Considerata per tutta la vita la regina del mystery, Patricia Highsmith è oggi riconosciuta come “una delle più grandi scrittrici moderniste” (Gore Vidal). Amata dai lettori di tutto il mondo, la Highsmith non ha mai autorizzato una propria biografia, lasciando fino alla fine i lettori, dal suo ritiro in Svizzera, all’oscuro delle vere ragioni dei turbamenti che si intravedono nella sua scrittura. Soltanto nel 1995, mesi dopo la sua scomparsa, l’editor Anna von Planta ha ritrovato in un cassetto i diari e taccuini dell’autrice: un patrimonio di oltre ottomila pagine manoscritte, che aiutano a scoprire il mondo segreto nascosto dietro alle sue pagine leggendarie. A partire dagli anni giovanili al Barnard College, nel 1941, Patricia Highsmith tiene costantemente un diario delle sue giornate, e appunta su numerosi taccuini idee e spunti per le sue storie. Questo volume organizza e presenta per la prima volta questi testi, preziosi per cogliere l’intreccio fatale tra la vita privata dell’autrice e il suo immaginario letterario. La giovane Pat si scatena nei bar del Greenwich Village degli anni quaranta, grazie a Truman Capote frequenta Flannery O’Connor nella colonia di artisti di Yaddo, ma già davanti ai primi successi (come il romanzo Sconosciuti in treno, pubblicato nel 1950 e presto adattato da Alfred Hitchcock per il cinema) una domanda la tormenta: “Qual è la vita che ho scelto?”. Una libertà di pensiero e scrittura che si scontra con il bigottismo dell’America di McCarthy, costringendola a pubblicare sotto pseudonimo il suo capolavoro Carol, che pure riceverà una straordinaria accoglienza commerciale. In cerca di sollievo dal provincialismo degli Stati Uniti, la Highsmith gira l’Europa con le sue inseparabili sigarette fino ad approdare in Italia, a Positano. Qui, rivelano i suoi appunti, nasce il personaggio che l’avrebbe consacrata, l’antieroe affascinante e pericoloso Tom Ripley. Per cinquant’anni Patricia Highsmith ha raccontato la sua vita turbolenta nei diari e taccuini: un’autobiografia irrituale e fedelissima, la cronaca della ribellione di una donna contro le convenzioni, e del percorso luminoso di una scrittrice verso l’olimpo della letteratura.
(dal risvolto di copertina di: Patricia Highsmith, Diari e taccuini 1941-1995. La nave di Teseo, pagg. 1099 euro 40)
Il talento di Mrs Highsmith
- di Giancarlo De Cataldo -
Se ci si immerge nelle oltre mille pagine dei Diari e taccuini di Patricia Highsmith, si fa fatica a distaccarsene. Un’intera vita scorre sotto i nostri occhi, e il racconto segue la sceneggiatura imposta da chi l’ha vissuta. Pat l’omosessuale insieme ribalda e prudente nell’America puritana degli anni Quaranta, dove portare i pantaloni, per una donna, è altamente sospetto, e ogni tanto, per tacitare le malelingue, occorre andare a letto con qualche maschio, anche se non ne vale mai la pena. Pat il cui cuore si spezza due o tre volte a settimana per una qualche artista stravagante del Village o per la timida commessa: ma poi si stanca presto, e passa ad altro, incurante, egoista, narcisista, e sono molti di più i cuori che spezza lei. Pat che passa dai venti ai trent’anni in una nebbia alcoolica di feste, incontri, viaggi, eccessi, palpitazioni, seduzioni e profonde crisi della durata di un whisky e una sigaretta, sempre sorretta dalla certezza di essere una grande scrittrice che prima o poi “sfonderà”. Pat che sembra dover crollare da un momento all’altro sotto i colpi di una vita di stravizi e poi ne esce con un romanzo d’esordio che si chiama Sconosciuti in treno: sì, proprio quello che ispirò a Hitchcock Delitto per delitto. Verso