martedì 20 dicembre 2022

Ben scavato vecchia talpa !!

Il tasso di profitto statunitense nel 2021
- di Michael Roberts -

Ogni anno, analizzo il tasso di profitto del capitale negli Stati Uniti. E questo perché i dati statunitensi sono i più esaurienti e i migliori, dal momento che gli Stati Uniti sono la più importante economia capitalistica, la quale spesso delinea quali sono le tendenze del capitalismo globale. Ora abbiamo i dati per il 2021 (limite a cui arrivano i dati nazionali ufficiali). Per misurare il tasso di profitto, ci sono molti modi (alla maniera di Marx: vedi http://pinguet.free.fr/basu2012.pdf). Io preferisco misurarlo guardando al plusvalore totale di un'economia, visto in relazione al capitale privato totale che viene impiegato nella produzione; per cercare di avvicinarmi il più possibile alla formula originale di Marx di s/(C+v) - dove s = plusvalore; C = capitale costante – il quale dovrebbe includere sia le attività fisse (macchinari, ecc.) sia il capitale circolante (materie prime e componenti intermedi); e dove v = salari o costi dei dipendenti. I miei calcoli possono essere replicati e verificati facendo riferimento all'eccellente manuale che spiega il mio metodo, gentilmente compilato dallo svedese Anders Axelsson. Definisco il mio calcolo come una misurazione «di tutta l'intera economia», a partire dal fatto che essa,  per calcolare il plusvalore (s), si basa: sul reddito nazionale totale al netto degli ammortamenti e delle retribuzioni dei lavoratori; sul capitale fisso privato non residenziale al netto del capitale costante (e pertanto non include il governo, le abitazioni e gli immobili) (C); e sulle retribuzioni dei lavoratori per quel che riguarda il capitale variabile (v).

Ma, come detto in precedenza, il tasso di profitto può essere misurato solo sul capitale aziendale, o solo sul settore non finanziario del capitale aziendale.  Inoltre, i profitti possono essere misurati al lordo o al netto delle imposte, e la parte fissa del capitale costante può essere misurata in base al suo «costo storico» (il costo originario di acquisto) oppure al «costo corrente o di sostituzione» (cioè, quanto vale ora o quanto costerebbe sostituire il bene ora). In esso possiamo anche includere il capitale circolante (materie prime e componenti utilizzati in un periodo di produzione) oltre che alle immobilizzazioni (macchinari, uffici, ecc.).
C'è stata un grande dibattito a proposito di quale misura di capitale fisso utilizzare, per meglio avvicinarsi alla visione marxiana. Per una spiegazione di questo dibattito, si possono vedere i miei post precedenti e il mio libro "La lunga depressione" (appendice). Le immobilizzazioni possono essere misurate in quanto costi storici (HC) o in quanto costi correnti (CC). La differenza è causata dall'inflazione. Se l'inflazione è elevata, come tra gli anni '60 e la fine degli anni '80, la divergenza tra le variazioni della misura HC e della misura CC sarà maggiore - si veda http://pinguet.free.fr/basu2012.pdf.  Quando l'inflazione diminuisce, si riduce anche la differenza tra le variazioni delle misure HC e CC. Nel corso del periodo dell'intero dopoguerra (fino al 2021) si è registrato un calo secolare del tasso di profitto statunitense del 27%, se misurato sull''HC, e del 26% se misurato sul CC. Pertanto, per una misurazione empirica del tasso di profitto sul lungo periodo, non c'è da scegliere tra le misure HC e CC. Più o meno coincidono!

