giovedì 27 febbraio 2025

… «E il cuore di simboli pieno»…

La produzione marxiana e l'inconscio freudiano: l'oblio del simbolico secondo Baudrillard
- di Sandrine Aumercier -

Durante gli anni '70, Baudrillard sviluppò una duplice critica di Marx e Freud. Da un lato, rivolta al mito capitalistico della produzione e dei bisogni, da cui lo stesso Marx sarebbe rimasto dipendente. Dall'altro, rivolta alla nozione freudiana dell'inconscio, che sarebbe stata indebitamente estesa dalla psicoanalisi a un'ontologia trans-storica. Viene qui presentato, e sottolineato l'interesse che riveste questa duplice critica [*1]. Mostreremo anche su cosa Baudrillard basi la sua concezione del simbolico, e i limiti dovuti alla sua teoria semiotica post-strutturalista dello scambio che si riflettono sulle critiche, altrimenti giustificate, che egli rivolge a Marx e Freud.

La critica di Baudrillard alla produzione
Ne "Lo specchio della produzione" (1973), Baudrillard descrive la frammentazione funzionale degli oggetti, che la dialettica pretende di riconciliare, facendoli entrare nel movimento della storia. Egli definisce come «proiezione paranoica», l'operazione attraverso la quale i concetti si generano a vicenda seguendo la finalità di una «scienza che vive solo di separazione». Pertanto, la scienza costruisce un'antropologia su misura di quelle funzioni che ha prima separato. Baudrillard analizza alcuni discorsi, come quello di Maurice Godelier: un antropologo marxista che si stupisce del fatto che gli esseri umani primitivi non producano un surplus economico. Godelier risolve questo problema dicendo che tutte queste società senza eccedenze producono solamente per «soddisfare i loro bisogni». Baudrillard vede in questo una naturalizzazione della produzione, la quale va di pari passo con la moderna naturalizzazione dei bisogni. Ma una volta che gli antropologi hanno naturalizzato la produzione, trovano anche difficile spiegare anche gli altri aspetti della "società". Ponendo i cosiddetti bisogni naturali alla base del fatto sociale, essi si interessano in maniera separata alle relazioni sociali; parentela, alleanze, ecc. Così facendo, sul modello della separazione cartesiana di anima e corpo, distinguono artificialmente tra sopravvivenza biologica e significati sociali. Già in "Per una critica dell'economia politica del segno" (1972), Baudrillard aveva sostenuto che non esiste un «minimo antropologico di vita». «L’uomo non è qui, sin dall’inizio, con i suoi bisogni, e destinato per natura a realizzarsi in quanto Uomo. Questa affermazione, propria del finalismo spiritualista, definisce in realtà, nella nostra società, la funzione-individuo, mito funzionale alla società produttivistica. Tutto il sistema dei valori individuali, tutta la religione della spontaneità, della libertà, della creatività, ecc., grondano del peso della scelta produttivistica. Anche le funzioni vitali si presentano immediatamente come «funzioni» del sistema. In nessun senso l’uomo si trova di fronte ai propri bisogni.» (Per una critica dell'economia politica del segno, p. 92). Baudrillard ribadirà questa critica ne "Lo specchio della produzione" affermando che ciò che chiamiamo "società" non esiste al di fuori dello scambio simbolico, il quale è il fatto sociale primordiale. Ne trae il modello dal "Saggio sul dono" (1925) di Marcel Mauss, nel quale Mauss descrive il ciclo del triplice obbligo di dare, ricevere e restituire, vedendolo come fondamento del fatto sociale. In questo senso, la sopravvivenza e la sussistenza non sono principi separati o realtà presociali. «Per i primitivi, mangiare, bere, vivere sono innanzitutto atti che si scambiano, e se essi non possono essere scambiati, allora non avvengono». (Lo specchio della produzione, p. 65). La prima a considerarsi critica, è stata la cultura occidentale; pertanto, essa concepisce sé stessa come universale, e porta così tutte le altre culture nel suo museo, sotto forma di vestigia a sua immagine. In questo modo, le estetizza senza riuscire perciò ad accedere al loro funzionamento simbolico. Le interpreta con le proprie categorie. La critica che inizia con l'Illuminismo non corrisponde ad altro che all'universalizzazione, da parte dell'economia politica, dei suoi stessi propri principi. In tal modo, il suo imperialismo si esprime tanto nel campo geopolitico quanto in quello epistemico. La dialettica viene così denunciata da Baudrillard come il sintomo di ciò che il sistema economico non vede circa la rottura che esso stesso costituisce. Secondo Baudrillard, il fatto di posizionare il capitalismo vedendolo come se fosse il coronamento della successione dei diversi modi di produzione, come il momento dialettico dell'emergere della coscienza critica, permette al sistema capitalistico (anche nella sua variante marxista) di ignorare le proprie categorie. Una lotta politica a un tale livello si trova così condannata a rimanere immanente al sistema. Baudrillard critica l'ideologia del lavoro, mostrando che Marx è comunque rimasto chiuso nelle categorie che voleva superare, dal momento che ha ripetutamente celebrato il lavoro come se si trattasse di un'eterna necessità del genere umano, per poter riuscire a produrre "valori d'uso" o "utilità". Nel corso della storia, secondo Marx, il metabolismo con la natura avrebbe assunto forme diverse, le quali si sono succedute fino ad arrivare alla forma capitalistica, basata sulla proprietà privata dei mezzi di produzione. La forza-lavoro diventa perciò una merce al servizio della produzione di plusvalore, senza considerare quale sia il valore qualitativo del lavoro e dei prodotti. Secondo Baudrillard, il marxismo non denuncia la categoria del lavoro in sé, ma piuttosto l'alienazione delle forze produttive, che egli vorrebbe semplicemente liberare dal dominio dei capitalisti, e dalla morsa del quantitativo. La conseguenza di ciò è, secondo Baudrillard, che il sistema dell'economia politica produce, non solo un nuovo individuo che vende la propria forza-lavoro, ma anche l'idea stessa di forza-lavoro in quanto definizione fondamentale dell'umano. E questo essere umano si trova a essere destinato a produrre, a produrre e a superare continuamente sé stesso, in un'apologia del progresso e dello sviluppo, consustanziali all'economia. Simultaneamente, egli non cessa mai di idealizzare un oltre fittizio rispetto a questo produttivismo, che si suppone sarà liberato, a un certo punto, dall'imperativo della produzione grazie all'automazione della produzione stessa. La liberazione sociale perciò non mira alla liberazione categorica del lavoro e della produzione in sé, ma solo di quella che è una parte arbitraria del lavoro.

