martedì 26 novembre 2024

Tragediando…

«Vittima com'è di una disperata follia di annientamento e di distruzione, Antigone non ama nessuno, cosí come non ama sé stessa: il suo solo e vero amore è la morte». In una rilettura controcorrente della piú celebre figura tragica della classicità, Eva Cantarella smonta pezzo per pezzo le basi su cui si fonda il mito di Antigone. Per la sua determinazione a dare sepoltura al fratello Polinice, violando la legge cittadina per obbedire a una legge non scritta, Antigone ha rappresentato nei secoli il modello insuperato di chi si oppone a un regime tirannico, di chi reagisce di fronte ai diritti calpestati e negati, di ogni donna in lotta contro il potere maschile. Ma questa figura che sembra racchiudere in sé ogni virtú non corrisponde al personaggio cui Sofocle ha dedicato l’omonima tragedia oltre 2500 anni fa. Ed è esplorando la distanza tra mito e personaggio che Eva Cantarella mette in luce lati sorprendentemente negativi dell’eroina da tutti osannata e arriva a contestare il ruolo di despota attribuito a Creonte, protagonista di una drammatica vicenda umana e politica che lo rende una figura non meno interessante e non meno tragica. Proprio come in un’orazione, portando prove a sostegno della propria tesi e confutando gli argomenti di potenziali avversari, la piú grande studiosa italiana di diritto greco traccia un profilo di Antigone spiazzante e inevitabilmente divisivo.

(dal risvolto di copertina di: Eva Cantarella, "Contro Antigone. O dell’egoismo sociale". Einaudi Stile Libero Extra, pagg. 110, € 13)

L’Antigone equivocata
- Eva Cantarella legge la tragedia attraverso la lente del diritto e compie così una fondamentale operazione critica che restituisce una donna assai diversa dall’eroina romantica, dal mito -
di Nicola Gardini

