Salgari indigeribile per le camicie nere
Aveva ragione Margherita Sarfatti. Nel 1928, quando la rivista «Il Raduno» presentò Emilio Salgari come un precursore del fascismo, la biografa e amante del Duce obiettò indignata che i romanzi dell’autore veronese non solo «esaltano la rivolta, l’indisciplina e la disobbedienza alle autorità» ma, peggio ancora, «sono libri anticoloniali, dei quali il protagonista è sempre un indigeno, oppure (ed è ancora più grave) un bianco capo di indigeni, pirati o banditi in rivolta contro i colonizzatori». In effetti il papà di Sandokan aveva poco a che fare con le camicie nere, come sottolinea la studiosa inglese Ann Lawson Lucas nel secondo volume, dedicato al fascismo, della sua vasta opera Emilio Salgari, edita da Olschki (pagine 533, € 35) sulla fortuna dello scrittore veronese.
Addirittura, ricorda Rodolfo Sideri nel libro Fascisti prima di Mussolini (Settimo Sigillo, pp. 271, € 22), nello stesso 1928 l’editrice Augustea preferì «ritirare e mandare al macero» un libro di Umberto Bertuccioli che inseriva Salgari tra i «prefascisti». Eppure negli anni successivi i tentativi di arruolare lo scrittore sotto l’insegna del littorio proseguirono, persino inventando di sana pianta una sua sensibilità inconscia per «la questione razziale». Evidentemente restava troppo popolare fra i lettori giovani e meno giovani perché il regime potesse rinunciare ad appropriarsene. Ma se si esamina davvero il contenuto delle opere di Salgari, piene di eroi esotici e amori meticci, c’è da stupirsi, nota Ann Lawson Lucas, che le autorità fasciste, dopo aver avviato le persecuzioni antisemite, «non abbiano proibito la lettura dei romanzi di questo scrittore pericoloso».
- Antonio Carioto - Pubblicato sul Corriere del 19 agosto 2018 -
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