La critica dell'inconscio di Baudrillard
Come abbiamo detto, secondo Baudrillard, nelle società premoderne non esiste qualcosa come il lavoro, e neanche come la produzione, a meno che le categorie dell'economia non vengano retroproiettate. Ora, se questo nuovo individuo, così come questa idea della forza-lavoro sono un'invenzione recente, ciò non è senza conseguenze per quella concezione moderna del soggetto che la psicoanalisi ha reso suo oggetto di indagine. Baudrillard afferma: «Nelle società primitive non esistono né il modo di produzione né la produzione, così come, nelle società primitive non esiste la dialettica, né l'inconscio. Tutti questi concetti trovano applicazione solo nell'analisi delle nostre società regolate per mezzo dell'economia politica. In un certo qual senso, pertanto, questi concetti hanno solo un valore di boomerang. Se la psicoanalisi parla di inconscio nelle società primitive, allora chiediamoci cosa reprime la psicoanalisi stessa. Quando il marxismo parla del modo di produzione nelle società primitive, chiediamoci fino a che punto questo concetto non riesce a descrivere le nostre società storiche - ed è questo il motivo per cui viene esportato. E quando tutti i nostri ideologi cercano di finalizzare e razionalizzare le società primitive secondo i loro stessi concetti e di codificare i primitivi, chiediamoci che cosa li ossessiona nel voler vedere questa finalizzazione, questa razionalità, questo codice che gli scoppia sul viso. Anziché esportare il marxismo e la psicoanalisi (per non parlare dell'ideologia borghese, ma qui non c'è differenza), concentriamo piuttosto tutto l'impatto, tutta la messa in discussione delle società primitive proprio sul marxismo e sulla psicoanalisi.» (da "Lo specchio della produzione", p. 49). E Baudrillard denuncia anche nell'Anti-Edipo di Deleuze e Guattari, quello che vede come un discorso di liberazione che rimane però comunque segnato dall'illusione produttivista. Anche nella liberazione sessuale, vede un'illusione che vorrebbe liberare dei processi primari seguendo quella stessa struttura secondo cui, nel campo del marxismo, si vorrebbe liberare il valore d'uso. I corpi della "de-sublimazione repressiva" (nozione che Baudrillard riprende da Marcuse) allontanano la morte positivizzando la libido secondo il principio dello sviluppo delle forze produttive. «In entrambi i casi, il modello di liberazione è biologico e non simbolico». In epoca moderna, la morte diventa un evento fatale e irreversibile, e la vita un capitale edonistico. In tal modo, abbiamo de-socializzato e naturalizzato la morte facendone un fenomeno biologico, medico e scientifico, nel mentre che per gli uomini primitivi – ancora una volta – la morte è, come dice Baudrillard, una relazione sociale (ne "Lo scambio simbolico e la morte", p. 202). Nelle società premoderne, i vivi e i morti mantenevano tra di loro relazioni simboliche. Mentre noi, da parte nostra, fantastichiamo su uno stato di natura, su impulsi selvaggi e sul loro corollario immaginario: un desiderio che dovrebbe essere liberato, laddove «i cannibali, invece (...) pretendono semplicemente, per mezzo del loro cannibalismo, di vivere in società.» ("Lo scambio simbolico e la morte, p. 212). La morte non ha più il significato che gli è stato attribuito dalla psicologia moderna, vale a dire, quello di una realizzazione del desiderio e di un regolamento di conti. In questo senso, la morte biologica e i significati immaginari a essa collegati sono un'invenzione moderna. La nostra società si basa sull'allontanamento dei morti, i quali vengono posizionati all'esterno rispetto alla circolazione simbolica del gruppo. «Perché oggi non è normale essere morti, e questa è una novità» (Lo scambio simbolico e la morte, p. 196). Va notato che Baudrillard scriveva questo trent'anni prima dell'irruzione di un transumanesimo disinibito che ha affermato «la morte della morte» (Laurent Alexandre) come  se fosse un obiettivo da raggiungere. Su questa base, Baudrillard invece sviluppò un'antropologia del simbolico, che definì come la circolazione e lo scambio di ciò che noi – vale a dire il mondo dell'economia – abbiamo imparato a separare e ad assolutizzare. Ora, ogni termine separato si riflette nel suo opposto immaginario, pur assumendo la consistenza del suo riferimento immaginario a una realtà. Baudrillard descrive le antinomie insolubili, che ne derivano, tra la parola e la cosa, tra il segno e il referente, tra l'immaginario e il reale, tra il bisogno e il desiderio, tra il vivo e il morto, ecc. È questo il risultato della negazione del simbolico che ne