domenica 23 febbraio 2025

Una Strada nel Terremoto…

Perché cantare il mondo in rovina?
- Concepire scenari terrificanti ha una peculiare funzione immaginativa. Ci porta a riflettere: ci sono alternative alla logica del capitale, che trascina il mondo verso il disastro? E, quindi, ad affinare le soggettività per poter affrontare ciò che il sistema ritiene ineludibile  -
di Débora Tavares

L'idea che ci troviamo a vivere in un film, o in un libro distopico, trova costantemente un'eco in quella che è la nostra realtà contemporanea. E questo non è un caso, visto che le condizioni materiali in cui viviamo sembrano determinare le idee che abbiamo. Sulla base di una simile premessa, si può fare una buona riflessione facendo uso del concetto di "realismo capitalista", propostoci da Mark Fisher: in quanto esso ci invita a pensare a come, non solo stiamo vivendo in una distopia, ma come tutto questo sia qualcosa di più complesso e, soprattutto, di contraddittorio, dal momento che la realtà è, di fatto, ancora più degradante e limitante di quanto possono mai riuscire a esserlo molte distopie letterarie. A partire da questo, l'analisi secondo cui la realtà supera la finzione può essere meglio compresa partendo dalla prospettiva del materialismo storico dialettico, la quale ci permette di vedere questa "distopia capitalista" come il risultato di processi storici ed economici che sono in costante trasformazione. Come ci ricorda Brecht, «Nei tempi oscuri si potrà ancora cantare? Allora si dovrà cantare dei tempi oscuri» [*1]. In altre parole, nei tempi di crisi, l'elaborazione nell'arte e nella cultura sembra essere un potente strumento di riflessione e di trasformazione. Sembra che provenga da questo la sensazione di essere stati inseriti in una crudele sceneggiatura distopica.    

Mark Fisher sottolinea come sia «più facile immaginare la fine del mondo, piuttosto che la fine del capitalismo». Una tale affermazione riflette una condizione secondo cui veniamo avvertiti del fatto che il capitalismo si è naturalizzato, fino al punto da essere diventato una "realtà ineluttabile", la quale riprende i dettami neoliberisti di Margaret Thatcher allorché affermava che non esiste alternativa al capitalismo; consacrato attraverso TINA (there is no alternative), che impone la presunta logica ineludibile del capitale. Nella prospettiva materialista dialettica, questa naturalizzazione avviene a partire dall'egemonia dell'ideologia capitalista, la quale ci impedisce la percezione delle alternative; dopotutto, Marx diceva che «le idee della classe dominante sono, in ogni epoca, le idee dominanti» [*2]. Ed ecco che così, in questo modo, la sensazione di una distopia, proprio ora e qui, cessa di essere un futuro lontano, ma diventa essa stessa una condizione presente e sistemica, nella quale viene compromessa persino la capacità stessa di immaginare la fine del capitalismo. La distopia letteraria, nella quale spesso vengono denunciati regimi oppressivi e realtà disumanizzanti, funge pertanto da forma di critica sociale e culturale. Tuttavia, il capitalismo spezza il legame tra passato e presente, producendo una disconnessione rispetto all'origine delle catastrofi e alimentando l'assenza di speranza. Gregory Claeys [*3], riflette sul fatto che ciò che sembra irreale nella finzione si rivela essere invece storicamente accurato, e cattura le estreme perversioni della mentalità che governa il capitalismo. Questo dimostra che la narrativa distopica ci aiuta a vedere cos'è già la realtà, ma lo fa attraverso dei mezzi metaforici. Sotto il capitalismo, l'ideologia diventa un meccanismo di controllo che impedisce una critica efficace del sistema, rafforzando l'idea che esso sia naturale e ineluttabile. A partire dal XIX secolo, Marx ci permette di capire meglio come l'ideologia non sia neutrale: essa è una costruzione storica, e quindi può – e deve – essere superata. In tutta la sua opera, Marx ci ricorda come l'educazione, il lavoro e persino la cultura siano plasmati da questa ideologia, che penetra tutte le sfere della vita sociale ed elimina la speranza di un futuro diverso. È una tale prospettiva di analisi, quella che ci consente di capire che la sensazione di svegliarsi, e di trovarsi di fronte a un telegiornale distopico, emerge dalle stesse contraddizioni interne del capitalismo. Se da un lato questo sistema promette un certo grado di progresso e di benessere per alcuni  - quello che Chomsky chiama «socialismo per i ricchi, capitalismo per i poveri» [*4] - dall'altro, per gli emarginati, genera invece povertà, alienazione e distruzione dell'ambiente, a spese del loro sfruttamento, creando così un mondo pieno di opportunità solo per chi ha il potere. Gregory Claeys sottolinea il fatto che la struttura di una narrazione distopica rivela le suddette contraddizioni ed evidenzia anche quanto la stessa struttura capitalistica alimenti la disuguaglianza e la distruzione. Un altro aspetto ricorrente, allorché affrontiamo questo tema della distopia, è quello dell'avanzamento tecnologico che, anziché promuovere la libertà, intensifica invece proprio il controllo sugli individui.

