martedì 2 luglio 2024

Tutti i futuri possibili…

«Sono incappato per la prima volta nella frase che uso come epigrafe» - scrive Ben Lerner nella sezione "Ringraziamenti" del suo romanzo del 2014, "10:04: A Novel" (in italiano, "Nel mondo a venire". Sellerio,2018) - «leggendo "Coming Community", di Giorgio Agamben, tradotto in italiano da Michael Hardt. Citazione che viene generalmente attribuita a Walter Benjamin». Il testo dell'epigrafe di Lerner è il seguente: «Fra gli chassidim si racconta una storia sul mondo a venire, che dice: là tutto sarà proprio come è qui. Come ora è la nostra stanza, così sarà nel mondo a venire; dove ora dorme il nostro bambino, là dormirà anche nell’altro mondo. E quello che indossiamo in questo mondo, lo porteremo addosso anche là. Tutto sarà com’è ora, solo un po’ diverso». Fin dall'inizio del suo libro del 1990, "La Comunità che viene" - già nella seconda sezione, dal titolo "Dal Limbo" - Agamben parla di bambini a partire da Tommaso d'Aquino, commentando che «secondo il teologo, infatti, la pena degli infanti non battezzati, che sono morti senz’altra colpa che il peccato originale, non può essere una pena afflittiva, come quella dell’inferno, ma unicamente una pena privativa, che consiste nella perpetua carenza della visione di Dio». Una "carenza", o "vuoto" che si espande all'infinito per tutta l'eternità. Questi bambini senza battesimo rimangono come sospesi, congelati in un'ambivalenza: come se fossero delle lettere rimaste senza destinatario - scrive Agamben - questi risorti sono rimasti a loro volta senza destino. Né beati come gli eletti, né disperati come i dannati, essi sono carichi di una letizia per sempre inesitabile: né eletti né condannati, essi sono carichi di una gioia che non finisce mai, che non si esaurisce mai (detta in termini più letterali, che non può essere venduta). Come commento alla parola "risorti", usata da Agamben per riferirsi ai bambini nel limbo: essa non è solo legata ai "risorti", ma mantiene anche un legame etimologico con l'idea di coloro che dipendono da una certa giurisdizione, o che cercano rifugio o asilo (ressort, ressortum, resortire).

Alla fine del suo romanzo, "Nel mondo a venire", Ben Lerner ritorna sull'inizio e spiega il testo che compariva in apertura, in epigrafe - una specie di performance ermeneutica che ripete il tema principale del libro: l' affermazione secondo cui il senso non ci viene mai offerto del tutto e, quando lo si fa (anche se in modo provvisorio e incompleto), ciò avviene sempre retrospettivamente ("comprendere" è giocare con il tempo: stare nel futuro che si è fatto presente e, da questa posizione impossibile, ripescare dal passato tutti i "futuri possibili", tutte le proiezioni e tutti i tentativi che sono stati pianificati/elaborati, promuovendo una comparazione con questo futuro che si è trasformato in presente). Tramite una rapida ricostruzione della genealogia dell'epigrafe (un racconto trovato in un libro di Agamben, solitamente attribuito a Walter Benjamin), Lerner costringe il lettore a rileggere l'epigrafe e forse, perché no, tutto il romanzo. Ovviamente Lerner non offre una versione completa della storia - egli si limita a mettere in campo questi due riferimenti – Agamben & Benjamin - omettendo però gli altri due nomi citati da Agamben in "La comunità che viene": Walter Benjamin aveva appreso da Gershom Scholem una "parabola sul regno messianico" , e l'aveva raccontata a Ernst Bloch; e quest'ultimo aveva poi incorporato la storia nel suo libro del 1930 "Spuren" ("tracce", "tracciati", "indizi", in italiano "Tracce", Garzanti 2006).

Ancora una volta, la cronologia viene rimescolata, e così attraverso la manifestazione di un esempio (una storia, a proposito della creazione discorsiva di un mondo possibile) ecco che viene veicolata una sorta di versione riassuntiva dell'argomento: il passato è ciò che accade - quando narriamo, nella posizione impossibile del presente - i vari futuri immaginati un tempo: «Tutto sarà com’è ora, solo un po’ diverso». Così facendo, Lerner utilizza per tutto il romanzo la frase finale del racconto in epigrafe, e lo fa tornando alla fonte (Walter Benjamin - anche se non si tratta esattamente di un "ritorno", dal momento che, per quanto non venga nominato, solo alla fine (nei "Ringraziamenti") veniamo a sapere che quello in epigrafe è Benjamin: nel momento in cui nell'indice delle illustrazioni cita l'Angelus Novus di Klee dalle Tesi sul concetto di storia - «Questa tempesta lo spinge irresistibilmente nel futuro, a cui volge le spalle (Walter Benjamin).» - un'immagine questa che nel suo romanzo viene avvicinata, da Lerner, al personaggio di Marty McFly, nel film "Ritorno al futuro": l'angelo di Benjamin, spinto in avanti dai venti del progresso si trasforma, così, in una figura del cinema, in qualcosa che riguarda direttamente la traiettoria del narratore (un film dell'adolescenza...)

fonte: Um túnel no fim da luz

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