ha assicurato la circolazione. Simultaneamente, Baudrillard afferma anche che questa liquidazione del simbolico è solo apparente; Poiché, non cessando mai di esistere, il debito simbolico può solo essere stato dislocato in un altro luogo. «Paghiamo con la nostra morte continua e con la nostra angoscia della morte la rottura degli scambi simbolici con essi [i morti]. (…) Questo contenzioso enorme, fatto di tutte le obbligazioni e le reciprocità che noi abbiamo denunciato, è propriamente l'inconscio (…) L'Inc è sociale nel senso che è fatto di ciò che non si è potuto scambiare socialmente o simbolicamente.» (Lo scambio simbolico e la morte, p. 208). La legge del padre, la proibizione dell'incesto, il complesso di Edipo, sono i residui privatizzati di questo sfratto dello scambio simbolico. Il simbolico non è un'istanza proibitiva né un luogo di rimozione, come vorrebbe il mito edipico della psicoanalisi, ma è piuttosto la circolazione sociale stessa, la quale mette in gioco l'intero metabolismo del gruppo. Per questa ragione, ogni analogia tra le osservazioni fatte dall'etnologia e quelle della psicoanalisi viene denunciata da Baudrillard in quanto mistificazione. L'economico e il simbolico vengono intesi come esclusivi l'uno l'altro (Lo scambio simbolico e la morte, p. 215). Baudrillard interpreta l'ipotesi freudiana della pulsione di morte, non come una verità eterna ma come un mito che ha qualcosa da dirci sulla nostra cultura e sullo stesso apparato concettuale della psicoanalisi, che renderebbe obsoleta. Questa ipotesi liquida la positività del principio di piacere, che sarebbe perciò così la stessa positività della teoria delle pulsioni e del produttivismo economico. Infine, Baudrillard ci suggerisce un ordine simbolico che non distingua più tra processi primari e secondari. «L'autonomizzazione dello 'psichico' è recente. Essa raddoppia, a un livello superiore quella del biologico. La linea questa volta passa tra l'organico, il somatico e... l'altro. Lo psichico esiste solo sulla base di questa distinzione(…) da cui risulta proprio il concetto di pulsione, che vuole costruire un ponte tra i due e semplicemente partecipa all'arbitrarietà di entrambi. La meta-psicologia della pulsione si riunisce qui alla metafisica dell'anima e del corpo: ne è la riscrittura a uno stadio più avanzato.L'ordine separato dello psichico deriva dalla precipitazione, nel nostro 'foro interiore', cosciente o inconscio, di tutto ciò di cui il sistema interdice lo scambio collettivo e simbolico.» (Lo scambio simbolico e la morte, p. 234). È per questo che egli nega che la psicoanalisi e il marxismo abbiano mai detto qualcosa di rilevante sul simbolico. «Marx crede di ricuperare l'istanza fondamentale nell'economico e nel suo processo dialettico. In realtà ricupera, "attraverso" l'economico e le sue convulsioni, ciò che lo assilla sintomaticamente: la "stessa separazione di questo economico in quanto istanza" (…) "Ma questo è vero anche della psicoanalisi": sotto i termini d'inconscio e di lavoro dell'inconscio, Freud ricupera come istanza fondamentale ciò che, anche qui, è il risultato, sotto forma di psichismo individuale, d'una frattura del simbolico.(…) L'analisi di Marx e di Freud è critica. Ma né l'una né l'altra lo sono in rapporto alla separazione rispettiva del loro campo. Esse non sono coscienti della "coupure" che le onda. Sono sintomatologie critiche che, sottilmente, fanno del loro rispettivo campo sintomatico il campo determinante.» (Lo scambio simbolico e la morte, p. 342). La diagnosi di Baudrillard è corretta solo nella misura in cui essa semplifica sia la teoria del metabolismo di Marx con la natura che la teoria delle pulsioni di Freud. Non c'è dubbio che queste tendenze possono essere trovate in Freud e Marx e nei loro successori. Ma non è meno vero che Marx sviluppi anche una teoria negativa delle categorie del capitalismo, la quale equivale a una critica della totalità sociale, e non solo della sua distribuzione sociologica (e che verrà sistematizzata dalla critica della dissociazione del valore). Allo stesso modo, Freud mira a una concezione non vitalista e non psicologica della pulsione, di cui la pulsione di morte è la formulazione più completa (e che Lacan sistematizzerà). Il verdetto di Baudrillard sulla loro rispettiva ignoranza della rottura epistemologica che li fonda, e li conduce a generalizzazioni trans-storiche, è tuttavia di grande rilevanza. La proposta di valutare il loro contributo critico alla luce di una teoria generale del simbolico andrebbe ripresa in una critica generale della forma sociale capitalistica.

