In che modo gli antichi Greci si immaginavano l’aldilà? In una religione senza dogma come quella greca antica, molteplici risposte sono possibili. Nel darne conto, il libro mostra innanzi tutto come i Greci costruivano l’identità del morto, definendone i tratti esteriori, il cibo e lo spazio a lui riservati. Entriamo poi in contatto con un gruppo di racconti mitici che riguardano gli individui puniti per sempre nell’aldilà, in una dimensione priva di paradiso: alcuni celebri (Sisifo, Tantalo e le Danaidi), altri meno conosciuti, come il povero Ocno, costretto a intrecciare una corda eternamente divorata da un’asina, o come coloro che non erano stati iniziati ai misteri di Eleusi, immersi per sempre nell’immenso lago di fango degli inferi.
(dal risvolto di copertina di: Doralice Fabiano, "Senza paradiso. Miti e credenze sull'aldilà greco". Il Mulino.)
Senza paradiso, la morte è un inferno
di Giorgio Ieranò
Ulisse varca le correnti di Oceano per raggiungere il regno dei morti. Deve evocare l’ombra dell’indovino Tiresia per avere notizie sul futuro. Compiuta la missione, l’eroe vagabondo s’intrattiene con le anime dell’oltretomba. Eroi ed eroine sfilano davanti ai suoi occhi. Qualcuno gli parla, come Achille, che smentisce le illusioni sulla sorte gloriosa di chi è morto in battaglia: «Vorrei essere il servo di un padrone povero piuttosto che regnare su tutte le ombre dei morti». Poi a Ulisse si presenta lo spettacolo strano di tre figure umane sottoposte a bizzarre torture. Vede il gigante Tizio, sdraiato per terra: gli avvoltoi mangiano in continuazione il suo fegato senza che lui possa difendersi. Poi appare il re Tantalo: tormentato dalla sete, è immerso in uno stagno ma, non appena cerca di bere, l’acqua scompare. Più in là c’è l’eroe Sisifo: spinge un macigno sulla vetta di una collina ma, raggiunta la vetta, il masso rotola giù e deve ricominciare da capo la sua immane fatica.
Questi tormenti, descritti da Omero nell’Odissea e poi diventati proverbiali (il supplizio di Tantalo, la fatica di Sisifo), sono il fulcro del libro che Doralice Fabiano dedica alle immagini greche dell’Aldilà. Il saggio, uscito nella collana del benemerito «Centro di antropologia del mondo antico» fondato da Maurizio Bettini, s’intitola Senza Paradiso. Perché l’oltretomba greco non è un luogo in cui si dispensano premi per chi si è ben condotto nella vita terrena. Non c’è un dio che garantisca un’eterna beatitudine o la compagnia di 72 vergini a chi ha vissuto da uomo giusto e pio. L’Aldilà greco, che fa la sua prima comparsa letteraria appunto nell’Odissea, è un triste porto delle nebbie, popolato da fantasmi senza vigore. Dell’uomo resta solo un’ombra, un doppio volatile, che Omero chiama psyche: parola che in origine è strettamente legata all’Oltretomba e solo più tardi designerà anche l’anima dei viventi.
Ma, in realtà, come ben illustra Fabiano, dovremmo parlare di diversi Aldilà. Non c’è, infatti, solo l’Ade visitato da Ulisse, dove le anime scendono stridendo come pipistrelli dopo avere varcato le Porte del Sole e sfiorato il Paese dei Sogni: un luogo sotterraneo e cupo, spazio di paludi melmose e di fiumi vorticosi. Ancora più giù, nelle profondità della terra, c’è il Tartaro, dove Zeus ha rinchiuso i Titani che si erano ribellati al suo potere: come scrive Esiodo, «un’incudine di bronzo, cadendo dalla terra per nove notti e nove giorni, arriverebbe al Tartaro il decimo giorno». A volte, poi, l’Aldilà ha la forma di un’isola. C’è l’Isola dei Beati, favolosa dimora di eroi su cui gli antichi hanno spesso fantasticato. Oppure l’Isola Bianca, dove Achille trascorrerebbe l’eternità in un perenne festino, avendo accanto a sé come sposa la donna più bella del mondo, Elena.
Definire l’Aldilà è difficile per ogni religione (si pensi agli infiniti dibattiti sull’esistenza del limbo o sull’esatta natura dell’inferno cristiano). Ma lo è ancora di più per i greci, che non avevano un libro sacro, e che, ogni volta, affidavano il racconto sia del mondo sia dell’oltremondo alla fluidità del mythos. L’Aldilà greco resta sempre plurale e contraddittorio. Anche se, in tutte le sue diverse forme, conserva, come ben spiega Fabiano, alcune caratteristiche irriducibili. E’ sempre un luogo remoto, separato e chiuso. E, mentre cristiani e musulmani si sono immaginati inferni in cui ardono fiamme eterne, l’Oltretomba greco è invece calato in una dimensione acquatica. Ci sono i laghi e le paludi dell’Ade sotterraneo, con quei fiumi i cui nomi risuonano infinite volte nelle opere dei poeti: Acheronte, Stige, Flegetonte, Lete. E ci sono le acque del mare che fanno cerchio intorno alle isole beate. Per andare nell’Aldilà bisogna sempre imbarcarsi. Gli stessi abissi del mare, soffocanti e oscuri, sono spesso per i greci immagine del regno dei morti.
Ma, in questo mondo così desolato, qual è il ruolo di quelle tre enigmatiche vittime di supplizi (Tizio, Tantalo, Sisifo) che Ulisse vede nell’Ade? Certo, sono tre peccatori. Scontano la pena per una trasgressione, anche se spesso le ragioni delle loro punizioni non sono chiare e sono descritte in modo contraddittorio nei miti antichi. Ma, con un’analisi molto fine, Fabiano mostra che la loro immagine non rimanda innanzitutto a una dialettica teologica tra colpe terrene e punizioni ultraterrene. Condannati a ripetere in eterno, e invano, le stesse azioni, i tre dannati rappresentano piuttosto la circolarità sinistra dell’Ade, la dimensione sottratta allo scorrere del divenire in cui abitano i morti. E, nell’Odissea, essi incarnano il pericolo che Ulisse stesso sta correndo: quello di essere sottratto alla storia degli uomini, di finire risucchiato nell’imbuto di un mondo senza tempo, come l’insidiosa eternità promessa da Calipso, la Nasconditrice. Solo il cantore Orfeo, racconta Ovidio nelle Metamorfosi, riesce a fermare per un attimo l’ingranaggio della morte e il suo invariabile succedersi degli stessi supplizi. Quando la sua musica risuona nell’Ade, dove è sceso per cercare Euridice, anche il masso di Sisifo e gli avvoltoi di Tizio restano immobili, presi dall’incanto. Ma si sa com’è andata a finire. Euridice è ancora laggiù. E, accanto a lei, Tantalo continua invano a cercare di placare la sua sete.
- Giorgio Ieranò - Pubblicato sulla Stampa del 22/6/2019 -
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