Questo fondamentale testo di Paul Mattick, del 1939, scritto prima dello scoppio della guerra (invasione della Polonia), potrebbe permetterci di affrontare una discussione su quella "via maestra" capitalistica, che dalla socialdemocrazia portò allora al nazismo di Hitler, e che prima aveva schiacciato la rivoluzione in Germania nel 1919, e ancora prima, il 4 agosto 1914, con la consacrazione del riformismo, aveva attraversa il Rubicone capitalista. Va aggiunto che, all'opuscolo di Lenin sul "rinnegato Kautsky", Paul Mattick osservava giustamente che: «Non è possibile considerare Kautsky un "rinnegato. Solo un completo fraintendimento della teoria e della pratica del movimento socialdemocratico, così come dell'attività di Kautsky, potrebbe condurre a un'idea simile».
Karl Kautsky: Da Marx a Hitler
- di Paul Mattick -
Nell'autunno del 1938, Karl Kautsky moriva ad Amsterdam all'età di 84 anni. Era considerato il più importante teorico del movimento operaio marxista dopo la morte dei suoi fondatori, e si può dire che ne fosse il membro più rappresentativo. Ha incarnato molto chiaramente sia gli aspetti rivoluzionari che quelli reazionari di quel movimento. Ma mentre, davanti alla tomba di Marx, Friedrich Engels aveva potuto dire che il suo amico era «soprattutto un rivoluzionario», sarebbe ben difficile poter dire lo stesso a proposito del suo allievo più famoso. «Come teorico e come politico, resterà sempre oggetto di critica», scriveva Friedrich Adler in memoria di Kautsky, «ma il suo carattere era rimasto aperto, e per tutta la vita si è mantenuto fedele alla più alta maestà, la propria coscienza» [*1]. La coscienza di Kautsky si era formata durante l'ascesa della socialdemocrazia tedesca. Nasce in Austria [N.d.T: in realtà nasce a Praga], figlio di un pittore di scena del Teatro Imperiale di Vienna. Già nel 1875, pur non essendo ancora marxista, dava il suo contributo ai giornali operai tedeschi e austriaci. Divenne membro del Partito socialdemocratico tedesco nel 1880 e «fu solo allora» - come disse lui stesso - «che ebbe inizio il mio sviluppo verso un marxismo coerente e metodico»[*2]. Come tanti altri, si ispirò all'Antidühring di Engels, e nel suo orientamento venne aiutato da Eduard Bernstein, che allora era il segretario del socialista "milionario" Hoechberg. I suoi primi lavori furono pubblicati con l'aiuto di Hoechberg, e trovò riconoscimento nel movimento operaio grazie alla sua direzione editoriale di un certo numero di pubblicazioni socialiste. Nel 1883 fondò la rivista Neue Zeit, che, sotto la sua direzione, divenne il più importante organo teorico della socialdemocrazia tedesca. L'opera letteraria e scientifica di Kautsky è impressionante, non solo per l'ampiezza dei suoi interessi, ma anche per il suo volume. La bibliografia dei suoi scritti, sebbene sia selettiva, riempirebbe molte pagine. Ciò che viene alla luce in quel lavoro, è tutto ciò che sembrava essere stato importante per il movimento socialista negli ultimi 60 anni. Mostra come Kautsky fosse soprattutto un insegnante e che, dato che guardava la società dal punto di vista di un maestro di scuola, egli era perfettamente adatto al suo ruolo di spirito guida di un movimento volto a educare sia gli operai che i capitalisti. E poiché era un educatore interessato al "lato teorico" del marxismo, coerente con il movimento che serviva, poteva perciò apparire più rivoluzionario di quanto fosse. Si dimostrò un marxista "ortodosso" che cercava di salvaguardare l'eredità marxista, alla stregua di un tesoriere che voleva preservare i fondi della sua organizzazione. Tuttavia, ciò che c'era di "rivoluzionario" nell'insegnamento di Kautsky, lo sembrava solo se visto in contrasto con l'ideologia capitalistica generale dell'anteguerra. Tuttavia, in contrasto con le teorie rivoluzionarie stabilite da Marx ed Engels, tale insegnamento consisteva in un ritorno a delle forme di pensiero più primitive, e una minore percezione delle implicazioni della società borghese. Così, egli, pur conservando lo scrigno del marxismo, non guardava a tutto ciò che conteneva. Nel 1862, in una lettera a Kugelmann, Marx esprimeva la speranza che le sue opere non popolari - quelle che tentavano di rivoluzionare la scienza economica - avrebbero trovato a tempo debito un'adeguata popolarizzazione; un'impresa questa che sarebbe stata più facile solo dopo che ne fossero state gettate le basi scientifiche. «Il lavoro della mia vita mi è diventato chiaro nel 1883.» - scrisse Kautsky - «Doveva essere destinato alla propaganda e alla divulgazione e, per quanto mi è stato possibile, alla continuazione dei risultati scientifici del pensiero e della ricerca di Marx»[*3]. Tuttavia, nemmeno lui, il più grande divulgatore di Marx, realizzò la speranza di Marx; Le sue semplificazioni si sono sempre rivelate essere nuove mistificazioni, incapaci di cogliere il vero carattere della società capitalistica. Tuttavia, anche nella loro forma annacquata, le teorie di Marx rimasero superiori a tutte le teorie sociali ed economiche borghesi, e gli scritti di Kautsky diedero forza e gioia a centinaia di migliaia di operai coscienti. Esprimeva i propri pensieri, e lo faceva in un linguaggio più vicino a loro di quanto lo fosse quello del pensatore più indipendente, Marx. Sebbene quest'ultimo abbia dimostrato più di una volta il suo grande dono per la pertinenza e la chiarezza, egli tuttavia non era abbastanza maestro di scuola per riuscire a sacrificare alla propaganda il piacere del suo capriccio intellettuale. Quando diciamo che Kautsky rappresentava anche tutto ciò che c'era di "reazionario" nel vecchio movimento operaio, usiamo questo termine in un senso molto specifico. Gli elementi reazionari, in Kautsky e nel vecchio movimento operaio, erano oggettivamente condizionati, e fu solo dopo un lungo periodo di esposizione a una realtà ostile che si sviluppò questa disposizione soggettiva a trasformarsi in difensori della società capitalistica. Nel Capitale, Marx sottolineava che «il movimento al rialzo, impresso ai prezzi del lavoro dall'accumulazione del capitale, dimostra, al contrario, che la catena d'oro, a cui il capitalista tiene inchiodato il salariato, e che quest'ultimo non cessa mai di forgiare, si è già allungata, in modo da consentire così un allentamento della tensione »[*4]. La possibilità - nelle condizioni di una formazione progressista del capitale - di migliorare le condizioni di lavoro, e di aumentare il prezzo del lavoro, ha trasformato la lotta operaia in una forza per l'espansione capitalistica. Analogamente alla competizione capitalista, la lotta dei lavoratori è servita da motivazione per far avanzare l'accumulazione del capitale; ha accentuato il "progresso" capitalistico. Tutti i guadagni dei lavoratori sono stati pagati mediante un aumento dello sfruttamento, il quale a sua volta ha consentito un'espansione ancora più rapida del capitale. La lotta di classe dei lavoratori ha potuto servire anche ai bisogni, non dei singoli capitalisti ma del capitale. Le vittorie degli operai si ritorcevano così contro i "vincitori". Più i lavoratori guadagnavano, più il capitale diventava ricco. Il divario tra salari e profitti cresceva ad ogni aumento della «quota pagata ai lavoratori». La forza apparentemente crescente del lavoro, in realtà costituiva il continuo indebolimento della sua posizione rispetto a quella del capitale. I "successi" dei lavoratori in questa sfera di azione sociale - salutati da Eduard Bernstein come se si trattasse di una nuova era del capitalismo - non appena il capitale fosse passato dall'espansione alla stagnazione, non avrebbero potuto altro che portare alla sconfitta finale della classe operaia. Nella distruzione del vecchio movimento operaio - e Kautsky non mancò di vederlo - si manifestarono tutte quelle migliaia di sconfitte subite durante il periodo dell'ascesa del capitalismo, e, sebbene tali sconfitte fossero celebrate come vittorie del gradualismo, in realtà non rappresentavano altro che il gradualismo della sconfitta degli operai, in un campo d'azione dove il vantaggio è sempre dalla parte della borghesia. Tuttavia, il revisionismo di Bernstein, che si basava sull'accettazione dell'apparenza di quella "realtà" che veniva suggerita dall'empirismo borghese; e sebbene, inizialmente, quest'ultimo fosse stato denunciato da Kautsky, egli fornì la base del suo successo. Infatti, senza la pratica non rivoluzionaria del vecchio movimento operaio - le cui teorie erano state plasmate da Bernstein - Kautsky non avrebbe trovato un movimento, e una base materiale, su cui ergersi come importante teorico marxista. Questa situazione oggettiva, che, come abbiamo visto, ha trasformato i successi del movimento operaio in altrettanti passi verso la sua distruzione, ha creato un'ideologia non rivoluzionaria che era più in sintonia con la realtà apparente, e che in seguito è stata denunciata come social-riformismo, opportunismo, social-sciovinismo, e tradimento vero e proprio. Tuttavia, questo "tradimento" non aveva infastidito molto coloro che erano stati traditi. Al contrario, la maggioranza dei lavoratori organizzati approvava il cambiamento di atteggiamento che c'era stato nel movimento socialista, dato che era in linea con le sue aspirazioni, sviluppatesi in un capitalismo in crescita. Le masse non erano rivoluzionarie quanto i loro leader, e sia le une che gli altri erano tutti soddisfatti della loro partecipazione al progresso capitalistico.
Si erano organizzati, non solo per ottenere una quota maggiore del prodotto sociale, ma anche per avere più voti nella sfera politica. Avevano imparato a pensare in termini di democrazia borghese; e avevano cominciato a parlare di sé stessi come consumatori; volevano partecipare a tutto ciò che c’era di buono in termini di cultura e di civiltà. La “Storia della socialdemocrazia tedesca”, di Franz Mehring termina tipicamente con un capitolo su "L'arte e il proletariato". La scienza per gli operai, la letteratura per gli operai, le scuole per gli operai, la partecipazione a tutte le istituzioni della società capitalistica: era questo il vero desiderio del movimento, e nient'altro. Ragion per cui, invece di invocare la fine della scienza capitalista, chiamò gli scienziati del lavoro; Invece di abolire la legge capitalista, cominciò a formare avvocati del lavoro; vide nel crescente numero di storici, poeti, economisti, giornalisti, medici e dentisti impegnati nel lavoro - così come di parlamentari e burocrati sindacali - la socializzazione della società, la quale, con tutto ciò, stava diventando sempre più la sua medesima società. «Tutto quello che possiamo condividere sempre di più, ben presto lo troveremo anche difendibile.» Consciamente o inconsciamente, il vecchio movimento operaio vedeva nel processo di espansione capitalistica il suo proprio percorso verso un maggiore benessere e riconoscimento. Più il capitale prosperava, migliori sarebbero state anche le condizioni di lavoro. Soddisfatte della loro azione nel quadro del capitalismo, le organizzazioni operaie cominciarono a preoccuparsi della redditività del capitalismo. Le rivalità competitive tra i capitalisti nazionali erano state finora contrastate solo verbalmente. Sebbene il movimento inizialmente avesse combattuto solo per una "patria migliore", e poi aveva cominciato a essere disposto a difendere ciò che era già stato conquistato, ben presto raggiunse il punto in cui era pronto a difendere la patria «così com'è». La tolleranza che i "discepoli" di Marx mostrarono nei confronti della società borghese non fu unilaterale. La borghesia stessa aveva imparato, nella sua lotta contro la classe operaia, a "comprendere la questione sociale".Negli anni, la sua interpretazione dei fenomeni sociali è diventata sempre più materialista; e ben presto nei due campi di pensiero si è verificata una sovrapposizione di ideologie , e questo servì ad aumentare ulteriormente la "armonia", basata però sulla disarmonia reale dovuta agli attriti di classe