Quale teoria del simbolico in Baudrillard?
Per poter collocare la proposta di Baudrillard in questa necessaria duplice critica di Marx e di Freud, ricordiamo che, per Baudrillard, l'economico e il simbolico si trovano in una relazione di mutua esclusione. L'economia riduce il fatto sociale, le attività umane, il ciclo degli scambi e i significati del corpo a una contabilità vitale, a una «gestione della vita in quanto sopravvivenza oggettiva». Riprendendo con discrezione gli sviluppi di Foucault e di Canguilhem, Baudrillard, a sua volta, afferma: «Come la medicina è quella del cadavere, così lo Stato è la gestione del corpo morto del "socius".» (Lo scambio simbolico e la morte, p. 221). Il districarsi dei principi di vita e di morte, che Freud osservava nelle manifestazioni cliniche proprie del vincolo alla ripetizione (o pulsione di morte) resta, per Baudrillard, legato a una moderna evocazione del ciclo del debito simbolico. Tuttavia, la critica di Baudrillard richiede una definizione più precisa di che cosa significhi l'ipotesi della pulsione di morte. Alcuni psicoanalisti fanno del vincolo della ripetizione, il luogo stesso in cui viene esercitata la funzione simbolica illustrata dalla famosa storia della bobina. In effetti, la pulsione di morte freudiana non è una pulsione di morte, quanto piuttosto una pulsione a tornare all'inanimato, impigliato e arruolato nella traiettoria dell'eros. L'ipotesi della pulsione di morte dissolve ogni finalità utilitaristica della vita; tematizza una ricerca paradossale di piacere aggiuntivo, il quale non entra nell'economia del principio di piacere, se non addirittura lo contraddice violentemente, ma che tuttavia produce anche, niente di meno che la cultura. Rimane da teorizzare una differenza fondamentale, quella tra un vincolo di ripetizione simbolico e un vincolo di ripetizione che termina invece con la distruzione di tutto ciò che esiste. Il primo crea una società, il secondo rende impossibile farlo. Se gli psicoanalisti post-freudiani interpretano nel primo senso la pulsione di morte – almeno quelli che accettano l'ipotesi –  gli autori che fanno un uso non psicoanalitico del concetto di pulsione di morte spesso lo intendono in modo piatto nel secondo senso, mentre invece i lacaniani insistono sulla nozione di godimento, la quale costituisce una reinterpretazione della pulsione di morte. Però nessuno dei due schieramenti spiega cos'è che faccia la differenza, tra una tendenza simbolica e una tendenza mortale della costrizione alla ripetizione. Secondo Freud, questa differenza clinica sarebbe costituita dal suo grado di legame e di coinvolgimento con la "pulsione di vita". Ma la generalità in cui egli racchiude questa proposizione la rende difficilmente utilizzabile ai fini di una teoria coerente del simbolico. Da parte sua, Baudrillard intuisce che l'espulsione della morte dall'economia simbolica delle società moderne, e la promozione della vita come fine a sé stessa, hanno delle conseguenze in termini di "pulsione di morte". Ma ciò che Freud attribuisce a quello che considera un impulso più fondamentale degli altri, legato alla logica dei vivi, Baudrillard lo attribuisce a un effetto della separazione sociale dei vivi dai morti, la quale pone la vita umana in uno stato di sopravvivenza. «La morte sottratta alla vita, è la stessa operazione dell'economia politica - è la vita residua, ormai leggibile in termini operativi di calcolo e di valore. (…) La vita restituita alla morte, è l'operazione stessa del simbolico.» (Lo scambio simbolico e la morte, p. 201). Come abbiamo visto, Baudrillard prende in prestito dagli antropologhi, la sua teoria del simbolico. Questo indebitamento ha il merito di aprire uno scarto riflessivo riguardo alle categorie economiche - marxiane o freudiane - delle quali realizziamo un'antropologia spontanea, come se gli esseri umani di tutti i tempi non fossero mai stati altro che homo oeconomicus. Ma l'argomento diventa insufficiente allorché Baudrillard, in base a questo standard epistemico, lo applica senza mediazione alcuna alla nostra forma sociale. Egli esita costantemente tra l'osservazione della scomparsa dello scambio simbolico e l'affermazione della permanenza nascosta del simbolico. Il tono viene dato dalla prima frase ne Lo scambio simbolico e la morte: «Al livello delle formazioni sociali moderne, non c'è più scambio simbolico; non più come forma organizzatrice. Sicuramente, il simbolico le ossessiona come se fosse la loro morte.» (pag. 7). L'appassionato riferimento che Baudrillard - mutuandolo da Bataille,  che a sua volta fa una lettura molto riduttiva dell'antropologia di Marcel Mauss – fa alla morte e al sacrificio, lo porta a interpretare le nuove forme di violenza in termini di sacrificio simbolico e di logica del dono. Era questa la sostanza del suo commento all'11 settembre, che definiva come un "evento simbolico", una "sfida simbolica", che sarebbe stata compiuta dai terroristi, ma segretamente voluta da tutti ("Lo spirito del terrorismo"). Tuttavia, la sua analisi riprende parola per parola alcune delle proposizioni contenute ne Lo scambio simbolico e la morte, come se l'attentato al World Trade Center ne costituisse la realizzazione differita – venticinque anni dopo – e la conferma teorica. «Non attaccare mai il sistema in termini di rapporti di forze. Questo è l’immaginario (rivoluzionario) imposto dal sistema stesso, il quale sopravvive solo portando continuamente coloro che lo attaccano a battersi sul terreno della realtà, che è da sempre e per sempre il suo. Spostare invece la lotta nella sfera simbolica, dove la regola è quella della sfida, della reversione, del rilancio. Una lotta tale che alla morte si possa rispondere solo con una morte uguale o superiore. Sfidare il sistema con un dono al quale esso non può rispondere se non attraverso la propria morte e il proprio crollo.L’ipotesi terroristica è che il sistema si suicidi in risposta alle sfide multiple della morte e del suicidio. Perché né il sistema né il potere si sottraggono all’obbligo simbolico — ed è su questa insidia che poggia la sola possibilità di una loro catastrofe. In questo ciclo vertiginoso dello scambio impossibile della morte, quella del terrorista è un punto infinitesimale, ma in grado di provocare un’aspirazione, un vuoto, una convezione gigantesca». ("Lo spirito del terrorismo"). Se, per interpretare il terrorismo, Baudrillard sta chiaramente nuotando nel bel mezzo di una fantasia sul dono e sul contro-dono, ciò è perché egli estrapola i risultati dell'antropologia, portandoli su un terreno storico che non ha nulla a che fare con esso. In altre parole, commette l'errore opposto a quello che rimprovera ai fautori dell'economia: trae dal corpus etnologico elementi di analisi che generalizza e traspone al "sistema" attuale senza mettere in discussione l'assoluta specificità di questo stesso "sistema". Contrariamente a coloro che intendono l'umanità di tutti i tempi a partire da una generalizzazione dell'homo oeconomicus, egli descrive l'umano moderno sul modello trans-storico di un homo symbolicus tutto suo, come se la modernità non avesse prodotto anche un "nuovo tipo umano" congruente con il capitalismo (Theodor W. Adorno) che sfida proprio l'antropologia. Le osservazioni grezze dell'antropologia, non possono semplicemente informarci su ciò che abbiamo "perso", altrimenti finirebbero per costituire solo un discorso reazionario; invece, contrariamente, ci obbligano anche a tentare un'antropologia dei tempi moderni. In assenza di un simile sforzo teorico, il divario differenziale che l'antropologia critica reca in sé si perde in una nuova poltiglia trans-storica: interpretando come "sfide simboliche" quelli che sono atti spettacolari di un puro nichilismo – che certamente fa così loro troppo onore – Baudrillard non ci aiuta in alcun modo a capire che cosa sia diventato il simbolico, nella nostra forma sociale. In particolare, conferisce loro un potenziale per sconfiggere il sistema che essi non hanno: se attaccano il sistema nel punto del suo tallone d'Achille (l'ossessione per la sicurezza e la sopravvivenza biologica), non c'è niente in essi che riduca il loro significato ideologico al ristabilimento di uno scambio simbolico, che altrimenti sarebbe negato. In altre parole, Baudrillard va oltre la validità delle proprie analisi, conferendo al terrorismo un valore simbolico che viene direttamente trasposto a partire da osservazioni fatte su altre società, le quali sono tuttavia estranee al fatto del terrorismo. Egli riduce così la dimensione simbolica della morte – che è tuttavia il cuore del suo ragionamento – a una serie di atti violenti che avrebbero tutti lo stesso significato simbolico. Si potrebbe persino confondere questa proposizione con un'intuizione lacaniana. Ma Lacan era assai più cauto quando diceva: «ciò che viene rimosso nel simbolico, riappare nel reale» [*2]. Insistendo così sulla dimensione di un ritorno al reale di ciò che viene rifiutato (o rimosso, a seconda della formulazione) nel simbolico, egli non si è pronunciato sul quale fosse la qualità simbolica di ciò che ritorna.

