Osservazioni sui concetti di "valore" e di "dissociazione-valore"*
- di Roswitha Scholz -
Al fine di mostrare che cosa significhi il concetto di "dissociazione-valore", bisogna innanzitutto cominciare a spiegare che cosa significhi il concetto androcentrico di "valore", così come viene definito dalla "critica fondamentale del valore" e quello che io qui intendo sviluppare in maniera critica. In generale, il concetto di valore viene utilizzato in modo positivo, sia che si tratti del marxismo tradizionale, del femminismo, o perfino dalle scienze economiche dove, per esempio, sotto la forma del prezzo, appare come un elemento incondizionato e trans-storico di ogni società umana. In tal senso, l'approccio svolto dalla critica fondamentale del "valore" è completamente differente. Il valore viene compreso e criticato in quanto espressione di un rapporto sociale feticista. Nelle condizioni che sono quelle della produzione di mercato per dei mercati anonimi, i membri della società, anziché utilizzare di comune accordo le loro risorse ai fini della riproduzione razione della loro esistenza, essi producono, in maniera separata gli uni dagli altri, delle merci che non diventano dei prodotti sociali se non dopo che sono stati scambiati sul mercato. In quanto "rappresentanti" del "lavoro passato" (dispendio di energia sociale umana astratta), queste merci rappresentano "del valore", vale a dire che esse contengono una certa quantità di energia sociale che è stata spesa. Questa rappresentazione, a sua volta, si esprime attraverso un medium particolare, il denaro, che è la forma generale del valore per quel che riguarda l'intero universo mercantile. Il rapporto sociale mediato da questa forma rovescia e mette sottosopra quelle che sono le relazioni fra le persone ed i prodotti materiali: i membri della società, in quanto persone, appaiono in maniera asociale, come dei semplici produttori privati, come degli individui che non hanno alcun legame fra di loro. Inversamente, la relazione sociale appare come un rapporto fra cose, un rapporto fra oggetti morti che entrano in relazione per mezzo di quantità astratte di valore che esse rappresentano. Le persone vengono cosificate, e le cose vengono, per così dire, personificate. Il risultato è la mutua alienazione dei membri della società che non fanno uso delle loro risorse sulla base di decisioni consapevoli, prese secondo comune accordo, ma si sottomettono ad un rapporto cieco fra cose morte, i loro stessi prodotti, sotto il comando della forma denaro. È così che si finisce continuamente con l'ottenere una cattiva ripartizione delle risorse, crisi e catastrofi sociali.
La critica di questo feticismo che subordina gli uomini in quanto esseri sociali ai rapporti creati dai loro stessi prodotti, deve quindi essere esercitata a partire dal livello della produzione di merci, del valore, del lavoro astratto e della forma denaro. Ed è proprio qui che la passata teorizzazione marxista ha fallito. Ciò che costituisce il vero radicalismo della teoria marxiana, come filosofia, è stato marginalizzato, mentre al livello concreto della teoria sociale - vale a dire, in senso sociale ed economico - si è dimostrato incapace di liberarsi dalla camicia di forza categoriale del sistema moderno della produzione di merci (nelle sue diverse formazioni storicamente asincrone). All'opposto, la "critica fondamentale del valore" intende mettere al centro questo nucleo disperso della critica dell'economia politica e diventare consapevole del fatto che la forma apparentemente naturale del valore ha un carattere negativo di feticcio, per poter arrivare in tal modo ad una riformulazione della critica sociale radicale: «In quanto merci, le cose sono degli oggetti del valore astratto privi di qualità sensibili, ed è unicamente sotto questa strana forma che sono mediati socialmente. Nel quadro della critica marxiana dell'economia politica, questo valore economico viene determinato in maniera unicamente negativa, in quanto forma di rappresentazione astratta e morta del lavoro sociale effettuato sul prodotto; una forma che è sia reificata, che feticistica, e staccata da ogni contenuto sensibile e concreto e che, in un perpetuo movimento della forma di relazione di scambio, si sviluppa per arrivare al denaro in quanto cosa astratta "di per sé"»[*1]. Tuttavia, questo feticismo specifico della forma merce in quanto principio generale e dominante della socializzazione esiste solo nei sistemi moderni della produzione di merci. Solamente il capitalismo moderno ha generato una forma merce orientata verso dei mercati anonimi, autonomizzati e staccati dal resto della vita e da altre forme relazionali, e che, allo stesso tempo, domina l'intero processo sociale della vita. Precedentemente, si produceva innanzitutto per l'uso, e questo non solo nei contesti agrari ma anche all'interno delle società governate da una legislazione specifica. Per quel che riguarda il concetto stesso di "totalità" sociale, essa non sarebbe potuta nascere se non con il dominio realmente totalitario della forma merce e della forma denaro sulla società. La produzione di mercato, le relazioni monetarie e la "economia di mercato" come contesto sistemico generale hanno visto la luce grazie al fatto che il valore, e quindi la sua forma fenomenica, il denaro, si trasforma, da semplice medium fra produttori realmente indipendenti (economie familiari, ecc.) ad un fine in sé sociale generale: sotto forma di capitale, il denaro venne messo in collegamento con sé stesso [N.d.T.: è entrato in loop] in maniera da essere "valorizzato", cioè, in modo da generare - in un processo ininterrotto - "più denaro" (del plusvalore).
