Economia per l'estate
- di Michael Roberts -
La scorsa settimana, Martin Wolf, il giornalista di economia del Financial Time, ha fatto l'elenco dei nuovi libri di economia da lui raccomandati per lettura estiva. Ha cominciato con "Austerità. Quando funziona e quando no", di Francesco Giavazzi, Alberto Alesina e Carlo Favero (Rizzoli). Wolf lo ha commentato dicendo che «questo un libro estremamente importante. Il libro fa uso di prove empiriche che permettono di valutare gli effetti dell'austerità fiscale messa in atto attraverso i tagli alla spesa in contrapposizione all'aumento delle tasse. Conclude dicendo che gli effetti negativi dei tagli alla spesa sono inferiori rispetto a quelli causati dall'aumento delle tasse. Inoltre, i programmi basati sulla spesa sono più efficaci ai fini della riduzione della crescita del debito di quanto lo sia l'aumento delle tasse. Tuttavia, va notato che i costi vengono valutati solo in termini di produzione cumulativa, e viene pertanto ignorato quello che è l'impatto distributivo del taglio alla spesa rispetto all'aumento delle tasse». Alesina e gli altri sono stati a capo dei sostenitori dell'impatto positivo che l'«austerità» avrebbe sulla crescita economica, in contrasto con la montagna di prove provenienti dal FMI e dalle altre fonti che sostengono che le politiche di austerità non hanno aiutato (piuttosto ostacolato) la ripresa economica in nessuna delle maggiori economie capitaliste.
Quando Alesina e gli altri hanno pubblicato per la prima volta un documento a tal proposito, hanno calcolato che «gli aggiustamenti fiscali basati sui tagli alla spesa erano stati assi meno costosi, in termini di perdita di produzione, di quelli basi sull'aumento delle tasse. [...] gli aggiustamenti basati sulla spesa generavano recessioni assai piccole, con un impatto sulla crescita del prodotto non significativamente diversa da zero.» E «Le nostre conclusioni sembrano pertinenti a degli aggiustamenti fiscali sia prima che dopo la crisi finanziaria. Non possiamo respingere l'ipotesi secondo la quale gli effetti degli aggiustamenti fiscali, soprattutto in Europa nel 2009-13, siano stati indistinguibili da quelli precedenti». In altre parole, tagliare la spesa pubblica (austerità) ha avuto scarso effetto sul reale tasso di crescita del PIL così come è stato applicato per mezzo delle politiche di austerità post-crisi dei governi europei. All'epoca, in un mio post, avevo scritto che «la crescita economica nelle economie capitalistiche dipende da un'espansione degli investimenti delle imprese, e in ultima analisi dipende dalla redditività di tali investimenti. Se guardiamo agli effetti moltiplicatori della spesa pubblica, della tassazione e del prestito visto alla luce della redditività, vediamo che è molto improbabile che la spesa pubblica aggiuntiva, laddove venga finanziata dalle tasse o dal prestito, aumenterebbe la redditività nel settore imprenditoriale e quindi farebbe aumentare gli investimenti capitalistici e la crescita economica.» In altre parole, l'innalzamento o il taglio della spesa pubblica avrà solo un impatto marginale sulla crescita. Ciò che conta nell'economia capitalista, è il cambiamento nella redditività.
La seconda raccomandazione di Wolf riguarda "Russia’s Crony Capitalism: The Path from Market Economy to Kleptocracy", di Anders Aslund, Yale University Press. Wolf commenta dicendo che «Questo superbo libro mostra come il regime di Putin sia la principale catastrofe del 21° secolo. Il presidente della Russia ha costruito quello che Aslund chiama “un quadrilatero di ferro formato da quattro cerchi di potere”: il potere verticale dello Stato; le grandi imprese statali; i loro compari; e i paradisi anglo-americani, dove lui e i suoi compari posso tenere al sicuro i loro soldi». Secondo l'autore, quel di cui c'è bisogno è «una trasparenza radicale su quella che è la salutare proprietà della ricchezza detenuta in Occidente.» In altre parole, dobbiamo smascherare e portare alla luce il riciclaggio di denaro e l'evasione fiscale degli oligarchi russi che sono stati assistiti dalle banche occidentali. Dopo gli scandali dei Panama Papers e la frode fiscale della Deutsche Bank e della Danske Bank, questa è una speranza perduta. Come è stato dimostrato da Gabriel Zucman e Thomas Wright, in un'analisi minuziosa e approfondita delle dimensioni e delle estensioni dei paradisi fiscali e dell'elusione fiscale, lungi dall'essere ridotte o controllate, al contrario, un simile sistema è parte crescente di quelli che sono gli utili societari internazionali, organizzati e gestiti dalle banche. Circa la metà di tutti i profitti esteri delle multinazionali statunitensi vengono contabilizzati nei paradisi fiscali.