Per un'antropologia del mondo moderno, a partire dai criteri del mondo moderno
Pertanto, al di là delle rilevanti critiche al marxismo e alla psicoanalisi, Baudrillard sbaglia in quella che è la sua generalizzazione trans-storica, nella quale, al fine di criticare la critica, sollecita alcune forme sociali primitive che tuttavia, nel mondo moderno, non sono in grado di adempiere a questa funzione critica. In tal modo, così facendo egli ignora i contributi specificamente marxiani e freudiani alla teoria del simbolico, per sostituirli invece con una grande teoria del simbolico, il cui paradigma è stato estrapolato dalle società premoderne. Baudrillard sostiene che il marxismo e la psicoanalisi non dispongono di una teoria del simbolico. Ma non è perché Marx non usi il termine "simbolico", che egli non ha una teoria del simbolico. Per quanto riguarda Freud, tutta la sua opera può essere definita come una rivalutazione della funzione simbolica, presa a livello del soggetto, in una società che collettivamente nega il simbolico. Se Baudrillard può affermare l'assenza di una teoria del simbolico in Marx, lo fa poiché non afferra la teoria marxiana del valore. Egli diagnostica una sorta di mutazione contemporanea che Marx non sarebbe stato in grado di analizzare quando, nella Miseria della Filosofia, descrive il momento in cui il valore di scambio diventa universale al punto da assorbire tutto ciò che fino ad allora gli poteva sfuggire: virtù, amore, opinione, scienza, coscienza e così via. «È il tempo della corruzione generale, della venalità universale, o, per dirla in termini di economia politica, il tempo in cui ogni cosa morale o materiale, divenuta valore venale, è portata al mercato per essere stimata al suo giusto valore.» (Miseria della filosofia) Questa fase, viene interpretata da Baudrillard come l'inizio di una nuova epoca che rende obsoleta la legge del valore. Da questo punto di vista, Baudrillard è vicino a molti autori post-strutturalisti e post-operaisti che sempre continuato a interpretare la postmodernità come un'epoca di obsolescenza della legge del valore; cosa che permette loro di sostituirla con delle fantasie teoriche a proposito di quelle che sarebbero delle nuove forme di capitalismo. Qui, Baudrillard radicalizza la teoria che aveva sviluppato in "Per una critica dell'economia politica del segno", secondo cui la produzione economica non è una produzione di valori d'uso, incorporata nel processo di scambio, ma che in realtà è una produzione di segni, inconsapevole di sé stessa in quanto tale; o che quantomeno è stata ignorata come tale fino all'avvento dell'era postmoderna. Egli afferma che Marx aveva separato l'astrazione dal bisogno, dal valore d'uso (o dalla produzione per i bisogni) e dalla legge del valore. Dove il primo sarebbe per Marx una relazione trasparente con sé stesso, quella dell'uomo con i suoi bisogni, mentre il secondo atterebbe alla sfera del feticismo propriamente detto. Secondo Baudrillard, invece si tratterebbe di dimostrare, al contrario, che il valore d'uso non è indipendente dalla legge del valore stesso. Pertanto egli rimprovera alla semiologia contemporanea di accontentarsi di una descrizione strutturale della circolazione dei segni; è a questa che egli intende sostituire un'altra teoria del segno, secondo la quale è il segno a essere diventato il reale. La realtà si sarebbe ridotta a una pura circolazione di segni autoreferenziali. Il significato e il riferimento, sotto l'effetto della proliferazione dei segni, sarebbero perciò scomparsi. L'iper-realtà consisterebbe in questa «realtà liberata dal suo principio [il suo principio di realtà, che] diventa, in uno sviluppo esponenziale, integrale» [*3]. Baudrillard voleva pertanto realizzare, per mezzo di quella che lui chiama la "forma del segno", ciò che Marx aveva fatto con la "forma valore"; da cui il titolo magniloquente di "Per una critica dell'economia politica del segno" modellato su quello di Marx. Pertanto, egli analizza la nostra società dal punto di vista della legge del valore di scambio, rifiutando giustamente di ipostatizzare il valore d'uso come momento separato e naturale (quello del bisogno) dalla logica del valore. Ma in questo modo, egli intende produrre una teoria del segno, la quale rompe con la legge del valore, che egli interpreta solo come scambio di equivalenti, in modo che così possa allora opporre, a questa concezione tronca della logica del valore, un'altra logica che trascenderebbe la legge dello "scambio di equivalenti", e che consisterebbe appunto nel superfluo, nella trasgressione, nella sfida alla morte, nell'eccesso... Il problema però è che questa analisi non si basa sulla teoria marxiana del valore in senso stretto, vale a dire, della contraddizione nel processo e della crisi di valorizzazione in esso insita. Baudrillard interpreta la diminuzione della massa globale del valore economico come se corrispondesse a un'abolizione della legge marxiana del valore. Che la valorizzazione del valore si stia frantumando nei suoi stessi limiti, viene interpretato come se si trattasse di un vero e proprio fine della stessa legge del valore, il quale valore ora verrebbe trasmesso solo attraverso una semplice simulazione tautologica dei segni del lavoro. Il lavoro non sarebbe più un punto di forza, ma un segno. Avremmo continuato a lavorare per mantenere i segni del lavoro, mentre allo stesso tempo avremmo lasciato una società che si riproduce comunque attraverso il lavoro. A tutto ciò, non si può che obiettare, chiedendo se allora: «questa società si nutre di amore e di acqua fresca, in modo da poter così trascendere le leggi economiche della produzione?» Così facendo, Baudrillard ha preso alla lettera l'apparenza tautologica del funzionamento capitalistico, attribuendogli il fatto che esso sarebbe realmente diventato un'apparenza pura e nient'altro! Per lui, l'astrazione reale è diventata il reale di una simulazione (vedi Lo scambio simbolico e la morte, p. 53). L'immaginario sarebbe diventato il reale stesso. Come molti altri autori di questo periodo, affascinati dalla nozione di "scambio di equivalenti" e da quella della circolazione (Derrida, Goux, Lyotard, Deleuze e Guattari...), la teoria marxiana, non