Sono due le condizioni costitutive di questa "valorizzazione del valore", che è produttiva in senso capitalista, e distinguono un tale modo di produzione capitalista da qualsiasi altra premoderna produzione di merce. In primo luogo, la produzione di beni d'uso - nelle condizioni precapitaliste, la ragion d'essere del tutto naturale della produzione - si è oramai trasformata in semplice vettore dell'astrazione valore e trasforma, perciò, la soddisfazione dei bisogni umani in semplici "sottoprodotti" dell'accumulazione di capitale-denaro.. Si viene quindi a produrre un'inversione del fine e dei mezzi: «Il feticismo è diventato auto-riflesso e allo stesso tempo costituisce il lavoro astratto in quanto macchina che è allo stesso tempo il suo proprio fine. D'ora in poi, il feticismo non "si estingue" più nel valore d'uso, ma si presenta sotto forma del movimento autonomo del denaro, come trasformazione di una quantità di lavoro astratto e morto in un'altra quantità - superiore - di lavoro astratto e morto (il plusvalore) e quindi come movimento tautologico della riproduzione e dell'auto-riflessione del denaro, che diviene capitale, e quindi moderno, solo sotto questa forma»[*2].
In secondo luogo, la forza lavoro umana deve essa stessa diventare merce. Privata di ogni accesso autonomo e consapevole alle risorse, una parte sempre più grande della società è stata assoggettata alla dittatura del "mercato del lavoro", rendendo in tal modo la capacità umana di produrre, una capacità fondamentalmente eteronoma. È solo in tali condizioni che l'attività produttiva si trasforma in "lavoro astratto", il quale non è nient'altro che la forma specifica di attività che assume il fine in sé astratto dell'aumento del denaro all'interno dello spazio di funzionamento della "economia d'impresa" capitalista; vale a dire, una forma di attività separata dalla vita e dai bisogni degli stessi produttori. Man mano che il capitalismo si sviluppa, tutta la vita individuale e sociale, in tutto il mondo, prende l'impronta del movimento autonomo del denaro. Questo ha come conseguenza il fatto che «il lavoro vivente appare solo come espressione del lavoro morto autonomizzato», mentre il lavoro (astratto), nato solo con il capitalismo, viene ormai assunto in maniera a-storica come se si trattasse di un principio ontologico [*3]. Ora, la visione tronca che il marxismo tradizionale del movimento operaio aveva di questo contesto sistemico [*4] consisteva nel criticare il plusvalore in senso unicamente superficiale e sociologico, ossia nel senso della sua "appropriazione" da parte della "classe capitalista". Non era la forma del valore entrata in loop ed in maniera feticistica a venire denunciata come scandalosa, ma solo la sua "ineguale distribuzione". È proprio per questo che agli occhi dei rappresentanti della "critica fondamentale del valore", questo "marxismo del lavoro" è rimasto prigioniero dell'ideologia di una mera "giustizia distributiva". È nel carattere assurdo del fine in sé della forma merce e della forma denaro, totalitari, che risiede il problema, mentre la "distribuzione equa" all'interno di questa forma resta assoggettata alle leggi del sistema, e quindi alle restrizioni imposte dal sistema, che costituiscono perciò una semplice illusione. Una semplice redistribuzione all'interno della forma merce, della forma valore e della forma denaro, quale che sia il modo in cui viene applicata, non può evitare né la crisi