Quaderno SISM 2017: Una brillante raccolta di saggi sugli aspetti moderni delle problematiche nei rapporti fra gli Stati, analizzate dal punto di vista dello scontro in campo economico.
(Virgilio Ilari e Giuseppe Della Torre: Economic warfare. Storia dell'Arma economica, ACIES)
Il Quaderno può essere letto e/o scaricato liberamente qui.
Quando il potere usa l’artiglieria pesante
- La storia dell’arma economica, un’articolata raccolta di contributi tesi a chiarirne le fasi e i nodi. Ambiguità pacifiche, sanzioni ed embarghi. Una fitta cronologia ragionata che arriva fino ai giorni nostri -
-di Massimiliano Guareschi -
Che cosa è la guerra economica? La si potrebbe considerare come una semplice metafora, volta a enfatizzare l’inasprirsi di dinamiche immanenti alla sfera economica o la loro alterazione ad opera della ragion di stato o della politica di potenza. Oppure vederla come una componente ovvia della guerra, in cui l’obiettivo si sposta dalle forze armate del nemico alla sua struttura produttiva e alla sua capacità di approvvigionamento, procedendo con mezzi militari o diplomatico-giuridici. Ma anche in tempo di «pace», quando i cannoni tacciono, quegli stessi strumenti possono essere operativi, come sostituto della guerra, o sua continuazione con altri mezzi. Del resto, lo stesso Clausewitz, a più riprese, non aveva mancato di evidenziare la prossimità formale fra commercio e guerra, entrambi «conflitti di interesse fra due volontà», con «la decisione delle armi che è ciò che nel commercio è il pagamento in contanti», mentre «la minaccia del ricorso alle armi equivale invece al pagamento con cambiali». In una fase come quella attuale, in cui confini fra guerra e pace si fanno sempre più evanescenti e le forme della conflittualità assumono modalità ibride ed eterogenee, la guerra economica appare un tema fondamentale, sul quale però, specie nel nostro paese, la riflessione risulta decisamente scarsa. Per questo non si può non apprezzare che la Società italiana si storia militare abbia dedicato all’argomento la più recente uscita dei quaderni che pubblica annualmente.
Sotto il titolo di Economic warfare. Storia dell’arma economica (pp. 763, euro 25) sono stati così raccolti, a cura di Virgilio Ilari e Giuseppe Della Torre, decine di contributi su temi che si estendono su un arco temporale che dal mercantilismo e dalla guerra di corsa giunge fino ai tempi nostri, ordinati in tre parti, la prima riguardante l’arma economica in tempo di guerra, la seconda la guerra economica in tempo di pace e la terza i poteri e le armi dell’economic warfare. Chiude il volume un’articolatissima cronologia ragionata (di oltre duecento pagine).
Le questioni trattate in Economic warfare travalicano ampiamente l’ambito della storia militare per toccare questioni di stringente attualità. Nello specifico, si può segnalare il contributo posto in apertura del libro nel quale Giuseppe della Torre, dopo avere affrontato i nodi complessi connessi alla definizione della guerra economica e dei suoi strumenti, focalizza l’attenzione sulle «forme non militari», cioè giuridiche, di guerra economica, soggette, nel «dopo guerra fredda», a un notevole incremento-intensificazione. Il riferimento, in particolare, è alle sanzioni, non tanto quelle imposte dall’Onu, di fatto assai poco frequenti, quanto dagli Stati Uniti. Ciò condurrebbe alla stabilizzazione di un diritto internazionale dell’economic warfare fortemente asimmetrico, in base al quale l’embargo, monopolizzato dalla potenza egemone risulta legale mentre non lo è il boicottaggio se promosso da altri attori.
Come conseguenza, si ha anche «l’obsolescenza del principio di neutralità, possibile nei conflitti armati ma non in quelli economici (come dimostra la forzata recezione delle sanzioni unilaterali americane da parte dell’Unione europea e degli altri alleati, sui quali grava immancabilmente il costo maggiore senza la minima previsione di burden sharing)».