Il successivo libro che Wolf mette in evidenza, è "The Globotics Upheaval: Globalization, Robotics and the Future of Work", di Richard Baldwin, Weidenfeld & Nicolson. Secondo Wolf, "Globotics" descrive l'integrazione dell'intelligenza artificiale con la robotica. I miglioramenti nella tecnologia renderanno assai più facile la collaborazione a distanza. Inoltre, molti compiti che ora vengono svolti dalle persone verranno eseguiti dall'Intelligenza Artificiale e da robot. La combinazione, secondo lui, trasformerà (e minaccerà) le opportunità economiche di un enorme numero di persone relativamente istruite e che si trovano in paesi ad alto reddito. In altre parole, tutti i robot spingeranno il commercio in quelle aree che precedentemente hanno aiutato il commercio e gli investimenti. Si tratta di un problema dialettico. Ridurre il tempo di lavoro, in particolare nel trasporto e nella logistica, non può altro che aumentare la produttività. Ma sotto il capitalismo, ciò non via a significare meno tempo di lavoro per tutti, ma una perdita di posti di lavoro che vengono sostituiti dalla tecnologia. Tali posti di lavoro devono essere rimpiazzati da nuovi lavori associati alle nuove tecnologie. Questo può succedere. Ma come ha sottolineato Marx, ciò non significa che questo sia un processo di cambiamento senza soluzione di continuità. «I lavoratori che sono stati buttati fuori dal lavoro in un determinato settore dell’industria possono indubbiamente cercare un’occupazione in un altro settore… anche se trovano un lavoro, quale miserabile prospettiva avranno di fronte! Menomati, così come lo sono dalla divisione del lavoro, questi poveri diavoli valgono talmente poco al di fuori del loro vecchio posto di lavoro da non poter trovare un posto in nessuna industria, se non in alcuni settori inferiori, e quindi sovraffollati e sottopagati. Per di più, ogni branca dell’industria attrae ogni anno un nuovo flusso di uomini, i quali forniscono un contingente con cui riempire i posti vacanti, e costituiscono un’offerta ai fini dell’espansione. Nel momento in cui i macchinari hanno liberato una parte dei lavoratori occupati in un dato settore dell’industria, la riserva costituita da uomini viene anch’essa dirottata verso nuovi canali di occupazione, e viene ad essere assorbita da altri settori; nel frattempo, le vittime esistenti, durante il periodo di transizione, per la maggior parte soffrono la fame e muoiono.» (Grundrisse).
Wolf raccomanda anche "The Sex Factor: How Women Made the West Rich", di Victoria Bateman, Polity. Bateman è un'accademica di Cambridge, diventata famosa per le sue «proteste nude» in televisione contro la Brexit. A quanto pare sostiene che «la libertà delle donne è fondamentale per la prosperità economica. In quanto aumento i salari, le competenze, il risparmio e lo spirito imprenditoriale, e garantisce uno stato democratico e capace.» Sebbene Bateman sia una femminista, lei crede, al contrario di molte femministe, che i mercati «sono... stati centrali per costruire la libertà delle donne». E Wolf ritiene che a questo proposito lei abbia ragione. Ma le prove sostengono davvero il punto di vista secondo cui il capitalismo e i mercati hanno contribuito a rendere più libere le donne? Certo, l'accumulazione capitalista ha portato ad un deciso incremento nell'occupazione delle donne, ma ha portato anche ad incrementare lo sfruttamento della forza lavoro femminile (con salari più bassi di quelli degli uomini). Sì, le donne hanno reso ricco il capitalismo occidentale, ma non viceversa.