solo si riduce a una concezione puramente scambiatrice dell'economia, ma inoltre è anche a uno scambio di segni! La realtà dello scambio di segni sarebbe perciò la verità fondamentale del capitale. In questo modo, Baudrillard attribuisce ancora più realtà, - se non tutta la realtà - al cosiddetto processo di equalizzazione dei segni, nello scambio di merci, anziché al processo reale di valorizzazione nella produzione, su cui il sistema economico in quanto tale si sostiene, anche quando questo processo è privo di accumulazione. Solo perché un'auto si guasta non significa che smetta di aver bisogno di un motore per andare avanti. La nozione di astrazione reale (Alfred Sohn-Rethel) descrive meglio il paradosso della produzione partendo dal presupposto inverso di un'astrazione inscritta negli atti reali di produzione, e ciò fin dalle origini del capitalismo. Baudrillard non riesce a vedere che la "differenza assoluta"(quella del plusvalore ottenuto dal lavoro e del processo di valorizzazione che esso mantiene), su cui si basa il capitale,  è precisamente quella che il capitalismo, nella sua auto-spiegazione legittimante, nega costantemente, sostenendo che il lavoro vivo e quello morto sono intercambiabili. Negando simbolicamente la differenza tra esseri umani e macchine, l'economia può continuare a ignorare la fonte da cui vive. Questa negazione è all'origine della dissoluzione di tutti i vecchi sistemi simbolici, che vengono trattati dal mondo capitalistico come se tutto fosse ormai meccanizzabile e quindi commutabile; e come se non ci fosse alcuna differenza assoluta. Ci sarebbero solo differenze procedurali! Secondo Marx, il sistema capitalistico nega quindi che esista almeno una differenza assoluta, ed è proprio questa che ne accelera il collasso. Lacan suggerisce - proprio alla fine del suo seminario sui quattro concetti fondamentali della psicoanalisi (1964) - che la psicoanalisi mira a una "differenza assoluta" [*4]. Infatti, proprio come il capitalismo ignora la differenza assoluta su cui si fonda, anche la psicologia ignora la differenza assoluta tra la logica del significante e la comunicazione. Supremazia dello scambio e uguaglianza nello scambio, sono solo il mito della scienza economica ufficiale. Questo mito copre, maschera e nega la legge del valore su cui invece il sistema economico si basa. La mascheratura è così efficace che perfino Baudrillard può prenderla per buona: non ci sarebbe più una legge del valore (della produzione), e resterebbe solo l'intercambiabilità indefinita dei segni commutabili sul mercato dei segni! Armato di un'interpretazione superficiale dell'era dell'informazione, delle telecomunicazioni e dell'automazione, Baudrillard conferisce al nuovo dell'informazione una qualità di autoconsistenza e di autonomia in relazione alla produzione di valore, il quale rimane così inspiegabile da un punto di vista economico. Per quanto rilevante possa essere la sua critica all'ideologia della produzione, la sua critica all'economia si mostra nella sua ignoranza dell'economia. La nuova supremazia del "segno" dovrebbe rendere obsoleta quella che egli chiama l'epoca della produzione, che era ancora quella di Marx. Quest'interpretazione si basa su una permanente ambiguità intorno al termine "valore", usato a volte in senso marxiano (quello dell'economia politica), a volte in senso morale di "ciò che vale" e che è rappresentato da un segno. Un errore frequente, ahimè, ma fatale a qualsiasi critica all'economia politica. Si passa impercettibilmente dal valore economico al valore del segno senza accorgerci che in Marx il valore economico ha una definizione precisa, che fonda teoricamente la sfera economica propriamente detta. Baudrillard crede perciò di fuggire dall'economia, ma lo fa ignorando la logica economica, sostituendola con una celebrazione astratta dello "scambio simbolico". Tale processo teorico consiste nel cominciare riducendo l'intera sfera economica a uno scambio di equivalenti, per poi decretare che questo scambio di equivalenti è una bufala, dato che nessuna società opera su un simile scambio. Esiste sempre un surplus. La promozione dell'eccesso, da parte sia di Bataille che di Baudrillard, si basa pertanto su una fantasia che riguarda l'economia, e non su un'analisi di quello che è invece il suo reale funzionamento. Così facendo, si può persino credere che si stia sfuggendo all'imperialismo dell'economia semplicemente assolutizzando una nozione antitetica di scambio, vale a dire uno scambio che non sarebbe uno "scambio di equivalenti", ma uno scambio sempre già segnato dall'eccesso. Così, alla fine, le penetranti analisi di Baudrillard sulla disponibilità del corpo produttivo e sulla naturalizzazione della produzione si riducono a essere una semplice ideologia in via di superamento, quella che egli chiama "l'economia politica del segno". L'interpretazione della produzione, vista come ideologia sotto il regime dell'equivalenza generale, gli fa perdere le conseguenze della propria intuizione. dal momento che egli non si pone la questione della sostenibilità materiale del sistema di produzione – che dovrebbe comunque essere analizzato con i criteri dell'economia e non con quelli della semiotica – si trova costretto a interpretare la crisi, non come una crisi materiale della produzione di valore, con il suo corteo di conseguenze sociali, quanto piuttosto come una crisi ideologica del paradigma produttivo, la quale viene colta e sostituita da una crescente incapacità del sistema di riprodursi simbolicamente sotto il regime cibernetico. Ma la cibernetica non è altro che il tentativo di compiere l'indistinzione tra uomo, macchina e natura per mezzo di una teoria sistemica generale degli scambi che Baudrillard non riesce tuttavia a criticare proprio a causa della sua stessa ipostasi di scambio. La negazione del simbolico da parte della cibernetica costituisce la generalizzazione del principio fondamentale dell'economia, vale a dire la presunta sostituibilità del lavoro morto al lavoro vivo. Resta il fatto – e Baudrillard insiste giustamente su questo punto – che, senza una funzione simbolica, nessuna società può esistere in quanto società, a meno che essa non diventi davvero l'alveare di Mandeville.

