domenica 9 giugno 2019

Opportunità perdute

Meyer Schapiro nacque in quella che oggi è l'attuale Lituania, nel 1904. Nel 1906, suo padre era andato a New York per lavorare. Una volta stabilito lì, l'anno dopo, chiamò la famiglia. Ad Ellis Island, quella fabbrica di omogeneizzazione e semplificazione dei significanti, il suo nome venne cambiato, da Meir che era, in Meyer. Schapiro è morto nel 1996, all'età di 91 anni. È morto nella sua casa, a Greenwich Village, in cui ha vissuto fin dal 1933.

Nel 1979, Georges Perec ha scritto la sceneggiatura - o forse qualcosa di più "sciolto" di ciò che potrebbe suggerire il termine "sceneggiatura" - del documentario che prenderà il titolo di "Récits d'Ellis Island: histoires d'errance et d'espoir" [Storie di Ellis Island: storie di erranza e di speranza] (trasmesso per la priva volta dalla televisione francese nel novembre del 1980). È di Perec  il commento che si ascolta nella prima parte, ed è Perec che conduce le interviste che si vedono nella seconda parte. Il film è diretto da Robert Bober, che è stato assistente di Truffaut nei suoi primi tre film. Il documentario fatto con Perec si divide in due parti: la prima parte, dal titolo "Tracce", parla del controllo dell'immigrazione sull'isola, nel periodo che va dal 1892 al 1924. La seconda parte, "Memoria", è la documentazione  delle testimoniante e delle dichiarazioni rilasciate da gli immigranti ebrei ed italiani che entrarono negli Stati Uniti passando per Ellis Island. Un'opportunità perduta: quella di vedere Georges Perec intervistare Meyer Schapiro a New York, nel 1979. Si può pensare che la fascinazione di Georges Perec per Ellis Island - il suo interesse, la sua curiosità - avesse una relazione con l'infanzia, con la sua infanzia (l'infanzia vista come dimensione dell'inesplorato, dell'irrecuperabile).

Da qui anche la possibilità di contatto fra Perec e Meyer Schapiro per mezzo di Ellis Island, dal momento che per Schapiro il legame fra l'infanzia e l'isola è diretto. Nel caso di Perec, tuttavia si deve visitare la sua autobiografia immaginaria, "W o il ricordo d'infanzia", pubblicata nel 1975 (pochi anni prima della realizzazione del documentario sull'isola, che potrebbe portare all'ipotesi di W come lavoro preparatorio del terreno per il documentario; oppure ancora, considerare il documentario come un proseguimento, fatto con altri mezzi, di W, al di là dell'autobiografia).
Per coloro che vi si avvicinano, l'infanzia appare sempre come fosse un continente inesplorato. L'infanzia è il momento per eccellenza della sperimentazione del linguaggio, una tappa della vita nella quale ci si prendono delle libertà nei confronti delle regole della lingua - qualcosa che può essere tanto costruttivo quando distruttivo. L'idea la si trova in Walter Benjamin, nella congiunzione tra la sua permanente preoccupazione per le origini del linguaggio - e della vita, quindi dell'infanzia -  e quello che ha chiamato «carattere distruttivo», una sorta di pulsione che percorre e attraversa ogni lavoro creativo. Il giocattolo, la traduzione, la lingua originale, l'allegoria, l'immagine, la citazione - agglutinazioni sensibili temporanee di uno stesso fenomeno (è quello su cui torna Giorgio Agamben quando parla di infanzia e storia).
Perché Perec dà il nome "W" al suo libro? A causa del gioco di parole, del gioco con la lingua, la doppia v, la vita doppia, il doppio registro, costruire e distruggere, seguire e ritornare, simultaneamente.

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