Un attacco frontale: Moishe Postone scuote la critica sociale tradizionale
- di Norbert Trenkle -
Ci sono libri che si vantano di aver reinventato il mondo, anche se non fanno altro che rappresentare quelle che sono solo versioni rinnovate di qualche banalità già nota. Con il libro di Moishe Postone, "Tempo, lavoro e dominio sociale" [Il libro, in lingua inglese, può essere liberamente scaricato e/o letto cliccando qui], avviene l'esatto contrario. Calmo e attento, sia nel tono che nello stile - a volte perfino anche troppo - presenta, nel suo contenuto, un vero e proprio attacco frontale alle false certezze basilari del pensiero sociale critico esistito fino ad allora. Con gran meticolosità, Postone mina le basi teoriche di questa critica, mettendole radicalmente in discussione.
Perciò non sorprende che questa reinterpretazione della teoria di Marx, seppure fosse disponibile già dieci anni fa nell'originale in lingua inglese, abbia avuto finora solo uno scarso riscontro nel dibattito critico sociale. Il vecchio modo di pensare è ostinato, ed ha un'enorme capacità di resistere e di reprimere. Ed è oggi proprio una minoranza accademica, quella che invoca ancora Marx e che non ha mai superato il marxismo tradizionale, a dimostrarlo sempre di più. Chissà se ora, con una sua traduzione in tedesco, possa essere quanto meno costretta a rinunciare alla sua sdegnosa ignoranza.
L'attacco di Postone è diretto in primo luogo contro il maggior santuario della società borghese, contro la categoria che viene venerata sia dalla destra che dalla sinistra: il lavoro nel capitalismo. Per il pensiero borghese, non c'è niente che riesce a sembrare più naturale dell'idea secondo la quale ogni società si baserebbe sul lavoro. Vede il lavoro come se fosse un principio trans-storico, come ciò che rende umano l'uomo. Ed è esattamente questo principio auto-evidente che, nei suoi fondamenti, viene messo in discussione da Postone.
Sebbene il lavoro - nel senso di un processo metabolico con la natura - giochi evidentemente un ruolo in ogni società, il capitalismo è l'unica fra tutte le formazioni sociali ad essere costituita dal lavoro fino a tal punto, ovvero, in altre parole, è l'unica in cui il contesto sociale viene mediato dal lavoro. Questa è una caratteristica assai specifica storicamente, che distingue il capitalismo da tutte le altre società precedenti.
Una simile conclusione ha conseguenze di vasta portata. La mediazione del lavoro è essenzialmente una mediazione con sé stessa, quasi automatica. Per esempio, sfida e si oppone al controllo cosciente ed alla pianificazione, attraverso lo Stato, elevandosi, al suo posto, a «soggetto automatico» della società, costituendo in questo modo una certa forma di dominio astratto. Nelle forme oggettivate della merce e del valore, si oppone all'uomo come una forza apparentemente esterna, assoggettandolo a quelle che sono le sue coercizioni oggettive, come la costrizione ad una crescita quantitativa permanente; coercizioni che appaiono come delle leggi naturali insormontabili, sebbene siano esse stesse prodotte, sotto forma alienata, dagli esseri umani.
Raramente, tutto questo è stato analizzato in maniera così tanto precisa e coerente come avviene in Postone, soprattutto nel quarto capitolo del suo libro. Sebbene il carattere di auto-mediazione del lavoro sia intrinsecamente legato alla produzione di merci, ossia, nonostante sia la caratteristica centrale di una società «nella quale la merce è la forma generale della ricchezza» (p.229), Postone non accetta di venire dirottato verso lo scambio di merci, come diceva Marx, ma persiste nella sua argomentazione, in maniera conseguente al livello del lavoro stesso.
Questa «via diretta» è assai più complicata e difficile da capire rispetto alla succitata «deviazione», e tuttavia è necessario seguirla. Poiché solamente in questo modo può essere dissipato quel fondamentale malinteso che è caratteristico di tutte le varianti del marxismo tradizionale. Dal momento che il lavoro è sempre stato considerato come una categoria centrale trans-storica di ogni società, la sua critica, in ultima analisi, rimane sempre in opposizione alla «trasformazione» di quella categoria in capitale. Lo sfruttamento del lavoro ed il presunto «occultamento» di questo sfruttamento attraverso lo scambio delle merci, sono stati criticati, ma non lo sono stati nella forma del lavoro astratto in sé, ed in quello che è il ruolo specifico del lavoro nel capitalismo.
In questo senso - come Postone non si stanca di sottolineare - il marxismo tradizionale, in contrasto con la sua stessa auto-comprensione, ha occupato in maniera positiva il punto di vista del lavoro, a partire dal quale ha svolto la sua critica della circolazione, della proprietà privata e del mercato; quindi, una critica dell'appropriazione del plusvalore, e non del valore in quanto categoria. La sua principale preoccupazione era quella di liberare il lavoro, e non liberarsi dal lavoro.