Parliamo di Antigone. Basta il nome? O serve un riepilogo biografico? Brevemente. Suo padre è Edipo, divenuto re di Tebe dopo aver ucciso inconsapevolmente il proprio padre, Laio, e aver risolto l’enigma della Sfinge; sua madre Giocasta, che gli diventa moglie ignorandone l’identità. La madre, pertanto, le è pure nonna, così come il padre le è fratello. Al suo nome Sofocle intitola una tragedia, che costituisce la fonte principale per la nostra conoscenza del personaggio. La incontriamo già prima, accompagnatrice del padre vecchio e cieco, in un’altra tragedia sofoclea, l’Edipo a Colono. Prima di Sofocle praticamente di Antigone non si parla. Lui potrebbe anche essere il suo inventore, come ci ricorda Eva Cantarella in un libro recente, Contro Antigone. O sull’egoismo sociale, pubblicato da Einaudi. Proprio così: Contro Antigone. L’accostamento di queste due parole non ha dell’inverosimile? Com’è che all’improvviso qualcuno decide di prendersela con Antigone, l’eroina più amata della letteratura classica? Prima di parlare del nuovo lavoro di una delle nostre maggiori studiose e saggiste, guardiamo ai fatti della tragedia. Antigone decide di dare sepoltura al fratello Polinice, che è caduto combattendo contro la città di Tebe. Un editto del re Creonte, succeduto legittimamente a Edipo (è fratello di Giocasta, ovvero zio di Antigone), vieta di dare sepoltura ai nemici. Antigone, pur sconsigliata dalla sorella Ismene, persegue il suo piano. Nottetempo viene colta in flagrante e arrestata. Il fatto che sia nipote di Creonte e addirittura fidanzata del figlio di Creonte, Esone, non le fa sconti. Né la scagiona l’intercessione di Esone. Ben felice di onorare la legge dei morti, ovvero degli dei, come lei si ostina ad affermare, Antigone si lascia rinchiudere in una grotta e, assai prima che l’inedia abbia la meglio, si impicca. Nella sua rovina trascina anche Esone, il quale, giunto troppo tardi per salvarla, si trafigge con la spada accanto al suo cadavere, ed Euridice, madre di Esone, moglie di Creonte, la quale, appresa la morte del figlio, si toglie a sua volta la vita. Creonte, non avendo ottenuto dal suo rigore che dispiaceri, si augura di morire al più presto a sua volta.
Eva Cantarella osserva questo plot notissimo attraverso la lente del diritto, compiendo una fondamentale operazione critica, che la stragrande maggioranza dei moderni lettori della tragedia hanno evitato ed evitano di compiere: distinguere l’Antigone personaggio dall’Antigone mito. Almeno dal periodo romantico, quando Antigone è divenuta emblema della ribellione e della pietà anti-tirannica, non facciamo che scambiare l’Antigone mito per l’Antigone personaggio, le nostre proiezioni post-1789 per la realtà della fanciulla sofoclea. Se stiamo a una lettura storica e non mitizzante, qual è quella che Eva Cantarella ci offre adesso, Antigone non è un’eroina libertaria, non è una vittima, non è la portavoce di una legge migliore. Lei, anzi, è una negatrice della legge, perché si sottrae alle regole della polis. È un’impolitica, che agisce da sola e, così facendo, esautora il principio ordinatore su cui si basa la vita della comunità. Io trovo persuasiva questa interpretazione, con tutto che anch’io mi sia inchinato per gran parte della mia vita al mito, vedendo in Antigone, fin da ragazzo, un modello di disobbedienza e di determinazione, anzi, di ostinazione, un po’ simile a quella del Barone rampante di Italo Calvino, che si prende tutta la ragione a costo della più faticosa solitudine. Antigone va anche più in là: lei, pur di disobbedire, corre incontro alla morte. E proprio questo non va giù a Eva Cantarella. E proprio questo, se la sua lettura va accolta, non va giù a Sofocle. Antigone, insomma, nega la vita; ama i morti e ama la morte (il fidanzato manco lo nomina una volta, come se non esistesse, sottolinea l’autrice), mentre, per i greci antichi, fin dai tempi di Omero, la vita costituisce l’unica grande occasione che noi esseri umani abbiamo.
Creonte, allora, come dobbiamo intenderlo? Secondo la Cantarella è un personaggio positivo, ed è il vero protagonista della tragedia. Incarna la legge (non la tirannide, sebbene Antigone non smetta di trattarlo da tiranno) ed è quello che più paga, perdendo figlio e moglie. Ma perché deve pagare tanto, se non è il malvagio che si pensava? La Cantarella ammette che Creonte ha le sue pecche, ma lo considera fondamentalmente alla luce della nuova contrapposizione che nasce dalla sua preliminare revisione critica del significato di Antigone. Io credo che Creonte, alla fine, paghi per esser stato intransigente, per non aver saputo negoziare, nonostante abbia agito per il puro e semplice rispetto della legge. Antigone è un dramma del ragionamento e della capacità di decidere. E un’analisi del lessico questo lo mette sotto gli occhi molto chiaramente. Creonte, insomma, è l’uomo dei princìpi. La legge, tuttavia, si fa rispettare attraverso il confronto tra i punti di vista più che attraverso il dogmatismo. Alla dialettica e all’alternativa, infatti, come gli ricorda il figlio Esone in un bellissimo discorso, occorre fare appello. A un certo punto, Creonte lo capisce; ammette di esser stato rigido. E lo capisce appena prima che tutto precipiti. Purtroppo, cioè per la fatalità immodificabile che impone la macchina del pensiero tragico, non riesce a fermare il meccanismo del disastro. La lettura della Cantarella semplifica con eleganza matematica il senso di un dissidio che è anche troppo facile fraintendere. In una tragedia greca, infatti, nessun personaggio ha mai tutta la ragione. Il messaggio esce ambiguo e multi-prospettico. La tragedia è il genere della pluralità, cioè della democrazia. La lezione etica e morale non uscirà dalla bocca di uno, ma dalla somma di tutte le differenze. Antigone, in fondo, non sbagliava ad amare il fratello e a volergli dare sepoltura. Creonte non sbagliava a voler difendere la legge e a impedire quella sepoltura. Eppure sbagliavano entrambi in qualche modo: lei per proterva negazione della vita civile, lui per sorda applicazione della lettera. Questo pensiero mi viene da fare, mentre concludo la lettura di Contro Antigone. E anche un altro: che la lettura dei classici è uno degli esercizi più difficili e necessari che possiamo svolgere. Occorrono responsabilità, precisione, lungimiranza; e molto anticonformismo. Ringraziamo Eva Cantarella per esser esempio di simili virtù, che hanno prodotto un discorso fermo e ponderato, e senza dubbio preparato il terreno per un utile dibattito.

- Nicola Gardini - Pubblicato su Domenica del 17/3/2024 -

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