Un Rebranding del Capitalismo
- La fine liberale come inizio autoritario: quando gli economisti liberali di sinistra scrivono parlando della fine del capitalismo, si riferiscono alla sua formazione autoritaria -
di Tomasz Konicz
«perché là dove mancano i concetti s'offre, al momento giusto, una parola.
A parole si litiga meravigliosamente, a parole si tracciano i sistemi,
alle parole è un piacere credere, alle parole non si ruba un iota.»
(Dal Faust di Goethe)
Finalmente! Dopo tutti questi anni [*1] in cui i critici del valore - simili a predicatori solitari nel deserto - hanno affrontato l'impulso autodistruttivo del capitale e messo in guardia circa il collasso [*2] del processo civilizzatore, dovuto all'incompatibilità tra capitalismo e salvaguardia del clima [*3], sembra che ad affrontare la questione ora ci sia arrivata anche la parte dominante dell'opinione pubblica. Se consideriamo la crisi sistemica, nei confronti della quale tutti gli approcci che pregano per la salute del capitale [*4] sono destinati a fallire, ciò non dovrebbe sorprendere affatto. Benché il "Partito della Sinistra", opportunisticamente disonesto, all’interno del quale le bande nazional-sociali si contendono l'egemonia[*5] con quelle liberali di sinistra, resta fedele alla sua monotona demagogia sociale, abbiamo visto se non altro che Ulrike Herrmann, economista del quotidiano "Taz", organo della sinistra-liberale del partito dei Verdi che è al governo, ha scritto un libro su "La fine del capitalismo", il cui sottotitolo dichiara l'incompatibilità esistente tra "crescita" e salvaguardia del clima. [*6]
Non è fantastico tutto questo ? La teoria radicale della crisi di Herrmann, completamente emarginata per anni, e non solo sul "Taz", sembra ora diventare "mainstream"! L'ex keynesiana Herrmann, che fino al 2018, nel suo bestseller "Senza capitalismo non c'è nemmeno una soluzione", si rifiutava di lasciar morire il suo amato capitalismo - arrivando perfino a fraintendere Karl Marx - ora non vede più alcuna alternativa al cambiamento del sistema. Herrmann - a differenza di molti ultraconservatori di sinistra che sono rimasti ancora bloccati nel XIX secolo - sembra che in pochi anni sia riuscita a mettere in atto un enorme cambiamento di idee, passando, da che era una sostenitrice della buona salute del capitalismo, a diventare una post-capitalista. Meglio tardi che mai! Che importa se alcune di quelle che sono le sue affermazioni centrali del nuovo libro possono dare l'impressione di essere state semplicemente copiate da alcuni testi di critica del valore, senza che ne sia stata fatta alcuna citazione delle fonti, o quanto meno un semplice riferimento a dove Herrmann abbia trovato improvvisamente le sue cognizioni, come quella relativa all'inevitabilità della "scomparsa" del capitalismo? Ad esempio, quando scrive che non esiste un'alternativa alla "rinuncia alla crescita", visto che altrimenti questa finirebbe violentemente, dal momento che sarebbe comunque arrivata ad aver «distrutto le basi della vita» [*7], questo appare come una resa - certo alquanto vaga - a quella che è una tesi centrale della critica del valore [*8]. La stessa cosa vale anche per l'osservazione della (ex?) fan di Keynes, secondo la quale i programmi di stimolo keynesiani rilanciano l'economia in tempi di crisi, ma allo stesso tempo alimentano letteralmente la crisi climatica [*9].
Sia nei media che nelle politiche tardo-borghesi, dove la concorrenza e il diritto d'autore sono sacri, il furto intellettuale viene considerato come un reato grave; esso viene combattuto per mezzo di veri e propri "cacciatori di plagi", e può perfino arrivare a porre fine alla carriera di politici o di giornalisti. Herrmann sembra che stia attingendo in maniera sfacciata al background della teoria della crisi della critica del valore, che per anni è stata sistematicamente emarginata, soprattutto nel suo giornale, senza che mai venisse citata. Per quelli che sono gli standard della sua classe media liberale tutto ciò è inaccettabile, si avvicina al furto intellettuale.
Ma nell'ambito della sinistra, delle forze progressiste ed emancipatrici, valgono regole diverse. L'ideale è che prevalga un approccio "open source", per così dire. In questo caso, perciò, la conoscenza teorica e le scoperte sono beni comuni che possono e devono essere diffusi, e soprattutto criticati e sviluppati da tutte le parti interessate. La conoscenza è un processo collettivo che matura e si ottiene nella discussione dialettica, nella disputa. E il libro di Herrmann sembra voler soddisfare una rivendicazione progressista che è centrale nella manifesta crisi sistemica - in contrasto con la maggior parte delle emanazioni intellettuali provenienti dal "partito della sinistra": viene sottolineato in maniera chiara che per sopravvivere è necessario superare il capitalismo. Pertanto bisogna anche tener conto del fatto che Herrmann agisce come un fattore "moltiplicatore". Con le sue apparizioni sui media, e con un appoggio mediatico che comprende i verdi e i liberali, come è consuetudine nella scena della sinistra, può raggiungere decine o - se le cose vanno bene - perfino centinaia di migliaia di persone.