Di solito, la maggior parte delle misurazioni marxiste esclude qualsiasi misurazione del capitale variabile, dal momento che la «retribuzione dei dipendenti» (salari più benefit) non rappresenta uno stock di capitale investito, quanto piuttosto un flusso di capitale circolante che si trasforma più di una volta all'anno; e questo tasso di turnover non può essere misurato facilmente a partire dai dati disponibili. Perciò la maggior parte delle misurazioni marxiste relative al tasso di profitto sono solo s/c.  Ma tuttavia, alcuni marxisti hanno fatto dei tentativi per misurare il turnover del capitale circolante e del capitale variabile in modo da poterli includere nel denominatore, ripristinando così la formula originale di Marx s/(C+v). Tra questi, Brian Green ha svolto un importante lavoro di misurazione del capitale circolante e del suo tasso di rotazione per l'economia statunitense, al fine di incorporarlo nella misura del tasso di profitto. Egli ritiene che ciò sia fondamentale per poter stabilire il corretto tasso di profitto, e come indicatore di probabili recessioni.  Ecco il post di Green a proposito del suo metodo: https://theplanningmotivedotcom.files.wordpress.com/2021/11/1997-2020-various-rates.pdf. Il lavoro svolto da Green, è prezioso poiché mostra le variazioni a breve termine dei tassi di plusvalore e di profitto causate dai cambiamenti del capitale circolante. Green considera queste variazioni a breve termine come un importante indicatore dei cicli di boom e di crollo in un'economia capitalista. Tuttavia esse non alterano in modo significativo le tendenze a lungo termine del tasso di profitto. Se includiamo il capitale circolante e il capitale variabile nella misurazione del tasso di profitto, questo farà la differenza sul livello del tasso di profitto, ma non la farà molto sull'andamento e sulle variazioni del tasso di profitto dal 1945. Precedentemente, ero solito fare i miei calcoli annuali del tasso di profitto statunitense, per l'intera economia e per il solo settore aziendale. Ma ora possiamo utilizzare l'eccellente database prodotto da Deepankur Basu e Evan Wasner (https://dbasu.shinyapps.io/Profitability/) relativo solo al settore delle imprese, e che è simile al mio metodo di misurazione del tasso di profitto. Ho quindi replicato i loro risultati, evidenziando dove il tasso di profitto è diminuito e dove è aumentato. La misurazione di Basu-Wasner esclude dal denominatore il capitale variabile.  È possibile però includerlo utilizzando il loro database, ma non fa molta differenza per quanto riguarda le tendenze e i punti di svolta del tasso di profitto dal 1945.  Il grafico in apertura mostra il tasso di profitto statunitense nel settore delle imprese fino al 2021.

Leggendo tale grafico, la prima cosa da notare è che la legge di Marx sulla tendenza al ribasso del tasso di profitto viene confermata dall'andamento del tasso di profitto statunitense: nel periodo 1945-2021 esso è sceso del 27%. Può anche essere notato l'enorme calo della redditività, dal 1965 al 1982, dal 23,2% al 13,5%. E si può individuare una ripresa durante il cosiddetto periodo neoliberista, a partire dal 1982, che arriva fino al 17,5% nel 2006. In seguito, il tasso di profitto scende gradualmente, ma lo fa seguendo una serie di boom e di crolli, in quello che io chiamo il periodo della Lunga Depressione, e he scende fino al 16,3%. A partire da questa misurazione, si nota anche che il tasso di profitto delle imprese statunitensi è aumentato, dal 1982 fino al picco del 2006. Si potrebbe pertanto sostenere, come hanno fatto alcuni, che se il tasso di profitto statunitense ha raggiunto un massimo di 25 anni nel 2006, allora la legge di Marx non andrebbe considerata come la spiegazione della Grande Recessione del 2008-9. Ma se però guardiamo solo al settore delle imprese non finanziarie (NFC), il quale costituisce una rappresentazione di quella che potremmo definire la parte «produttiva» dell'economia capitalista (nella quale i lavoratori creano nuovo valore per i capitalisti), ecco che allora la storia comincia a essere diversa. Nella teoria marxiana del valore, il settore finanziario non crea nuovo valore: ma si appropria di una parte del profitto estratto dal lavoro nel settore non finanziario (produttivo). Ed è proprio l'aumento dei profitti del settore finanziario, in particolare a partire dal 1997, che fino al 2006 distorce il tasso di profitto aziendale fino (si veda il grafico seguente).

Pertanto, l'analisi del tasso di profitto del settore non finanziario appare essere più rilevante di quella che è la salute complessiva dell'economia capitalistica statunitense. Se escludiamo dai dati l'aumento dei profitti finanziari, allora ecco che si scopre che la redditività del settore non finanziario ha raggiunto il suo picco molto prima del 2006, ovvero nel 1997.