la fine del 1952, mentre si trova a Positano, Pat «si affaccia dal balcone della sua stanza d’albergo una mattina e in lontananza scorge un uomo in pantaloncini e sandali che cammina lungo la spiaggia con un asciugamano sulle spalle. Sembra perso nei suoi pensieri e in lui c’è qualcosa di enigmatico e di accattivante. Non lo rivede mai più, ma quei pochi minuti bastano a renderlo famoso in tutto il mondo, diventa il modello per Tom Ripley, l’antieroe che assicurerà finalmente la sua svolta letteraria». Troviamo questa notazione a pagina 606. La riporta la curatrice, Anna von Planta, sua storica editor e amica di lunga data. Che subito dopo ci avverte: «Pat non registra questo momento né nel suo diario né in nessuno dei taccuini». La sterminata legione dei suoi lettori verrà a sapere della genesi di Tom Ripley soltanto molto dopo, in un saggio del ’90. Eppure, Highsmith riempie diciotto diari e trentotto taccuini per un totale di oltre ottomila pagine. Perché, allora, Pat non trova uno spazio, sia pure minimo, per «l’antieroe che assicurerà finalmente la sua svolta letteraria»?
Forse perché Highsmith è Ripley e Ripley è Highsmith: il personaggio letterario ha il talento di non possedere alcun talento, se non quello di un cinico e sofisticato animale da preda; e Highsmith è un’autrice di immenso talento in perenne conflitto con un lato altrettanto cinico e predatorio: è disposta a rivestirlo di splendore letterario, ma non a riconoscerlo, affrontarlo, debellarlo o scendervi a patti. Ma forse Highsmith, che diari e taccuini rivede anche ad anni di distanza, potrebbe aver tagliato riferimenti esistenti, o ha semplicemente deciso, a un certo punto, che era meglio lasciare che il “mistero” Ripley restasse per sempre tale. In ogni caso, chi tiene un diario e nel contempo frequenta da star il mondo delle lettere coltiva la certezza che quelle parole saranno lette e commentate. E si regola di conseguenza, lavorando a fondo sull’immagine di sé che il diario è destinato a rimandare. Perciò, non chiedete autenticità a chi si racconta in prima persona: se non quella che può dilagare, di là delle intenzioni, dalla forza stessa delle situazioni, dei personaggi, delle esperienze. Highsmith racconta così, da grande narratrice, una vita a tratti esagerata se non decisamente esagitata, oscillando fra una sorta di beffardo “inno al sé” e momenti di depressione, autocommiserazione, flagellazione. I primi anni sono, com’è naturale, i più esaltanti. Nel romanzo di formazione si tende sempre a parteggiare per l’eroina. Anche se non è proprio un modello, anzi, forse proprio per questo. Come quando riporta gusti e giudizi sulle sue amanti, sorta di censimento del piacere già praticato anni prima da Schnitzler: impensabile, oggi, in tempo di social ficcanaso. Più invecchia, più i toni si fanno cupi, i giudizi sprezzanti; il successo non lenisce quel rovello interiore del quale Pat si nutrirà per tutta la vita. Nemmeno quando il suo nome circolerà per il Nobel: onore imprevedibile, per chi scrive romanzi con delitto. Graham Greene l’aveva definita «la poetessa dell’apprensione». Lei, in un sussulto di affascinante vitalismo, a ventisei anni, nella notte che chiude il 1947, annota: «2.30 del mattino. Il mio brindisi di capodanno a tutti i demoni, le lussurie, le passioni, le avidità, le invidie, gli amori, gli odi, gli strani desideri, i nemici fantasmatici e reali, l’esercito di ricordi, con cui lotto: possano non darmi mai pace». Ripley non avrebbe saputo dirlo meglio.
- Giancarlo De Cataldo - Pubblicato su Robinson dell'8/10/2022 -
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