e né di finire per ritrovarsi con la miseria globale generata dal capitalismo; il problema centrale non è l'appropriazione della ricchezza astratta che avviene sotto la forma non abolita del denaro, ma è tale forma stessa. In tal modo, il vecchio movimento operaio con la sua "critica" tronca del capitalismo, formulata secondo le categorie non abolite del capitalismo, poteva solamente ottenere - ed anche solo in maniera passeggera - dei miglioramenti e degli alleggerimenti immanenti al sistema. Oggi, nella crisi vissuta dal sistema delle merci, questi miglioramenti vengono fatti a pezzi, uno dopo l'altro. Durante questo processo, il marxismo tradizionale e, più in generale, la sinistra politica hanno assunto in pieno tutte le categorie fondamentali della socializzazione capitalistica, fra cui il "lavoro astratto", il valore in quanto principio generale preteso come trans-storico e, di conseguenza, anche la forma merce e la forma denaro in quanto forme generali del rapporto sociale, così come il mercato universale anonimo in quanto sfera della mediazione sociale feticista, ecc. Quanto alla miseria e all'alienazione che si accompagnano a questo contesto sistemico categoriale [*5], hanno dovuto essere corrette per mezzo di interventi politici esterni. Anche oggi, una simile illusione continua ad essere ancora riscaldata e condita con una salsa keynesiana (di sinistra).
Nel corso del processo storico che ha visto imporsi il capitalismo, è avvenuto solo nelle società che si trovavano in ritardo rispetto alla moderna produzione di merci che potesse nascere un sistema relativamente autonomo basato sulla legittimazione di questa ideologia. Si è trattato della "modernizzazione di recupero" sotto la forma del capitalismo di Stato, (mal)interpretata come se fosse un "contro-sistema socialista", sebbene esso non fosse affatto il risultato di una crisi capitalista arrivata alla sua maturazione. Al contrario, per alcuni decenni, questo paradigma è stato dominante solo in alcune società capitalisticamente "sottosviluppate" alla periferia del mercato mondiale (Russia, Cina, Terzo mondo). Queste società erano allo stesso tempo dei sistemi di produzione di merci - anche se in una situazione di "recupero" - in cui la dinamica capitalista della merce e del denaro, con la sua mediazione anonima attraverso il mercato (che comporta sempre il principio della concorrenza), era forzatamente operante, ma lo era in un modo che differiva dall'Occidente: era lo Stato a svolgere il ruolo di imprenditore collettivo.
Ed è questa medesima dinamica della forma valore astratta che funziona alimentando sé stessa (anche nei paesi del blocco dell'Est) che - attraverso i processi indotti dal mercato mondiale e attraverso la corsa allo sviluppo delle forze produttive - ha finito per mettere in ginocchio "il socialismo realmente esistente" (vale a dire, i capitalismo di Stato) e che, in tutte le regioni del mondo, doveva portare agli scenari di crisi e di guerra civile degli anni '90. Tuttavia, il crollo della "modernizzazione di recupero" non è sfociato in una qualche "prospettiva riformatrice" in grado di portare verso la "economia di mercato e la democrazia" (è la terminologia per mezzo della quale il capitalismo puro dell'Occidente si è ormai collegato
con il gergo della sinistra conformista), ma è diretto, a condizione che il sistema di mercato ed i suoi criteri vengano mantenuti, verso la sola "prospettiva" della barbarie.