nel contesto di un capitalismo in piena espansione. Tuttavia, erano i "marxisti" a essere più desiderosi della borghesia di "imparare dal nemico". Le tendenze revisioniste si erano sviluppate ben prima della morte di Engels. Quest'ultimo, e anche lo stesso Marx, avevano esitato, mostrando momenti in cui si erano lasciati trasportare dall'apparente successo del loro movimento. Ma quella che per loro era stata solo una modifica temporanea del loro modo di pensare - il quale era essenzialmente coerente - è diventata una "convinzione" e una "scienza" per quel movimento che aveva imparato a vedere il progresso nelle tesorerie sindacali più pingui e nei voti elettorali più numerosi. Dopo il 1910, la socialdemocrazia tedesca si venne a trovare divisa in tre gruppi principali. C'erano i riformisti, i quali erano apertamente a favore dell'imperialismo tedesco; c'era la "sinistra", che si distingueva con alcuni nomi, come Luxemburg, Liebknecht, Mehring e Pannekoek; e poi c'era il "centro", il quale cercava di muoversi seguendo le vie tradizionali, ma solo in teoria, perché poi, in pratica, tutta la socialdemocrazia tedesca poteva fare solo ciò che era possibile; vale a dire, ciò che Bernstein voleva che essa facesse. Opporsi a Bernstein non poteva che significare opporsi a tutta la pratica socialdemocratica. La "sinistra" comincia a funzionare come tale solo quando inizia ad attaccare la socialdemocrazia in quanto parte della società capitalista. Le differenze tra le due opposte fazioni non potevano essere risolte concettualmente; ma si risolsero solo quando, nel 1919, il terrore di Noske eliminò il gruppo Spartacus. Con lo scoppio della guerra, la "sinistra" si trovò nelle prigioni capitalistiche, e la "destra" nello stato maggiore del Kaiser. Il "centro", diretto da Kautsky, si sbarazzò di ogni problema del movimento socialista dichiarando che, durante i periodi di guerra, né la socialdemocrazia né la sua Internazionale potevano funzionare dal momento che entrambe erano essenzialmente degli strumenti di pace. «Questa posizione», scriveva Rosa Luxemburg, «è la posizione di un eunuco. Dopo che Kautsky ha completato il Manifesto del Partito Comunista, ora si può leggere: Lavoratori di tutti i paesi, unitevi in tempo di pace, ma in tempo di guerra, tagliatevi la gola» [*5]. La guerra e le sue conseguenze avevano distrutto la leggenda della "ortodossia" marxista di Kautsky. Anche il suo allievo più entusiasta, Lenin, dovette voltare le spalle al maestro. Nell'ottobre del 1914 si vide costretto ad ammettere che, per quanto riguardava Kautsky, Rosa Luxemburg aveva ragione. In una lettera a Shliapnikov [*6] scriveva: «Ella aveva capito da tempo che Kautsky, in quanto teorico servile, indietreggiava di fronte alla maggioranza del partito, di fronte all'opportunismo. Non c'è nulla al mondo di più dannoso e pericoloso per l'indipendenza ideologica del proletariato di oggi dell'ipocrisia grossolana, presuntuosa e disgustosa di Kautsky. Vuole soffocare tutto, nascondere tutto e, con sofismi e retorica pseudo-scientifica, placare il risveglio delle coscienze degli operai». Ciò che distingueva Kautsky dalla massa generale degli intellettuali che si riversavano nel movimento operaio non appena questo diventava più rispettabile, e che erano fin troppo ansiosi di favorire la tendenza alla collaborazione di classe, era un maggiore amore per la teoria, un amore che però rifiutava di confrontare la teoria con la realtà. Come avviene con l'amore di una madre, che impedisce al figlio di apprendere troppo presto i "fatti della vita", anche Kautsky poteva rimanere un rivoluzionario solo come teorico, dato che era ben disposto a lasciare ad altri gli affari pratici del movimento. Ma si sbagliava. Nel ruolo di mero "teorico", egli smise di essere un teorico rivoluzionario, o meglio non poteva diventare un rivoluzionario. Non appena si venne a determinare la fase di una vera e propria battaglia tra capitalismo e socialismo, ecco che le sue teorie crollavano, poiché in pratica esse erano già state separate dal movimento che avrebbero dovuto rappresentare. Sebbene Kautsky si opponesse allo sciovinismo inutilmente entusiasta del suo partito, e sebbene egli esitasse a rallegrarsi della guerra, come invece fecero Ebert, Scheidemann e Hindenburg, per quanto non fosse favorevole alla concessione incondizionata dei crediti di guerra; egli, tuttavia, fino alla fine, fu costretto a distruggere con le proprie mani quella che era stata la leggenda della sua ortodossia marxista, acquisita per trent'anni grazie ai suoi scritti. Colui che nel 1902 [*7] aveva affermato che eravamo entrati in un periodo di lotte proletarie per il potere, dichiarò che tali tentativi, nel momento in cui gli operai le prendevano sul serio, erano solamente delle pure e semplici sciocchezze. Lui, che aveva combattuto così valorosamente contro il ministerialismo di Millerand e di Jaurès in Francia, 20 anni dopo, e facendo uso degli argomenti dei suoi ex avversari, avrebbe difeso la politica di coalizione della socialdemocrazia tedesca. Colui che era interessato a una "Via al Potere" già nel 1909, dopo la guerra sognava un "ultra-imperialismo" capitalista, come un percorso verso la pace mondiale, e passò il resto della sua vita a reinterpretare il proprio passato per giustificare così la sua ideologia di collaborazione di classe. «Nel corso della sua lotta di classe», scriveva nel suo ultimo libro, «il proletariato diventa sempre più l'avanguardia della ricostruzione dell'umanità, alla quale si interessano sempre più anche gli strati non proletari della società. Questo non è un tradimento dell'idea della lotta di classe. Avevo già questa posizione prima ancora che esistesse il bolscevismo, come ad esempio nel 1906, nel mio articolo nella Neue Zeit, su "Classe: Interessi particolari e comuni", un articolo nel quale giungevo alla conclusione che la lotta di classe proletaria non promuove la solidarietà di classe, ma solamente la solidarietà dell'umanità» [*8].
