quantità a cui ci dobbiamo avvicinare in termini di occupazione per poter arrivare a disporre del nostro tempo libero.
Il comunismo non è semplicemente il capitalismo con la piena occupazione ed un salario di sussistenza.
È l'abolizione dell'occupazione e del salario.
Il comunismo non è un'assicurazione sanitaria nazionale. Non è una confortevole pensione alla fine di una vita di duro lavoro.
Qualunque cosa pensiate di questi programmi riformisti, non si tratta di comunismo; non sono nemmeno una pallida approssimazione politica del comunismo. Non c'è alcun modo di arrivare al comunismo, da qui dove ci troviamo - anche assumendo che esistano le migliori circostanze economiche - senza porre fine tutto ciò che è associato alla attuale società.
Kurz ce lo spiega in maniera succinta:
« Il materialismo [storico], per così dire, "si piscia nei pantaloni", non appena viene chiamato a definire la cosiddetta rivoluzione socialista. Da un lato, assimila ciecamente la forma borghese del movimento politico, in tutte le sue manifestazioni (dal concetto di rivoluzione a quello di partito politico), e in questo modo mostra il carattere del vecchio marxismo in quanto semplice propaggine secondaria dell'Illuminismo borghese e come una socializzazione che si compie attraverso la forma della merce.» (Robert Kurz, 1997 - “Antiökonomie und Antipolitik. Zur Reformulierung der sozialen Emanzipation nach dem Ende des ‘Marxismus’” in Krisis, No. 19, 1997. [qui in italiano, come “Anti-economia ed antipolitica - Sulla riformulazione dell'emancipazione sociale dopo la fine del "marxismo" – ])
E Astarian e Dauve confermano l'intuizione di Kurz, quando, dopo più di cento pagine di non sense esoterico, devono ammettere che:
« La teoria della rivoluzione assume una comprensione della contraddizione fondamentale della società capitalista... C'è ancora molto che dev'essere fatto per riuscire a capire perché e come la comunizzazione riavvierà di nuovo la produzione senza alcuna misura produttiva. Queste questioni vanno oltre lo scopo di questo testo. »
Possiamo anche rivolgerci a dei marxisti aperti come John Holloway, il quale, dopo averci implorato di cambiare il mondo senza prendere il potere, ha ammesso di non sapere cosa diavolo significhi quella dannata frase:
« Come possiamo cambiare il mondo senza prendere il potere? Alla fine del del libro, così come all'inizio, non lo sappiamo. I leninista sanno, o erano soliti saperlo. Noi no. Il cambiamento rivoluzionario è più disperatamente urgente che mai, ma non sappiamo più cosa significhi rivoluzione. Davanti alla domanda, tendiamo a tossire e a biascicare e cerchiamo di cambiare discorso. »
Per tutti questi teorici, la difficoltà consiste nel fatto che il divario fra la schiavitù salariale ed il comunismo non può essere colmato dalla politica, e la politica è l'unica forma di azione che loro capiscono.
Eppure tutto questo dovrebbe essere ovvio, dal momento che l'azione politica implica l'applicazione della forza statale, mentre il comunismo è una società senza Stato.
Non ci può essere nessun modo di avvicinarsi politicamente alla completa abolizione dello Stato.
Inoltre, ogni azione politica comporta un conflitto fra le classi, mentre il comunismo è una società senza classi.
E quindi non ci può essere alcun modo per procedere politicamente alla completa abolizione delle classi.
La soluzione data da Marx ed Engels a tutto questo intricato enigma consiste di due osservazioni:
1 - Il proletariato non era una classe. (L'ideologia Tedesca)
2 - La Comune non era uno Stato (La guerra civile in Francia)
Dal momento che il proletariato non è una classe e dal momento che il suo governo non costituisce il governo di una classe, la transizione dal capitalismo al comunismo, almeno in teoria, non dovrebbe costituire alcun ostacolo ala sua rivoluzione sociale.
