When the world is still counting the cost of the Second World War and the Iron Curtain has closed, eleven-year-old Roland Baines's life is turned upside down. 2,000 miles from his mother's protective love, stranded at an unusual boarding school, his vulnerability attracts piano teacher Miss Miriam Cornell, leaving scars as well as a memory of love that will never fade.
Now, when his wife vanishes, leaving him alone with his tiny son, Roland is forced to confront the reality of his restless existence. As the radiation from Chernobyl spreads across Europe, he begins a search for answers that looks deep into his family history and will last for the rest of his life.
From the Suez Crisis to the Cuban Missile Crisis, the fall of the Berlin Wall to the current pandemic and climate change, Roland sometimes rides with the tide of history, but more often struggles against it. Haunted by lost opportunities, he seeks solace through every possible means - music, literature, friends, sex, politics and, finally, love cut tragically short, then love ultimately redeemed. His journey raises important questions for us all. Can we take full charge of the course of our lives without damage to others? How do global events beyond our control shape our lives and our memories? And what can we really learn from the traumas of the past?
(dal risvolto di copertina di: IAN McEWAN, Lessons. JONATHAN CAPE Pagine 496, £ 20)
Il primo romanzo dell’età carolingia
- Ian McEwan ha pubblicato il nuovo libro in Inghilterra subito dopo la morte di Elisabetta.
Già salutato come un capolavoro, traccia la parabola di una vita e, forse, apre una stagione -
di Matteo Persivale
Il matematico Ulrich, uomo senza qualità del capolavoro di Robert Musil, pensava che la storia non fosse la creazione di un autore ma l'effetto di circostanze spesso secondarie, senza spazio per un erlösende Tat, un atto di redenzione. Il poeta e musicista Roland Baines, novant’anni dopo Ulrich, è l’uomo senza qualità del nuovo romanzo di Ian McEwan, Lessons (appena uscito nel Regno Unito e negli Stati Uniti, a marzo 2023 in Italia verrà tradotto da Einaudi), racconto di una vita fatta di «lezioni disimparate». Lezioni di musica e di vita attraversando la storia, dal 1943 al 2020, dalla Seconda guerra mondiale a oggi passando per la crisi dei missili a Cuba, la guerra fredda, la contestazione, il thatcherismo, Chernobyl, e così via fino ai giorni nostri, Brexit e Trump e il Covid-19. Attraverso 496 pagine impariamo a conoscere le idee politiche di Roland — Labour vecchia scuola, altra fonte di delusioni — e i suoi gusti in fatto di musica, di alcolici, di libri, i suoi pregiudizi, l’amore per il figlio Lawrence allevato in rarefatta ascesa solitaria sulle vette dell’essere genitore. Diventa, in poche pagine, un nostro amico: è doloroso salutarlo al termine di un romanzo lungo che finisce troppo presto.
I tre romanzi di McEwan più recenti — Nel guscio, 2017; Macchine come me, 2019; Lo scarafaggio, 2020, tutti pubblicati da Einaudi — erano brevi, sorprendenti, virtuosistici, quasi degli études: basta pensare a Nel guscio, la storia dell’Amleto narrata da un feto, pezzo di bravura con un incipit difficile da dimenticare: «Dunque eccomi qui, a testa in giù in una donna. Braccia pazientemente conserte ad aspettare, aspettare e chiedermi dentro chi sono, dentro che guaio mi sto per cacciare. Mi si chiudono gli occhi di nostalgia al ricordo di quando fluttuavo libero nel mio sacco opalescente…». Poi però l’isolamento forzato per il lockdown del 2020 ha convinto McEwan a impegnarsi in un romanzo molto lungo e complesso, dall’impianto tradizionale: «Improvvisamente la mia agenda per quell’anno si era completamente liberata», ha ricordato con il suo tipico humour asciutto in una delle prime interviste rilasciate nel tour internazionale per promuovere Lessons tra Regno Unito e Stati Uniti.
