In queste indimenticabili pagine, il grande pensatore francese critica col suo stile passionale e paradossale i dogmi della società delle macchine: il progressismo, la fede patetica nella scienza e nella tecnica, il mito del Benessere che ha generato una società nevrotica e alienata. La soluzione non è la distruzione delle macchine ma la costruzione dell’uomo, che deve riappropriarsi della sua dignità, affermando la propria libertà, caratteristica appunto dello spirito europeo.
(dal risvolto di copertina di: Georges Bernanos, Lo spirito europeo e il mondo delle macchine. Oaks Editrice )
Gli uomini-macchina e senza libertà del "profeta" Bernanos
- di Alessandro Gnocchi -
Alla base della riflessione di Georges Bernanos (Parigi 1888 - Neuilly-sur-Seine 1948) sulla civiltà delle macchine, c’è la Prima guerra mondiale. Il conflitto totale, tanto crudele quanto anonimo, ha iniziato a forgiare un tipo d’uomo disponibile a tutte le forme di sottomissione e di violenza. La tempesta d’acciaio, che distribuisce a caso morte senza onore, ha reso evidente lo strapotere della macchina e l’insignificanza dell’uomo al suo cospetto. Nella guerra di Spagna, Bernanos ha trovato conferma della rabbia suicida impadronitasi dell’Europa intera. Il carnaio spagnolo annuncia altri orrori, altre decimazioni, altro odio tra fratelli. Altri carnai si avvicinano. La Seconda guerra mondiale non coglie alla sprovvista lo scrittore auto-esiliatosi in Brasile per disprezzo verso la vigliaccheria delle potenze europee. Lo spirito di Monaco non fa per Bernanos. Egli partecipa alla guerra a modo suo, cioè tirando bordate contro i traditori della Francia: il maresciallo Pétain e il governo di Vichy prostituito all’invasore tedesco. Le bombe atomiche di Hiroshima e Nagasaki rafforzano la visione di un mondo futuro annichilito dalle macchine. Il dopoguerra è un’altra delusione. Bernanos vede nella pace lo stesso vuoto morale che ha condotto ai totalitarismi. Riprenderà a tirare bordate, questa volta contro la democrazia sia pure da una prospettiva diversa (e più alta) rispetto alla politica militante. Negli ultimi anni di vita, Bernanos pronuncia orazioni pubbliche che hanno il sapore della profezia. È banale affibbiare a questo o quello scrittore il titolo di profeta, «onorificenza» intellettuale concessa un po’ a tutti, perfino a chi non ne ha mai azzeccata una. Ma nel caso di Bernanos correremo il rischio di essere banali anche perché il tema è stato affrontato dall’autore stesso: «Non sono un profeta; ma potrebbe darsi che io veda ciò che gli altri vedono al pari di me, ma che non vogliono vedere». E va bene. Però queste conferenze hanno lo stile della profezia. Bernanos non dispiega un pensiero sistematico, ordinato, dogmatico. Procede per grandi temi e altrettanto grandi illuminazioni. Forse non sono profezie. Senz’altro, per usare le parole di un allievo, Roger Nimier, le parole del maestro sono spade puntate verso il nostro petto: «Così la vita è felice per chi ha un animo docile, un corpo aggraziato e in genere per chi ignora la vertigine, sia per mancanza di fermezza sia per mancanza di immaginazione. Ma ce ne sono altri, incuranti delle conseguenze, che non possono staccare gli occhi dal fremere di quelle spade» (Le spade). Bernanos era tra questi. Con fermezza sorretta da un amore cristiano ha immaginato un futuro disumano che potrebbe essere il nostro. Ne Lo spirito europeo e il mondo delle macchine (che uscì in prima edizione per Rusconi nel 1972) Alfredo Cattabiani ha riunito le conferenze risalenti agli ultimi anni di vita dello scrittore, morto nel 1948. Cattabiani riproponeva lo stesso lavoro già pubblicato con l’editore Borla nel 1963: Rivoluzione e libertà. Differente era il titolo, differente era la successione dei testi ma soprattutto differenti erano gli apparati. La breve premessa del 1963 diventa l’illuminante saggio introduttivo del 1972. In mezzo c’era stato Bernanos(Volpe, 1965), un’antologia di scritti politici con un’articolata premessa nella quale Cattabiani sottolineava la fedeltà di Bernanos a se stesso. Il giovane militante dell’Action française era maturato senza rinunciare all’essenza delle sue idee. Pur mancando di organicità, il suo pensiero politico passava indenne da un decennio all’altro, da La grande paura dei benpensanti (1931) alle conferenze del 1946-1947, Bernanos ha sempre posto un problema di civiltà. Non è una questione di regime o sistema economico. È una questione spirituale. La sua rivoluzione cristiana vuole sovvertire la modernità che ha umiliato Dio e di conseguenza l’uomo. Il cristianesimo divinizza l’uomo e lo rende sacro perché «fa partecipare ciascuno di noi alla Divinità, dà a ciascuno di noi, al più umile fra noi, un valore infinito, degno del sangue divino» (La rivoluzione della libertà, Cantagalli, 2012). Rimosso il cristianesimo, la società procede sempre più veloce su un pendio inclinato. A fine corsa, dopo aver schiacciato ogni forma di vita interiore, ridurrà l’uomo all’uomo di massa privo di individualità e libertà. Libertà è la parola che leggiamo con maggiore frequenza in queste pagine. La libertà si fonda sulla fede dell’uomo in se stesso e coincide, nella sua forma più nobile, col servizio, un atto volontario, un omaggio disinteressato dell’uomo libero verso chi ama o ritiene meritevole. Questo valore sarà cancellato. Noi assistiamo quindi alla nascita di una civiltà inumana, fondata su una definizione falsa dell’uomo, ridotto a pura funzione economica. Le macchine sono al servizio di questo progetto e forse ne diventeranno il fine ultimo: «I tecnici non hanno bisogno di noi. Si tratta di sapere se la Storia ha un significato oppure se è la tecnica a dargliene uno. Oppure, per parlare più chiaramente, si tratta di decidere se la Storia è la storia dell’uomo oppure soltanto la storia della tecnica». L’Europa de-cristianizzata è un cadavere. I sostenitori del progresso sono i vermi che lo divorano: «Sì, molte cose, enormi cose avvengono all’interno, o anche all’esterno di un cadavere; e se chiedeste ai vermi il loro parere ed essi fossero capaci di darvelo, si direbbero impegnati in una prodigiosa avventura, la più ardita, la più completa avventura, in un’esperienza irreversibile». L’errore del verme consiste nel confondere «una liquidazione per la Storia». Non c’è Europa senza cristianesimo. Allora il sogno europeo, che oggi molti definirebbero un incubo tecnocratico, era appena iniziato. Erano ancora di là da venire i dibattiti sulle radici dell’Unione europea, rimosse da ogni trattato. Bernanos intravedeva le crepe ora manifeste: «Non fatemi dire che esiste un “partito dell’Europa”, perché l’Europa non ha né più programma né dottrina; c’è ancora una specie di religione dell’Europa, nell’attesa che ci sia soltanto una superstizione, e poi più niente...». Insomma, l’Europa non è neppure una espressione geografica. È una espressione retorica.
- Alessandro Gnocchi - dalla Premessa alla nuova edizione del libro -
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