Si potrebbe ragionevolmente supporre che l’autore di 1984, uno degli scrittori piú politicamente e attivamente impegnati del nostro tempo, l’accanito fumatore che immaginiamo curvo sulla macchina da scrivere come se ci fosse incatenato, avrebbe condannato in maniera categorica l’irresponsabile apatia di colleghi come Henry Miller, la cui visione politica risultava a suo modo di vedere sprovveduta, autoreferenziale, come minimo disinvolta. Eppure, nel suo celeberrimo saggio del 1940, lo scrittore inglese antifascista per antonomasia compie un gesto di autoriale generosità: riconosce agli artisti il diritto di trovare rifugio «nel ventre della balena». A partire dall’incontro tra Orwell e Miller, e tramite incursioni nel pensiero di altri leggendari scrittori come Albert Camus e l’Italo Calvino di La giornata d’uno scrutatore, Ian McEwan ci conduce al nocciolo della questione: ammesso che alla sua base ci sia un’esperienza personale autentica, un romanzo politico potente ed efficace è possibile. E tuttavia, soprattutto all’interno del nostro mondo iperconnesso, lo scrittore non deve perdere di vista il lusso della solitudine. Negli ultimi decenni l’artista è costantemente sollecitato a staccarsi dal comodo ventre della balena per nuotare in una realtà di catastrofi, eventi politici, morti di personaggi venerati e fragori e turbolenze dei social media. Se questo rischia di condurlo troppo distante da quella che Henry James chiamava la «vita percepita», ovvero il dettaglio, la banalità del quotidiano, è bene che lo scrittore riesca a raggiungere di nuovo, almeno per un poco, un luogo silenzioso e riparato da cui poter osservare il mondo e immaginare.
(dal risvolto di copertina di: Ian McEwan, "Lo spazio dell'immaginazione". Einaudi, pp. 56 € 12,00)
Ian McEwan e la solitudine dell’intellettuale
- di Franco Marcoaldi -
Ian McEwan ci ha abituato ad alternare prove narrative, animate da colori e timbri i più diversi, con puntuali interventi di chiaro intento etico-politico. Ora prende di petto la vexata quaestio dell’impegno dell’intellettuale con un pamphlet incentrato sulla dualità Orwell-Miller e intitolato Lo spazio dell’immaginazione (Einaudi). Difficile trovare nel Novecento due posizioni così antitetiche. George Orwell è lo scrittore politico per antonomasia, Henry Miller lo scettico blu, l’edonista che mai e poi mai lascerebbe una sua sola parola in pasto alla politica. Solo che il primo, Orwell, è infinitamente più generoso e riconosce all’altro tutto il diritto di starsene tranquillo “nel ventre della balena”, come intitolerà un suo famoso saggio. Da qui parte McEwan, che si chiede: a fronte di un mondo che rovina davanti ai nostri occhi, è giusto che lo scrittore coltivi il proprio orto, senza preoccuparsi di quanto accade di fuori? E poi: siamo così sicuri che sussista ancora quello stato di beata solitudo, o ormai vale anche «per lo scrittore ciò che è vero per chiunque altro?». E cioè, che «perfino nel ventre della balena arriva la banda ultraveloce?». Tanto che «l’abolizione della solitudine è uno degli aspetti angosciosi del mondo distopico orwelliano, nel quale spegnere la tv è vietato?».
McEwan, che pure ritiene possibile scrivere bei romanzi politici (lui stesso ne ha scritti), e che sicuramente simpatizza in modo esplicito per Orwell, ritiene comunque indispensabile lasciare allo scrittore quella “divina libertà” di cui parlava un altro super-impegnato come Albert Camus riferendosi alla musica di Mozart. In fin dei conti, preservare con le unghie e con i denti “lo spazio dell’immaginazione” è anch’esso in ultima istanza un atto politico. Perché l’umanità tutta dovrebbe menare vanto di tale atout, la più formidabile arma per creare «nuove forme di bellezza, nuove visioni, nuove rotture».
Oggi, si sa, vanno contemporaneamente in scena: catastrofe climatica, possibili guerre nucleari, un’ingiustizia sociale intollerabile e repentine involuzioni democratiche. In mezzo ci siamo noi: «La nostra formidabile intelligenza», scrive McEwan, «in disperato conflitto con la nostra formidabile stupidità». Già. Ma quanto più la seconda sembra prevalere, tanto più va salvaguardato «il retrobottega dell’anima», per dirla con Montaigne. Perché è li che alberga, poca o tanta, la potenza liberatoria dell’immaginazione.
- Franco Marcoaldi - Pubblicato su Robinson dell'8/10/2022 -
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