Ecco così la storia della vita di Roland Baines, se non proprio dalla culla alla tomba dall’infanzia alla vecchiaia: Roland ha la stessa età di McEwan, ha studiato nella stessa scuola di McEwan, Woolverston Hall, ha avuto lo stesso professore di inglese con lo stesso nome, Neil Clayton, ma non si tratta di un’autobiografia mascherata né di un roman à clef perché alla vita di Roland Baines l’autore fa prendere una deviazione imprevista. Roland, undicenne, ha una maestra di musica, Miriam Cornell, che fa quasi sembrare equilibrata la sadomasochista Erika Kohut immaginata da Elfriede Jelinek in La pianista (Isabelle Huppert autolesionista con lamette da barba e frequentatrice di peep show nell’inquietante film di Michael Haneke).
Miriam molesta il quattordicenne Roland, che pensa di essere stato sedotto e scambia quello che succede per amore: è il grande trauma della vita di Roland insieme con l’abbandono, improvviso, della prima moglie che lo lascerà all’improvviso non per un altro uomo ma per diventare scrittrice (e Roland alleverà loro figlio, neonato, da solo). Un romanziere meno grande di McEwan esiterebbe a questo punto a scegliere una strada pericolosa — Roland si rivela un poeta mediocre, l’ex moglie un genio in odore di Nobel — nella trama, ma è esattamente quello che succede nel libro. Che diventa la storia «di una vita non scelta», reazioni a catena agli eventi sui quali non ha controllo (quando, da adulto, deciderà di incontrare nuovamente la pianista, Roland ci stupisce per l’insolita intraprendenza).
Anche qui, uno scrittore meno grande e meno generoso di McEwan eviterebbe una potenziale trappola narrativa: in altre mani Roland avrebbe rischiato di diventare un manichino, passivamente trascinato dalle correnti gemelle della storia e della sua personale storia d’infelicità. Invece, con i nervi saldi dello scrittore al suo diciottesimo romanzo in 44 anni, l’ormai anziano maestro settantaquattrenne fa attraversare a Roland un pezzo di bravura dopo l’altro mantenendo intatta la sua dignità da hidalgo della sfortuna: ecco allora il racconto della storia della resistenza tedesca antihitleriana della Rosa Bianca, un piccolo magistrale giallo berlinese ai tempi della guerra fredda dove il Macguffin hitchockiano è un Lp proibito dalle autorità della Ddr, l’infedeltà coniugale del poeta americano Robert Lowell sovrapposta alla fine tragica del primo matrimonio di Roland, e soprattutto un incredibile viaggio picaresco per disperdere le ceneri di una persona amata. La vita del protagonista di McEwan è fatta di aspettative deluse, di momenti di scintillante quanto fragile felicità, mentre prima il Novecento e poi questo secolo fuggono irreparabilmente — la delusione è il suo destino manifesto. «Non c’è un altro esempio di destino inesorabile — avverte Robert Musil ne L’uomo senza qualità — come quello di un giovane talentuoso che si riduce a un vecchio qualunque». E qui McEwan — i richiami indiretti a Musil sono tanto ovvii che alla fine deliziando i lettori che quasi se l’aspettavano lo cita direttamente, quando durante la pandemia Roland decide «di leggere tutto L’uomo senza qualità di Musil in tedesco. Finora settantanove pagine in tre mesi», fallendo anche come lettore dopo aver fallito come scommettitore. Punta infatti 500 sterline, «un ottavo dei risparmi di una vita», sull’assegnazione del Nobel alla sua ex moglie, quotata 50 a 1 dai bookmaker. E perde. Non ci sono qui facili lezioni di vita perché la letteratura non sta sugli scaffali dei libri di self-help. E, in ultima analisi, «siamo tutti autodidatti», avverte Roland. Tutti portiamo sulle spalle quella che McEwan chiama «l’umana borsa dell’esperienza». Esperienza di cosa? Della fragilità, soprattutto. Fragilità delle nostre speranze, dell’amore, della fiducia negli altri e nella storia. Roland, ci spiega McEwan, «pensava che il 1989 fosse un portale aperto a tutti, un ampio passaggio verso il futuro. Ma era solo un picco. Ora, da Gerusalemme al New Mexico, i muri si stavano alzando. Quante lezioni non imparate», con l’assalto al Congresso di Washington del gennaio 2021 come «un portale verso un nuovo tipo di America, e l’attuale amministrazione solo un interregno, una variante di Weimar». L’Ulrich di Musil non è un poeta, è un matematico: devoto a un ideale di chiarezza che ama proprio perché gli appare inafferrabile, l’essenza dell’«innominabile attuale» di Roberto Calasso.