A partire da quel momento, ad ogni modo, sia i sostenitori di Marx che i suoi detrattori hanno insistito, contrariamente a Marx, sul fatto che il proletariato è una classe e che la dittatura del proletariato è uno Stato! E questo nonostante le numerose proteste provenute sia da Marx che da Engels, a proposito del fatto che in realtà era il contrario! I marxisti sono così stati necessariamente costretti a spiegare in che modo una classe possa realizzare una società senza classi e come diavolo faccia uno Stato a realizzare una società senza Stato. In realtà, i marxisti non possono spiegare affatto come questo potrebbe accadere. Invece, hanno cercato di illuminarci facendoci credere che noi potremmo usare la politica per abolire sia le classi che lo Stato!!!
E questo ci offre quella che porta davanti a quella che forse è la domanda più pertinente:
Se la politica non è un mezzo efficace per abolire le classi e lo Stato, quali sono i mezzi esistenti per poter portare a termine un simile compito?
Francamente, non c'è nessuno che sappia rispondere a questa domanda, e perciò questo continua ad essere il motivo per cui si deve continuare a dire che l'attuale superamento effettivo del capitalismo richiede e merita ulteriori studi. E la ragione per cui nessuno conosce la risposta a questa domanda è dovuta al fatto che tutti pensano che la risposta continui ad avere a che fare con la lotta politica contro il capitale e contro lo Stato. Ma in realtà il punto è proprio che invece la risposta alla domanda non ha niente a che fare con una lotta del genere. La premessa, sia del capitale che dello Stato, è il Lavoro; e come hanno sostenuto Marx ed Engels ne "L'Ideologia Tedesca", l'esistenza del lavoro si basa sulla sua frammentazione. Ciò implica che se il proletariato vuole porre fine al lavoro, deve porre fine alla sua frammentazione. L'abolizione del lavoro salariato quindi significa l'abolizione della frammentazione del lavoro.
Ma come fare a porre fine alla frammentazione del lavoro?
Contrariamente a quanto pensano la maggior parte dei comunisti oggi, non credo affatto che si tratti soprattutto di coscienza politica e di organizzazione. Attualmente, nella società ci sono forze materiali che impongono costantemente al proletariato una frammentazione sempre maggiore del lavoro. Queste forze devono essere battute dal proletariato attraverso la sua azione diretta.
Una delle forze più potenti che opera per frammentare il proletariato viene descritta, almeno in parte da Marx, nelle sue lezioni a proposito di "Lavoro Salariato e capitale":
« L’operaio cerca di conservare la massa del suo salario lavorando di più, sia lavorando più ore, sia producendo di più nella stessa ora. Spinto dal bisogno, egli rende ancora più gravi gli effetti malefici della divisione del lavoro. Il risultato è il seguente: più egli lavora, meno salario riceve, e ciò per la semplice ragione che nella stessa misura in cui egli fa concorrenza ai suoi compagni di lavoro, egli si fa di questi compagni di lavoro altrettanti concorrenti, che si offrono alle stesse cattive condizioni alle quali egli si offre, perché, in ultima analisi, egli fa concorrenza a se stesso, a se stesso in quanto membro della classe operaia. »
Ora, la principale forza economica che frammenta il proletariato è la concorrenza nella competizione per la vendita della forza lavoro.
Non è - e non è mai stata - la presenza, o la mancanza, di coscienza politica e di auto-organizzazione. Infatti, sia la coscienza politica che l'auto-organizzazione sono esse stesse determinate dalla concorrenza fra i proletari quando competono per la vendita della loro forza lavoro. Nel mercato del lavoro, i proletari si relazionano gli uni agli altri come competitori ostili.
L'abolizione del lavoro salariato presuppone che i proletari mettano fine alla loro competizione per la vendita della forza lavoro ai capitalisti - una competizione, fra l'altro, nella quale non possono vincere in quanto ciascuno di loro si trova ad essere semplicemente costretto a competere, uno conto l'altro. Per poter porre fine alla competizione, bisogna porre fine al lavoro salariato.
I comunisti, se vogliono, posso anche ignorare la verità, ma così facendo non realizzeranno mai il loro obiettivo, a meno che non attacchino il lavoro salariato stesso.
fonte: the real movement
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