Di certo, non è possibile considerare Kautsky un "rinnegato". Solo un completo fraintendimento della teoria e della pratica del movimento socialdemocratico - così come dell'attività di Kautsky - potrebbe portare a una simile idea. Kautsky aspirava solo a essere un buon servitore del marxismo; a dirla tutta, sembra quasi che compiacere Engels e Marx sia stata la sua professione per tutta la vita. E a Marx si riferiva sempre nel modo tipicamente socialdemocratico e filisteo, chiamandolo "grande maestro", "olimpionico", "Dio del tuono", ecc., e si era sentito estremamente onorato del fatto che Marx «non lo aveva ricevuto con la stessa freddezza con cui aveva ricevuto il suo giovane collega Heine» [*9]. E credo che abbia giurato a sé stesso che non avrebbe deluso Engels, quando quest'ultimo cominciò a considerare lui e Bernstein come dei «rappresentanti affidabili della teoria marxista», e per la maggior parte della sua vita rimase il più ardente difensore della "parola". Appare assai onesto nel momento in cui si lamenta con Engels [*10] che «quasi tutti gli intellettuali del partito... invocano le colonie, il pensiero nazionale, la resurrezione dell'antichità teutonica, la fiducia nel governo, la sostituzione del potere della "giustizia" alla lotta di classe, ed esprimono una marcata avversione per l'interpretazione materialista della storia, per il dogma marxista, come lo chiamano». Egli voleva solo argomentare contro di loro, difendere ciò che era stato stabilito dai suoi idoli. Un buon maestro di scuola, che era anche un ottimo studente. Engels aveva compreso fin troppo bene questa precoce "degenerazione" del movimento. Nella sua risposta alla denuncia di Kautsky, egli aveva dichiarato [ *11] che «lo sviluppo del capitalismo si è dimostrato più forte della controffensiva rivoluzionaria. Una nuova insurrezione contro il capitalismo richiederebbe un violento shock, come la perdita del dominio della Gran Bretagna sul mercato mondiale, o un'improvvisa opportunità rivoluzionaria in Francia». Ma nessuno dei due eventi accadde. I socialisti non aspettavano più la rivoluzione. Invece Bernstein attese la morte di Engels, per evitare così di deludere quell'uomo a cui doveva di più che a qualunque altro, prima di proclamare che «l'obiettivo non significava nulla e il movimento tutto». È vero che anche lo stesso Engels durante l'ultima parte della sua vita aveva rafforzato le forze del riformismo. Ma ciò che nel suo caso poteva essere considerato solo come un indebolimento dell'individuo nella sua posizione rispetto al mondo, veniva invece preso dai suoi epigoni come se fosse la fonte della loro forza. Marx ed Engels erano tornati ripetutamente all'atteggiamento intransigente del Manifesto comunista e del Capitale, per esempio nella Critica del programma di Gotha, la cui pubblicazione era stata ritardata per non disturbare i conciliatori del movimento. La sua pubblicazione fu possibile solo in seguito a una lotta con la burocrazia del partito, che indusse Engels a dire che sarebbe un'idea geniale vedere la scienza socialista tedesca presentare, dopo la sua emancipazione dalle leggi socialiste bismarckiane, le proprie leggi socialiste, formulate dai funzionari del Partito Socialdemocratico [*12]. Kautsky difendeva un marxismo già castrato. Il marxismo radicale, rivoluzionario e anticapitalista era stato sconfitto dallo sviluppo capitalistico. Al Congresso dell'Internazionale operaia del 1872 all'Aia, lo stesso Marx aveva dichiarato: «Un giorno l'operaio dovrà impadronirsi della supremazia politica al fine di stabilire la nuova organizzazione del lavoro... Ma non abbiamo preteso che, per raggiungere questo fine, i mezzi sarebbero stati identici ovunque... e non neghiamo che ci siano paesi come l'America, l'Inghilterra... dove i lavoratori possono raggiungere il loro obiettivo con dei mezzi pacifici». Questa sua affermazione permise così anche ai revisionisti di definirsi marxisti, e l'unico argomento che Kautsky poté invocare contro di loro - come per esempio fece al congresso del Partito socialdemocratico a Stoccarda nel 1898 - era negare che il processo di democratizzazione e di socializzazione in corso in Inghilterra e in America si applicava anche alla Germania. Ha così solamente ripetuto la posizione di Marx circa la possibilità di una trasformazione più pacifica della società in alcuni paesi, aggiungendo a questa osservazione che anche lui «non desidera altro che arrivare al socialismo senza che ci fosse una catastrofe». Tuttavia, dubitava di una simile possibilità. È chiaro che, sulla base di questa riflessione, per Kautsky era perfettamente coerente supporre, dopo la guerra, che con lo sviluppo più rapido delle istituzioni democratiche in Germania e in Russia, ora fosse possibile intraprendere la via più pacifica verso il socialismo anche in questi paesi. La via pacifica, gli sembrava quella più sicura, dal momento che serviva meglio a quella «solidarietà di umanità» che egli desiderava sviluppare. Gli intellettuali socialisti volevano sovvertire questo pudore con cui la borghesia aveva imparato a trattarli. Dopotutto, siamo tutti gentiluomini! La vita piccolo-borghese ben ordinata dell'intellighenzia, che le veniva garantita da un potente movimento socialista, l'aveva portata a sottolineare gli aspetti etici e culturali delle cose. Kautsky odiava i metodi del bolscevismo con non meno intensità di quanto odiasse le guardie bianche; solo che, a differenza di loro, era pienamente d'accordo con lo scopo del bolscevismo. Dietro l'apparenza della rivoluzione proletaria, i dirigenti del movimento socialista vedevano giustamente un caos nel quale la loro posizione non sarebbe stata meno compromessa di quella della borghesia vera e propria. Il loro odio per il "disordine" rappresentava una difesa della loro posizione materiale, sociale e intellettuale. Il socialismo, non doveva essere sviluppato illegalmente, bensì legalmente, dal momento che solo in queste condizioni le organizzazioni esistenti e i leader in carica avrebbero potuto continuare a dominare il movimento. E il loro successo nell'interrompere l'imminente rivoluzione proletaria dimostrò, non solo che le "conquiste" degli operai nella sfera economica si ritorcevano contro gli stessi operai, ma anche che il loro "successo" nella sfera politica finiva per rivelarsi un'arma che veniva usata contro la loro stessa emancipazione. La socialdemocrazia, nella cui crescita i lavoratori avevano imparato a misurare il loro crescente potere, divenne Il più forte baluardo contro una soluzione radicale della questione sociale . Niente mostra il carattere rivoluzionario delle teorie di Marx, di quanto lo faccia la difficoltà a mantenerle in tempi non rivoluzionari. Nell'affermazione di Kautsky, secondo cui il movimento socialista non può funzionare in tempo di guerra, c'era un briciolo di verità, perché il tempo di guerra crea temporaneamente delle situazioni non rivoluzionarie. Il rivoluzionario si viene a trovare isolato, e così subisce una temporanea sconfitta. Deve aspettare che la situazione cambi, che la disponibilità soggettiva a partecipare alla guerra venga a essere spezzata dall'impossibilità oggettiva di dare tale disponibilità soggettiva. Un rivoluzionario, di tanto in tanto, non può fare a meno di rimanere "fuori dal mondo". Pensare che una pratica rivoluzionaria, che si esprima nell'azione indipendentemente dai lavoratori, sia sempre possibile, significa cadere vittima delle illusioni democratiche. Ma rimanere "fuori dal mondo" è ancora più difficile, perché nessuno può sapere quando le situazioni cambieranno, e nessuno vuole essere escluso quando si verifica un cambiamento. La