Lessons non è soltanto uno dei libri più belli di McEwan (per il «Times» è il suo capolavoro, per il «New Statesman» la sua opera migliore dai tempi di Espiazione: le recensioni inglesi e americane sono unanimemente da incorniciare) che pure nella sua bibliografia ha, tra gli altri, Il giardino di cemento, Bambini nel tempo, Amsterdam e, per l’appunto, il bestseller a sorpresa Espiazione (un successo da due milioni di copie, già un classico della letteratura inglese). Pubblicato pochi giorni dopo la morte della regina Elisabetta (McEwan non è monarchico ma tiene su uno scaffale dello studio la tazzina dell’incoronazione che una zia gli regalò nel 1953) è anche il primo grande libro britannico dell’era carolingia, archiviata quella elisabettiana che vide la trasformazione post-imperiale delle lettere nazionali in affascinante mosaico multiculturale e multirazziale (Salman Rushdie, Ben Okri, il Nobel Kazuo Ishiguro, Hanif Kureishi, Zadie Smith). Come sarà l’era del romanzo britannico nell’era di Carlo III? Se Lessons è il segnale di un nuovo inizio sarà un’era umanista, umile nei mezzi ma ambiziosa nei fini. Hilary Mantel, regina del romanzo storico (Wolf Hall) morta improvvisamente a 70 anni pochi giorni dopo Elisabetta, ha scritto nella sua autobiografia I fantasmi di una vita (Fazi): «Ci arrivi a un certo punto, a metà della vita. Non sai nemmeno che strada hai fatto, ma all’improvviso stai guardando in faccia i tuoi cinquant’anni. Quando ti volti indietro, intravedi con la coda dell’occhio i fantasmi di altre vite che avresti potuto fare. Ogni tua casa è infestata dalla persona che potevi essere e che non sei stata. Spiriti e spettri strisciano sotto i tappeti e fra l’ordito e la trama delle tende, si acquattano dentro gli armadi e dietro la carta che fodera i cassetti». La via di fuga, per Mantel, molto malata fin da bambina, arrivata quasi sessantenne alla fama globale e alla ricchezza, fu quella di immaginare le vicende di Corte di Enrico VIII e del suo crudele consigliere Thomas Cromwell attraverso tre romanzi (due su tre premiati con il Booker, mai successo) che la impegnarono per tre decenni.
La via di fuga di Roland Baines, nelle ultime pagine del romanzo, è l’ultima invenzione del personaggio che attraverso 496 pagine straordinariamente dense abbiamo imparato a conoscere come una persona di famiglia. Roland, ormai anziano, poeta che non si considera un poeta, musicista che insiste di non essere un poeta, virtuoso di fallimenti umani e professionali, serenamente malfermo sulle gambe, ci parla di un libro immaginario scritto da lui, la storia di tutto quello che è successo, ovunque, a tutte le persone del mondo, per leggere il quale ci vorrebbero cent’anni. Il suo capolavoro. Il suo magnum opus. Il suo erlösende Tat, il suo atto di redenzione.
- Matteo Persivale - Pubblicato su La Lettura del 2/10/2022 -
Nessun commento:
Posta un commento