Il 9 settembre 1979 settantamila ragazze e ragazzi si radunano allo stadio di Bologna; il giorno dopo un’identica folla riempie il Comunale di Firenze. Quei centoquarantamila giovani giunti da ogni angolo d’Italia per ascoltare i due concerti del Patti Smith Group sono, in buona parte inconsapevolmente, l’espressione di un’epoca: il punto di arrivo di un percorso in cui convivono l'anima del 1968 e quella del 1977, la rivolta contro la famiglia borghese e la protesta contro la società, la rivoluzione della musica rock e «l’orda d’oro» dei movimenti extraparlamentari. In Rumore rosso Goffredo Plastino ripercorre la miriade di fili nascosti intrecciati a questi due concerti leggendari, tracciando così un affresco storico e sociale dai colori accesi. Pagina dopo pagina, la cronaca di quei due giorni si spalanca infatti al racconto – corale e individuale – degli anni settanta, alla narrazione della nascita di un modo altro di concepire e vivere le canzoni e la politica, il pubblico e il privato. Alternando i documenti e le testimonianze dei presenti a fotografie e illustrazioni tratte dai giornali dell’epoca, i versi di Stefano Benni ai testi di Alberto Arbasino e Roberto Roversi, in quest’opera Goffredo Plastino dà prova di come la musica possa rivelarsi lo strumento perfetto per comprendere una realtà così inafferrabile, così complessa, dinamica e multiforme come quella che l’Italia vive in quegli anni. Ed è lì, racchiuso in due stadi, tra una rockstar e le moltitudini in tumulto, che si rende visibile l’universo di significati che ha investito una generazione intera.
(dal risvolto di copertina di: Goffredo Plastino, "Rumore rosso. Patti Smith in Italia: rock e politica negli anni settanta". Il Saggiatore, pagg. 306, € 25)
Quando patti cantava alla festa dell’unità
- Nel 1979 il Pci cominciò a organizzare eventi musicali per avvicinarsi ai giovani e volle Smith a Bologna e Firenze. Plastino nel suo bel libro «Rumore rosso» spiega il fenomeno come uno scontro sull’egemonia politica e culturale -
di Jacopo Tomatis
Il rock è stato la musica più esaltante del Novecento ma a noi toccano o il suo revival o i suoi cascami e – nell’idealizzazione del passato che infesta il nostro presente – si perde la complessità che caratterizzava la sua stagione d’oro. È una delle prime riflessioni che tocca il lettore di Rumore rosso, il libro che Goffredo Plastino (musicologo italiano da anni trapiantato in Uk, all’Università di Newcastle) ha dedicato al passaggio di Patti Smith in Italia nel 1979. I due concerti a Bologna e a Firenze della cantante, mitizzati negli anni da chi c’era (e anche da chi non c’era) rappresentano infatti uno snodo storico di grande rilevanza per comprendere sia il rock e i significati che ha assunto nel nostro Paese, sia l’articolato rapporto che quei significati intrattenevano con la cultura di sinistra. Da un lato, l’arrivo di Patti Smith coincide con il ritorno del pop internazionale in Italia dopo una fase di stop dovuta alla diffusa violenza (altro che pace e amore: all’epoca sui palchi si tiravano le molotov, oggi dai tornelli non passa neanche un tappo di plastica) e apre la stagione dei megaeventi negli stadi. Dall’altro, negli anni del riflusso, segna la simbolica fine di una stagione di fermenti culturali e politici che si era aperta con il ’68. In effetti, gli eventi ricostruiti da Plastino seguono l’ammissione da parte del Pci della propria difficoltà nell’«entrare in contatto con grandi masse della gioventù», come dichiara Enrico Berlinguer al Comitato centrale nel 1979. E così il più grande partito comunista da questo lato della cortina di ferro si butta nella gestione dei grandi eventi: in estate supporta il tour Banana Republic di Lucio Dalla e Francesco De Gregori, in settembre ingaggia Patti Smith per la Festa dell’Unità. Il libro – rigoroso nell’impianto, ma al contempo leggero per come affastella documenti e voci, stampa dell’epoca e memorie di oggi – sembra a tratti trasformarsi nel romanzo picaresco dei tardi 70 italiani, con una rockstar americana catapultata in mezzo a dinamiche troppo complesse per essere comprese e gestite tanto da lei quanto da chi sta contribuendo ad alimentarle. «A Bologna e Firenze vanno in scena non solo un gruppo di musicisti e una cantante rock, ma anche uno scontro sull’egemonia politica e culturale», scrive Plastino, ed è uno scontro di tutti contro tutti, una specie di battle royale dei rapporti fra politica e cultura in Italia – in un momento storico, oltretutto, in cui il rock stava definitivamente reclamando il suo posto nella “cultura” e in cui la politica si allontanava definitivamente dal cuore della vita sentimentale e civile degli italiani e delle italiane. I partiti di sinistra dell’arco istituzionale si scontrano con il movimento sul senso di organizzare eventi musicali collettivi. Il Pci si scontra con la Dc su come gestire i concerti e le politiche giovanili, e con sé stesso su come dare un senso politico a un evento che è inserito nel sistema di mercato. Ma è la stessa Patti Smith ad alimentare le interpretazioni divergenti. Dal 1975 (anno di uscita del primo album Horses) è stata dapprima celebrata come una versione al femminile di Bob Dylan, poi assorbita nel nascente movimento punk per diventare infine “la poetessa del rock”. Nel 1979 l’Italia l’accoglie come nessun altro Paese, e lei ricambia: omaggia Pasolini, dice di sentirsi vicina a Michelangelo e ad Anna Magnani, ma anche a Giovanni Paolo I. Prestigiosi editori pubblicano i suoi versi. Il primo numero della rivista «Alfabeta» la consacra in copertina, dove il suo nome appare insieme a quelli di Umberto Eco, Maria Corti e Renato Barilli. Al grido di “Patti è nostra” l’appartenenza politica e culturale di una cantante viene allora rivendicata più o meno da tutti, e durante il suo passaggio italiano più o meno tutti sembrano incrociarne la strada, apprezzarla o dissociarsi da lei: Isabella Rossellini la intervista girando per i canali di Venezia su una barca, Bifo Berardi le dice «ti odio» durante una conferenza stampa, Achille Occhetto la accoglie a nome del partito insieme a una delegazione in giacca e cravatta del Konsomol, ospite d’onore allo stadio di Firenze (non apprezzeranno particolarmente il concerto). E poi ci sono Luigi Nono (trascinato dalla figlia), Roberto Roversi, gli Skiantos, Stefano Benni, Michele Serra, Alberto Arbasino, Red Ronnie, Edoardo Sanguineti, Nanni Balestrini, Lotta continua e Autonomia operaia. Lo scontro è tanto sui giornali e sulle riviste quanto sul prato dello stadio: gli altoparlanti diffondono la voce registrata di papa Luciani e una pioggia di zolle d’erba bersaglia la cantante. Poi parte l’inno nazionale americano, e nella folla è «la fine del mondo». «È stato il concerto più bello della mia vita», commenterà Patti Smith al termine. Poco dopo scioglierà il gruppo. Tornerà a esibirsi dal vivo solo nel 1995. Davvero, non c’è più il rock di una volta.
- Jacopo Tomatis - Pubblicato su Domenica del 17/3/2024 -
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