Capitalismo ed Autofagia: Davanti all'abisso
- di Renaud Garcia -
Erisittone, dopo aver sfidato una proibizione della dea Demetra, ed aver distrutto un albero sacro popolato di ninfe, per costruirsi un fastoso palazzo, viene posseduto dalla fame, una fame impossibile da placare, puramente quantitativa ed incurante del contenuto delle cose. Agli occhi di Anselm Jappe, questo mito ci parla della folle traiettoria che viene oggi percorsa dal treno dell'umanità, ed anticipa la dinamica di autodistruzione che è contenuta nella logica stessa del valore, della merce e del denaro. A partire da questa risonanza mitica, veniamo portati a tornare alla radice dei nostri mali, a quasi cinquecento anni fa. È a partire da quel momento, da quella matrice, che il capitalismo emergente secerne (e allo stesso tempo si basa su) una forma umana della quale noi scopriamo veramente solo oggi, alla fine della corsa, il nucleo irrazionale: il soggetto narcisistico, per cui il reale e gli altri sono unicamente il prolungamento delle fantasie di onnipotenza, oppure il luogo di una resistenza intollerabile che genera paura, rabbia e odio sordo.
Ma questo libro, La Società autofaga, non è forse esso stesso un progetto teorico caratterizzato da eccessi? Non è forse un tentativo vertiginoso ed altamente astratto, in fin dei conti destinato ad una piccola consorteria di "happy few" sublimi e disperati?
Anselm Jappe, formatosi alla scuola del Marx del Capitale e dei Grundrisse, di Theodor Adorno e di Guy Debord, non fa le cose a metà. Una critica parziale del sistema capitalista non lo interessa affatto. Ai suoi occhi, prima di situarsi in quella che è un'opposizione di classe rispetto agli interessi antagonisti, il capitalismo è un "rapporto sociale" che coinvolge, assai spesso ad insaputa dei protagonisti, un insieme di categorie strutturanti. In questo senso, La Società autofaga è da cima a fondo animata dalla preoccupazione di spiegare il nostro presente alla luce di tali categorie (valore, denaro, lavoro astratto, merce), che presiedono alle successive trasformazioni di un sistema al cui cuore c'è sempre stata l'accumulazione, il profitto per il profitto.
Totem del nostro auto-divorarci
Per questo motivo, Jappe non è il ventriloquo di astrazioni che sono improvvisamente discese nella Storia. Al contrario, egli mostra come l'astrazione stessa sia divenuta reale, come essa si sia impadronita du quello che un tempo chiamavano mondo e umanità, per trasformarli in semplice materiale della crescita del capitale. Se l'autore non ha alcuna simpatia per gli innovativi incravattati e per gli "startupper" alla moda, egli non cerca di discutere animatamente con i capitalisti nella speranza di "moralizzarli", di ripristanare per loro le condizioni di una sana concorrenza (come ai fortunati tempi del "compromesso fordista") o di denunciare la loro smodata inclinazione alla concussione. Infatti, anche se guidate da manager illuminati, le imprese continueranno a ricercare un ritorno sugli investimenti. E quest'ossessione di redditività ha come effetto quello di dissolvere inevitabilmente molti dei valori morali e sociali che il capitalismo non ha creato, ma senza i quali non avrebbe finora potuto evitare di cadere nell'abisso. E così, anziché cercare costantemente di migliorare la struttura, a colpi di lotta per il posto di lavoro, a colpi di reindustrializzazione o a colpi di presenza "cittadina" in assemblea, Jappe esce dagli schemi e rivela la nostra fascinazione feticistica per delle creazioni che sono diventate idoli: il valore di mercato ed il suo materializzarsi nel denaro, il lavoro astratto (senza qualità) e la crescita, la cui salute ci preoccupa così regolarmente. Ecco quelli che sono i totem del nostro auto-divorarci.