Questo legarsi in maniera irriflessa, da parte della critica, al livello della circolazione e della distribuzione, è anche la ragione per cui il marxismo tradizionale è arrivato a toccare il suo limite, ed è diventato incapace di analizzare e criticare in maniera adeguata gli attuali sviluppi del capitalismo. Il suo caso limite è contrassegnato dalla Teoria Critica, il cui pessimismo era per l'appunto il risultato del fatto che non riusciva a superare il punto di vista del lavoro, sebbene, alla luce degli sviluppi storici avvenuti, non potesse più relazionarsi positivamente con esso.
Tuttavia, Postone non scarta in maniera astratta questo limite della critica, come se si trattasse di un «errore», ma lo classifica storicamente in quanto espressione di un determinato periodo della storia della costituzione e dell'imposizione capitalista. In generale, la sua grande forza risiede nel comprendere in maniera conseguente il capitalismo come un processo storico che non solo soffre di una serie di mutazioni, ma che possiede anche una specifica dinamica direzionale. Tale direzionalità, che si stabilisce nell'auto-mediazione contraddittoria della società per mezzo del lavoro e del valore, consiste, innanzitutto, nel sussumere il mondo intero sotto la finalità astratta della valorizzazione del valore, vale a dire, consiste nel produrre una totalità sociale.
In secondo luogo, questa direzionalità si esprime nell'impulso permanente ad aumentare la produttività, e rendere quindi superfluo il lavoro nel processo di produzione immediato. Così facendo, secondo Postone, il capitalismo produce le condizioni ed il potenziale per il suo stesso superamento.
Per un osservatore superficiale, questo può sembrare qualcosa simile ad una costruzione della filosofia della storia. Ma si tratterebbe di un grande malinteso. Postone mostra chiaramente come questa direzionalità storica sia una peculiarità assai specifica del capitalismo che la distingue da ogni precedente formazione sociale. Il concetto secondo cui ci sarebbe una legge trans-storica della «storia», viene rifiutato in maniera esplicita da Postone; in maniera convincente, ci mostra come un'idea simile, in sé stessa, rifletta solo quella che è la coscienza tipica della società borghese, vale a dire che riflette proprio questa regolarità dinamica storicamente specifica che, come tutte le altre categorie del capitalismo, appare come se fosse trans-storica.
Questa visione rende possibile una critica di Hegel e di Lukács, che fa parte di quanto ci sia di meglio fra tutto ciò che è già stato fatto in tal senso. In contrasto con la moda che critica la filosofia della storia, e che oggi viene recitata da qualsiasi studente appena arrivato, il metodo di Postone consiste nello spiegare questa forma di pensiero a partire da alcune relazioni sociali, anziché rifiutarla come se si trattasse di una semplice costruzione idealistica. Visto in questo modo, anche il libro di Postone può essere letto come un commento al postmodernismo, perfino se questo viene menzionato solo occasionalmente nelle note a piè di pagina.
Il problema con la dimostrazione che Postone dà di quest'intrinseca dinamica direzionale, non è quello di una presunta direzione in termini di filosofia della storia, ma è quello legato ad una contraddizione immanente alla sua stessa argomentazione. Quando Postone mostra che il capitalismo, nella sua logica intrinseca, spinge in modo da rendere superfluo il lavoro immediato nel processo di produzione - e, pertanto, arriva a minare la sua stessa propria base, che è la valorizzazione del valore - ecco che tutto questo in realtà è la diagnosi di un processo di crisi fondamentale. Un processo di crisi che spinge il capitalismo fino a fargli raggiungere quelli che sono i limiti della sua capacità di funzionare, e che ha come risultato quello di escludere dalla ricchezza sociale una parte sempre più grande dell'umanità.
Nell'argomentazione di Postone, una tale conseguenza viene presentata in maniera logica, e tuttavia arretra spaventato. Sebbene si parli di una crescente tensione risultante dal fondamentale processo contraddittorio esistente fra le forze produttive e le relazioni di produzione, egli la descrive come se fosse solamente una fra le tante possibilità, e le molte potenzialità, che vengono prodotte dal capitalismo, e parla della sua realizzazione come se fosse qualcosa che a sua volta viene impedita. Il fatto che questa tensione si auto-alimenti, è qualcosa che non viene mai negato.
Al di là di questo, Postone ha ragione nel rifiutare e respingere l'idea di una qualche tipo di automatismo di liberazione. La dissoluzione emancipatrice di questa tensione, è solo una possibilità, la cui realizzazione presuppone il processo cosciente del superamento della forma del valore e della merce. Ma così come viene espressa l'intensificazione della contraddizione fra le forze produttive e le relazioni di produzione, non viene espresso quello che è il se e il quando in cui avviene questo superamento emancipatorio. Il capitalismo si svilupperà all'infinito su una base costantemente in diminuzione? Oppure sono le sue tendenze autodistruttive ad essere assai più vicine?
Soprattutto alla luce degli attuali sviluppi globali, questo problema è altamente esplosivo, dal momento che determina lo sfondo su cui si svolgerà l'azione dei movimenti di emancipazione. Postone lascia aperta tale questione. Ma, nel gettare via la critica sociale tradizionale, ci fornisce la base teorica sulla quale un simile problema dev'essere discusso.
- Norbert Trenkle - Pubblicato originalmente sul numero 24/2 di Jungle World, del giugno 2004
fonte: Blog da Boitempo
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