Walter Benjamin [*5] ci ricorda in che modo, nel capitalismo, il progresso funzioni solo per alcuni: «Ma una tempesta spira dal paradiso, che si è impigliata nelle sue ali, ed è così forte che egli non può più chiuderle. Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle, mentre il cumulo delle rovine sale davanti a lui al cielo. Ciò che chiamiamo il progresso è questa tempesta.» Benjamin ci ricorda anche che, sotto il capitalismo, la tecnologia viene sviluppata e utilizzata per consolidare il potere delle élite, non per umanizzare e migliorare la comunicazione tra le comunità. Nella società odierna, la sorveglianza e il controllo digitale rappresentano una nuova forma di alienazione e oppressione, un potere invisibile che limita l'autonomia dei soggetti, e che ora produce più valore nel formato delle piattaforme e degli oligopoli tecnologici. In tal modo, la cultura, nel tardo capitalismo, diventa anche uno strumento di controllo, poiché funziona come una sovrastruttura istituzionale che rafforza i valori dell'infrastruttura economica: sfruttamento, disuguaglianza e profitto. L'intrattenimento di massa e la pubblicità consolidano lo status quo, rafforzando l'ideologia capitalista, tanto che alcune opere distopiche, come 1984 di George Orwell e Il mondo nuovo di Aldous Huxley, hanno già elaborato questa riflessione in forma letteraria, poiché gli oggetti culturali sono una costruzione che riflette nella forma e nel contenuto i rapporti di produzione della società nella quale sono stati creati. Così, anziché pensare di trovarci spersi nei corridoi del Ministero dell'Amore di 1984, possiamo invece riflettere sul ruolo che queste narrazioni hanno rispetto a un mondo in rovina. La distopia sfida il sistema egemonico, immaginando realtà che rompano con i valori dominanti. Agisce come uno strumento immaginativo, consentendo un cambiamento di prospettiva e promuovendo la speranza di rompere con i valori attuali. Concependo lo scenario peggiore (da qui il termine distopia, in greco un "brutto posto"), la narrazione distopica ci invita a pensare a cosa possiamo fare per evitare che un simile scenario si materializzi. Tale funzione immaginativa, è in grado di proiettare un esito alternativo ed egualitario, e forse è per questo che la letteratura è così uno dei tanti altri spazi nel quale possiamo immaginare ciò che il sistema ritiene impossibile: la fine del capitalismo. Ecco perché è necessario ribadire che non viviamo in una distopia, dal momento che la realtà supera già la finzione, proprio in quanto essa è ancora più crudele, contraddittoria e - letteralmente - reale. La speranza di una società emancipatrice, viene vista come "ingenua" solo perché il sistema attuale blocca la nostra capacità di immaginare un futuro diverso. Tuttavia, è proprio dall'analisi critica e a partire da una mobilitazione efficace che si intravede una realtà umanizzante, come suggeriva Carlos Drummond [*6]: «allora è il momento di ricominciare tutto da capo, senza illusioni e senza fretta, ma con la testardaggine dell'insetto che cerca una via nel terremoto».

- Débora Tavares - Pubblicato il 21/2/2025 su OutrasPalavras -
 

Riferimenti

[1] BRECHT, Bertold. Bertolt Brecht: Poesia: 60. São Paulo: Perspectiva, 2019.

[2] MARX, Karl. L'ideologia tedesca. São Paulo: Boitempo, 2007.

[3] CLAEYS, Gregorio. Distopia: una storia naturale. Oxford: Oxford University Press, 2018.

[4]POLYCHRONIOU, C. J. "Socialismo per i ricchi, capitalismo per i poveri: un'intervista con Noam Chomsky". Truthout, 11 dicembre 2016.

[6] DRUMMOND, Carlos. Autoritratto e altre cronache. São Paulo: Record, 2018.

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