Questa faccia oggettiva del dominio capitalistico si accompagna ad una faccia soggettiva, che si annida nel cuore stesso della psiche umana. L'inconscio storico si riflette nell'inconscio soggettivo. Da Cartesio a Sade e a Max Stirner - due vacche sacre dell'estrema sinistra trasgressiva - e passando per Kant, l'autore traccia l'archeologia di un soggetto che oscilla fra le "fantasie di fusione" ed i "desideri regressivi" di un ritorno all'unità originaria. Da buon lettore di Hegel, Jappe ci mostra come l'attuale egemonia del soggetto narcisista segnali questo momento vertiginoso nel quale il capitalismo, sbarazzatosi della maggior parte dei suoi ostacoli pre-capitalisti, arriva ad incontrare il suo concetto. E, ce lo ripete, questo suo arrivare a sé stesso ora non è supportata ormai da nient'altro che dall'immaginario tecno-furioso di tutti coloro che vorrebbero superare l'umano in direzione della fabbricazione concertata di una specie aumentata, privata di ogni difetto e di ogni mancanza. Ancora una volta, qui l'analisi si situa agli antipodi della febbre transumanista che sembra toccare perfino gli "Insoumis" per i quali - lo si legge perfino sui loro manifesti - si tratterebbe di "superare le frontiere dell'umano".
Revoca delle tutele
Come fare a crescere mentre si è davanti all'abisso? Come fare a sostenersi nell'esistenza, sia che uno non abbia un lavoro, sia che uno è convinto da tempo che quel lavoro è vuoto, senza nessuna finalità e che può essere sostituito da un algoritmo qualsiasi? Alla fine della giornata e del tutto inutile, il soggetto narcisista risucchiato dalla sua vita ripone la sua causa nel nulla, e torna al suo odio contro tutti i volti dell'alterità che gli capitano sotto le mani - donne, omosessuali, seguaci dell'altra religione o dell'altra cultura - in una furia vendicativa che assume la forma di un suicidio allargato (nuova versione di quello che la società malese tradizionale chiamava la corsa dell'amok). Conclusione: «Le ideologie mortifere - razzismo, etnocentrismo, antisemitismo, fondamentalismo religioso - non sono affatto incompatibili con la razionalità del mercato. Ne costituiscono il rovescio.»
Quel che è davvero cambiato, non è il serbatoio fantasmatico di violenza e di onnipotenza al centro del soggetto, ma è la revoca delle diverse salvaguardie che frenano il passaggio all'azione, ereditate da epoche precedenti e progressivamente eliminate a partire da una vita del tutto sottomessa agli imperativi della concorrenza, del rendimento e della crescita senza limiti. «Più trionfala società basata sul valore e sulla merce, sul lavoro e sul denaro, più essa distrugge queste reliquie, ed insieme ad esse distrugge ciò che le impedisce di precipitarsi essa stessa nella follia che nel corso dei secoli si è inscritta nel suo cuore.» I massacri di massa contemporanei vengono qui assoggettati ad una interpretazione sistemica particolarmente illuminante, rispetto alla quale le morbose traiettorie di uno Stephen Paddock (il killer di Las Vegas) o di un Devin Kelley (il killer del Texas) ci hanno recentemente offerto una triste conferma.
Gettare lo sguardo nell'abisso
Dal momento che le analisi de La Società autofaga dipendono da una chiave di lettura assunta come tale, esse verranno sicuramente discusse legittimamente da dei filosofi di professione: non si dovrebbe più fare attenzione all'esperienza personale dello sfruttamento, anziché recepirla nel quadro del dominio feticista impersonale? Possiamo far davvero finta che certe forme di uccisioni di massa non hanno niente a che vedere con la religione? Indubbiamente, altre questioni alimenteranno intensi dibattiti accademici, senza che tuttavia vengano escluse dalla pratica. Su un tale piano, coerente con i suoi principi, Jappe si rifiuta di far bollire le pentole dell'avvenire. Davanti alla rituale domanda del "che fare?" a fronte di una simile situazione, ci invita a coltivare un modesto realismo che ci permetta di «accettare i limiti e mettersi comodi per arrivare a delle soddisfazioni realistiche».
Questo programma è allo stesso tempo minimale e radicalmente anticapitalista, senza che per intraprenderlo ci sia bisogno di essere laureato in critica sociale. Chiunque potrà rispondere a questa chiamata, a condizione che accetti di impegnarsi in uno sforzo intellettuale radicale: gettare lo sguardo nell'abisso, anche a rischio di estrarne quello che ci salva. Per riprendere la citazione di Walter Benjamin: «Marx ha detto che le rivoluzioni sono la locomotiva della storia mondiale. Ma può avvenire che le cose si presentino in maniera diversa. Può succedere che le rivoluzioni siano l'atto, compiuto dall'umanità che viaggia su quel treno, di tirare il freno di emergenza.» Probabilmente, il gioco vale la candela.
- Renaud Garcia - Pubblicato sul n°160 del mensile di critica e di sperimentazione sociale "CQFD" del dicembre 2017 -
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