Thapsos è una ex isola a nord di Siracusa, nella zona industriale. Ex, nel senso che ora si ritrova ad essere unita al resto della Sicilia da una lingua di terra, da un lembo.
Ricordo che quand'ero bambino - ci sono andato a pescare con mio padre, alzandomi per andarci che era ancora notte con gli occhi stretti dal sonno - i vecchi la chiamavano «penisola di Magnisi». E infatti non lo era più un'isola.
In un lontano passato, era stata sede di una delle più antiche civiltà pre-elleniche della Sicilia, la civiltà di Stentinello. Non credo che quegli individui - quei barbari, come andrebbero chiamati se si considera il fatto che non parlavano greco - l'abbiano mai chiamata in nessuno di questi modi che sto ora elencando. Chissà che parola usavano, per chiamarla. La più antica che ci è arrivata, non apparteneva a loro. Era greca. Ora il sito giace in mezzo a cemento, acciaio e petrolio. Schiaffeggiata dai miasmi della Montedison, ingrigita dai fumi delle ciminiere e deturpata da un molo che serve ad imbarcare il suo sangue raffinato, per portarlo via.
« Thapsos è un altrove dell'anima. Legata ad un sottilissimo filo viaggia da millenni nel Mediterraneo,per rotte misteriose, insegnando antiche memorie, in cerca di futuri approdi sicuri ».
Così c'è scritto sulle note di copertina di un cd non più tanto nuovo, dallo stesso nome. Thapsos.
THAPSOS
( di Riccardo Tesi & Carlo Muratori)
Sale su, dal profondo E il ricordo che mi assale è un brivido Dove sei, mi confondo Un sentiero vedo e un velo candido
Ritorna solo ciò che può Quel che vale prima o poi quel che merita Riluce un labbro su di me Su un tramonto a Thapsos Che ci insanguina
Donde estas Maria Bianche pietre ora schiacciano l'edera Donde estas Maria, donde stas Donde estas Maria Le ringhiere invase da buganville Donde esta Maria, donde estas
Batterò pietre e mandorle Fino a sera questa sera sognerò
Ritorna quando lo vorrai Quel tramonto resta qua Abita a Thapsos Rimane muto senza te Anche il canto del mio mare Che ci tumula
già pubblicato sul blog il 10/11/2006
1 commento:
Reverie di pascoliana memoria.
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