È dagli anni '80 che le speranze di una vita migliore sono sfumate anche nel Terzo Mondo. Grazie al credito, la prospettiva di un preteso sviluppo, sempre pensato nella forma merce feticistica - legato ad un'euforia modernizzatrice - che caratterizzava lo "zeitgeist" [spirito del tempo] fino a metà degli anni '70, per qualche tempo è sembrata realizzabile. Ma un simile concetto, limitato al quadro di un sistema-mondo capitalista, è crollato nel corso degli anni '80, e numerosi paesi si sono visti precipitati nella miseria a causa della pressione neoliberista, di cui una delle conseguenze è stato l'indebitamento nei confronti del Fondo Monetario Internazionale (FMI) e della Banca Mondiale. Le condizioni per il rimborso del debito, imposte da queste istituzioni, hanno determinato dei "processi di aggiustamento strutturale" (era questo l'eufemismo in uso allora) insieme ad un aggravamento drammatico della situazione sociale per una larga maggioranza della popolazione. Si può già prevedere che queste condizioni di vita precaria si estenderanno anche alle nazioni occidentali altamente industrializzate. Il valore, il lavoro astratto, la mediazione di mercato sulla base del fine in sé capitalista diventano obsoleti; il "collasso della modernizzazione" [*6] appare in maniera sempre più evidente.
La condizione postmoderna è paradossale, in quanto, da un lato, il capitalismo si rivela incapace di assicurare la riproduzione dell'umanità (anche secondo i propri criteri, comunque inaccettabili), mentre, dall'altro lato, i vecchi paradigmi di una "critica del capitalismo" tronca e prigioniera delle forme e delle categorie del sistema della merce (sia quella del tipo "vecchio marxista operaio", keynesiano o "nazional-rivoluzionario" / anti-imperialista) enunciano delle banalità. Lungi dallo scomparire, le diseguaglianze sociali si sono al contrario drammaticamente aggravate, ma non possono più essere comprese nei termini di una concezione puramente sociologica (che ignora il contesto delle forme di base), fondata su dei "rapporti di classe" o su dei "rapporti di dipendenza nazionale".
Questa visione della "critica fondamentale del valore", per quanto logica e plausibile possa essere il modo in cui interpreta numerosi fenomeni della crisi mondiale attuale, ignora completamente, secondo la sua propria logica, la relazione fra i sessi. È chiaro che qui sono solo il "valore", ed insieme ad esso il "lavoro astratto" - sessualmente neutro- ad essere degni di essere teorizzati, anche se questo avviene in quanto sono oggetto di una critica radicale. Quel che viene ignorato, è il fatto che, nel sistema di produzione di merci, bisogna provvedere anche ai lavori domestici, crescere dei figli e curare ed accudire le persone deboli e malate, e che quindi bisogna svolgere dei compiti il cui carico di solito ricade sulle donne (anche se svolgono un lavoro salariato) e che non può essere assicurato (o può esserlo solo in parte) da dei professionisti [*7].
Quindi non è solo l'auto-movimento feticista del denaro ed il carattere tautologico del lavoro astratto nel capitalismo che determina il contesto sociale globale. In realtà, ciò che viene prodotta, è una "dissociazione" sesso-specifica, articolata in modo dialettico con il valore. Quello che viene dissociato non costituisce un mero "sotto-sistema" di questa forma (come avviene con il commercio con l'estero, con il sistema giuridico, o anche perfino con la politica), ma si tratta di una parte essenziale e costitutiva del rapporto sociale globale. Ciò significa che non esiste un "rapporto di derivazione" logico ed immanente fra "valore" e "dissociazione. Il valore è la dissociazione, e la dissociazione è il valore. Ciascuno è contenuto nell'altro, senza tuttavia essere identico ad esso. Si tratta dei due elementi essenziali e centrali di un solo e medesimo rapporto sociale in sé stesso contraddittorio e spezzato, e che dev'essere compreso allo stesso alto livello di astrazione.
Poiché ciò che il valore non può cogliere, ciò che è dissociato da esso, smentisce proprio la pretesa alla totalità della forma valore; è questo ciò che rappresenta il non detto della teoria stessa e che in tal modo si sottrae agli strumenti della critica del valore. Le attività femminili di riproduzione rappresentano il rovescio del lavoro astratto, è impossibile sussumerlo sotto il concetto di "lavoro astratto", come ha fatto spesso il femminismo, che ha largamente ripreso e fatto propria la categoria positiva del lavoro che era stata quella del marxismo del movimento operaio. Nelle attività dissociate che comprendono anche, e non in ultimo luogo, l'affetto, l'assistenza, la cura per le persone debole e malate, fino all'erotismo, la sessualità, così come "l'amore", e sono inclusi anche i sentimenti, le emozioni e le attitudini contrare alla razionalità della "economia imprenditoriale" che regna nel dominio del lavoro astratto, e che si oppongono alla categoria del lavoro, anche se non sono del tutto esenti da una certa razionalità utilitaristica e dalle norme protestanti.
