mercoledì 12 febbraio 2025

Il Disoccupato Felice ha il suo Manifesto!!

Vent’anni fa i lavoratori potevano ancora mettere in discussione il loro lavoro, e il lavoro. Oggi devono dire che sono felici per il solo fatto di non essere disoccupati, e i disoccupati devono dire che sono infelici per il solo fatto di non avere un lavoro. Il Disoccupato Felice se la ride di un simile ricatto. Perché tutti i disoccupati hanno comunque a disposizione una cosa inestimabile: il tempo. Questo potrebbe costituire un’opportunità storica, la possibilità di condurre una vita piena di significato, gioia e ragione. Possiamo definire il nostro obiettivo come una riconquista del tempo. Siamo quindi tutt’altro che inattivi, mentre la cosiddetta “popolazione attiva” può soltanto obbedire passivamente al destino e agli ordini dei propri superiori. Ed è proprio perché siamo attivi che non abbiamo tempo per lavorare.

(Chômeurs Heureux: "MANIFESTO DEI DISOCCUPATI FELICI".  Nautilus. Pagine 48, € 5,00)

Sappiamo tutti che la disoccupazione non sarà mai eliminata.
La ditta va male? Si licenzia. La ditta va bene? Si investe nell’automazione e si licenziano le persone.
Una volta i lavoratori servivano perché c’era il lavoro, oggi il lavoro serve perché ci sono i lavoratori, e nessuno sa cosa farsene, perché le macchine lavorano più velocemente, meglio e a costo inferiore. L’automazione è sempre stata un sogno dell’umanità. Il Disoccupato Felice, Aristotele, 2300 anni fa diceva: «Se ogni strumento riuscisse a compiere la sua funzione dietro un comando o prevedendolo in anticipo, le spole tessessero da sé e i plettri toccassero la cetra, i capi artigiani non avrebbero davvero bisogno di subordinati, né i padroni di schiavi». Oggi il sogno si è avverato, ma in un incubo per tutti, perché le relazioni sociali non si sono evolute così velocemente come la tecnica. E questo processo è irreversibile: mai più i lavoratori sostituiranno robot e automi. Inoltre, laddove il lavoro “umano” è ancora essenziale, viene delocalizzato in paesi a basso salario, o vengono importati immigrati sottopagati per svolgerlo; in una spirale discendente che solo il ripristino della schiavitù potrebbe fermare. Questo lo sanno tutti, ma nessuno può dirlo.
Ufficialmente si tratta ancora di “lotta contro la disoccupazione”, ma di fatto è "lotta contro i disoccupati". Le statistiche vengono manipolate, i disoccupati vengono “occupati” nel senso militare del termine, si moltiplicano i controlli molesti. E dal momento che, nonostante tutto, tali misure non possono bastare, si aggiunge un tocco di moralità, affermando che i disoccupati sarebbero responsabili della loro sorte, richiedendo di dare prova della loro “ricerca attiva di un lavoro”. Il tutto per forzare la realtà a rientrare negli schemi della propaganda. Il Disoccupato Felice sta semplicemente dicendo ad alta voce ciò che tutti già sanno.
Disoccupazione” è una parolaccia, un’idea negativa, l’altra faccia della medaglia del lavoro. Un disoccupato è semplicemente un lavoratore senza lavoro. Il che non dice nulla della persona come poeta, come vagabondo, come ricercatore, come colui che respira. In pubblico si può parlare solo della carenza di lavoro. Soltanto in privato, lontano da giornalisti, sociologhi e altri fiutatori di merda, ci permettiamo di dire quello che abbiamo nel cuore: «Mi hanno appena licenziato, fantastico! Finalmente potrò fare festa tutte le sere, mangiare qualcosa che non sia cotto al microonde, coccolarmi senza limiti.» Alla domanda se dobbiamo abolire questa separazione tra virtù private e vizi pubblici ci viene detto che non è il momento, che si trasformerebbe in una provocazione, che farebbe il gioco degli zoticoni. Vent’anni fa i lavoratori potevano ancora mettere in discussione il loro lavoro, e il lavoro. Oggi devono dire che sono felici per il solo fatto di non essere disoccupati, e i disoccupati devono dire che sono infelici per il solo fatto di non avere un lavoro. Il Disoccupato Felice se la ride di un simile ricatto.

fonte: XXMILA LEGHE

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