Il capitalismo ha un principio differenziale fondamentale. E questo principio socialmente operativo – vale a dire, la sua capacità di formare la società – è la legge del valore. L'unica "differenza assoluta" che domina il sistema è pertanto quella esistente tra il dispendio energetico di forza-lavoro umana che crea valore, da un lato, e dall'altro il dispendio energetico della forza-lavoro macchinica che non lo crea. L'intera sopravvivenza del sistema economico, e l'intero sviluppo interno della sua crisi si basano su questa differenza, che viene radicalmente negata dalla scienza economica ufficiale. L'economia si basa sulla negazione del proprio fondamento; Essa estende e moltiplica i suoi giochi di prestigio, trasformando gradualmente tutto ciò che esiste in uno sforzo assolutamente vano di equalizzazione astratta degli scambi, di cui la termodinamica, la cibernetica e i sistemi sono la massima espressione. Quanto più l'intera vita umana viene mercificata - cioè resa monetizzabile e scambiabile (nei termini di Marx: virtù, amore, opinione, scienza, coscienza, ecc.) - tanto più l'economia finisce per trovarsi messa con le spalle al muro dalla propria legge del valore. In questo modo, la legge fondamentale del capitale (la creazione di valore dal lavoro) assorbe gradualmente l'intera funzione simbolica, senza abolire la legge del valore che ne costituisce il limite simbolico. Raccontando a sé stesso il suo processo come se fosse uno scambio egualitario tra partner contrattuali alla pari, il capitale copre il proprio funzionamento simbolico: la produzione di un aumento di valore proveniente unicamente dal lavoro umano, in una forma sociale che tende a eliminare il lavoro umano dalla produzione. Più l'egualitarismo si afferma nel discorso, più questa legge fondamentale del valore viene mascherata. Lo sforzo di livellare tutte le differenze mira – invano – ad arrivare a quella differenza che governa la produzione di valore. Ciononostante, impone la sua legge ferrea a tutta la società. È simbolico, in quanto è al centro della riproduzione della totalità della società capitalistica e la tiene insieme, anche negativamente. La celebrazione narcisistica, o reazionaria, della piccola differenza, fatta sulle rovine dell'ordine simbolico, non ha nulla da dirci sul simbolico. Il simbolico è costituito proprio dalla differenza assoluta, quella che fa consistere un ordine sociale, e non dalla semplice affermazione di uno scarto processuale, differenziale, che Derrida ha chiamato différance. Nel capitalismo, la differenza assoluta è perciò quella della produzione di valore, omogenea al processo storico di riduzione - di tutti gli esseri e le cose, di tutti i processi -  a delle quantità calcolabili, attraverso una serie di operazioni meccaniche, formalificabili, con cui la macchina simula il vivente, senza mai sostituirlo. La sua completa sostituzione dovrebbe coincidere con il crollo definitivo del sistema, ma anche con l'abolizione della funzione simbolica che avviene sotto lo scatenarsi dell'automatismo della ripetizione (della pulsione di morte). L'automatismo della ripetizione testimonia il fatto che questo unico principio simbolico, che presiede alla creazione del valore economico, assorbe gradualmente l'intera funzione simbolica. La separazione sociologica dei vivi e dei morti diagnosticata da Baudrillard, trarrebbe quindi beneficio dall'essere collocata in questa matrice fondamentale della riproduzione globale del sistema economico. Baudrillard prende alla lettera l'auto-spiegazione del capitale – la promozione di piccole differenze basate sulla negazione della propria differenza fondamentale. Il capitale ci dice che non c'è più alcuna differenza simbolica (che ci sono solo variabili), ma ci nasconde il suo principio simbolico fondamentale, un principio di riproduzione che assorbe tutte le altre funzioni simboliche nella speranza di sopravvivere. Questo è precisamente il punto di intersezione tra la psicoanalisi come critica della psicologia e il marxismo come critica dell'economia politica. Che dire allora della psicoanalisi? Gli psicoanalisti, che Lacan chiamava i «praticanti della funzione simbolica» [*5], si fanno carico delle ricadute individuali di questo ordine capitalista, il cui unico fondamento simbolico è la produzione di valore attraverso il lavoro. La psicoanalisi si occupa delle conseguenze, che per l'individuo ha l'essere un ingranaggio in questo modo di produzione. Si tratta delle vestigia di una funzione simbolica che è in procinto di scomparire. Essa tratta questo ordine simbolico dal punto di vista degli effetti della soggettività che esso implica. Si torna alle conseguenze soggettive di questa differenza assoluta costantemente negata dall'ordine economico, per il quale assolutamente tutto, senza eccezioni – le parole e le cose – è scambiabile sul mercato. Nonostante la promozione post-lacaniana di un'ideologia astratta del “linguaggio”, la psicoanalisi si occupa solo dei residui dell'ordine simbolico da cui è emersa, ossia l'ordine capitalistico, poiché un sistema simbolico è definito dalla sua natura collettiva. Pertanto, come disciplina e come discorso, è soggetta allo stesso progressivo riassorbimento di tutto il resto dell'ordine simbolico nel “soggetto automatico” capitalista. Sebbene possa aiutare alcuni soggetti a cavarsela, non è in grado di resistere da sola a questo rullo compressore. L'ipostasi del singolare, su cui si basa una certa lettura della psicoanalisi, è espressione della tendenza postmoderna a ignorare la natura di questo rullo compressore. Poiché la comprensione della logica economica ha conseguenze anche per la teoria della lotta contro l'economia. Ne lo Scambio simbolico e la morte Baudrillard afferma che "il sistema" (da lui invariabilmente designato in tale forma indefinita) non sarà mai distrutto dall'intervento diretto: il capitale ricicla ogni critica. Sarebbe quindi necessario spostare la lotta sul terreno simbolico. Cosa significa questo, secondo Baudrillard? «Sfidare il sistema con un dono a cui esso non può rispondere, se non con la propria morte e con il proprio collasso». (Lo scambio simbolico e la morte, p. 64) Questa posizione, immutata, attraversa tutto il suo lavoro.Lo troviamo nella sua interpretazione del terrorismo come atto singolare che si oppone al trionfo della globalizzazione, e come sfida alla morte, o sfida alla logica moderna dello sfratto sociale della morte. Questo per conferire agli atti anomici un potere simbolico positivo ed enfatico. Questa interpretazione nasce da un'ipostasi di morte identificata con lo "scambio simbolico" nelle società premoderne, e poi trasposta senza ulteriori indugi nella società capitalistica, il cui "sistema" viene decifrato solo come un sistema di segni commutabili che assorbe ogni riferimento alla realtà. L'interpretazione della morte nel capitalismo rimane quindi inchiodata a osservazioni sociologiche che non riescono a cogliere il rapporto fondamentale tra i vivi e i morti nel processo di produzione capitalistico, nucleo reale di un'autofagia della funzione simbolica in sé.