A questo proposito, non si tratta solo di attività specifiche che il mondo patriarcale moderno delega alla "donna", o piuttosto che le attribuisce e che proietta su di lei, ma anche di sentimenti e di qualità: sensualità, emotività, debolezza intellettuale e di carattere, ecc. Il soggetto maschile illuminato [*8] che, in quanto soggetto socialmente determinante, rappresenta la volontà di imporsi (nella competizione), l'intelletto (relativamente alle forme di riflessione capitalistiche), la forza di carattere (nell'adattarsi alle esigenze capitalistiche), ecc., e che costituiscono ancora (inconsciamente) il meccanismo di precisione disciplinato della fabbrica fordista, quindi quel soggetto esso stesso fondamentalmente strutturato attraverso questa "dissociazione". In questo senso, la dissociazione-valore comporta anche un aspetto culturale-simbolico ed una dimensione socio-psicologica di cui si può venire a capo solo grazie agli strumenti psicoanalitici.
Secondo la tesi della dissociazione-valore, le sfere private e pubbliche, dialetticamente mediatizzate alla stessa maniera, sono connotate rispettivamente come femminile e maschile. Ma, contrariamente a quanto suggeriscono alcune ipotesi stereotipate, il rapporto fra i sessi non ha un suo "luogo" oggettivato nella sfera pubblica e in quella privata. Da sempre, le donne sono state presenti nelle sfere pubbliche, soprattutto nel mondo del lavoro; ma la dissociazione continua anche all'interno di queste sfere pubbliche.
Anche nell'epoca postmoderna - in cui c'è un crescente numero di donne che esercitano un'attività salariale, con una qualifica uguale a quella degli uomini, e in cui i media amano trattare la "confusione dei sessi" - salta agli occhi che la gerarchia dei sessi e la discriminazione delle donne fondamentalmente non sono scomparse. Nella sfera privata, le donne continuano ad occuparsi di bambini e di lavoro domestico più degli uomini, mentre che, nella sfera del lavoro, i loro salari restano inferiori a quelli degli uomini, allo stesso tempo in cui è raro vedere delle donne che si occupano di funzioni importanti nella vita pubblica, ecc., cosa che è indubbiamente dovuta a delle connotazioni e a delle attribuzioni sesso-specifiche "classiche" del mondo moderno, e quindi si riferisce alle responsabilità reali delle donne per tutto quello che attiene alla riproduzione privata e che arriva fino all'epoca post-fordista.
Questa critica del concetto del valore pensato in maniera androcentrica, così come viene proposta sotto la denominazione generale di "teoria della forma dissociazione-valore", ha delle conseguenze non solo per la "critica fondamentale del valore", ma anche per altri approcci che, in passato, hanno trattato in maniera critica l'astrazione valore ed il feticcio merce (anche se assai spesso in maniera inconseguente). Particolarmente indicativo, a tal riguardo, una concezione del "valore d'uso" che viene pensata in maniera enfatica e sempre positiva, come quella che troviamo in alcune teorie di sinistra, e perfino femministe. Il valore d'uso viene presentato come "femminile" e, in quanto tale, si suppone che contenga un potenziale di resistenza. Ma l'equazione "valore d'uso = femminile, valore di scambio = maschile", mantenendo la subordinazione gerarchica del valore d'uso al valore di scambio, continua a far derivare la disparità di genere dalla mera forma merce, che si pretende come neutra per quel che attiene al genere. In maniera androcentrica, l'analisi rimane confinata nello spazio interno alla merce. Invece, secondo Kornelia Hafner, è fondamentale già per Karl Marx che «il valore d'uso appare come appaiono le altre creature del capitale stesso» e che l'ipotesi di una «utilità pura» (essa stessa astratta) del valore d'uso appare solo nel momento in cui, attraverso la relazione di capitale, la forma merce si è diffusa in maniera più o meno dominante [*9]. Per la "critica fondamentale del valore", che qui ci interessa, ne consegue che la merce è "valore d'uso" solo nel processo di circolazione, in quanto oggetto di mercato e, a questo riguardo, il valore d'uso resta, anche così, una semplice categoria feticcio astratta ed economica. Il valore d'uso non designa l'utilità concreta dell'utilizzo sensibile e materiale, ma designa unicamente l'astratta "utilità per eccellenza" in quanto valore d'uso di un valore di scambio. Per la dissociazione-valore, il concetto di valore d'uso appartiene esso stesso in qualche modo all'universo androcentrico astratto della merce.