La sempre maggiore dipendenza dai mercati finanziari di strutture pubbliche e private, poi, unitamente all’obiettivo di rendere maggiormente mirate ed efficaci le pratiche sanzionatorie orienta la declinazione dell’economico in termini di financial warfare.
Un ruolo decisivo di accelerazione, viene rilevato, è stato svolto in tal senso dalla campagna volta a colpire i canali di finanziamento del terrorismo, che se da una parte non ha conseguito particolari risultati rispetto all’obiettivo dichiarato dall’altra ha contribuito notevolmente a incrementare la possibilità di monitoraggio e controllo delle agenzie statunitensi sulle transazioni finanziarie. Il tema della guerra finanziaria, poi, si intreccia inscindibilmente con quello dell’economic intelligence, che vede coinvolte agenzie di spionaggio e attori privati, in un gioco a geometria variabile in cui entrano obiettivi di politica interna o estera quanto di competitività sui mercati internazionali di aziende o settori industriali. Il quadro si completa con il lawfare, su cui si sofferma in particolare il contributo di Virgilio Ilari dal titolo L’extraterritorialità del diritto americano come lawfare economico-finanziario. In effetti, parlando di guerra economica e finanziaria nei termini descritti, se «il dipartimento del Tesoro fornisce l’ordinance, a premere il grilletto è il dipartimento di Giustizia». Di conseguenza, risulterebbe più corretto parlare di financial lawfare. Ma la questione non è solo questa. Fondamentale, in proposito, appare la progressiva tendenza all’extraterritorialità del diritto americano, in materia non solo di antiterrorismo e sanzioni, ma anche di antitrust, tutela dell’export, fisco, merger and acquisition, proprietà intellettuale. Alla diplomazia delle cannoniere si sostituisce così quella dei tribunali.
I temi su cui ci siamo soffermati, pur partendo dalla guerra, riguardano essenzialmente il «tempo di pace», a riprova del carattere intrinsecamente anfibio dell’economic warfare. In tal senso, la guerra economica può essere vista come una interessante prospettiva da cui guardare ai processi di strutturazione politica e istituzionalizzazione giuridica di un ordine economico globale troppo spesso descritto in modo fuorviante e semplicistico in termini di neoliberismo, ossia di liberazione da ogni vincolo esterno di un’autonoma logica dei mercati. Ciò non significa necessariamente aderire a una prospettiva «sovranista», in base alla quale i parametri organizzativi della modernità nazionale-internazionale, e le correlative grammatiche della politica di potenza basate sull’interesse nazionale, continuerebbero ad operare immutati. Si tratta della prospettiva assunta implicitamente ed esplicitamente dagli autori che hanno promosso il volume della Società italiana di storia militare, che coerentemente finiscono per assegnare alla panoplia dell’economic warfare una funzione di consolidamento dell’egemonia americana.
In sede critica, però, vale forse la pena evidenziare alcune considerazioni che depongono in favore di un diverso quadro teorico. Per esempio, ci si potrebbe chiedere fino a che punto le preposte agenzie statunitensi siano in grado di gestire in termini strategici, in una prospettiva di financial warfare, la complessità algoritmica e la temporalità iperaccelerata degli attuali mercati e prodotti finanziari. Oppure si potrebbe osservare come il lawfare di cui opportunamente si sottolineano gli effetti costituenti a livello globale abbia per protagonisti non solo i tribunali americani e il loro attivismo extraterritoriale ma anche ordinamenti giuridici globali (e istanze giurisdizionali arbitrali) a base settoriale e non statale. E, per concludere, ci si potrebbe anche chiedere se nelle dinamiche di economic intelligence, a fronte dello strapotere tecnologico, informazionale ed economico delle grandi corporations, a svolgere un ruolo direttivo e strategico siano sempre e comunque, in ultima istanza, le agenzie statali di intelligence.
- Massimiliano Guareschi - Pubblicato sul Manifesto del 27/9/2017 -
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