E quindi, in tal modo, di fronte a una crisi sistemica manifesta, la lotta per un futuro post-capitalista sta finalmente diventando mainstream? O, per dirla in altre parole: il libro di Herrmann è un contributo avanzato e progressista al dibattito sulla crisi? Certo, qualche dubbio iniziale può anche nascere, a partire dall'elogio sperticato che Herrmann fa del capitalismo per quelli che sarebbero stati i suoi presunti meriti (democrazia! prosperità! comodità!), prima di arrivare a discutere dei limiti ecologici del suo sviluppo. Qui ovviamente entra in gioco la visione ristretta della classe media bianca tedesca, che ignora assolutamente quali sono le condizioni catastrofiche della periferia del sistema globale e del sottoproletariato dei centri. Ma anche così, si potrebbe qui ancora sostenere che l'elogio del capitalismo avrebbe lo scopo di attenuare quella necessaria frattura che proprio la classe media subirebbe, separandosi mentalmente dalla sua gabbia dorata capitalistica del pensiero. All'opposto, però, diventa più difficile mantenere una valutazione positiva della sua argomentazione nel momento in cui Herrmann, facendo riferimento allo slogan «System Change, not Climate Change», comincia a sviluppare alcune specifiche assai concrete relative a una forma "alternativa" di modello economico; le quali assomigliano in modo assai sospetto al vecchio capitalismo di Stato degli anni Trenta. L'economista del "Taz" fa riferimento, in un modo molto specifico, all'economia britannica del periodo bellico, la quale dovrebbe servire da modello a un'alternativa post-capitalista (per inciso, l'economia nazista del periodo bellico, a parte l'eccezione del lavoro forzato negli ultimi anni di guerra, per le sue caratteristiche di base non si differenzia quasi da quel modello). La pianificazione statale, il razionamento e la rinuncia ai consumi sono i metodi per ridurre rapidamente le emissioni. Insomma, alla fine Herrmann chiede che a ogni cittadino venga assegnato il medesimo limite di CO2, di una tonnellata all'anno, in modo che i ricchi dovranno limitarsi molto più della classe media o dei poveri.
Questo appello al capitalismo di Stato, viene affiancato da alcune idee ecologiche alternative provenienti dall'ambito dei Verdi: il movimento della post-crescita, l'economia di scambio o l'economia del bene comune. L'utilizzo condiviso dei beni, la riduzione dell'orario di lavoro, il reddito di base incondizionato, il riorientamento professionale sono tutte cose che in questo contesto vengono citate come misure di accompagnamento di una "economia di sopravvivenza" pianificata dallo Stato [*10]. Il capitalismo di Stato con una spruzzata di verde, per così dire. La rinuncia al consumo a partire da un razionamento dei beni organizzato dallo Stato, e corsi di yoga comunitari: sarebbe questa la cosiddetta "alternativa sistemica" di Herrmann, la quale può essere venduta come tale solo perché la giornalista si guarda bene dall'elaborare un concetto di Capitale, come nella sua recensione del libro ha osservato anche il settimanale "Freitag" [*11]. Che poi questo Capitale sia un processo illimitato di valorizzazione del lavoro salariato nella produzione di merci - una totalità che modella l'intera società a sua immagine e somiglianza [*12] - Herrmann già lo sospettava almeno a partire dal suo libro precedente, quando discuteva di Marx [*13]. Di tutto ciò, quel che rimane è solo il discorso regressivo e nebuloso sulla "crescita". Semplicemente, non è affatto chiaro cosa Herrmann intenda per capitalismo, facendo in modo che in questo modo le istituzioni, i processi o i fenomeni capitalistici possano essere venduti come post-capitalisti. La rinuncia al consumo auspicata da Herrmann, implica la continuazione del consumo, il quale è solo un'espressione della produzione di merci. Il consumo, a differenza della soddisfazione dei bisogni, è sempre un consumo di merci, vale a dire un sottoprodotto della ricerca del massimo profitto. In una società post-capitalista, però, i bisogni umani dovrebbero essere liberati dal busto compulsivo della forma merce. Herrmann vorrebbe quindi abolire il capitalismo e allo stesso tempo mantenere la «forma elementare» (Marx) del capitale: la merce come portatrice di valore. Tuttavia, la liberazione dei bisogni dalla costrizione a consumare nella forma della merce - cosa necessaria nel post-capitalismo - potrebbe far risparmiare enormi quantità di risorse, senza che questo venga percepito come «rinuncia al consumo».