coerenza esiste solo in teoria. Non possiamo dire che le teorie di Marx fossero incoerenti; ma si può dire che Marx non era coerente, vale a dire, che anche lui doveva mostrare deferenza nei confronti di una realtà mutevole, e che in tempi non rivoluzionari, per poter comunque funzionare, doveva funzionare in modo non rivoluzionario. Le sue teorie si limitavano agli elementi essenziali della lotta di classe tra borghesia e proletariato, ma la sua prassi era continua e affrontava i problemi "man mano che si presentavano"; problemi che non sempre potevano essere risolti secondo i principi essenziali. Non volendo fare un passo indietro durante il periodo degli sconvolgimenti capitalistici, Marx non poteva evitare di operare in un modo che era tuttavia contrario a una teoria che derivava dal riconoscere l'esistenza di una - vera e sempre presente - lotta di classe rivoluzionaria. Ma la teoria della lotta di classe permanente, non ha più giustificazioni di quante le abbia il concetto borghese di progresso. Non esiste alcun automatismo che fa accadere le cose; al contrario, la lotta conosce fortune mutevoli; si può trovare ad affrontare una situazione di stallo, e una completa sconfitta. Il mero numero di lavoratori che si oppongono al potente Stato capitalista - in un momento in cui la storia è ancora a favore del capitalismo - non rappresenta il gigante sulle cui spalle poggiano i parassiti capitalisti, ma è piuttosto il toro che deve muoversi nella direzione che gli viene imposta dalla sua mosca. Nel periodo non rivoluzionario dell'ascesa del capitalismo, il marxismo rivoluzionario può esistere solo in quanto ideologia, che nella sua forma serve una prassi completamente opposta. E in quest'ultima sua forma, viene limitata dagli eventi reali. Essendo una semplice ideologia, non appena dei grandi sollevamenti sociali avrebbero richiesto il passaggio da un'ideologia indiretta di collaborazione di classe a un'ideologia diretta per fini capitalistici, doveva cessare di esistere. Marx sviluppò le sue teorie durante un periodo rivoluzionario. Essendo il più audace dei rivoluzionari borghesi, era pertanto anche il più vicino al proletariato. La disfatta della borghesia, con i suoi elementi rivoluzionari e i successi di quest'ultimi nel contesto della controrivoluzione, convinsero Marx che la classe rivoluzionaria moderna non poteva essere che la classe operaia, e sviluppò da lì' la teoria socioeconomica della sua rivoluzione. Come molti dei suoi contemporanei, sottovalutò la forza e la flessibilità del capitalismo, e si aspettò troppo presto la fine della società borghese. Nel constatarlo, gli si presentavano due possibilità: o tenersi lontano dal corso reale degli eventi, limitandosi a un pensiero radicale inapplicabile, oppure partecipare, a certe condizioni, alle lotte reali, riservando le sue teorie rivoluzionarie ai "tempi migliori". Fu quest'ultima possibilità, a essere razionalizzata sotto forma di un buon "equilibrio tra teoria e prassi", e che la sconfitta, o il successo delle attività proletarie, a diventare il risultato di tattiche, "buone" o "cattive"; di una buona organizzazione e di una corretta gestione. Ciò che portò all'ulteriore sviluppo dell'aspetto giacobino del movimento operaio a cui diede il suo nome, non fu il primo legame che egli ebbe con la rivoluzione borghese, ma la prassi non rivoluzionaria di questo movimento in un'epoca che era non rivoluzionaria. Di conseguenza, il marxismo di Kautsky era pertanto un marxismo che aveva assunto la forma di una semplice ideologia, e nel corso del tempo era perciò destinato a ritornare su una strada idealistica. In realtà, "l'ortodossia" di Kautsky era solo un modo per conservare in maniera artificiale delle idee contrarie alla prassi reale, e che di conseguenza fu costretta a ritirarsi, dal momento che la realtà è sempre più forte dell'ideologia. Una vera "ortodossia" marxista potrebbe essere possibile solo con un ritorno a delle situazioni veramente rivoluzionarie, quando allora questa "ortodossia" non si dovrebbe più preoccupare di essere fedele "alla lettera", ma del principio della lotta di classe tra la borghesia e il proletariato, il quale dovrà essere applicato a delle situazioni nuove e mutate. Tutto ciò lo si può chiaramente vedere negli scritti di Kautsky, dove possiamo seguire tutta la regressione dalla teoria alla pratica. I numerosi libri e articoli scritti da Kautsky, trattano quasi tutti i problemi sociali, oltre ad alcune questioni specifiche riguardanti il movimento operaio. Tuttavia, i suoi scritti possono essere classificati in tre categorie: economia, storia e filosofia. Nel campo dell'economia politica, non si può dire molto del suo contributo. Rese popolare il primo volume del Capitale di Marx, e curò le Teorie del plusvalore di Marx, pubblicate negli anni dal 1904 al 1910. Le sue divulgazioni delle teorie economiche di Marx sono indistinguibili dall'interpretazione generalmente accettata dei fenomeni economici nel movimento socialista, comprendendo anche i revisionisti. In effetti, parti della sua famosa opera, "Le dottrine economiche di Karl Marx", sono state scritte da Eduard Bernstein. Kautsky ebbe solo una piccolissima parte nelle appassionate discussioni che ebbero luogo al volgere del secolo sul significato delle teorie di Marx nel secondo e nel terzo volume del Capitale. Per lui, il primo volume del Capitale conteneva tutto ciò che era importante per i lavoratori e per il loro movimento. Si occupava del processo di produzione, della fabbrica e dello sfruttamento, e conteneva tutto quel che era necessario al sostegno del movimento operaio contro il capitalismo. Gli altri due volumi, che trattano in modo molto dettagliato le tendenze capitalistiche alla crisi e al crollo, non corrispondevano alla realtà immediata, e quindi incontrarono scarso interesse non solo tra Kautsky, ma anche tra tutti i teorici marxisti del periodo dello sviluppo capitalistico. In una recensione del secondo volume del Capitale, scritta nel 1886, Kautsky si dichiarò dell'opinione che quel volume interessa meno gli operai, poiché tratta in gran parte il problema della realizzazione del plusvalore, il quale, a conti fatti, dovrebbe interessare solo i capitalisti. Quando Bernstein, nel corso del suo attacco alle teorie economiche di Marx, respinse la teoria del collasso di Marx, Kautsky si limitò semplicemente a difendere il marxismo, negando che Marx avesse mai sviluppato una particolare teoria che indicasse una fine oggettiva del capitalismo, e sostenendo che un simile concetto era una vera e propria invenzione di Bernstein. Fu nella sfera della circolazione che Kautsky cercò invece di situare le difficoltà e le contraddizioni del capitalismo. Il consumo non potrebbe mai aumentare così rapidamente come fa la produzione, e la sovrapproduzione permanente porterebbe alla necessità politica di introdurre il socialismo. Contro la teoria Tugan-Baranovsky dello sviluppo capitalistico senza restrizioni, che partiva dal fatto che il capitale crea i propri mercati ed è in grado di superare le sproporzioni di sviluppo - teoria che ha influenzato tutto il movimento riformista - Kautsky [*13] elaborò la sua teoria del sottoconsumo, in modo da spiegare così l'inevitabilità delle crisi capitaliste, crisi che avrebbero pertanto contribuito a creare le condizioni soggettive per la trasformazione del capitalismo in socialismo. Ma venticinque anni dopo, ammise apertamente di essersi sbagliato nella sua valutazione delle possibilità economiche del capitalismo, dal momento che «dal punto di vista economico, il capitale era diventato molto più dinamico di quanto non lo fosse 50 anni prima»[*14].