Allo stesso tempo, la sfera che è effettivamente incompatibile con questo contesto-forma economica [*10] è quella del consumo e delle attività che al consumo sono correlate, a monte e a valle. È perciò soprattutto qui che bisogna cercare di cogliere quel che viene "dissociato" dalla forma valore. È solo nel consumo che avviene veramente l'utilizzo ed il godimento sensibile e materiale. Quindi il prodotto commerciabile [*11] che è stato "inghiottito" nel consumo si sottrae alla forma merce. Ciò di cui qui non si tiene conto, è che questa incompatibilità delle merci con il contesto-forma economica non riguarda semplicemente il consumo "puro" e immediato, ma viene mediato attraverso una sfera di attività, di istanti e di relazioni che non vengono mediate dalla forma merce.
Così definito, il "dissociato" che - visto dal punto di vista del contesto-forma androcentrica del valore - porta ai limiti del consumo, ed in qualche modo al niente, appare perciò, nella teoria sociale maschile unidimensionalmente basata sul valore, come se fosse qualcosa di a-storico, come se fosse una massa molle ed informe alla stregua di quello che era il femminile nella società cristiana occidentale in generale; qualcosa che un'analisi svolta nei termini della forma valore non riuscirebbe a comprendere. Quel che invece rimane fuori dal dissociato, è il consumo dei mezzi di produzione, consumati nel quadro dell'economia d'impresa, quali macchinari, beni strumentali, ecc.; quelli che rimangono immediatamente all'interno dello "universo maschile" del valore. Ma dal punto di vista concettuale, il "dissociato" non si lascia meramente ridurre al consumo o alla preparazione delle merci acquistate per essere consumate, ma vanno aggiunti - in maniera centrale - l'affetto, l'aiuto alle persone deboli, le cure, "l'amore", ecc., fino alla sessualità e all'erotismo. Qui è difficile distinguere tra quello che è obbligatorio e quello che fa parte degli aspetti esistenziali della vita. Ma è esattamente questo ciò che, contrariamente a quello che avviene per il "lavoro astratto", rende insopportabili le attività di riproduzione femminili.
Da un punto di vista storico-logico, il lavoro astratto e la dissociazione sono quindi fondamentalmente co-originarie; non possiamo dire che uno abbia generato l'altro. Ciascuno è la precondizione per la costituzione dell'altro. In tal senso, il rapporto dissociativo rappresenta in una certa qual maniera una meta-struttura, contrariamente a quel che afferma l'ipotesi riduzionista, secondo la quale il valore è il solo principio costitutivo, la natura stessa delle società fondate sulla produzione di merci.
Il femminile dissociato viene così ad essere l'Altro della forma merce, come se fosse un essere a sé stante; ma, d'altra parte, rimane asservito e sottovalutato precisamente perché si tratta del momento che è dissociato in seno alla produzione sociale generale. Si potrebbe quindi dire che, se la forma astratta corrisponde alla merce, la difformità astratta corrisponde al dissociato; e a proposito del dissociato, si potrebbe arrivare a parlare paradossalmente di una forma dell'informe, una forma di quello che - sottolineiamolo ancora una volta - non può logicamente essere catturato per mezzo delle categorie intrinseche alla forma merce [*12]. La scienza e la teoria androcentrica della forma merce non possono più tener conto di questo rapporto, in quanto le loro teorie ed i loro dispositivi concettuali devono "espellere" come "illogico" e "a-concettuale" tutto ciò che non è compatibile con la forma merce.