- Sandrine Aumercier - pubblicato il 16/2/2025*** su GRUNDRISSE. Psychanalyse et capitalisme -

*** Questo testo è la versione scritta di una relazione tenuta al seminario "Psicoanalisi e capitalismo" il 15 febbraio 2025 al Café Plume di Berlino, basata sulla lettura collettiva di brani selezionati dai libri di Jean Baudrillard Lo specchio della produzione e lo scambio simbolico e la morte.

NOTE:

[1] Su quel che segue, ci baseremo su Jean Baudrillard, Pour une critique de l'économie politique du signe (Parigi, Gallimard, 1972); Jean Baudrillard, Le miroir de la production, Parigi, Galilea, 1975; Jean Baudrillard, L'échange symbolique et la mort, Paris, Gallimard, 1976; Jean Baudrillard, Simulacra et simulations, Paris Galilée, 1981.

[2] Jacques Lacan, Da un altro all'altro, Parigi, Seuil, 2006, p. 321.

[3] Raphaël Bessis, Lucas Degryse, "Intervista a Jean Baudrillard", Le Philosophoire, 2003/1, n. 19.

[4] Jacques Lacan, Les quatre concepts fondamentaux de la psychanalyse, Paris, PUF, 1973, p. 248 , Parigi, PUF, 1973, p. 248: «Il desiderio dell'analisi non è un puro desiderio. È il desiderio di ottenere la differenza assoluta, quella che interviene quando, di fronte al significante primordiale, il soggetto si trova per la prima volta nella condizione di sottomettersi ad esso.»

[5] Jacques Lacan, "Fonctions et champ de la parole et du langage", in Écrits, Paris, Seuil, 1966, p. 284.

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