La mancanza di chiarezza e coerenza di Kautsky [*15] è arrivata al culmine allorché egli ha accettato le idee di Tugan-Baranovsky, che aveva precedentemente denunciato.
Questa mancanza era solo un riflesso di quello che era stato il suo cambiamento di atteggiamento generale nei confronti del pensiero borghese e della società capitalista. Nel suo libro, "La concezione materialista della storia", che è stato - secondo le sue stesse dichiarazioni il miglior prodotto finale del lavoro di tutta la sua vita -, in cui si occupa dell'evoluzione della natura, della società e dello stato per quasi 2.000 pagine, egli dimostra non solo il suo metodo puntiglioso di esposizione e la sua notevole conoscenza delle teorie e dei fatti, ma anche le sue molte idee sbagliate sul marxismo e sulla sua rottura definitiva con la scienza marxista. Egli dichiara apertamente che «di tanto in tanto le revisioni del marxismo sono inevitabili»[*16]. Ora accetta tutto ciò per cui ha apparentemente combattuto per tutta la vita. Non era più interessato solo all'interpretazione del marxismo, ma era pronto ad assumersi la responsabilità del proprio pensiero presentando la sua opera principale come una propria concezione della storia, che, senza essere totalmente distaccata da Marx ed Engels, ne era indipendente. Ora sostiene che i suoi maestri hanno limitato la loro concezione materialistica della storia, trascurandone troppo i fattori naturali. Basandosi non su Hegel, ma su Darwin, «egli vuole ora estendere il campo del materialismo storico alla sua fusione con la biologia»[*17]. Ma questo approfondimento del materialismo storico, alla fine risulta essere né più né meno che un ritorno al rozzo materialismo naturalistico dei precursori di Marx, cioè un ritorno alle posizioni della borghesia rivoluzionaria che Marx aveva superato nella sua critica di Feuerbach. Sulla base del suo materialismo naturalistico, Kautsky, come avevano fatto i filosofi borghesi prima di lui, non poteva fare a meno di adottare una concezione idealista dell'evoluzione sociale, la quale, trattando dello Stato, si confronta apertamente e completamente con le vecchie concezioni borghesi della storia dell'umanità vista storia degli Stati. Concludendo con lo Stato democratico-borghese, Kautsky afferma che «non c'è più spazio per un violento conflitto di classe. E' pacificamente, attraverso la propaganda e il sistema elettorale, che i conflitti possono finire, e che le decisioni possono essere prese»[*18]. Anche se è impossibile per noi qui poter rivedere in dettaglio tutto l'enorme lavoro di Kautsky [*19], dobbiamo dire che dimostra, dall'inizio alla fine, il carattere dubbio del "marxismo" del suo autore. Il suo rapporto con il movimento operaio, da un punto di vista retrospettivo, non è mai stato altro che la sua partecipazione a una certa forma di lavoro sociale borghese. Non c'è dubbio che egli non ha mai compreso la reale posizione di Marx ed Engels, o almeno che non ha mai sognato che le teorie potessero avere un rapporto immediato con la realtà. Questo studente marxista, apparentemente serio, non aveva mai veramente preso sul serio Marx. Come molti pii sacerdoti che si impegnavano in una pratica contraria al loro insegnamento, era possibile che egli non fosse nemmeno consapevole della dualità del suo pensiero e della sua azione. Non c'è dubbio che gli sarebbe sinceramente piaciuto essere in realtà quel borghese di cui Marx una volta disse che era «capitalista solo nell'interesse del proletariato». Ma egli, allo stesso tempo, rifiuterebbe anche un simile cambiamento della situazione, a meno che non fosse realizzabile in modo borghese, "pacifico" e democratico. Kautsky «rifiuta la melodia bolscevica che gli suona sgradevole all'orecchio», scriveva Trotsky, «ma non ne cerca un'altra. Per lui, la soluzione è semplice: il vecchio musicista, semplicemente si rifiuta di suonare lo strumento della rivoluzione» [*20] Verso la fine della sua vita, riconoscendo che le riforme del capitalismo ,che egli desiderava vedere attuate, non potevano però essere attuate con mezzi democratici e pacifici, Kautsky si rivoltò contro la sua stessa politica pratica, e proprio come, in altre epoche, era stato il difensore dell'ideologia marxista - la quale, totalmente avulsa dalla realtà, poteva servire solo i suoi avversari -, ora diventava il difensore dell'ideologia borghese del laissez-faire, che era invece così tanto lontana dalle condizioni reali della società capitalistica fascista nel suo processo di sviluppo fascista, e che ora serviva a quella società nello stesso modo in cui la sua ideologia marxista aveva servito la fase democratica del capitalismo. «Oggi» - dice nel suo ultimo lavoro - «ci lasciamo andare facilmente a disprezzare l'economia liberale. Ma le teorie di Quesnay, Adam Smith e Ricardo non sono affatto obsolete. Marx ha ripreso i principi essenziali e li ha perfezionati, ma non ha mai contestato il fatto che la produzione liberale di merci fosse la base migliore per lo sviluppo della produzione. La differenza tra Marx e i classici è la seguente: mentre questi ultimi consideravano la produzione di merci per conto privato come se essa fosse l'unica forma di produzione concepibile, Marx, da parte sua, riteneva invece che la forma di produzione più avanzata, la produzione di merci, in virtù del suo stesso sviluppo, creasse le condizioni per il passaggio a una forma di produzione superiore, quella produzione sociale, grazie alla quale la società – cioè la popolazione lavoratrice nel suo insieme – è in grado di gestire i mezzi di produzione, che d'allora in poi ruoteranno verso il soddisfacimento dei bisogni, e non più verso la creazione di profitto. Il modo di produzione socialista obbedisce alle proprie leggi, che sono quindi diverse sotto molti aspetti dalle leggi che regolano la produzione mercantile. Finché quest'ultimo predomina, tuttavia, funziona meglio se le leggi del suo movimento, scoperte nell'era del liberalismo, sono rispettate» [*21]. Queste idee appaiono molto sorprendenti in un uomo che aveva pubblicato le teorie di Marx sul plusvalore, un'opera che dimostrava esaurientemente «che Marx non ha mai approvato l'idea che i nuovi contenuti della sua teoria socialista e comunista avrebbero potuto essere derivati come una mera conseguenza logica. delle teorie totalmente borghesi di Quesnay, Smith e Ricardo» [*22]. La posizione di Kautsky, pertanto, fornisce le spiegazioni necessarie alla nostra precedente