Ma la "sensibilità" che si trova al centro del contesto della "dissociazione" si è evidentemente costituita storicamente. Essa attiene alle attività femminili svolte per la riproduzione (preparazione dei beni di consumo, amore, cure alle persone malate e deboli, affetto, ecc.), che sono apparse, sotto questa forma, solo nel XVIII secolo, con la differenziazione fra il settore del lavoro salariato capitalista ed un settore privato domestico di riproduzione [*13], e quel che concerne inoltre la costituzione dei bisogni in generale [*14].
Che - nel contesto della forma dissociativa - il "femminile" dissociato non costituisca affatto un qualsivoglia "meglio" rispetto al "maschile" modellato dalla forma merce, risulta già dal fatto che si tratta di un'unità negativa fra la forma merce e quello che è "dissociato". Un'altra conseguenza è quella per cui anche le donne che sono (solo) attive nel settore riproduttivo (una determinazione che, empiricamente, non si applica a tutte le donne) vivono un'esistenza limitata e alienata, che il riflesso rovesciato del lavoro astratto all'interno dello spazio di funzionamento economico [*15] del capitale. L'utilizzo ed il godimento sensibile, ma anche le attività che a questo sono collegate e le qualità che vengono attribuite alle donne, sono quindi capitalisticamente immanenti alla società, anche se non sono immanenti alla forma valore.
Secondo la teoria della dissociazione-valore, bisogna quindi partire dal fatto che il rapporto moderno tra i sessi dev'essere analizzato nel contesto del patriarcato produttore di merci (così come del valore stesso) e, di conseguenza, non come un dato trans-storico, "parallelamente" alle differenti formazioni sociali. Ciò non significa che non ci sia una preistoria. Rimane nondimeno il fatto che il rapporto fra i sessi raggiunge nella modernità delle merci, una qualità del tutto nuova, di cui bisogna tener conto sia a livello analitico che teorico. Nell'era postmoderna, si constata una nuova trasformazione nei rapporti fra i sessi. Tuttavia, come abbiamo già notato, si ritrova la codifica fondamentale, nel senso della dissociazione-valore e della gerarchizzazione dei sessi che gli corrisponde in tutte le sue rifrazioni postmoderne, le sue diversificazioni, le sue inversioni, i suoi cambiamenti e sviluppi, le sue retroazioni e differenziazioni, che siano quelle della vita della donna in carriera o dell'uomo a casa, quelle del calcio femminile o dello spogliarello maschile, quelle dei matrimoni gay e lesbici, o quello degli spettacoli dei travestiti, per limitarci a qualche esempio importante.
Sono passati alcuni anni dalla pubblicazione delle tesi sulla meta-struttura globalizzante della dissociazione-valore che abbiamo brevemente riassunto, e ci sarebbero alcune cose da modificare o da precisare, come mostrerò in seguito. Così, ora possiamo vedere ancora più chiaramente dove ci porterà lo sviluppo postmoderno del patriarcato mercantile: quello cui assistiamo non sono solo trasformazioni e sviluppi, retroazioni ed inversioni di cui abbiamo parlato prima. Inoltre, man mano che si aggrava la crisi del sistema capitalista, la quale ormai si è estesa a tutta la superficie del pianeta, si assiste ad un imbarbarimento globale del patriarcato produttore di merci. Se, nel corso dei drammatici sconvolgimenti sociali provocati dalla crisi mondiale, le donne non sono più responsabili solamente della sfera di riproduzione - cosa che una volta, fino all'epoca fordista, è stata la loro immagine ideale - al giorno d'oggi sono, contrariamente agli uomini, responsabili sia del lavoro domestico che di quello salariato, mentre la loro sotto-valorizzazione rimane inalterata, malgrado o, piuttosto, a causa di tutto questo. Così vengono ridicolizzate tutte le valutazioni ottimistiche le quali, a partire dalla metà degli anni '80, credevano che l'emancipazione della donna fosse stata praticamente realizzata, o che, ancora oggi, continuano a pretendere che sia così.
