mercoledì 5 giugno 2019

Seminari!

«Altro del sapere che è il luogo della verità, la cui consistenza però, diversamente da quanto afferma Cartesio, non è garantita da nessuna parte. Per contro, l'essere umano trova la propria coerenza in un solo elemento consistente: l'oggetto a, nel quale prende forma, in modo personalizzato e singolare, il suo godimento. Dal rapporto che si costituisce tra il godimento e il significante si libera una funzione supplementare che Lacan chiama con un termine coniato a partire dal plusvalore di Marx: plusgodere. Assistiamo quindi a degli spostamenti concettuali. Il primo riguarda la ripetizione. Non si tratta piú della ripetizione significante ma della ripetizione del godimento. Tuttavia la ripetizione del plusgodere ha grandi connessioni con il significante – ed è per questo che Lacan fa ricorso alla matematica e alla scommessa di Pascal. Questa è essenzialmente una scommessa sul godimento, dove il godimento è messo in gioco tramite dei significanti. Per chiarire quanto viene lasciato in ombra da Pascal, Lacan si serve di Fibonacci, dando avvio a un movimento che punta a superare il mito per coglierne la logica. Un altro spostamento riguarda il parlante. Lacan non utilizza piú il termine soggetto, che vale come soggetto dell'inconscio, ma ricorre al termine Io, il quale esprime il soggetto della parola dove in gioco c'è anche il godimento e che prelude al parlessere, concetto forgiato da Lacan per designare in un corpo il connubio tra la Cosa che parla, l'inconscio, e la Cosa che non parla, l' es. »

(dal risvolto di copertina di: "Il seminario. Libro XVI. Da un Altro all'altro (1968-1969)", di Jacques Lacan. Einaudi.)

Quant’è marxista questo Lacan
- di Massimo Recalcati -

Nell’estate del ’68, in piena contestazione lo psicoanalista tributa il proprio debito verso l’autore del “Capitale”. Così la teoria del plus-valore gli ispira quella del plus-godere.
Dopo l’estate della contestazione del ‘68 (che per Lacan «è stata una grande presa di parola»), lo psicoanalista francese, ormai divenuto noto anche a un vasto pubblico grazie ai suoi Scritti (1966), si appresta a tenere il suo Seminario numero XVI che titola Da un Altro all’altro (Einaudi) e nel quale tesse un dialogo serrato con Marx. Il riconoscimento è innanzitutto quello di un debito: è Marx, prima di Freud, ad avere aperto la via per la scoperta del famoso oggetto piccolo a la cui invenzione teorica viene considerata da Lacan stesso il suo contributo maggiore alla dottrina psicoanalitica. Esiste una profonda omologia (non una semplice analogia) tra questo oggetto e la nozione marxiana di plusvalore (Mehrwert).
Non a caso l’oggetto piccolo a viene definito plus-godere ( plus-de-jouir). Marx ha descritto nella figura del plus-valore l’origine del profitto capitalista. Il plus-valore scaturirebbe da quella parte del lavoro operario non retribuita; si genererebbe da una procedura di sottrazione, di spoliazione. Una perdita d’essere attiva un guadagno d’essere. È lo stesso processo a doppio scatto da cui scaturisce l’oggetto piccolo a. Esso è, infatti, l’oggetto che causa il desiderio inconscio del soggetto condensandovi il suo godimento. La sua genesi implica il taglio dell’Altro che separa il godimento dal corpo del soggetto.
È quello che avviene anche in ogni processo educativo: la vita si umanizza a partire dall’esercizio di una perdita di godimento. Il bambino deve cedere il seno, i propri escrementi, la sua onnipotenza fallico-narcisistica per iscriversi nel registro della polis. Una serie di separazioni successive definiscono la sua soggettivazione. Ma le zone del corpo dove il taglio dell’Altro si è esercitato sono anche quelle dove si fissa un piacere (inconscio) che genera un nuovo godimento (per Freud pregenitale), un plus-godere appunto. Il che significa che l’identità di un soggetto non si deve reperire sul piano (immaginario) del suo rispecchiamento narcisistico, né nell’attività cartesiana del suo pensiero («il soggetto prima ancora di essere pensante, è innanzitutto un oggetto piccolo a»), ma in questo resto di godimento sul quale si fissa il suo desiderio.
È solo così che il soggetto, come spiega Lacan, può ricuperare una sua sufficienza a partire da una condizione di assoluta insufficienza. La centralità della dialettica del desiderio ancora presente negli Scritti sembra lasciare il posto ad una inedita centralità del «campo del godimento». Il soggetto diviso — il soggetto della «mancanza a essere» — , viene rimpiazzato dall’oggetto piccolo a come luogo di addensamento pulsionale del godimento. Questo processo implica anche una destrutturazione del grande Altro. In piena koinè strutturalista Lacan ricorda agli strutturalisti che il luogo della struttura (il grande Altro) porta sempre con sé una inconsistenza fondamentale. Non solo di tipo logico — come insiste a dimostrare in gran parte di questo Seminario soprattutto attraverso Godel — , perché questa inconsistenza deriva, in realtà, dall’irriducibilità del soggetto alla presa della struttura. La «falla» che rende inconsistente il grande Altro rendendolo un «luogo bucato» è, infatti, provocata dall’esistenza del soggetto. Il campo dell’Altro non può ospitare il suo godimento singolare pur concorrendo a generarlo. Questo campo risulta «inconsistente», martella Lacan: non può includere il reale del godimento perché questo reale resta per definizione «escluso» dal sistema dell’Altro. La biografia di un soggetto implica sempre la messa in forma singolare di questo godimento escluso; innanzitutto l’oggetto piccolo a che è stato nel desiderio dei suoi genitori. L’Uno del soggetto non trova posto nell’Altro, insiste a dire Lacan. L’Uno è il luogo di una differenza che non si lascia ricomporre dialetticamente. La mirabile lezione XVI dedicata alla perversione (un vero e proprio gioiello della clinica psicoanalitica) mostra il disperato sforzo del perverso di ridare consistenza al grande Altro. È la sua personale crociata, la sua fede indomita: supplire o togliere la falla dell’Altro restituendo a tutti i costi la sua solidità imperturbata. È un movimento che nel nostro tempo cattura i fondamentalismi reazionari di ogni genere. Avere a che fare con l’inconsistenza dell’Altro comporta infatti riconoscere la nostra condizione di soggetti destinati all’esilio, senza possibilità di risiedere nel campo rassicurante di un Altro consistente, come invece garantiva il «buon Dio» di un tempo.

- Massimo Recalcati - Pubblicato su Repubblica del 21/4/19 -

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