Se il potere connesso all’eros e all’amore è quello di essere un’esperienza irriducibilmente individuale, sempre irripetibile e quindi a suo modo anarchica, in questo testo agile e penetrante Byung-Chul Han svela il lato in ombra di tale esperienza: la manipolazione politico-economica dell’eros. Da Platone al neoliberismo, il controllo delle passioni è uno strumento essenziale con cui il potere “addomestica” e addormenta la loro forza dirompente e liberatoria, che turba ogni ordine e modello. Ma, secondo Han, nella contemporaneità trasparente, orizzontale, assediata dalla serialità e dall’iperproduzione, si assiste a una radicale perdita di profondità, alterità e forza di “resistenza” dell’eros: anche in questo campo, l’individuo è ridotto a soggetto-macchina di “prestazione”, catturato nella passività e nell’eccesso dell’uguale. Stiamo diventando immuni all’eros?
(dal risvolto di copertina di "Eros in agonia", di Byung-Chul Han. Edizioni nottetempo)
Maledetti individualisti avete ucciso l’amore
- di Massimiliano Panarari -
Esperienza assoluta (e «senza paracadute») dell’Altro, e non contratto per trascorrere – più o meno – gradevolmente in coppia l’esistenza. «That’s Amore», secondo il pensatore tedesco-coreano Byung-Chul Han, personaggio originale, e controverso, dell’odierna scena culturale. Sempre radicale (e radical) nelle sue tesi, estremamente critico nei confronti della Rete (fino a sfiorare punte apocalittiche e di neoluddismo), e solito ricorrere ad un andamento argomentativo dove la ripetizione gioca un ruolo decisivo, fino a farsi mantra con l'obiettivo di convincere il lettore. Così avviene anche nel libro "Eros in agonia", dove mette in campo la sua caratteristica irriverenza intellettuale (una qualità), in nome della quale non si perita di contestare anche numi tutelari della «teoria critica» come Michael Foucalt, Jean Baudrillard e Giorgio Agamben.
In quel filo rosso decostruttivo che fa da denominatore comune specialmente ai libri scritti nel corso dell'ultimo decennio, il filosofo inserisce così pure l'amore, la cui tradizione risulta «agonizzante» all'interno della società neoliberista dedita al controllo delle passioni e alla sterilizzazione delle pulsioni (oltre che alla loro «messa in produzione»). Un contesto infarcito di individualismo (dis-erotizzante) e di una visione mercificante che riconduce ogni ambito della vita alla sua oggettivazione in termini di comprabilità e vendibilità; e, in questo continuo e ossessivo richiamo al dominio totalitario del capitalismo globale, Han appare, però, esageratamente riduzionistico e, probabilmente, è soprattutto alla ricerca del frame comunicativo da ripetere, giustappunto, come una formula per lasciare una traccia nella memoria di chi legge e posizionarsi rispetto alla battaglia delle idee e alle mode culturali.
Da "cultural theorist" ricorre largamente anche in questo volumetto a un'analisi critica dei dipinti di Pieter Bruegel e di alcuni libri (tra gli altri, di Flaubert, Sade e Ballard), e sceglie il film di Lars von Trier "Melancholia" (2011) come stella polare per descrivere la contrapposizione tra l'Eros e la depressione dell'individuo contemporaneo (incarnata nella figura della protagonista Justine). La minaccia imminente della collisione tra la Terra e lo sfacciatamente allegorico pianeta Melancholia offre, secondo l'autore, un'esemplare rappresentazione visiva di quella negatività dell'alteralità che, ormai sola, può spezzare ciò che chiama «l'inferno dell'Uguale». Perché persino il corpo celeste della pellicola, generatore di una vera Apocalisse, finisce per identificare quel «totalmente Altro» la cui irruzione nella vita di ciascuno sostanzia, per l'appunto, il significato autentico dell'amore e del sesso. Che sono relazione e apertura, alle quali il soggetto moderno, iper-individualizzato e stanco (e narcisistico-depresso) è stato completamente disabituato dall'imperante «regime dell'Io» che tutto livella e appiana per costruire consumatori stereotipati da soddisfare nei loro desideri uguali e omologati mediante la mega-macchina neoliberista (e qui, di nuovo, si coglie una contraddizione, dal momento che la forza irresistibile del «capitalismo libidinale» risiede piuttosto nella targettizzazione e nella profilazione dei singoli a cui fornire prodotti e servizi sempre più personalizzati).
Per Han, dunque, è l'annientamento-annullamento del sé a fondare l'atto (e il discorso) erotico, ed esclusivamente attraverso l'impotenza e la negazione del potere si può attingere alla profondità dell'amore. Di qui, la critica a Foucault, considerato alla stregua di un apologeta della «società della prestazione», perché vede nella governamentalità neoliberale lo spazio di totale realizzazione delle «libertà borghesi»; e, così, il pensatore francese risulterebbe in qualche misura ammaliato dal neoliberismo in termini comparabili alla malcelata ammirazione di Marx nei confronti della borghesia portatrice dei processi di modernizzazione. Come pure la polemica con Eva Illouz: l'uccisione dell'eros non deriverebbe - come sostiene la sociologa - dalla crescita esponenziale delle fantasie e delle aspettative e dall'incremento della disponibilità dei partner potenziali (gli altri), generate dall'estensione al campo amoroso di quel consumismo che si rende così responsabile delle delusioni provate nella realtà. Ma, al contrario, dall'erosione del rischio e dell'apertura verso l'Altro, rispetto a cui svolge una funzione centrale anche la pornografia che, in quanto «nuda vita esposta». è oscenità e feticismo, e puro consumo individualizzato reiterato e ripetitivo (di nuovo, l'«uguale»). Han mescola echi heideggeriani e suggestioni neo-hegeliane per perorare la potenza trasformativa dell'eros anche dal punto di vista politico (rispolverando Platone), e per affermare infine che di amore ha bisogno anche il pensiero. Interessante e da leggere, anche quando non persuade.
- Massimiliano Panarari - Pubblicato sulla Stampa del 18/5/2019 -
Nessun commento:
Posta un commento