Il più egocentrico dei libri raccomandati da Wolf è "Firefighting: The Financial Crisis and its Lessons", di Ben S Bernanke, Timothy F Geithner e Henry M Paulson Jr, Penguin. In questo libro ci viene raccontato, da quegli stessi uomini che, con il denaro dei contribuenti, hanno garantito il salvataggio delle istituzioni bancarie e finanziarie statunitensi, come sono riusciti a salvare il mondo (per il capitalismo). Wolf concorda che «se non fosse stato fatto ciò che fecero questi uomini durante la crisi finanziaria, a mio avviso, il mondo sarebbe andato incontro ad una seconda grande depressione.» In realtà questo libro non è altro che una replica delle memorie di Ben Bernanke, pubblicate quattro anni fa, quando difese il suo ruolo come capo della Federal Reserve statunitense. Con quel libro, avrebbe voluto che pensassimo che egli aveva «coraggiosamente» salvato il mondo adottando politiche monetarie non convenzionali che aveva appreso a partire dalle lezioni della Grande Depressione e malgrado l'opposizione ortodossa. Solo che lui non ha salvato il mondo, ma solo le banche (quelle più grandi) e la sua politica monetaria non convenzionale non ha rianimato l'economia degli Stati Uniti, per non parlare di quella mondiale, ma ha solamente alimentato un nuovo mercato azionario e un boom delle obbligazioni all'1%. Wolf ammette che «la storia che viene raccontata in questo breve libro contiene un serio avvertimento. Nonostante una regolamentazione più forte e sistemi finanziari più robusti, ci saranno ulteriori crisi finanziarie. Ai politici servono strumenti per spegnere tali incendi. Ma, almeno negli USA, la loro capacità di farlo è ora minore di quanto lo fosse prima della crisi. Dobbiamo pregare affinché non ci si debba pentire di tutto questo.» Forse la risposta è quella di adottare una politica che porti a massicce iniezioni monetarie da fare direttamente nel pubblico, bypassando le banche.
È questa la politica raccomandata per salvare l'economia mondiale nella prossima crisi, in "The Case for People’s Quantitative Easing", di Frances Coppola, Polity. Wolf: «L'alternativa, sostiene Coppola, è quella che in una crisi le banche centrali creino denare che viene fornito direttamente alle persone. Il punto di vista secondo il quale tutto questo debba far parte dell'arsenale della politica, è giusto. Dovremmo pensare come fare a realizzarlo nel momento in cui la crisi ci colpirà di nuovo.» Il «money trick» [il trucco dei soldi] continua a dominare il pensiero degli economisti keynesiani e post-keynesiani, come Coppola, Pettifor e, naturalmente i Modern Monetary Theorists.
Parlando di "The Wealth Effect: How the Great Expectations of the Middle Class Have Changed the Politics of Banking Crises",di Jeffrey M Chwieroth e Andrew Walter, Cambridge University Press, Wolf ci dice che le future crisi finanziarie richiederanno ancora più salvataggi da parte del governo, e questo libro afferma che non c'è via d'uscita. «Abbiamo finito per trovarci in una gara tra la capacità di regolamentazione dello Stato e l'abilità del settore finanziario nello scoprire nuovi modi di collassare. Non esiste un modo semplice e immediato per uscire dalla pericolosa corsa della Regina Rossa». [N.d.T.: The Red Queen's race è un incidente che appare in "Attraverso lo specchio" di Lewis Carroll e coinvolge sia la Regina Rossa, una rappresentazione della Regina nel gioco degli scacchi, e Alice che continua a correre ma rimane sempre nello stesso posto].
In molti post e articoli, ho sostenuto che non esiste via d'uscita dalle ricorrenti crisi finanziarie. La regolamentazione non ha funzionato e non funzionerà. La proprietà pubblica e le banche pubbliche sotto controllo democratico sono l'unico modo per porre fine alla speculazione, al riciclaggio di denaro e all'evasione fiscale da parte del settore finanziario. Per citare Lenin: «Le banche, come sappiamo, sono centri della moderna vita economica, i principali centri nevrelgici dell'intero sistema economico capitalista. Parlare di "regolare la vita economica" e tuttavia eludere la questione della nazionalizzazione delle banche significa o essere profondamente ignoranti o ingannare la "gente comune" con linguaggio e con promesse magniloquenti con la deliberata intenzione di non mantenere tali promesse».
Wolf elogia il prossimo libro che raccomanda, "Democracy and Prosperity: Reinventing Capitalism through a Turbulent Century", di Torben Iversen e David Soskice, Princeton, poiché ritiene che "democrazia" e capitalismo vadano insieme e non possono essere separati: «democrazia e mercati hanno dimostrato di essere di grande successo nel secolo scorso e, con ogni probabilità, continueranno ad esserlo anche in futuro.» Questo roseo punto di vista si trova in opposizione con la realtà, nella quale, quando si tratta di dover scegliere fra preservare il capitalismo, insieme ai profitti dei proprietari di capitale, e mantenere la "democrazia", quest'ultima è stata sempre sacrificata per prima.
Poi c'è la Cina. Wolf raccomanda "The State Strikes Back: The End of Economic Reform in China", di Nicholas Lardy, Peterson Institute for International Economics. Il nuovo libro di Lardy sostiene la tesi secondo cui «la Cina si è allontanata da una riforma orientata al mercato a favore di un economia maggiormente controllata dallo Stato, in parte per rafforzare il controllo esercitato dallo Stato-partito. Questo, sostiene il libro, è un errore. Oltretutto, la Cina non può promuovere un economia nazionale controllata dallo Stato, mentre contemporaneamente sostiene un'economia globale aperta. Deve scegliere. L'attuale percorso si rivelerà dannoso sia per la Cina che per il mondo». Lardy ha previsto a intervalli regolari il collasso dell'economia cinese, a meno che essa non adotti pienamente i mercati e non si sbarazzi del controllo statale. Eppure l'evidenza del successo dell'economia della Cina contraddice questa visione. Sì, la Cina è uno Stato autocratico e monopartitico sempre più dominato da un solo uomo. Ma un passaggio ai mercati aperti, al libero commercio e all'apertura agli investimenti stranieri non porterà "democrazia", ma quel vero e proprio collasso economico che Lardy proclama di voler evitare.
Il fatto che i mercati non sono la soluzione che porta alla prosperità economica e alla democrazia, viene attualmente suggerito in "The Third Pillar: The Revival of Community in a Polarised World", di Raghuram Rajan, William Collins. Rajan, ex governatore della Reserve Bank of India, sostiene che l'equilibrio tra l'economia di mercato e lo Stato è stato spezzato. La soluzione è quella di potenziare un terzo pilastro: la comunità locale. Egli raccomanda di passare «dalla massimizzazione dei profitti per gli azionisti alla massimizzazione del valore economico generale delle imprese, inglobando investimenti da parte dei lavoratori e dei fornitori.» Rajan ha sostenuto che in passato, prima del collasso finanziario globale, è stato uno dei pochi economisti mainstream a mettere in guardia circa quelli che sono i pericoli della speculazione finanziaria, ma allora venne licenziato. Ora sembra che questa sua soluzione sia l'utopia della «comunità politica» e della «democrazia degli azionisti.» Ancora altri sofismi.
In "The Power of Capitalism: A Journey Through Recent History Across Five Continents", di Rainer Zitelmann, LID Publishing, possiamo ascoltare la vera voce del capitalismo. Secondo Wolf, «Il capitalismo è l'unico sistema economico ad aver dimostrato di avere successo, a lungo termine. È questo il nucleo centrale della vivace polemica di Zitelmann. Come avviene con la maggior parte degli ideologhi, egli semplifica eccessivamente. Sottovaluta quelli che sono i costi di un'eccessiva disuguaglianza. Sottovaluta anche la fragilità dei sistemi finanziari del libero mercato. Ma, in un momento in cui il socialismo sta diventando politicamente attraente, egli sottolinea giustamente la comprovata superiorità economica delle economie di mercato basate sulla proprietà privata».
Zitelmann non ha alcun dubbio sul fatto che il capitalismo sia il migliore di tutti i mondi possibili. Wolf è d'accordo e neanche lui vuole il "socialismo", se non per il fatto che è preoccupato che il settore finanziario sia instabile ed il capitalismo può creare disuguaglianza. Questo è quanto. C'è un'ala del mainstream che si trova del tutto fuori dal capitale e dai mercati; anche l'altra ala, ma vuole gestirlo meglio e renderlo più giusto.
- Michael Roberts - Pubblicato il 23/6/2019 su Michael Roberts Blog - blogging from a marxist economist
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