Oh certo, la proprietà privata dei mezzi di produzione deve ovviamente essere mantenuta in quello che sarebbe il superamento del capitalismo nella «economia privata pianificata democratica» (è questa la definizione che Herrmann dà del capitalismo di guerra britannico). Ma questa fraudolenta etichettatura post-capitalista che viene usata da Herrmann si applica soprattutto allo Stato, che non è un contro-principio del mercato e del capitale, ma, nella sua veste di «capitalista globale ideale» (Marx/Engels), rappresenta un polo necessario delle società capitaliste, che serve a garantire il funzionamento del sistema nel suo complesso, come istanza correttiva. Storicamente, lo Stato ha svolto anche il ruolo di levatrice del capitale, attraverso la monetizzazione delle tasse feudali nella "gun economy" (Robert Kurz) dell'assolutismo, dipendendo a sua volta dal processo di valorizzazione del capitale attraverso le tasse [*14]. Senza una sufficiente valorizzazione del capitale, non esiste Stato; e viceversa. È questo il motivo per cui molti Stati della periferia sono collassati in serie nei famosi "fallimenti statali" avvenuti durante i fenomeni di crisi degli ultimi decenni, perché in essi la crisi economica del capitale si è spinta a tal punto che anche gli apparati statali si sono inselvaggiti. In questo suo feticcio di Stato compatibile con la classe media, l'autrice di "Taz" si dimostra quindi ancora una volta completamente keynesiana. E a questo punto ci si deve vergognare che Herrmann abbia copiato dalla critica del valore solo il lato ecologico del processo di crisi del capitale, senza coglierne adeguatamente la dimensione economica [*15]. L'attuale crisi sistemica non è una mera riedizione della crisi di imposizione (Robert Kurz) degli anni '30 e '40, allorché il fordismo fece irruzione scoprendo un nuovo regime di accumulazione attraverso la mobilitazione totale in vista della guerra [*16]. Non esiste alcuna prospettiva di un nuovo regime di accumulazione, ed è per questo che le tendenze all'erosione dello Stato si stanno diffondendo sempre di più, anche nei centri: In Germania, sotto forma di organizzazioni e bande di destra che agiscono con sempre più disinvoltura e sicumera ("Taz", ad esempio, ha riferito sui piani di colpo di stato della Uniter & Co.); e alle quali Herrmann vuole ora affidare il controllo della riproduzione della società nel suo complesso. In molti casi, il capitalismo di Stato è già una realtà di crisi: ad esempio in Cina, oppure nella figura dell'oligarchia di Stato russa, o anche in Egitto, dove l'esercito egiziano sta costruendo una "economia di guerra" senza guerra [*17]. L'espansione dello Stato e l'erosione dello Stato vanno spesso di pari passo [*18]. È ovvio che Herrmann respingerebbe con indignazione le insinuazioni secondo cui la Russia o l'Egitto sarebbero modelli per lei. Ma è questa - così come le reti statali naziste nella Repubblica Federale Tedesca - la dura realtà della crisi, non l'ideale keynesiano dello Stato regolatore imparziale. Anche lo Stato capitalista viene colpito dalla crisi socio-ecologica del capitale. E allo stesso tempo continua a essere un normale riflesso della crisi capitalistica, evidente da quanto detto sopra, il fatto che in tempi di crisi il ruolo dello Stato aumenti. Con il progredire della crisi, lo Stato autoritario e "brutalizzante" giocherà un ruolo maggiore .
Ed è per questo che le osservazioni di Herrmann dovrebbero essere descritte come ideologia, come giustificazione. Forniscono la giustificazione per la prossima era di gestione autoritaria della crisi da parte dello Stato nella crisi capitalistica sistemica, che nel frattempo non sta devastando solo la periferia, ma sta colpendo in pieno anche i centri. Probabilmente, la paura della crisi della classe media tedesca darà a questa fuga autoritaria nelle braccia di uno Stato apparentemente forte, un sostegno massiccio, di cui molto probabilmente beneficerà la destra tedesca (l'AfD è già in ascesa). Questa giustificazione si attua con lo sventramento del concetto di capitalismo, che così degenera e viene reso una mera frase vuota che poi può essere riempita con qualsiasi contenuto. È una strategia mutuata dall'industria pubblicitaria, dove è diventata un'abitudine riempire le parole di contenuti a piacimento: poiché il capitalismo è caduto in discredito a causa della sua crisi economica ed ecologica permanente, ora la sua forma di crisi deve ricevere una nuova denominazione, una nuova etichetta: secondo l'ideologia centrale della redattrice di "Taz", la gestione della crisi capitalista che Herrmann propaganda non sarebbe più capitalismo. Ed è per questo che Herrmann non fornisce una definizione di capitale, e viene criticata da "Freitag": deve rimanere vaga per far funzionare il trucco del giocoliere ideologico. Gli attori del Partito Verde, il partito dei tagli sociali dell'Agenda 2010 e delle guerre di aggressione al diritto internazionale, ora sono alla guida della produzione di ideologia nella crisi climatica: la chimera del "capitalismo verde", propagandata con successo per anni, sta ora cedendo il passo alla mera ri-etichettatura - come post-capitalismo - della minacciosa gestione autoritaria della crisi. Tutto ciò esprime un'astuzia mefistofelica, con cui l'ideologia viene innalzata a un nuovo livello: per mezzo di parole vuote si fa un rebranding del capitalismo, che nel frattempo, a causa della sua crisi permanente, sta godendo di una pessima reputazione.