affermazione secondo cui egli era un eccellente allievo di Marx ed Engels. Ma lo era solo nella misura in cui il marxismo poteva adattarsi ai suoi concetti limitati di evoluzione sociale e di società capitalista. Per Kautsky, la "società socialista", cioè la conseguenza logica dello sviluppo capitalistico della produzione di merci, è in realtà solo un sistema capitalistico di Stato. Allorché confuse il concetto di valore di Marx, scambiandolo per una legge dell'economia socialista, se fosse stata applicata consapevolmente invece che lasciata alle operazioni "cieche" del mercato, Engels gli fece notare [*23] che per Marx il valore è una categoria strettamente storica; e che né prima né dopo il capitalismo essa è mai esistita, e non potrebbe esistere una produzione di valore che differisca da quella del capitalismo solo per la forma. Kautsky accettò l'affermazione di Engels, come si è poi manifestata nel suo libro "Le dottrine economiche di Karl Marx" (1887), dove considera anche il valore come una categoria storica. Ma poi, più tardi, in reazione alla critica borghese della teoria economica socialista, reintrodusse nel suo schema di società socialista - nella sua opera "La rivoluzione proletaria e il suo programma" (1922) - il concetto di valore, di mercato e di economia monetaria, così come quello di produzione di merci. Ciò che una volta era storico è così diventato eterno; ed Engels aveva parlato invano. Kautsky era tornato alle sue origini, alla piccola borghesia, quella che odia con la stessa forza sia il potere monopolistico che il socialismo, e che spera in un cambiamento puramente quantitativo della società, in una riproduzione allargata dello status quo, in un capitalismo migliore e più sviluppato, in una democrazia migliore e più completa, in opposizione a un capitalismo che raggiungeva invece il suo culmine nel fascismo, o si trasforma in comunismo. Se Kautsky, alla "economia" del fascismo ha preferito la conservazione della produzione liberale di merci e la sua espressione politica, ciò è perché egli era debitore a quest'ultimo sistema della lunga grandezza, e della breve miseria, che ha vissuto. Allo stesso modo in cui aveva protetto la democrazia borghese con la fraseologia marxista, ora oscurava la realtà fascista con la fraseologia democratica. E rivolgendo i loro pensieri al passato, invece che al futuro, ha reso i suoi seguaci mentalmente incapaci di un'azione rivoluzionaria. L'uomo che, poco prima della sua morte, venne cacciato da Berlino e fu condotto a Vienna dal fascismo in marcia, per poi essere trasferito da Vienna a Praga e da Praga ad Amsterdam, nel 1937 pubblicò un libro [*24], nel quale dimostra esplicitamente che una volta che un "marxista" compie il passo che lo porta da una concezione materialista a una idealista dello sviluppo sociale, egli può essere sicuro di arrivare prima o poi a quel limite di demarcazione del pensiero in cui l'idealismo si trasforma in follia. Oggi in Germania si dice che, mentre Hindenburg stava assistendo a una parata di truppe d'assalto naziste, si rivolse a un generale in piedi accanto a lui e disse: «Non sapevo che avessimo preso così tanti prigionieri russi». Anche Kautsky, nel suo ultimo libro, si è mentalmente attaccato a Tannenberg. La sua opera è una descrizione fedele dei diversi atteggiamenti assunti dai socialisti e dai loro precursori sulla questione della guerra dall'inizio del XV secolo ai giorni nostri. Ci mostra - ma Kautsky non se ne rende conto - quanto sia ridicolo il marxismo quando associa i bisogni e le necessità del proletariato a quelli della borghesia. Kautsky ha scritto il suo ultimo libro, come egli stesso ha detto, «per determinare quale posizione andrebbe presa, dai socialisti e dai democratici, nel caso che scoppiasse una nuova guerra, nonostante tutta la nostra opposizione fatta per impedirla» [*25]. E ha continuato, «non ci potrà essere una risposta diretta a questa domanda, fino a quando la guerra non sarà effettivamente qui, e saremo così tutti in grado di vedere chi è che ha provocato la guerra, e per quale scopo essa viene combattuta». Insomma, raccomandava che, «se scoppia la guerra, i socialisti dovrebbero mantenere la loro unità e garantire che la loro organizzazione superi la guerra sana e salva, in modo da poterne raccogliere i frutti nel caso che i regimi politici impopolari crollino. Nel 1914 l'unità è andata perduta, e stiamo ancora soffrendo per questa calamità. Ma oggi le cose sono assai più chiare di allora, la contrapposizione tra Stati democratici e antidemocratici è molto più chiara, e c'è da sperare che, se una nuova guerra mondiale finirà, tutti i socialisti saranno dalla parte della democrazia». Dopo le esperienze dell'ultima guerra, e la storia che si è svolta da allora, non c'è bisogno di cercare la pecora nera che causa le guerre, e anche il motivo per cui si combattono le guerre non è un segreto. Tuttavia, porre queste domande non è così stupido come si potrebbe pensare. Dietro questa apparente ingenuità c'è la determinazione a servire il capitalismo in una forma, mentre lo si combatte in un'altra. Si tratta di preparare gli operai alla guerra imminente, in cambio del diritto di organizzarsi in sindacati, di votare alle elezioni e di riunirli in formazioni che servano sia al capitale che alle organizzazioni operaie capitaliste. Si tratta della vecchia politica di Kautsky, che esige concessioni dalla borghesia in cambio della morte di milioni di operai nelle prossime battaglie capitalistiche. In realtà, proprio come le guerre del capitalismo, indipendentemente dalle differenze politiche degli Stati che vi partecipano e dai vari slogan che vi vengono usati, non possono essere altro che guerre per i profitti capitalistici e guerre contro la classe operaia, così , allo stesso modo, la guerra esclude anche la possibilità di scegliere tra la partecipazione condizionata e incondizionata alla guerra da parte dei lavoratori. Al contrario, la guerra, e anche il periodo che precede la guerra, si troverà a essere segnato da una dittatura militare, generale e completa, sia nei paesi fascisti che in quelli antifascisti. La guerra spazzerà via le ultime differenze che rimangono tra le nazioni democratiche e quelle antidemocratiche. E gli operai si schiereranno dietro Hitler nello stesso modo in cui si sono schierati dietro il Kaiser; serviranno Roosevelt nello stesso modo in cui servirono Wilson; e moriranno per Stalin come sono morti per lo zar.
