Le donne nelle rovine della crisi
- di Robert Kurz -
Il capitalismo è stato sempre anche un'economia delle relazioni di genere. La società ufficiale, ha reso le donne fondamentalmente responsabili di quelli che sono i «momenti dissociati della vita» (Roswitha Scholz). E questo è vero non solo sul piano socio-psicologico, in quello che è «il lavoro relazionale e amoroso» (la donna in quanto essere che ti accarezza), oppure sul piano simbolico-culturale, per quelle che sono alcune attribuzioni (la donna in quanto «natura»), ma anche nelle attività materiali, all'interno e all'esterno delle famiglie, le quali sono sì importanti ai fini della riproduzione, ma che però sfuggono alla logica della valorizzazione del capitale. Sia che si tratti di cambiare i pannolini dei neonati, di cucinare in casa, di preparare il caffè in ufficio o di mettere in ordine dopo una conferenza o dopo un seminario, sono sempre solo le donne ad assumersi questi ruoli, qualunque sia il gruppo in cui si trova. Più del 99% dell'educazione nelle famiglie monoparentali viene assicurata da delle donne.
Questa dissociazione sessuale può essere osservata in tutte le sfere della società, e non solo nella sfera privata. Nell'economia ufficiale, di regola le donne vengono pagate peggio degli uomini, e se vogliono fare carriera, bisogna che si diano da fare più degli uomini. Appare altrettanto chiaro che ad essere svalorizzati sono i settori in cui sono sovra-rappresentate. Laddove, nel corso dei decenni, le donne si sono integrate in massa, sia nel settore pubblico che in quello privato, esse sono state «doppiamente socializzate» (Regina Becker-Schmidt), vale a dire che la dissociazione dei momenti di vita femminile è stata comunque mantenuta nella forma di quello che è un doppio fardello (bambini e carriera, oggetto di piacere e donna di successo).
Le illusioni postmoderne includevano la speranza che, attraverso alcuni settori dello Stato sociale o dell'attività commerciale, sempre più aspetti della riproduzione quotidiana sarebbero stati socializzati , a favore di una liberazione delle possibilità femminili. Ma nell'economia di crisi, a partire dalla fine degli anni '90, lo Stato sociale si è ritirato dai settori della cura e dell'assistenza (asili nido, case di riposo per anziani, impianti per le persone che hanno disabilità, ecc.). Tutto ciò che lo Stato ed il Mercato non sono più in grado di mantenere, viene di nuovo delegato alla parte femminile della società. Sono le donne a dover garantire il funzionamento dell'economia sommersa non retribuita, nella famiglia, nel quartiere e negli altri settori, al fine di mantenere una facciata di normalità sociale borghese.
Questa situazione è particolarmente estrema nelle baraccopoli del terzo mondo. Ancora una volta, sono le donne che, nei progetti sociali autogestiti e nelle organizzazioni non governative (ONG), forniscono più del 90% di quelli che sono gli elementi fondamentali della riproduzione sociale, del consolidamento di base dell'organizzazione dell'educazione scolastica, grazie all'aiuto di organizzazioni straniere. Nelle favelas, si arriva a parlare perfino di una «nuova società matriarcale». Tuttavia, quello che è il potere reale rimane sempre pressoché tutto nelle mani di una vera e propria mafia maschile armata, la cui economia sotterranea è basata sulla droga, sulle armi e sulla prostituzione. Da parte sua, lo Stato alimenta le ONG femminili per mezzo della carità, rivalorizzandole moralmente in cambio. Sia la mafia che la gestione capitalistica della crisi usano le donne come se fossero dei cuscinetti per attutire la crisi, e fanno affidamento sulle loro attività sociali non remunerate o mal retribuite.
Più la crisi progredisce, meno la questione di genere viene presa in considerazione nei movimenti sociali, benché le donne siano nuovamente sempre più esposte alla violenza fisica di quella parte di uomini che si trovano in uno stato precario, mentre le amministrazioni comunali riducono le sovvenzioni per le istituzioni femminili. Più la situazione si fa difficile , più aumentano i casi di denunce di molestie nelle imprese e nelle istituzioni, dove le donne sono le vittime principali. Perfino nei gruppi teorici di sinistra, le donne ribelli che hanno delle competenze comprovate sono state «invitate gentilmente ad andarsene».
Non dovremmo sorprenderci se, in un futuro prossimo, anche nella sinistra, ci sarà una nuova rivolta da parte delle donne che non vorranno essere trasformate in signore delle macerie [*], a buon mercato e moralmente adulate, della crisi capitalista.
- Robert Kurz - Pubblicato su Neuen Deutschland del 21/1/2005 -
[*] - Donne delle rovine, o donne delle macerie (in tedesco: "die Trümmerfrauen", dove Trümmer significa « macerie » e Frauen « donne ») si riferisce alle donne tedesche e alle donne austriache - per la maggior parte vedove, o i cui mariti erano assenti (soldati prigionieri, dispersi o invalidi) - le quali, all'indomani della seconda guerra mondiale, riprendono in mano le città e danno inizio allo sgombero e alla ricostruzione del paese.
fonte: Critique de la valeur-dissociation. Repenser une théorie critique du capitalisme
Nessun commento:
Posta un commento