Ecco perché diventa legittimo anche indignarsi per il fatto che Herrmann, qui assolutamente nelle vesti di soggetto borghese della concorrenza, commette quasi un furto intellettuale, sottraendo da quello che è il loro contesto teorico le intuizioni centrali della critica del valore, incorporandole in forma distorta nella sua ideologia. Ma un tale modo di procedere, è caratteristico di questo ambiente in rapida brutalizzazione che è costituito dalla classe media nella sua spietata competizione per la crisi, che va giudicata anche secondo i suoi stessi standard di copyright. Per finire, vale la pena notare come questo feticcio dello Stato tardo-keynesiano - anche nella sua versione idealizzata e in gran parte slegata dalla realtà - non abbia nulla a che fare con l'emancipazione, se intesa come superamento del feticismo capitalista e del suo assurdo regime di coercizione che ci sta portando al collasso socio-ecologico. L'emancipazione non è un "discorso vuoto" promosso da "brave persone", ma è la necessaria e consapevole formazione del processo di riproduzione visto nel contesto di un discorso sociale egualitario globale assolutamente conflittuale. Il prerequisito per l'emancipazione dal capitalismo (e non nel capitalismo; cosa che contraddice qualsiasi emancipazione) consiste nell'avere un concetto di emancipazione. Sfortunatamente, alcuni esponenti della sinistra non sono in grado di abbandonare le loro cattive abitudini per cui non riescono a misurarsi realmente con il livello di critica categoriale richiesto dalla critica del valore [*19].
- Tomasz Konicz - Pubblicato su Exit! il 23/12/2022
NOTE:
1 https://www.konicz.info/2008/07/14/mit-vollgas-gegen-die-wand/
2 https://konkret-magazin.shop/texte/konkret-texte-shop/66/tomasz-konicz-kapitalkollaps
3 https://www.mandelbaum.at/buecher/tomasz-konicz/klimakiller-kapital/
4 http://www.obeco-online.org/tomasz_konicz11.htm
5 https://francosenia.blogspot.com/2022/10/autunni-caldi.html
6 https://www.deutschlandfunk.de/ulrike-herrmann-sieht-kapitalismus-am-ende-100.html
7 https://www.deutschlandfunk.de/ulrike-herrmann-sieht-kapitalismus-am-ende-100.html
8 https://www.konicz.info/2019/05/27/minimalprogramm/
9 https://www.nd-aktuell.de/artikel/1147322.klimaschutz-die-weltverbrennungsmaschine.html https://www.heise.de/tp/features/Das-Virus-die-Weltwirtschaft-und-das-Klima-4679329.html
10 https://taz.de/Kapitalismus-und-Klimaschutz/!5879301/
11 «Purtroppo, l'autrice non ci fornisce un concetto chiaro di ciò che vuole chiamare capitalismo nella sua essenza, anche se questo sarebbe effettivamente necessario per spiegare la necessità della fine del capitalismo. Fonte: https://www.freitag.de/autoren/der-freitag/das-ende-des-kapitalismus-ulrike-herrmann-will-geplante-kriegswirtschaft
12 https://francosenia.blogspot.com/2022/10/le-cose-non-continueranno-essere-cosi.html
13 https://de.wikipedia.org/wiki/Kein_Kapitalismus_ist_auch_keine_L%C3%B6sung#Karl_Marx
14 https://francosenia.blogspot.com/2016/03/madama-la-bombarda.html
15 https://www.untergrund-blättle.ch/wirtschaft/schuldenberge-im-klimawandel-7112.html
16 https://exit-online.org/textanz1.php?tabelle=autoren&index=37&posnr=49&backtext1=text1.php
17 https://carnegie-mec.org/2022/01/31/retain-restructure-or-divest-policy-options-for-egypt-s-military-economy-pub-86232
18 https://francosenia.blogspot.com/2022/06/il-tempo-dei-mostri.html
19 https://www.konicz.info/2022/12/10/das-geruecht-ueber-die-wertkritik/ Em Português
FONTE: EXIT!
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