Il grafico delle imprese non finanziarie (NFC) mostra anche come negli Stati Uniti, negli ultimi 75 anni, si sia verificata una caduta secolare del tasso di profitto del capitale non finanziario; alla maniera di Marx.  Basu-Wasner ha calcolato il calo medio annuo del tasso di profitto a -0,42%. Tra il 1945 e il 2021, il tasso di profitto delle NFC è sceso del 32%.  Nella cosiddetta «età dell'oro» del capitalismo statunitense del dopoguerra, il tasso di profitto delle NFC era assai elevato, con una media superiore al 20% e con un aumento del 6% nel periodo 1945-1965. Ma poi, tra il 1965 e il 1982, è arrivato il periodo di crisi della redditività, quando il tasso di profitto è sceso del 44%. Ciò ha provocato due grandi crolli, nel 1974-5 e nel 1980-2, e a partire dai primi anni Ottanta ha spinto gli strateghi del capitalismo a tentare di ripristinare il tasso di profitto per mezzo delle politiche "neoliberiste" di privatizzazione, attraverso l'annientamento dei sindacati, deregolamentazione della finanza e globalizzazione. Il periodo "neoliberista" 1982-97 ha visto il tasso di profitto nel settore non finanziario aumentare del 34%, anche se al picco del 1997 il tasso era ancora inferiore alla media dell'età dell'oro. Poi è arrivato un nuovo periodo di crisi della redditività, che ho ribattezzato la Lunga Depressione. In questo periodo, che comprende la Grande Recessione del 2008-9 e, naturalmente, il crollo del COVID del 2020, il tasso di profitto è sceso del 15%. Nel 2020, il tasso di profitto degli Stati Uniti nel settore non finanziario ha raggiunto il minimo da 75 anni a questa parte, per poi riprendersi nel 2021, ma ancora sempre al di sotto del tasso pre-pandemia nel 2019. Questo ci porta alle cause delle variazioni del tasso di profitto. Secondo Marx, le variazioni della redditività dipendono principalmente dal movimento relativo di due categorie marxiane nel processo di accumulazione: la composizione organica del capitale (C/v) e il tasso di plusvalore o sfruttamento (s/v). Quando C/v supera s/v, il tasso di profitto diminuisce e viceversa. Sulla base della misurazione dei costi correnti di Basu-Wasner, dal 1945 si è registrato un aumento secolare della composizione organica del capitale (OCC) del 40%, mentre il principale «fattore di contrasto» alla legge di Marx della tendenza alla diminuzione del tasso di profitto - il tasso di plusvalore (ROSV) - è diminuito leggermente del 5%. In questo modo, dal 1945 il tasso di profitto è sceso del 32% (vedi grafico sotto).

Nella crisi di redditività del 1965-82, il tasso di profitto delle NFC è sceso del 44%, mentre la composizione organica del capitale (OCC) è aumentata del 29% e il tasso di plusvalore (ROSV) è sceso del 28%. Al contrario, nel cosiddetto periodo "neoliberista" dal 1982 al 1997, il tasso di plusvalore è aumentato del 14%, mentre la composizione organica del capitale è diminuita del 15%, quindi il tasso di profitto è aumentato del 34%. Dal 1997, il tasso di profitto statunitense è diminuito di circa il 15%, perché la composizione organica del capitale è aumentata del 28%, superando l'aumento del tasso di plusvalore (8%).  In altre parole, nei primi due decenni del XXI secolo i capitalisti statunitensi del settore non finanziario hanno sfruttato ancora di più la forza lavoro, ma non abbastanza da fermare la caduta del tasso di profitto.  La legge di Marx sulla redditività è quindi confermata dai risultati in ciascuno di questi periodi, così come per l'intero periodo 1945-2021. Ho sostenuto in molti luoghi che la redditività del capitale è fondamentale per valutare se l'economia capitalista si trova in uno stato di salute o meno. Se la redditività continua a calare, alla fine la massa dei profitti inizierà a diminuire, e questo è il fattore scatenante di un crollo degli investimenti e di un collasso. Uno dei risultati più interessante dei dati, è quello secondo cui ogni recessione economica del dopoguerra, negli Stati Uniti, è stata preceduta da (o ha coinciso con) un calo del tasso di profitto e con un rallentamento della crescita dei profitti, se non da una vera e propria caduta della massa dei profitti. Ed è questo ciò che ciclicamente ci si aspetterebbe dalla legge di Marx sulla redditività. La Grande Recessione e il crollo pandemico del 2020 sono stati preceduti (o accompagnati) da dei cali particolarmente marcati della redditività e della crescita dei profitti.

Oramai sembra molto probabile che entro la fine di quest'anno, il 2022, le principali economie entreranno in un nuovo periodo di crisi, e questa volta solo tre anni dopo il crollo pandemico del 2020. Secondo gli ultimi dati pubblicati, nel terzo trimestre del 2022, gli utili societari statunitensi sono diminuiti. Infatti, nel trimestre i profitti delle imprese non finanziarie sono scesi di quasi il 7%.  Gli utili societari statunitensi sono rallentati al 4,4% su base annua rispetto al 7,7% su base annua del secondo trimestre, e in netto calo rispetto al picco di crescita annua del 22% registrato alla fine del 2021.  Gli utili non finanziari sono rallentati al 6,4% tendenziale.

All'inizio di quest'anno, c'è stata una contrazione dei profitti, e questo perché i salari, i prezzi delle importazioni e i costi degli interessi stanno aumentando più rapidamente dei ricavi delle vendite. I margini di profitto (per unità di prodotto) hanno raggiunto un picco (ad un livello elevato) mentre i costi unitari non legati al lavoro e i costi salariali per unità sono in aumento, e la produttività ristagna. La bonanza dei profitti post-pandemia è finita.  Quando avremo i dati completi sulla redditività delle imprese per il 2022, ci aspettiamo che sia scesa di nuovo, mentre entreremo in un nuovo crollo negli Stati Uniti nel 2023.

- Michael Roberts - Pubblicato il 18/12/2022 su Michael Roberts blog. Blogging from a Marxist economist

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