In un momento chiave del celebre film sul generale Patton, un memorabile George C. Scott passeggia per il campo di battaglia a combattimento finito: terra sventrata, carri armati bruciati, cadaveri. Volgendo lo sguardo a quello scempio, esclama: «Come amo tutto questo. Che Dio mi aiuti, lo amo più della mia vita». È eloquente che James Hillman abbia scelto proprio questa scena, tanto spiazzante quanto rivelatrice, per introdurre il provocatorio tema del suo nuovo libro: la guerra come pulsione primaria e ambivalente della nostra specie – come pulsione, cioè, dotata di una carica libidica non inferiore a quella di altre pulsioni che la contrastano e insieme la rafforzano, quali l’amore e la solidarietà. Il presupposto è che se di quella pulsione non si ha una visione lucida ogni opposizione alla guerra sarà vana. Frantumando la retorica degli adagi progressisti – basati su una lettura caricaturale della «pace perpetua» teorizzata da Kant –, Hillman risale così, in perfetta consonanza con la sua visione della psicologia, al carattere mitologico e arcaico di tale ambivalenza, riassunto nell’inseparabilità di Ares e Afrodite. In questa prospettiva tutte le guerre del passato e del presente appariranno quindi semplici variazioni della guerra più emblematica dell’Occidente classico, quella cantata nell’Iliade. Ma soprattutto, ricorrendo a dettagliati rapporti dal fronte, a lettere di combattenti, ad analisi di esperti in strategia – oltre che a tutti gli scrittori e tutti i filosofi che alla guerra hanno tributato meditazioni decisive, da Twain a Tolstoj, da Foucault a Hannah Arendt –, Hillman ci guida a una scandalosa verità: più che un’incarnazione del Male, la guerra è in ogni epoca – lo dimostra la contiguità tra le descrizioni omeriche e i reportage dal Vietnam – una costante della dimensione umana. O meglio, troppo umana.
(dal risvolto di copertina di: James Hillman, "Un terribile amore per la guerra", Adelphi, pp.296, €22,80)
Leggere la guerra (e capirla)
- di Nicola Lagioia -
Alla fine del secolo scorso abbiamo vissuto un breve «sciopero degli eventi». Finita la guerra fredda ci siamo illusi che la Storia (cioè l'avventura umana fondata su violenza, prevaricazione, scontro di popoli e nazioni) si stesse trasfigurando. Se già allora sarebbe bastato guardare a due passi per ricevere smentita (la guerra civile nella Ex-Jugoslavia), i decenni successivi hanno smentito in modo sempre più evidente questa illusione, fino a vederla svanire del tutto adesso con l'invasione dell'Ucraina e la crisi in Medio Oriente. Riecco la guerra, non se n'era mai andata. Le trasmissioni televisive si sono popolate di esperti in geopolitica, i quali cercano di farci capire cosa sta accadendo, perché è accaduto, cosa potrebbe succedere.
La geopolitica è importante, ma da sola non basta. Dobbiamo provare a leggere la guerra anche come problema dell'umanità, una malattia della specie. Per farlo torna utile uno degli ultimi libri di James Hillman, "Un terribile amore per la guerra", secondo alcuni il testamento del grande psicologo junghiano scomparso nel 2011. Perché gli umani, si chiede Hillman - in modo troppo regolare per considerarla un'eccezione -, vanno ciclicamente alla guerra? Perché, in certi momenti della nostra storia, agiamo collettivamente sotto l'influsso di Marte? Cosa ci fa impazzire, cosa ci inebria in modo tanto oscuro? «Se non entriamo dentro questo amore per la guerra, non riusciremo né a prevenirla né a parlare di pace e disarmo», scrive Hillman, «nessuna sindrome può veramente essere strappata alla sua tragica fissità se prima non spingiamo l'immaginazione fin dentro il suo cuore». Dall'Iliade alle guerre contemporanee, un lungo e inquietante viaggio notturno, necessario per provare a leggere a una diversa profondità anche il periodo che stiamo vivendo.
- Nicola Lagioia - Pubblicato su Tutto Libri del 16/12/2023 -
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