Kautsky non era turbato dalla realtà del fascismo, poiché per lui la democrazia era la forma naturale del capitalismo. La nuova situazione era solo una malattia, una follia temporanea, qualcosa di veramente estraneo al capitalismo. Credeva veramente che una guerra per la democrazia avrebbe permesso al capitalismo di progredire verso il suo fine logico, cioè verso una vera comunità. E le sue previsioni del 1937 includevano frasi come questa: «È giunto il momento in cui sarà finalmente possibile sopprimere le guerre come mezzo per risolvere i conflitti politici tra gli Stati » [*26]. Oppure: «La politica di conquista dei giapponesi in Cina, degli italiani in Etiopia, è l'ultima eco di un'epoca passata, cioè del periodo dell'imperialismo. Difficilmente ci si può aspettare altre guerre di questo tipo» [*27]. Nel libro di Kautsky ci sono centinaia di frasi simili , e a volte sembra che tutto il suo mondo debba essere stato ridotto alle quattro mura della sua biblioteca, alla quale aveva trascurato di aggiungere i nuovissimi volumi della storia recente. Kautsky è convinto che anche senza la guerra il fascismo sarà sconfitto, che l'ascesa del capitalismo riapparirà, e che ci sarà un ritorno al periodo dello sviluppo pacifico verso il socialismo, come avvenne nel periodo precedente al fascismo. Ha illustrato la debolezza essenziale del fascismo, osservando che «il carattere personale delle dittature indica già che questo limita la loro esistenza alla durata della vita umana» [*28]. Credeva che dopo il fascismo ci sarebbe stato un ritorno alla vita "normale", a una democrazia astratta sempre più socialista, e che avrebbe continuato le riforme che erano iniziate nei giorni gloriosi della politica di coalizione socialdemocratica. Ora è ovvio che l'unica riforma capitalistica oggettivamente possibile oggi è la riforma fascista. E in effetti, la maggior parte del "programma di socializzazione" della socialdemocrazia, che essa non ha mai osato attuare, è stato nel frattempo attuato dal fascismo. Così come le richieste della borghesia tedesca non vennero soddisfatte nel 1848, bensì nel periodo successivo della controrivoluzione, anche il programma di riforma della socialdemocrazia, che non poté essere inaugurato durante il periodo del suo regno, è stato attuato da Hitler. Così, tanto per citare solo alcuni fatti, non fu la socialdemocrazia, ma Hitler a realizzare ciò che i socialisti desideravano da lungo tempo, vale a dire l'Anschluss dell'Austria: non fu la socialdemocrazia, ma il fascismo, che stabilì l'auspicato controllo statale dell'industria e delle banche; non fu la socialdemocrazia ma Hitler, che dichiarò il Primo Maggio una festa legale. Un'attenta analisi di ciò che i socialisti hanno veramente voluto fare, e non hanno mai fatto, rispetto alla politica effettiva perseguita dal 1933, rivelerà a ogni osservatore obiettivo che Hitler ha realizzato solo il programma della socialdemocrazia, ma senza i socialisti. Come Hitler, la socialdemocrazia e Kautsky si opponevano sia al bolscevismo che al comunismo. Anche un sistema completo di capitalismo di Stato, come lo è il sistema russo, è stato rifiutato da entrambi a favore di un mero controllo statale. E ciò che i socialisti non osavano fare e che era necessario per realizzare questo programma, i fascisti lo intrapresero. L'antifascismo di Kautsky illustra solo il fatto che, così come un tempo non poteva immaginare che la teoria marxista potesse essere completata dalla pratica marxista, in seguito non riuscì a capire che una politica di riforma capitalistica richiedeva una pratica di riforma capitalistica, che si rivelò essere la pratica fascista. La vita di Kautsky può insegnare agli operai che nella lotta contro il capitalismo fascista è necessario incorporare la lotta contro la democrazia borghese, la lotta contro il kautskismo. La vita di Kautsky si può riassumere, in tutta verità e senza alcuna malintenzione, in queste parole: da Marx a Hitler.
- Paul Mattick, da: "Anti-Bolshevik Communism", pubblicato da Merlin Press, 1978
- fonte Pantopolis -
NOTE:
[1] Der Sozialistische Kampf [La lotta socialista], Parigi, 5 novembre 1938, p. 271.
[2] K. Kautsky, Aus der Frühzeit des Marxismus [Gli inizi del marxismo], Praga, 1935, p. 20.
[3] Ivi, p. 93.
[4] Il Capitale, Libro I, VII, Sezione, Capitolo XXV.
[5] Die Internationale, primavera 1915.
[6] Le lettere di Lenin, Londra, 1937, p. 342.
[7] La rivoluzione sociale.
[8] K. Kautsky, Sozialisten und Krieg [I socialisti e la guerra], Praga, 1937, p. 673.
[9] Aus der Frühzeit des Marxismus, p. 50.
[10] Ivi, p. 112.
[11] Ivi, p. 155.
[12] Ivi, p. 273.
[13] Neue Zeit, 1902, n. 5.
[14] K. Kautsky, La concezione materialistica della storia, Berlino, 1927, vol. II, p. 623.
[15] I limiti delle teorie economiche di Kautsky e le loro trasformazioni nel corso della sua attività sono ottimamente descritti e criticati da Henryk Grossman nel suo libro:"La legge dell'accumulazione e del crollo del sistema capitalistico"(Lipsia, 1929), al quale si rimanda il lettore interessato.
[16] K. Kautsky, Die Materialistische Geschichtsauffassung. vol. II, p. 630.
[17] Ivi, p. 629.
[18] Ivi, p. 431.
[19] Rimandiamo il lettore alla critica approfondita di Karl Korsch all'opera di Kautsky ne "La concezione materialistica della storia. Un dibattito con Karl Kautsky", Lipsia, 1929.
20 L. Trotsky, Dittatura contro democrazia.
21 Sozialisten und Krieg [I socialisti e la guerra], p. 665.
22 K. Korsch, Karl Marx, New York, 1938, p. 92. Vedi anche: Prefazione di Engels all'edizione tedesca de La miseria della filosofia, 1884; e nel secondo volume del Capitale, 1895.
23 Aus der Frühzeit des Marxismus, p. 145.
24 Sozialisten und Krieg [I socialisti e la guerra].
25 Ivi, p. VIII.
26 Ivi, p. 265.
27 Ivi, p. 656.
28 Ivi, p.646.