A questo imbarbarimento, la critica della dissociazione-valore oppone l'obiettivo di un'abolizione del valore, della forma merce, dell'economia di mercato, del lavoro astratto e della dissociazione - una prospettiva che mira dunque all'abolizione del rapporto generale che regge la società delle merci e che deve operare sia a livello materiale che ideale e socio-psicologico.
E' in questo senso radicale che vengono messi in discussione, in maniera generale, tutti i livelli e tutte le sfere, e in questo è inclusa anche la critica alla "famiglia nucleare" , oggi in piena decomposizione. Di conseguenza, si tratta di superare la "mascolinità" e la "femminilità", così come li conosciamo, ed insieme ad esse le sessualità preformate corrispondenti.
Nelle pagine che seguono [*16], partiremo da questa critica radicale per confrontarci con le più importanti teorie femministe. Perciò, vorrei, in riferimento critico ad un articolo di Regina Becker-Schmidt, subito sottolineare che le strutture, i meccanismi, le fenomenologie, ecc., della dissociazione-valore possono pretendere di essere valide solamente per il patriarcato produttore di merci, e che sarebbe sbagliato vederle all'opera nelle società non moderne, o di presentarle come "proprie della specie umana". Dopo questa delineazione fondamentale, passerò ora ad affrontare alcuni approcci che tentano di analizzare il rapporto fra i sessi all'interno del patriarcato produttore di merci.
- Roswitha Scholz - * Questo testo è la traduzione di un estratto del libro di Roswitha Scholz, "Das Geschlecht des Kapitalismus. Feministische Theorien und die postmoderne Metamorphose des Patriarchats" ["Il sesso del capitalismo. Teoria femminista e metamorfosi postmoderna del patriarcato"]. Bad Honnef, Horlemann, 2000.
Note:
[*1] - Robert Kurz, Der Kollaps der Modernisierung. Vom Zusammenbruch des Kasernensozialismus zur Krise der Weltökonomie, Frankfurt/Main, 1991. p.16
[*2] - Ivi. P.18
[*3] - Ivi. P. 18 e seguenti
[*4] - nel testo: "Systemzusammenhang"
[*5] - nel testo: "kategoriale Systemzusammenhang"
[*6] - Robert Kurz, Der Kollaps der Modernisierung. Vom Zusammenbruch des Kasernensozialismus zur Krise der Weltökonomie, op. cit.
[*7] - Per quel che segue, si veda Robert Kurz, «Geschlechtsfetischismus. Anmerkungen zur Logik von Männlichkeit und Weiblichkeit» e Roswitha Scholz, «C’est la valeur qui fait l’homme» in Krisis. Contributions à la critique de la société marchande, n° 12, 1992, pp. 135, 155 et suivantes.
[*8] - Nel testo: "aufgeklärt". Allusione alla critica dell'Illuminismo (Aufklärung) e della "ragione" così come viene formulata in: Max Horkheimer e Theodor W. Adorno ne "La Dialectique de la raison. Fragments philosophiques", Paris, Gallimard, 1974.
[*9] - Kornelia Hafner, citata da Robert Kurz, «Geschlechtsfetischismus. Anmerkungen zur Logik von Männlichkeit und Weiblichkeit», in Krisis. Contributions à la critique de la société marchande, n° 12, op. cit., p. 137.
[*10] - nel testo: "ökonomischer Formzusammenhang"
[*11] - nel testo: "warenförmig hergestellte Produkt"
[*12] - nel testo: "warenförmigen Binnenzusammenhangs"
[*13] - su questo soggetto, ad esempio, si veda Karin Hausen, «Die Polarisierung der Geschlechtscharaktere. Eine Spiegelung der Dissoziation von Erwerbs- und Familienleben», in Werner Conze (editato da), Sozialgeschichte der Familie in der Neuzeit Europas, Stuttgart, 1976.
[*14] - Senza voler qui adottare un'impostazione costruzionista volgare che intenda ignorare ogni relazione naturale, anche se dinamica e mediata dalla socialità, si deve tuttavia affermare che ogni pulsione è strutturata in maniera socio-culturale e non esiste mai semplicemente un modo naturale ed immediato.
[*15] - nel testo: "betriebswirtschaftlich"
[*16] - Il libro di cui questo costituisce il primo capitolo.
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
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