martedì 25 giugno 2019

Le soluzioni e il problema

L'austerità non è stata ancora legittimata
- di Robert Skidelsky -

Alberto Alesina, professore all'Università di Harvard, è tornato sul dibattito intorno al deficit di bilancio, l'austerità e la crescita, Nel 2010, Alesina aveva detto ai ministri delle finanze europee che «in passato, forti riduzioni dei deficit di bilancio erano state accompagnate, e immediatamente seguite, da una crescita sostenuta, piuttosto che da recessioni, perfino a breve termine». Oggi, insieme ai suoi colleghi economisti, Carlo Favero e Francesco Giavazzi, Alesina ha scritto un nuovo libro, dal titolo "Austerità. Quando funziona e quando no" (Rizzoli), che ha recentemente ricevuto una recensione favorevole dal suo collega di Harvard, Kenneth Rogoff. Libro nuovo, canzone vecchia. In poche parole, la conclusione alla quale sono arrivati gli autori è che «in termini di produzione, in alcuni casi, il costo diretto dei tagli alla spesa è più che compensato dall'aumento delle altre componenti della domanda aggregata». L'implicazione di una tale affermazione, è che l'austerità - la quale, anziché espanderlo, taglia il deficit di bilancio - può essere la politica corretta da mettere in atto durante una recessione. Il precedente lavoro di Alesina su questo argomento, scritto insieme a Silvia Ardagna, è stato criticato dal Fondo Monetario Internazionale e da altri economisti a causa della sua difettosa econometria e delle sue conclusioni esagerate. E anche questo nuovo libro, che analizza 200 piani di austerità pluriennale, realizzati in 16 paesi dell'OCSE tra il 1976 e il 2014, servirà senz'altro a tenere occupati i torturatori dei numeri.

Ma il punto principale non è questo. Correlazione non è causalità. Associare il contenimento fiscale alla crescita economica, non ci dice niente circa la relazione soggiacente tra le due cose. Ridurre il deficit provoca crescita economica, o è la crescita a ridurre il deficit? Tutta l'econometria del mondo non può dimostrare che una cosa abbia causata l'altra, o che entrambe le cose possono derivare da qualcos'altro. Semplicemente, esistono molte altre variabili che vengono omesse - vale a dire, ci sono altre possibili cause di uno o di entrambi i risultati. Le cosiddette prove statistiche partono sempre da una teoria della causalità, ragion per cui i dati vengono sempre «aggiustati» al fine di ottenere il risultato desiderato dal teorico. La teoria di Alesina si basa su due pilastri concettuali. Quello principale recita che se il deficit persiste, le imprese e i consumatori si aspetteranno imposte più alte e, pertanto, consumeranno meno ed investiranno ancora meno. I tagli alla spesa, d'altra parte, segnalano che in futuro ci saranno tasse più basse e, perciò, stimolano l'investimento ed il consumo. Il secondo pilastro, complementare al primo, consiste nell'ipotesi che l'aumento del debito pubblico porta gli investitori ad aspettarsi un default. Una tale aspettativa porta a far salire quelli che sono i tassi di interesse sui titoli di Stato, cosa che sfocia nell'aumento dei costi del prestito. L'austerità, bloccando la crescita del debito, può determinare una «considerevole riduzione» dei tassi di interesse e, quindi, rendere possibile l'aumento degli investimenti. Questo punto supplementare non può essere considerato come se fosse una regola generale. Se un paese ha la sua propria banca centrale, ed emette la sua propria moneta, il governo può determinare i tassi di interesse come vuole, ordinando alla banca centrale di stampare denaro. In tal caso, i bassi tassi di interesse non saranno il risultato dell'austerità, ma piuttosto dell'espansione monetaria. E questo, ovviamente, è quello che è avvenuto con il quantitative easing negli Stati Uniti, nel Regno Unito e nella zona Euro. I tassi di interesse sono rimasti bassi per anni, nella misura in cui le banche centrali hanno iniettato centinaia di miliardi di dollari, di sterline e di euro nelle loro economie.
Pertanto, rimaniamo su quello che è il pilastro principale della tesi di Alesina: oggi, un compromesso credibile per tagliare la spesa pubblica farà aumentare la produzione, eliminando per l'indomani l'aspettativa di maggiori imposte. Il medesimo argomento serve a spiegare perché, secondo quella che è la visione di Alesina, sia meglio ridurre il deficit tagliando la spesa, piuttosto che aumentando le tasse. Le riduzioni di spesa sono in contrasto con il «problema» della «crescita automatica dei diritti associati al welfare e agli altri programmi di spesa», mentre gli aumenti delle tasse non lo sono.

Alesina scrive: «La moderna macroeconomia sottolinea come le decisioni delle persone circa cosa fare oggi siano influenzate dalle loro aspettative di ciò che accadrà in futuro». Anche John Maynard Keynes aveva capito quella che era la cruciale importanza delle aspettative: John Hicks gli diede credito introducendo in Economia il «metodo delle aspettative». Tuttavia, la mappa delle aspettative di Keynes era assai diversa dalla mappa di Alesina. Gli investitori, secondo il primo, non formano le loro aspettative guardando al deficit del governo, e calcolando l'effetto che questo avrà sulla loro futura contabilità fiscale. In realtà, non si rendono quasi conto del deficit. Quello che notano gli investitori, invece, è la dimensione dei loro mercati. Per Keynes, le decisioni degli imprenditori di creare posti di lavoro dipendono dal reddito che si aspettano possa provenire dalla crescita dell'occupazione. Una recessione economica riduce il reddito che ci si aspetta dalle vendite, facendo loro licenziare i lavoratori. Un taglio della spesa pubblica implica che ci si possa aspettare meno vendite, facendo sì che in questo modo licenzino ancora più lavoratori, aumentando in questo modo la recessione. D'altra parte, un aumento della spesa pubblica, o dei tagli alle tasse, porta all'aumento delle aspettative delle vendite e, pertanto, inverte la crisi. Per esempio, se crolla la domanda di automobili, verranno venduti meno autoveicoli e per produrli verranno impiegati meno lavoratori. Se il governo aumenta la sua spesa per le opere pubbliche, questo non solo servirà ad impiegare direttamente più lavoratori, ma aumenterà anche la domanda di automobili, facendo sì che la produzione economica cresca più della spesa extra del governi, riducendo perciò il deficit. Detta in termini assai semplici, pertanto, abbiamo due teorie opposte riguardo una politica fiscale appropriata e riguardo la recessione. Keynes dice che un'annunciata riduzione della spesa pubblica segnala agli imprenditori che i loro redditi verranno ridotti dal momento che meno persone compreranno i beni e i servizi che producono. Ma Alesina dice che una annunciata riduzione della spesa pubblica segnala agli imprenditori che da domani possono aspettarsi tasse più basse e, pertanto, spenderanno di più oggi. I lettori devono decidere quale teoria considerano più plausibile. Personalmente, preferisco di gran lunga l'analisi che si può trovare in un recente libro: "Austerity: 12 Myths Exposed", di  Dieter Plehwe, Moritz Neujeffski, Stephen McBride - «la politica dell'austerità è uno strumento degli ... interessi finanziari, e non una soluzione ai problemi da essi causati».

- Robert Skidelsky - Pubblicato il 22/6/2019 sul portale Syndicate Project -

Nessun commento: