La fine della «società del lavoro» e della «società del denaro»
- Introduzione al dibattito sul libro di Yuval Noah Harari, "Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell'umanità" -
di Boaventura Antunes
Buona sera a tutte le persone presenti. Prima di passare alla discussione circa le idee che si trovano alla base del libro di Harari, vorrei introdurre il tema. In tre parti. Per primo, una breve presentazione dell'autore. In secondo luogo, quelle che sono le linee essenziali dell'opera. E, per finire, un abbozzo di apprezzamento critico.
Yuval Noah Harari nasce nel 1976 in Israele, nei pressi di Haifa, in una famiglia di ebrei laici con ascendenti in Libano e nell'Europa orientale. Si è sposato a Toronto, in Canada, in quanto in Israele non è possibile sposarsi con una persona dello stesso sesso, sebbene poi lo Stato riconosca questi matrimoni che sono avvenuti all'estero. Vive insieme al marito nei pressi di Gerusalemme in un "Moshav" (comunità agricola e residenziale simile al Kibbutz, ma che ammette la proprietà privata della terra, in lotti uguali). Egli ritiene che il suo orientamento sessuale minoritario possa averlo aiutato a mettere in discussione le conoscenze e le idee circa la vita, il mondo e l'umanità che vengono date per scontate. Pratica la "Vipassana", medita due ore al giorno e compie un ritiro annuale di almeno un mese l'anno. Ha aderito al veganesimo, asserisce, in virtù dei suoi studi sui maltrattamenti inflitti dagli esseri umani agli animali. Dal mese di gennaio di quest'anno ha deciso di fare a meno dello smartphone. Del marito, e suo manager, dice che è il suo «Internet di tutte le cose».
Avendo iniziato i suoi studi di storia specializzandosi in storia militare e in storia medievale, si è poi dedicato alla storia mondiale ed ai processi di Macrostoria [N.d.T.: Per macrostoria si intende il lavoro di storiografia che analizza gli avvenimenti storici prendendo in considerazione gli elementi di un contesto più ampio, come l'ambiente geografico, l'economia, le ideologie e la cultura]. Ha conseguito il dottorato ad Oxford, ed è attualmente professore nell'Università Ebraica di Gerusalemme. Il suo libro "Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell'umanità" ha avuto un seguito in "Homo Deus. Breve storia del futuro" ed in "21 lezioni per il XXI secolo" [N.d.T.: tutti editi in Italia da Bompiani]. Sebbene il secondo ed il terzo libro siano stati influenzati dagli editori a partire dal successo del primo, questo è stato sviluppato senza che ci sia stata una tale pressione, dal momento che inizialmente è stato pubblicato in ebraico nel 2011. Nel libro, alla fine, l'autore ringrazia «per i loro consigli ed il loro aiuto», «tutti gli insegnanti e tutti gli studenti dell'Università Ebraica di Gerusalemme», menzionando 15 nomi in particolare.
Sulla sua pagina personale Internet, l'autore di "Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell'umanità" scrive: «L'homo sapiens governa il mondo perché è l'unico animale che riesce a credere in cose che esistono puramente nella sua immaginazione, come gli dei, gli Stati, il denaro e i diritti umani. A partire da questa idea provocatoria, Sapiens passa a raccontare la storia della nostra specie secondo una prospettiva completamente nuova. Spiega come il denaro sia il sistema più pluralistico di fiducia reciproca che sia mai stato concepito; come il capitalismo sia la religione più di successo che sia mai stata inventata; come il trattamento degli animali nell'agricoltura moderna, sia probabilmente il peggior crimine della storia; e come, sebbene si sia molto più potenti di quanto lo fossero i nostri antichi antenati, non si sia molto più felici. Combinando profonde conoscenze con un linguaggio straordinariamente vivo, Sapiens ha conquistato un status di culto presso un pubblico variegato, conquistando adolescenti e professori universitari, attivisti dei diritti degli animali e ministri del governo. Nel 2018, ne sono state vendute più di dieci milioni di copie, ed il libro è stato tradotto in quaso cinquanta lingue.»
Passiamo al libro, che nella sua edizione portoghese consiste di 512 pagine, con 20 capitoli raggruppati in quattro parti ed una piccola postfazione che presenta il libro successivo, Homo Deus.
Nella sua prima pagina, una frase mostra quale sia l'ambizione del libro:
«A modellare il corso della storia furono tre importanti rivoluzioni: la Rivoluzione cognitiva dette il via alla storia circa settantamila anni fa. La Rivoluzione agricola partì intorno a dodicimila anni fa. La Rivoluzione scientifica, messasi in marcia solo cinquecento anni fa, potrebbe considerarsi come un termine della storia e l’inizio di qualcosa di completamente differente. Questo libro cerca di raccontare come queste tre rivoluzioni abbiano inciso sugli umani e sui loro organismi.»
La prima parte, "La rivoluzione cognitiva" racconta come «un insignificante animale» venuto dall'Africa, abbia dominato il fuoco, inventato un linguaggio e, «aggirando il genoma», abbia stabilito ordini sociali inventati che gli hanno permesso una cooperazione che prima non era stata possibile. Il Sapiens si espanse per tutto il pianeta, facendo coincidere il suo arrivo con la scomparsa della maggior parte degli animali e delle piante, ivi inclusi altri umani, riuscendo a salvare solo, nell'«arca di Noè» della agricoltura e dell'allevamento, un piccolo numero di animali e di piante addomesticati. Sulla vita dei cacciatori raccoglitori, che vivevano in piccoli gruppi formati da decine o da poche centinaia di individui, in piena comunità con la natura e con i «fantasmi parlanti» animisti, c'è una cortina di silenzio. In realtà, nell'«età della pietra» le persone utilizzavano soprattutto utensili di legno.
La seconda parte tratta della "Rivoluzione Agricola" avvenuta lungo i grandi fiumi, la «più grande impostura della storia» visto che si è tradotta nel degrado della qualità della vita delle persone: alimentazione peggiore, aumento delle malattie, un maggior sforzo richiesto. L'addomesticamento degli animali e delle piante, ed il sedentarismo, permisero tuttavia un aumento esponenziale della popolazione. L'invenzione della scrittura, a partire dai registri necessario all'agricoltura e all'allevamento. Aumento del peso delle strutture sociali. Abbandono dell'animismo a favore del politeismo e del monoteismo.
Nella terza parte, "L'unificazione dell'umanità", vengono fatte delle considerazioni sul denaro, sugli imperi e sulle religioni, concludendo: «Il commercio, gli imperi e le religioni universali hanno condotto praticamente tutti i Sapiens di ogni continente nel mondo globale in cui viviamo oggi. Non che questo processo di espansione e di omologazione sia stato lineare o senza interruzioni. Se si guarda però il quadro generale di ciò che è avvenuto, la transizione da molte piccole culture a poche grandi culture e poi, da queste, a un’unica società globale, è stato probabilmente il risultato inevitabile della dinamica della storia umana. Ma dire che una società globale è inevitabile non equivale a dire che il risultato doveva essere per forza quello che abbiamo oggi. Di sicuro potremmo immaginare altre soluzioni.»
Questa parte si chiude con delle considerazioni sulla contingenza della storia («La cieca Clio», Clio, la musa della storia nella mitologia greca) e nell'ultimo paragrafo lascia aperta quella che è un'altra lettura dell'unificazione: «La storia procede da un raccordo all’altro, scegliendo per qualche misteriosa ragione prima un sentiero e poi un altro. Intorno al 1500 d.C. la storia ha fatto la sua scelta di maggiore portata, cambiando non solo il destino dell’umanità, ma verosimilmente il destino della vita stessa sulla Terra. Si chiama Rivoluzione scientifica. Ebbe inizio in Europa Occidentale, questa vasta penisola all’estremità occidentale dell’Afro-Asia che fino ad allora non aveva avuto un ruolo importante nella storia. Come mai la Rivoluzione scientifica, tra tutti gli altri posti possibili, ebbe inizio lì e non in Cina o in India? Perché cominciò proprio a mezza strada del secondo millennio, invece che due secoli prima o tre secoli dopo? Non lo sappiamo.»
La quarta parte è sulla rivoluzione scientifica e occupa sette dei 20 capitoli. Il primo comincia con l'«ideale del progresso», consentito dalla «scoperta dell'ignoranza» e che continua a constatare che «sapere è potere», e che finisce per fare riferimento, in maniera speranzosa, al «progetto Gilgamesh», il quale pretende di liberare l'umanità dalla morte. I quattro capitoli successivi mostrano il collegamento tra la scienza moderna ed il il capitalismo («Il matrimonio tra scienza e impero», «Il credo capitalista», «Le ruote dell'industria» e «Una rivoluzione permanente», in cui l'ultima già evidenzia quella che è l'erosione dell'istituzione sociale capitalista della famiglia e dello Stato). Il ventesimo ed ultimo capitolo mette in guardia circa la possibile «fine dell'homo sapiens», attraverso l'ingegneria genetica, i cyborg, l'Intelligenza Artificiale e la sua «singolarità»: «Ecco perché il Progetto Gilgamesh è la nave ammiraglia della scienza. Serve a giustificare tutto ciò che la scienza fa. Il dottor Frankenstein sta sulle spalle di Gilgamesh. Poiché non si può fermare Gilgamesh, è impossibile anche fermare il dottor Frankenstein.» Il libro è documentato per mezzo di una dozzina di fotografia e attraverso 5 mappe significative: 1) L'homo sapiens conquista il globo terrestre; 2) Localizzazione data delle rivoluzioni agricole; 3) La Terra nel 1450 d.C.; 4) La diffusione del cristianesimo e dell'islam; 5) La diffusione del buddismo.
La postfazione, «L’animale che diventò un dio», che rimanda al libro successivo, termina con quello che sembra essere un appello moralistico alla responsabilità personale: «Peggio di tutti, gli umani sembrano più irresponsabili che mai. Siamo dèi che si sono fatti da sé, a tenerci compagnia abbiamo solo le leggi della fisica, e non dobbiamo render conto a nessuno. Di conseguenza stiamo portando la distruzione fra i nostri compagni animali e sull’ecosistema circostante, in cerca quasi solo del nostro conforto e divertimento, senza peraltro essere mai soddisfatti. Può esserci qualcosa di più pericoloso di una massa di dèi insoddisfatti e irresponsabili che non sanno neppure ciò che vogliono?»
Per fare un bilancio su un libro che è molto interessante, e che non lascia dubbi circa la «fine della società del lavoro» e delle sue istituzioni nazionali, bisogna dire che la risposta a quest'ultima domanda è senz'altro positiva. Più pericoloso del «non sapere», è il «non voler sapere». Da quando la Tatcher ha proclamato che «non esiste società, ma solo individui», l'ideologia postmoderna nega in maniera militante qualsiasi realtà sociale, e vede tutta la storia del passato e del futuro come fatta dagli stessi soggetti postmoderni del denaro. Ora il denaro moderno è capitale, denaro che si auto-moltiplica, e il capitale è una relazione sociale, un'«astrazione reale» la cui sostanza è il lavoro. Il denaro moderno non è solo una cosa immaginata, come gli antichi dei; esso rappresenta qualcosa di ben materiale, e che è la forza lavoro che viene spesa nella produzione di merci. Perciò la fine della società del lavoro sarà la fine della società del denaro e delle sue istituzioni.
Rousseau identificava l'allora emergente relazione sociale come se fosse una «volontà generale», diversa dalla sommatoria delle volontà individuali, Adam Smith parlava di «mano invisibile», e Marx ha detto che il vero soggetto di questa società è l'auto-movimento del denaro, in quanto «soggetto automatico» che quindi così facendo si trasforma in capitale, auto-movimento rispetto al quale i moderni soggetti umano, che si ritengono liberi, no sono altro che dei «personaggi». Nella sua «critica dell'economia politica», Marx ha criticato il «feticismo», il quale consiste nel fatto che gli esseri umani fanno la storia senza averne coscienza, e sottolineava anche che la «contraddizione in processo» di questo auto-movimento feticista arriverebbe ad una conclusione logica quando, cime effetto della concorrenza, arriverebbe a sopprimere più posti di lavoro di quanti ne possa creare.
Ora, Harari non si perde in questo genere di considerazioni, che implicitamente ritiene essenzialiste e superate, e alla fine del 11° capitolo dice: «L’impero globale che si profila davanti a noi non è governato da un particolare stato o gruppo etnico. In modo analogo al tardo impero romano, è retto da un’élite multietnica e tenuto insieme da una cultura e da interessi comuni. In tutto il mondo è chiamato ad aderirvi un numero sempre maggiore di imprenditori, ingegneri, esperti in vari campi, studiosi, avvocati e manager. Essi devono valutare se rispondere alla chiamata imperiale o rimanere fedeli al loro stato e al loro popolo. Sempre più numerosi sono coloro che scelgono l’impero.» Quindi ci si aspetta che, dopo la fine del lavoro (che secondo l'osservazione di Marx è la «sostanza del capitale»), possa continuare il denaro e il movimento senza fine dei soggetti suoi portatori, pur non sapendo che cosa farne della maggioranza degli esseri umani che sono diventati superflui, e che ora si trovano in una sorta di «impero globale». Hardt e Negri mandano i loro saluti...
Nel 2011, nello stesso anno in cui Harari ha scritto Sapiens, Robert Kurz scriveva "Denaro senza Valore", una dettagliata e documentata monografia su questa categoria centrale della modernità. Qui vediamo come il denaro che appare nelle società antiche era un «oggetto sacrale» per le offerte agli dei (la moneta dapprima veniva coniata nei templi) che non aveva niente a che vedere con la riproduzione sociale; le società erano organizzate a partire da complesse e differenziate relazioni di interdipendenza, basate sulla dipendenza religiosa nei confronti di un presunto essere superiore. Il passaggio per cui il denaro è diventato un mediatore sociale tendenzialmente esclusivo è avvenuto attraverso un processo di violenza mai visto prima, che è cominciato prima della Guerra dei 30 anni ed è finito nelle guerre mondiali industriali del secolo scorso. Il denaro non è «il sistema di fiducia reciproca più pluralista che sia mai stato concepito», come dice Harari. Al contrario, ci rende «tutti nemici gli uni dagli altri, in uno stato di guerra perpetuo e reciproco» (Marchese de Sade), dal momento che sono i «vizi privati» della concorrenza che presumibilmente si trasformano in «pubbliche virtù» (Mandeville) e hanno fatto del capitalismo l'organizzazione «più di successo che sia mai stata inventata» grazie alla concorrenza, ma che ora è vittima del suo stesso successo, poiché non può più sfruttare il lavoro. Tuttavia, il «capitalismo come religione» (Walter Benjamin), ha portato in terra il suo dio, facendo dell'antico oggetto sacrificale, quello che era il denaro che nei templi veniva offerto al dio trascendente, un immanente Dio cannibale, che si nutre di «cervello, muscoli e nervi» umani, perché solo «il lavoro è la sostanza del capitale» (Marx). E ora questo dio cannibale, nel momento in cui non riesce più a sfruttare gli umani, minaccia di annientarli in quanto superflui, se essi non lo getteranno nella pattumiera della storia. E quanto al fatto che «noi siamo molto più felici» dei nostri antenati, come dice Harari, vale la pena rammentare l'osservazione fatta da Saint Just, a proposito della Rivoluzione francese, per cui «la felicità è un'idea nuova in Europa», idea espressa proprio nella Dichiarazione di Indipendenza degli Stati Uniti d'America, che sancisce il diritto di tutti gli esseri umani alla «ricerca della felicità», e considerato che sono già passati quasi 250 anni da quando la festa è finita, ed è stata fischiata la fine del gioco del lavoro e della concorrenza anche nella «terra dei diritti umani». Anche la scienza moderna può essere vista come un sottoprodotto della concorrenza al fine in sé di fare più denaro a partire dal denaro, indifferente al contenuto dei prodotti. Ed è per questo motivo che lo sviluppo delle forze produttive è allo stesso tempo, simultaneamente, sviluppo di forze distruttive, come aveva già notato Marx, oppure, come dice Harari, sul progetto Gilgamesh sta seduto a cavalcioni il Dr. Frankenstein. Ed è per questo che le femministe non hanno potuto fare a meno di rilevare la costituzione androcentrica e distruttiva della scienza moderna. A proposito di una cosa, Harari e Kurz concordano in maniera inequivocabile: i problemi globali dell'umanità devono avere una soluzione globale. E per tale motivo i Kibutzim/Moshavim, in quanto cooperative di liberi volontari, se collegati fra di essi a livello globale, potrebbero costituire un esempio assai più interessante di quello del defunto socialismo statale, al fine di poter testare una buona vita per tutti, al di là del Mercato e dello Stato.
- Boaventura Antunes - Introduzione al dibattito sul libro di Yuval Noah Harari, "Sapiens. Da animali a dèi. Breve storia dell'umanità" - Associação de Desenvolvimento Cultural Palha de Abrantes - 26 febbraio 2019
fonte: EXIT!
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